Capitolo 1: Ice wall
“Ricordavo avesse
problemi a controllare le fiamme, non il ghiaccio.” Hatz
si strinse nelle spalle lanciando occhiate di sbieco al paesaggio innevato.
Vedendo il carro della figlia del droghiere allontanarsi, i due erano usciti dal
loro nascondiglio tra la boscaglia e avevano proseguito nella direzione in cui
la lighthouse blu si era ritirata. Shibisu, pochi
passi più avanti, si fermò e gli indicò qualcosa in lontananza. Aveva gli occhi
socchiusi per il freddo e il naso aveva cominciato ad arrossarsi.
“Osserva meglio…” La sua
voce era calma, ma il moro vi riconobbe una nota di preoccupazione. Strinse gli
occhi cercando di mettere a fuoco ciò che il compagno gli aveva appena
indicato.
Coperti da una spessa
coltre di neve e cristallizzati da un luccicante velo di ghiaccio, Hatz riconobbe i resti di quello che una volta dovette
essere un piccolo boschetto. Ciò che sopravviveva erano degli scheletri
ingrigiti e spezzati di querce e lecci: il tetro lascito di un incendio. “Non
sembra una cosa recente. I tronchi sono troppo pallidi.” Giudicò Shibisu senza sbilanciarsi troppo su quanto “poco recente”
potesse essere quel fenomeno.
Hatz
fischiò. “Non è possibile che riesca a gestire tutto questo shinsu
di ghiaccio. Il droghiere ha detto che questo posto è in questo stato da tre
anni, come fa a mantenere una simile distesa di shinsu
per così tanto tempo?”. Shibisu si accigliò senza
distogliere lo sguardo dai resti carbonizzati degli alberi.
“Mettila in lista tra le
cose da chiedergli non appena lo vediamo”.
Lo spadaccino emise una
breve risata cupa. “Intendi dopo che lo avrò riempito di botte…” Le parole si
trasformarono presto in piccole nuvolette pallide.
Shibisu
gli rivolse un’occhiata complice da sopra la spalla. Attese che il moro lo
raggiungesse per poi proseguire al suo fianco.
Avanzare sul ghiaccio non
era certamente agevole, ma era ancora peggio quando si ritrovarono a
sprofondare fino al ginocchio nei cumuli di neve. Shibisu
alzò gli occhi al cielo traendo un profondo respiro. L’aria gelida gli riempì i
polmoni allievando di poco quel senso di calore umido che l’improvvisa attività
fisica gli stava procurando. Ad un certo punto qualcosa di freddo e bagnato gli
colpì la fronte colando lentamente fino al ponte del naso.
“Nevica…” Hatz si stava osservano il palmo della mano notando i
piccoli cristalli di neve che cominciavano ad accumularvisi.
“Dobbiamo sbrigarci.” Lo
incalzò l’amico riprendendo a camminare. La neve non era particolarmente fitta
e cadeva quasi svogliatamente, lasciandosi trasportare dalla brezza leggera,
tuttavia se avesse cominciato ad accumularsi sarebbe stato difficile proseguire
e trovare un riparo.
Sentendo un suono
metallico Shibisu lanciò un’occhiata ad Hatz che proseguiva al suo fianco. Aveva sguainato di poco
la sua spada osservandola con un velo di preoccupazione. “Spero solo che la
lama non congeli dentro il fodero”. Il compagnò gli diede un colpetto sulla
spalla e il moretto rinfoderò l’arma.
Insieme continuarono ad
avanzare, guardando fissi nella direzione in cui la lighthouse era scomparsa.
“Quella lighthouse blu…
era sicuramente la sua. Questa volta deve essere lui…” Hatz
lo osservò di sottecchi: i suoi occhi erano pensosi, le labbra tese in una
linea sottile.
“Biondo, occhi blu,
maschera sul viso. Se avesse voluto nascondersi avrebbe potuto adottare un
travestimento diverso. Qualcosa di nuovo…” Osservò lo spadaccino ripetendo la
descrizione che la moglie del droghiere aveva fornito del loro misterioso
cliente: un regular in grado di controllare il ghiaccio. Lo avevano cercato per
cinque lunghi anni: Khun aveva certamente operato
bene, lasciando falsi indizi per depistare chiunque lo stesse cercando. Tra
tutte, la pista del regular eremita che viveva in mezzo alla radura di ghiaccio
– trenta piani più sotto rispetto all’ultimo livello della torre che sapevano
avesse raggiunto – sembrava la meno probabile, così ovvia e allo stesso tempo inverosimile,
così poco… da Khun. L’avevano scartata a priori e con
il tempo l’avevano dimenticata; almeno fino a quando l’informazione era di
nuovo rimbalzata a loro, trovandoli in un momento in cui ormai le idee
scarseggiavano e le speranze si assottigliavano.
