Salve a tutti intrepidi fan di beyblade!^^
Spinta dalla nuova ondata di creatività del fandom e da vecchie storie che ho
scoperto recentemente sul sito ho deciso di gettarmi anche io nella mischia. Ringrazio
in particolare Beatris Hiwatari e Kseniya che involontariamente con i loro
capolavori hanno riacceso la mia fantasia ❤
Non faccio una nota iniziale da tantissimo tempo però in questo caso mi sono
sentita in obbligo.
Come anticipato, la seguente one-shot è collocata fra l’episodio 18 e il 19
di Beyblade G-Revolution, perché riguardando la
serie ci sono rimasta male per quanto poco spazio è stato dato alla squadra
russa al di fuori degli incontri. Le altre bene o male hanno avuto modo di
spiccare in un’intera puntata loro dedicata, quindi ecco a voi il momento di
gloria della Neoborg!
Onestamente ho deciso di rispettare “i colori originali” presi dai disegni dell’autore
del manga Takao Aoki (vi rimando a un suo
disegno a colori), fatta eccezione
per Yuri che non riesco a vedere senza i suoi occhi azzurri.
(Ed ero convinta Boris li avesse verdi)
Buona lettura (vi aspetto alla fine) e godetevi la foto di gruppo
che ha risvegliato il mio amore oltre che ispirazione! ❤
Boris giocherellò
distrattamente con i piercing all’orecchio.
Il bruciore
laddove il metallo perforava la pelle era sparito con un po’ d’acqua fredda
lasciandogli solo un leggero prurito. Il sole egiziano non provava pietà per
nessuno, aveva recepito il messaggio. Non avrebbe più messo in discussione i
consigli di Sergej…almeno per quel giorno.
I numeri
digitali sullo schermo segnarono le ventuno esatte.
«Boris mi stai
ascoltando?»
Annuì al suo
interlocutore rimanendo stravaccato contro lo schienale del divano, la testa
reclinata all’indietro in linea diretta con il ventilatore attaccato al
soffitto. Non ne poteva più di quel caldo.
In quel posto
persino la lampadina generava calore.
Ora si trovava
al buio, con il termostato impostato sui cinque gradi, dopo la terza doccia e
stava sudando. Di nuovo.
«Non vedo l’ora
di tornare in Russia»
Anche non
guardando lo schermo del portatile sul tavolino poté immaginare il risolino
divertito sul volto del nanetto della squadra. L’aria calda generata dalla
ventola del pc gli stava mandando a fuoco il polpaccio ed Ivan lo sapeva. Eccome
se lo sapeva.
Aveva risposto
alla sua maledetta chiamata con solo i boxer indosso.
«Mi chiedo
perché tu non lo faccia, stai passando il torneo in panchina»
Boris sorrise
senza allegria conscio di non essere visto.
Ivan e la sua
lingua malefica non sarebbero mai cambiati, Vorkov consapevole o meno della
cosa aveva soltanto accentuato quel tratto caratteriale. Lui restava un piccolo
demonio fino al midollo.
«Lo sappiamo
entrambi che non lo farò»
Ivan schioccò
la lingua contrariato strisciando un dito sul bordo della tastiera. Strofinò le
dita su cui si era accumulata la polvere sentendosi stranamente empatico con
essa.
Quanto era
servito? In un paio di secondi l’aveva rimossa e gettata via, dandole lo stesso
trattamento riservato a lui.
Perché è questo
che succede quando non sei più utile al tuo capitano.
Sorrise
amaramente perdendosi nei propri pensieri mentre concentrato sulla tastiera. Il
loro capitano era stato scelto da Vorkov, ora ultimo retaggio del soggiorno al
monastero che in un tacito accordo avevano deciso di non modificare.
Dopotutto si
fidavano del loro leader. Lui si fidava ciecamente di Yuri.
«Già. Sei uno
stupido ingenuo a volerlo seguire»
Ivan si definì
mentalmente ancora più stupido e ipocrita.
Era stato l’ultimo
ad entrare in squadra, il più piccolo del gruppo in tutti i sensi. Non avrebbe
mai potuto emulare la prestanza fisica di Sergey o la presenza intimidatoria di
Boris, neanche se ci avesse messo tutto l’impegno del mondo. Erano troppo grandi
al suo confronto e crescendo la differenza era diventata sempre più evidente.
Yuri invece era
sempre stato diverso. Non aveva muscoli preminenti, aveva un aspetto delicato e
quasi femmineo – rischiava la morte solo pensandolo –, calmo, controllato, non
eguagliava nemmeno in altezza i suoi compagni nondimeno godeva di un
inaspettato rispetto. Un rispetto diverso da quello imposto da Vorkov,
altrimenti non sarebbero rimasti al suo fianco anche dopo la sua caduta. Yuri
era diventato il modello a cui ispirarsi.
Inconsciamente
aveva iniziato a imitarlo, seguirlo dovunque.
Nonostante gli
anni passati ricordava distintamente la spiacevole sensazione provata quando
Boris sarcasticamente lo aveva fatto notare per prenderlo in giro, qualche mese
dopo il suo ingresso in squadra.
«Tra poco lo
seguirai anche in bagno?»
Yuri stava
andando ad allenarsi per una sessione speciale e lui era saltato giù dal letto
senza pensarci. Si era sentito terribilmente fuori posto in mezzo a quei
bambini, dovevano avere otto anni, due di differenza con lui, eppure sembrava
esserci un divario abissale.
