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Autore: Moonyque    17/07/2020    0 recensioni
[Tower of god ]
“Mio Aguero, non era la tua biglia preferita? Perché l’hai lanciata in quel modo?” la voce melodiosa e pacata della madre suscitò nel bambino profondi singhiozzi che scossero tutto il suo corpicino.
Khun provò a rispondere, ma tra le lacrime riuscì a pronunciare solo poche parole sconnesse. La madre lo strinse forte a sé accarezzandogli i capelli.
“Hai perso il controllo e hai distrutto una cosa a te cara.” Discostandolo di poco, gli posò un bacio sulla guancia umida e lo guardò negli occhi. “Non devi mai cedere alle tue emozioni, non otterrai nulla e finirai solo con il fare cose di cui sicuramente ti pentirai.”
Spoiler fino a EP68-S03.
Non essendoci al momento molte informazioni in merito al potenziale del firefish ho deciso di darne una mia personale interpretazione: la storia si basa quindi sull'idea non canonica che si tratti di un'entità instabile che prima o poi Khun non sarà più in grado di gestire.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1: Ice wall

 

“Ricordavo avesse problemi a controllare le fiamme, non il ghiaccio.” Hatz si strinse nelle spalle lanciando occhiate di sbieco al paesaggio innevato. Vedendo il carro della figlia del droghiere allontanarsi, i due erano usciti dal loro nascondiglio tra la boscaglia e avevano proseguito nella direzione in cui la lighthouse blu si era ritirata. Shibisu, pochi passi più avanti, si fermò e gli indicò qualcosa in lontananza. Aveva gli occhi socchiusi per il freddo e il naso aveva cominciato ad arrossarsi.

“Osserva meglio…” La sua voce era calma, ma il moro vi riconobbe una nota di preoccupazione. Strinse gli occhi cercando di mettere a fuoco ciò che il compagno gli aveva appena indicato.

Coperti da una spessa coltre di neve e cristallizzati da un luccicante velo di ghiaccio, Hatz riconobbe i resti di quello che una volta dovette essere un piccolo boschetto. Ciò che sopravviveva erano degli scheletri ingrigiti e spezzati di querce e lecci: il tetro lascito di un incendio. “Non sembra una cosa recente. I tronchi sono troppo pallidi.” Giudicò Shibisu senza sbilanciarsi troppo su quanto “poco recente” potesse essere quel fenomeno.

Hatz fischiò. “Non è possibile che riesca a gestire tutto questo shinsu di ghiaccio. Il droghiere ha detto che questo posto è in questo stato da tre anni, come fa a mantenere una simile distesa di shinsu per così tanto tempo?”. Shibisu si accigliò senza distogliere lo sguardo dai resti carbonizzati degli alberi.

“Mettila in lista tra le cose da chiedergli non appena lo vediamo”.

Lo spadaccino emise una breve risata cupa. “Intendi dopo che lo avrò riempito di botte…” Le parole si trasformarono presto in piccole nuvolette pallide.

Shibisu gli rivolse un’occhiata complice da sopra la spalla. Attese che il moro lo raggiungesse per poi proseguire al suo fianco.

Avanzare sul ghiaccio non era certamente agevole, ma era ancora peggio quando si ritrovarono a sprofondare fino al ginocchio nei cumuli di neve. Shibisu alzò gli occhi al cielo traendo un profondo respiro. L’aria gelida gli riempì i polmoni allievando di poco quel senso di calore umido che l’improvvisa attività fisica gli stava procurando. Ad un certo punto qualcosa di freddo e bagnato gli colpì la fronte colando lentamente fino al ponte del naso.

“Nevica…” Hatz si stava osservano il palmo della mano notando i piccoli cristalli di neve che cominciavano ad accumularvisi.

“Dobbiamo sbrigarci.” Lo incalzò l’amico riprendendo a camminare. La neve non era particolarmente fitta e cadeva quasi svogliatamente, lasciandosi trasportare dalla brezza leggera, tuttavia se avesse cominciato ad accumularsi sarebbe stato difficile proseguire e trovare un riparo.