“O magari lo ha fatto di
proposito sapendo che solo in alcuni avrebbero riconosciuto proprio quel
travestimento…” di nuovo, Hatz gli lanciò
un’occhiata, mugugnò qualcosa di indefinito, poi rispose: “Non ne sono del
tutto convinto, se ricordi non era propriamente in sé nell’ultimo
periodo… ”
“Speriamo allora che
abbia riacquistato le sue piene facoltà mentali nel frattempo…” Shibisu affrettò il passo quasi a rimarcare quelle parole. “…
considerando quanto si è impegnato per depistarci, sono abbastanza fiducioso a
riguardo.”
Il moretto sbuffò e si
affrettò ad allungare il braccio afferrando saldamente quello del compagno,
costringendolo così a fermarsi. “Isu, non so bene chi ti aspetti di incontrare…”
Il suo tono era calmo, ma il suo abbassamento di voce implicava un ammonimento
in arrivo. Shibisu si voltò a guardarlo, lievemente
sorpreso “… ma la persona che tu e Bam state cercando
così disperatamente di ritrovare potrebbe non essere esattamente come la
ricordavate.”
La durezza improvvisa
delle sue parole lasciò momentaneamente il compagno interdetto. “Lo so…”
bisbigliò infine, quasi fra sé. Le sue parole si condensarono in piccole
nuvolette di vapore.
“Voglio dire… guarda
questo posto. Siamo in una landa di ghiaccio in mezzo al nulla.” Per
enfatizzare la sua affermazione il moro lasciò la presa sul braccio di Shibisu e indicò con un cenno circolare la vallata che li
circondava. “Il centro più vicino è a mezza giornata a piedi da qui. Il
droghiere ha detto che è isolato in questo luogo da tre anni: tre anni senza
nessun contatto umano… e, ancora peggio, sappiamo bene come ha trascorso i due
anni precedenti al suo arrivo qui!”
“Lo so…” rispose
nuovamente Shibisu, accogliendo con pazienza lo sfogo
del compagno. C’era comprensione ora nel suo sguardo. Lo spadaccino era una
persona relativamente pacata, di poche parole, e nonostante dalla sua voce non
trapelasse una reale agitazione, l’amico poteva leggere un velo di alterazione
in quegli occhi scuri.
Hatz
si strinse nelle spalle rabbrividendo, se per il freddo o per una qualche sua
preoccupazione a Shibisu questo non fu chiaro. “Dico
solo che non è detto che questa nostra missione possa realmente ottenere
qualcosa di positivo.”
Isu sospirò e le labbra
gli si incurvarono in un flebile sorriso, assumendo quell’espressione quasi
“paterna” che lo contraddistingueva. “Lo so… ma sarebbe peggio non provarci
nemmeno.”
Hatz
lo fissò accigliandosi, poi arrossì e sbuffò, distogliendo lo sguardo quasi a
celare quell’improvvisa ostentazione emotiva. “Andiamo…” bofonchiò riprendendo
la marcia “…ho bisogno di picchiare qualcuno.”
I loro stivali continuarono
a slittare tra le lastre di ghiaccio scricchiolanti e a sprofondare nei
tracciati ricoperti di neve fresca. Avanzare in quel terreno era decisamente
impegnativo.
La vallata era silenziosa
ad eccezione del crepitare dei loro passi sul terreno e del suono sommesso
della neve che continuava placidamente a cadere. Shibisu
osservò i fiocchi bianchi risaltare tra le ciocce di capelli neri di Hatz e istintivamente si passò una mano tra i capelli
castani, avvertendo la sensazione umida e fredda del ghiaccio che si
scioglieva. Si pentì di non essersi portato dei guanti. Proseguirono in
silenzio per un altro quarto d’ora respirando affannosamente per lo sforzo;
finalmente cominciarono a scorgere un’abitazione in lontananza.
La villa di fronte a loro
cominciava a delinearsi sempre di più. Entrambi si fermarono a osservarla
riprendendo fiato. Nuvolette di condensa si formavano intorno al volto di Shibisu; Hatz aveva le guance
arrossate per il freddo e lo sforzo, ma gli occhi erano lucidi e attenti. Era
la classica tenuta di campagna: un edificio a due piani con annesso il fienile.
Era ben mantenuta, con un ampio cortile spoglio circondato da un basso recinto
di pietre e con pareti in mattoni rossastri su cui si aprivano piccole finestre
prive tuttavia dei classici oscuranti in legno. Il tetto a doppio spiovente era
rivestito da scure tegole in terracotta: su di esso non vi era la minima
traccia di ghiaccio e la neve non sembrava farvi presa.
“Quello sembra recente.”
Seguendo lo sguardo di Hatz, Shibisu
intravide dei tronchi carbonizzati a una ventina di metri alla loro destra. Gli
scheletri anneriti degli alberi e il fumo grigiastro si stagliavano sullo
sfondo in contrasto con il pallore della neve e del cielo; sottili volute di
fumo fuoriuscivano dalle cavità ormai vuote dei tronchi e si disperdevano
nell’aria. I due regular assunsero un’espressione confusa, ma nessuno dei due
disse nulla.
Il terreno tutt’intorno
ai resti era anch’esso annerito, lo strato di ghiaccio che lo aveva ricoperto
era ormai dissolto e i fiocchi di neve che ora riempivano l’aria si
scioglievano ancora prima di raggiungere il suolo. Uno stretto sentiero,
anch’esso di terra bruciata, collegava il piccolo gruppo di alberi alla villa.
