| John F. Kennedy International Airport; New York; 13/10/2018 H:11:48 |
C'era un
traffico umano ai limiti dell'inverosimile. Tuttavia si trovava in un aeroporto
ed erano sempre così gli aeroporti. Luoghi di saluti, ritrovamenti, abbracci,
promesse. Quando Ewan vi entrava non riusciva mai a fare a meno di osservare
gli aerei decollare, vedere quella moltitudine di colori sollevarsi in cielo.
Gli sembravano giocattoli per bambini formato gigante, gioielli di ingegneria e
tecnica in grado di lasciare perplessi al tempo stesso.
Era
in attesa nella zona degli arrivi, dietro il cordone di sicurezza che
delimitava un'area da cui si poteva solo uscire, la sorella ferma accanto a
lui. Quasi fremeva nell'attesa, emozionato come non si sentiva da un po'.
Sarebbe stato capace di contare i secondi, i minuti che stavano scorrendo dal
momento in cui aveva visto il boeing con la coda della British Airways atterrare preciso sulla pista.
Sembrava
stesse trascorrendo un'eternità. C'erano i controlli, lo sapeva. Il recupero
del bagaglio da stiva, certo.
Non
voleva dare l'idea di essere troppo eccitato a Charlotte, ma sapeva bene che
lei lo aveva già intuito. Lo aveva capito dalle sue occhiate. Parole senza
suono, ma al tempo stesso di una chiarezza e una precisione unica.
Quando
le prime persone iniziarono a comparire dal varco degli arrivi, dopo i controlli
e con le valige al seguito, Ewan aguzzò la vista. Allora sì che cominciò a
contare. Non i secondi, i volti. Visi sconosciuti di cui non gli importava
niente, alla ricerca di quell'unico volto amico, troppo amico. Finalmente
individuò il suo ciuffo dietro ad alcune persone. Non gli servivano conferme di
nessun tipo, avrebbe potuto riconoscere quel groviglio di capelli bruni
ovunque. Gli si dipinse d'istinto un sorriso in volto quando realizzò che, alla
fine, Alastair era lì. Uno dei suoi pezzetti di Londra preferiti era arrivato.