Sentendo un suono metallico Shibisu lanciò un’occhiata ad Hatz che proseguiva al suo fianco. Aveva sguainato di poco la sua spada osservandola con un velo di preoccupazione. “Spero solo che la lama non congeli dentro il fodero”. Il compagnò gli diede un colpetto sulla spalla e il moretto rinfoderò l’arma.

Insieme continuarono ad avanzare, guardando fissi nella direzione in cui la lighthouse era scomparsa.

“Quella lighthouse blu… era sicuramente la sua. Questa volta deve essere lui…” Hatz lo osservò di sottecchi: i suoi occhi erano pensosi, le labbra tese in una linea sottile.

“Biondo, occhi blu, maschera sul viso. Se avesse voluto nascondersi avrebbe potuto adottare un travestimento diverso. Qualcosa di nuovo…” Osservò lo spadaccino ripetendo la descrizione che la moglie del droghiere aveva fornito del loro misterioso cliente: un regular in grado di controllare il ghiaccio. Lo avevano cercato per cinque lunghi anni: Khun aveva certamente operato bene, lasciando falsi indizi per depistare chiunque lo stesse cercando. Tra tutte, la pista del regular eremita che viveva in mezzo alla radura di ghiaccio – trenta piani più sotto rispetto all’ultimo livello della torre che sapevano avesse raggiunto – sembrava la meno probabile, così ovvia e allo stesso tempo inverosimile, così poco… da Khun. L’avevano scartata a priori e con il tempo l’avevano dimenticata; almeno fino a quando l’informazione era di nuovo rimbalzata a loro, trovandoli in un momento in cui ormai le idee scarseggiavano e le speranze si assottigliavano.

“O magari lo ha fatto di proposito sapendo che solo in alcuni avrebbero riconosciuto proprio quel travestimento…” di nuovo, Hatz gli lanciò un’occhiata, mugugnò qualcosa di indefinito, poi rispose: “Non ne sono del tutto convinto, se ricordi non era propriamente in sé nell’ultimo periodo… ”

“Speriamo allora che abbia riacquistato le sue piene facoltà mentali nel frattempo…” Shibisu affrettò il passo quasi a rimarcare quelle parole. “… considerando quanto si è impegnato per depistarci, sono abbastanza fiducioso a riguardo.”

Il moretto sbuffò e si affrettò ad allungare il braccio afferrando saldamente quello del compagno, costringendolo così a fermarsi. “Isu, non so bene chi ti aspetti di incontrare…” Il suo tono era calmo, ma il suo abbassamento di voce implicava un ammonimento in arrivo. Shibisu si voltò a guardarlo, lievemente sorpreso “… ma la persona che tu e Bam state cercando così disperatamente di ritrovare potrebbe non essere esattamente come la ricordavate.”

La durezza improvvisa delle sue parole lasciò momentaneamente il compagno interdetto. “Lo so…” bisbigliò infine, quasi fra sé. Le sue parole si condensarono in piccole nuvolette di vapore.

“Voglio dire… guarda questo posto. Siamo in una landa di ghiaccio in mezzo al nulla.” Per enfatizzare la sua affermazione il moro lasciò la presa sul braccio di Shibisu e indicò con un cenno circolare la vallata che li circondava. “Il centro più vicino è a mezza giornata a piedi da qui. Il droghiere ha detto che è isolato in questo luogo da tre anni: tre anni senza nessun contatto umano… e, ancora peggio, sappiamo bene come ha trascorso i due anni precedenti al suo arrivo qui!”

“Lo so…” rispose nuovamente Shibisu, accogliendo con pazienza lo sfogo del compagno. C’era comprensione ora nel suo sguardo. Lo spadaccino era una persona relativamente pacata, di poche parole, e nonostante dalla sua voce non trapelasse una reale agitazione, l’amico poteva leggere un velo di alterazione in quegli occhi scuri.