Quest’ultimo dettaglio
fece accendere un campanello d’allarme in Shibisu che
reagì d’istinto afferrando al volo Hatz per il gomito
trascinando così entrambi all’indietro.
Per un attimo credette di
vedere un’esile mano pallida emergere da dietro uno di quegli scheletri
inceneriti, poi, improvvisamente, con un forte fragore e un sommesso
scricchiolare, dal suolo si innalzarono quattro alte pareti di ghiaccio che
tagliarono loro ogni via di fuga. Le barriere si sollevarono fino quasi a
ripiegarsi su sé stesse e oscurare il cielo sopra le loro teste.
“Davvero? Un’imboscata? E’ così che si accolgono gli amici?” Senza che potesse
trattenerlo, un sorriso cominciò a stamparsi sul volto di Shibisu.
Qualcosa si accese dentro di lui. Avvertì i suoi battiti accelerare e
rimbombargli nelle tempie: un improvviso senso di eccitamento lo pervase. Ne
era sicuro: lo avevano trovato. Ora più che mai, ne era fermamente certo.
“E’
passato un po’ di tempo… non credo di ricordare bene come si accolgono gli
ospiti.”
Quella voce! Per
un attimo sia Shibisu che Hatz
restarono senza fiato. I loro sguardi si incrociarono trionfanti e quando il
moro vide il sorriso idiota stampato sul volto dell’amico non poté trattenersi
dal pungolarlo sulla spalla con un bonario gesto di rimprovero. Nonostante la
situazione non si presentasse propriamente come una calorosa rimpatriata, la
tensione accumulata in quegli anni si dissolse ed entrambi gli scout si
sentirono finalmente alleggeriti da un peso che per troppo tempo si erano
portati dietro.
La voce pacata,
leggermente arrochita, ma con un inconfondibile velo di ironia, proveniva dal
gruppo di alberi incendiati che avevano scorto poco prima. Con uno strano
ghigno stampato sul volto, Hatz si voltò in quella
direzione ed estrasse la spada.
“Pensi che questi cubetti
di ghiacciano possano servire a qualcosa?” La lama brillò nel momento in cui lo
shinsu di Hatz l’avvolse e
lo spadaccino fendette l’aria con due secchi e rapidi colpi diretti alla parete
loro di fronte. Shibisu avvertì lo spostamento d’aria
e per un momento credette di essere stato colpito a sua volta. “Ohi! Fa’
piano!”
Il ghiaccio si spaccò con
precisione all’incirca a un metro d’altezza, lungo due rette oblique: la parte
superiore del muro scivolò lungo i due tagli e collassò al suolo con un
crepitio di ghiaccio in frantumi. Il muro doveva essere spesso almeno una
trentina di centimetri, ma, per la violenza dell’impatto contro il suolo, si
sgretolò e accartocciò come se fosse di cartapesta. Una sottile polvere di
ghiaccio si sollevò dalle macerie offuscando l’aria e riempiendo loro i polmoni
di una sgradevole sensazione di gelo. Per un breve istante Hatz
percepì una ventata di aria calda insinuarsi nella breccia che aveva aperto e
investirgli in pieno il volto.
La polvere non si era
ancora dissolta. Shibisu fece appena in tempo a
scorgere una sagoma a una decina di metri da loro e il bagliore di due occhi
blu – o questo lo aveva solo immaginato? – prima che una seconda barriera di
ghiaccio si innalzasse repentinamente a sostituire quella appena abbattuta.
“Vuoi ritentare? Possiamo
andare avanti tutto il giorno. Posso raddoppiare lo spessore se preferisci…”
Hatz
sbuffò digrignando i denti. “Lo stronzo…” Shibisu lo
bloccò prima che potesse aggiungere altri improperi.
“Khun,
mio caro, non vieni a darmi un abbraccio? Mi sei mancato sai?” Nonostante il
tono scherzoso, un abbraccio era proprio quello di cui Shibisu
aveva bisogno ora.
“Mi piacerebbe molto, ma
finiresti come questi alberi…” Il tono era canzonatorio, ma dietro di esso lo
scout riuscì a percepire un velo di amarezza.
Vi fu un momento in cui
nessuno disse nulla, poi, nella sua mente, Shibisu
richiamò tutti i dettagli che aveva visto fino a quel momento, ma che
inizialmente aveva scelto di non considerare: la casa in mattoni, il recinto in
pietra, le asciutte tegole in terracotta del tetto, gli scheletri carbonizzati
degli alberi che si stagliavano contro il pallore del cielo e, infine, lo
stretto sentiero di terra bruciata che lo aveva messo in allarme, quello che
ora collegava la villa al gruppo di alberi in cui si trovava Khun.
Realizzando, si passò una
mano sul viso in un gesto pieno di frustrazione. “Questa barriera non serve a
difendere te dagli intrusi…” concluse cupo lo scout con il petto gravato dal
peso di una nuova consapevolezza.
Con voce piatta, Khun finì la frase al posto suo “… serve a proteggere voi
da me.”