Hatz si strinse nelle spalle rabbrividendo, se per il freddo o per una qualche sua preoccupazione a Shibisu questo non fu chiaro. “Dico solo che non è detto che questa nostra missione possa realmente ottenere qualcosa di positivo.”

Isu sospirò e le labbra gli si incurvarono in un flebile sorriso, assumendo quell’espressione quasi “paterna” che lo contraddistingueva. “Lo so… ma sarebbe peggio non provarci nemmeno.”

Hatz lo fissò accigliandosi, poi arrossì e sbuffò, distogliendo lo sguardo quasi a celare quell’improvvisa ostentazione emotiva. “Andiamo…” bofonchiò riprendendo la marcia “…ho bisogno di picchiare qualcuno.”

I loro stivali continuarono a slittare tra le lastre di ghiaccio scricchiolanti e a sprofondare nei tracciati ricoperti di neve fresca. Avanzare in quel terreno era decisamente impegnativo.

La vallata era silenziosa ad eccezione del crepitare dei loro passi sul terreno e del suono sommesso della neve che continuava placidamente a cadere. Shibisu osservò i fiocchi bianchi risaltare tra le ciocce di capelli neri di Hatz e istintivamente si passò una mano tra i capelli castani, avvertendo la sensazione umida e fredda del ghiaccio che si scioglieva. Si pentì di non essersi portato dei guanti. Proseguirono in silenzio per un altro quarto d’ora respirando affannosamente per lo sforzo; finalmente cominciarono a scorgere un’abitazione in lontananza.

La villa di fronte a loro cominciava a delinearsi sempre di più. Entrambi si fermarono a osservarla riprendendo fiato. Nuvolette di condensa si formavano intorno al volto di Shibisu; Hatz aveva le guance arrossate per il freddo e lo sforzo, ma gli occhi erano lucidi e attenti. Era la classica tenuta di campagna: un edificio a due piani con annesso il fienile. Era ben mantenuta, con un ampio cortile spoglio circondato da un basso recinto di pietre e con pareti in mattoni rossastri su cui si aprivano piccole finestre prive tuttavia dei classici oscuranti in legno. Il tetto a doppio spiovente era rivestito da scure tegole in terracotta: su di esso non vi era la minima traccia di ghiaccio e la neve non sembrava farvi presa.

“Quello sembra recente.” Seguendo lo sguardo di Hatz, Shibisu intravide dei tronchi carbonizzati a una ventina di metri alla loro destra. Gli scheletri anneriti degli alberi e il fumo grigiastro si stagliavano sullo sfondo in contrasto con il pallore della neve e del cielo; sottili volute di fumo fuoriuscivano dalle cavità ormai vuote dei tronchi e si disperdevano nell’aria. I due regular assunsero un’espressione confusa, ma nessuno dei due disse nulla.

Il terreno tutt’intorno ai resti era anch’esso annerito, lo strato di ghiaccio che lo aveva ricoperto era ormai dissolto e i fiocchi di neve che ora riempivano l’aria si scioglievano ancora prima di raggiungere il suolo. Uno stretto sentiero, anch’esso di terra bruciata, collegava il piccolo gruppo di alberi alla villa.

Quest’ultimo dettaglio fece accendere un campanello d’allarme in Shibisu che reagì d’istinto afferrando al volo Hatz per il gomito trascinando così entrambi all’indietro.

Per un attimo credette di vedere un’esile mano pallida emergere da dietro uno di quegli scheletri inceneriti, poi, improvvisamente, con un forte fragore e un sommesso scricchiolare, dal suolo si innalzarono quattro alte pareti di ghiaccio che tagliarono loro ogni via di fuga. Le barriere si sollevarono fino quasi a ripiegarsi su sé stesse e oscurare il cielo sopra le loro teste.

“Davvero? Un’imboscata? E’ così che si accolgono gli amici?” Senza che potesse trattenerlo, un sorriso cominciò a stamparsi sul volto di Shibisu. Qualcosa si accese dentro di lui. Avvertì i suoi battiti accelerare e rimbombargli nelle tempie: un improvviso senso di eccitamento lo pervase. Ne era sicuro: lo avevano trovato. Ora più che mai, ne era fermamente certo.

“E’ passato un po’ di tempo… non credo di ricordare bene come si accolgono gli ospiti.”

Quella voce! Per un attimo sia Shibisu che Hatz restarono senza fiato. I loro sguardi si incrociarono trionfanti e quando il moro vide il sorriso idiota stampato sul volto dell’amico non poté trattenersi dal pungolarlo sulla spalla con un bonario gesto di rimprovero. Nonostante la situazione non si presentasse propriamente come una calorosa rimpatriata, la tensione accumulata in quegli anni si dissolse ed entrambi gli scout si sentirono finalmente alleggeriti da un peso che per troppo tempo si erano portati dietro.

La voce pacata, leggermente arrochita, ma con un inconfondibile velo di ironia, proveniva dal gruppo di alberi incendiati che avevano scorto poco prima. Con uno strano ghigno stampato sul volto, Hatz si voltò in quella direzione ed estrasse la spada.

“Pensi che questi cubetti di ghiacciano possano servire a qualcosa?” La lama brillò nel momento in cui lo shinsu di Hatz l’avvolse e lo spadaccino fendette l’aria con due secchi e rapidi colpi diretti alla parete loro di fronte. Shibisu avvertì lo spostamento d’aria e per un momento credette di essere stato colpito a sua volta. “Ohi! Fa’ piano!”

Il ghiaccio si spaccò con precisione all’incirca a un metro d’altezza, lungo due rette oblique: la parte superiore del muro scivolò lungo i due tagli e collassò al suolo con un crepitio di ghiaccio in frantumi. Il muro doveva essere spesso almeno una trentina di centimetri, ma, per la violenza dell’impatto contro il suolo, si sgretolò e accartocciò come se fosse di cartapesta. Una sottile polvere di ghiaccio si sollevò dalle macerie offuscando l’aria e riempiendo loro i polmoni di una sgradevole sensazione di gelo. Per un breve istante Hatz percepì una ventata di aria calda insinuarsi nella breccia che aveva aperto e investirgli in pieno il volto.

La polvere non si era ancora dissolta. Shibisu fece appena in tempo a scorgere una sagoma a una decina di metri da loro e il bagliore di due occhi blu – o questo lo aveva solo immaginato? – prima che una seconda barriera di ghiaccio si innalzasse repentinamente a sostituire quella appena abbattuta.

“Vuoi ritentare? Possiamo andare avanti tutto il giorno. Posso raddoppiare lo spessore se preferisci…”

Hatz sbuffò digrignando i denti. “Lo stronzo…” Shibisu lo bloccò prima che potesse aggiungere altri improperi.

Khun, mio caro, non vieni a darmi un abbraccio? Mi sei mancato sai?” Nonostante il tono scherzoso, un abbraccio era proprio quello di cui Shibisu aveva bisogno ora.

“Mi piacerebbe molto, ma finiresti come questi alberi…” Il tono era canzonatorio, ma dietro di esso lo scout riuscì a percepire un velo di amarezza.

Vi fu un momento in cui nessuno disse nulla, poi, nella sua mente, Shibisu richiamò tutti i dettagli che aveva visto fino a quel momento, ma che inizialmente aveva scelto di non considerare: la casa in mattoni, il recinto in pietra, le asciutte tegole in terracotta del tetto, gli scheletri carbonizzati degli alberi che si stagliavano contro il pallore del cielo e, infine, lo stretto sentiero di terra bruciata che lo aveva messo in allarme, quello che ora collegava la villa al gruppo di alberi in cui si trovava Khun.

Realizzando, si passò una mano sul viso in un gesto pieno di frustrazione. “Questa barriera non serve a difendere te dagli intrusi…” concluse cupo lo scout con il petto gravato dal peso di una nuova consapevolezza.

Con voce piatta, Khun finì la frase al posto suo “… serve a proteggere voi da me.”

 

   
 
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