Persino Sergej
si unito alla beffa sorridendo sarcasticamente, facendogli desiderare di essere
inghiottito da una voragine. Yuri invece lo aveva semplicemente fissato prima
di dirigersi alla porta, voltandosi in attesa verso di lui prima di varcarla.
«Non volevi venire anche tu?»
Ed
improvvisamente si era sentito più leggero.
Boris ignorò
volutamente il commento, capiva la rabbia del suo compagno, ogni videochiamata
finiva sempre su quella questione in un modo o nell’altro. Per quanto Ivan
fosse un’odiosa palla al piede con le sue frecciatine, chiunque era meglio di
Hiwatari.
Divaricò le
gambe stese sul tavolino evitando accuratamente di colpire il portatile, almeno
avrebbe evitato di ustionarle contemporaneamente.
«Per la miseria
Boris, non stiamo facendo una sex cam!»
L’espressione
disgustata di Ivan accompagno l’imprecazione mentre una coperta veniva gettata
sullo schermo per oscurarne la visione. Doveva davvero preoccuparsi di bloccargli
la crescita?
Più di così dove vuoi che vada, sussurrò la sua vocina interiore.
Tirò il tessuto
della biancheria intima rendendolo il più aderente possibile, parlando con un
tono di voce fin troppo innocente per essere vero «Andiamo Ivan, almeno oggi
sono vestito»
Il ragazzino
ritornò visibile con un’espressione pienamente indignata puntando
minacciosamente il dito verso di lui.
«Solo perché ho
chiuso la chiamata quando mi hai risposto in accappatoio!»
Boris ghignò
serafico sporgendosi verso lo schermo, aumentando il ribrezzo sul volto
dell’altro «Oh oh, sei rimasto così scioccato quando
l’ho slacciato davanti a te ieri?»
Ivan
assottigliò gli occhi con intento omicida.
«Stavo
mangiando Boris»
Il sorriso da
schiaffi divenne più ampio facendo rimpiangere a Ivan il momento stesso in cui
aveva pensato fosse una buona idea parlare da solo con il più pervertito del
gruppo. Boris colta la palla al balzo maliziosamente si sporse più vicino alla
webcam.
«Però oggi sei
già sul letto, sicuro di non volerti unire?»
Ivan per tutta
risposta alzò il dito medio facendo ritrarre l’altro con aria melodrammatica.
Scosse la testa
facendosi sfuggire un sorriso, si sarebbe preoccupato se non avesse conosciuto
il perfetto orientamento eterosessuale dell’amico.
Boris,
raggiunto il suo intento si era accasciato nuovamente contro il divano portando
con sé il bicchiere.
«Piuttosto…la
fase uno è completata, giusto?»
Il ragazzo dai
capelli violetti annui sorseggiando la sua bibita quando la porta alle sue
spalle venne aperta.
Chinò il capo
all’indietro osservando il fascio di luce del corridoio illuminare brevemente la
silhouette del suo capitano, prima che essa venisse inghiottita nuovamente
dall’oscurità.
Il tintinnio
del ghiaccio accompagnò il bicchiere alzato in aria in segno di saluto.
«Bentornato,
iniziavo a pensare ti avessero rapito»
Anche a testa
in giù, immerso nel buio, poté avvertire chiaramente dall’unico sospiro emesso mentre
si avvicinava quanto il suo amico fosse stanco sia fisicamente che mentalmente.
«Scommetto
avresti evitato di pagare il riscatto»
«Esatto! Ti avrei
pagato la cauzione quando saresti stato accusato di omicidio».
Raddrizzò la
testa incrociando per una frazione di secondo gli occhi di Ivan dileguatosi
alla velocità della luce con la scusa di recuperare uno spuntino notturno.
Gemette silenziosamente, era finito di nuovo nel fuoco incrociato.
Yuri alla voce
del ragazzino era rimasto bloccato accanto al divano, una parte di lui troppo
spossata anche solo per litigare lo stava invogliando a scegliere la via più
comoda per il letto. L’altra, gli ricordava che aveva promesso di aggiornare il suo team una volta rientrato.
Arrendendosi
alla seconda opzione si voltò verso il suo compagno di squadra inarcando un
sopracciglio dinanzi alla sua posizione indecente. Boris dopo qualche attimo
sembrò improvvisamente cogliere la perplessità abbassando le gambe ma ogni
tentativo di spiegazione fu interrotto dalla mano alzata di Yuri.
«No, non voglio
realmente saperlo»
Boris sogghignò
facendogli spazio e Yuri non se lo fece ripetere due volte.
Sprofondò nella
morbida imbottitura lasciando i muscoli finalmente liberi di rilassarsi, per
quanto fosse possibile nelle vicinanze del ragazzino rancoroso.
Il divano era
progettato per due persone e anche sistemandosi nell’angolo più esterno non
avrebbe potuto sfuggire al raggio d’azione della videocamera.
Mestamente aprì
la giacca e dedicò più attenzione del dovuto alla cerniera della divisa quando
Ivan tornò dal suo viaggio d’avanscoperta con una busta di patatine.
«Ciao Ivan»
insulsi convenevoli, la facciata per far sembrare che tutto andasse bene.
«Sera capitano»
Yuri si
massaggiò la tempia dove il mal di testa era diventato più persistente,
ignorando volutamente l’ironia calcata sull’ultima parola. Preferiva
concentrarsi sulla soffice consistenza del divano, per una volta non
asfissiante, anziché iniziare una lotta verbale.
Restò con le
dita sollevate a mezz’aria realizzando solo in quel momento quanto spazio ci
fosse.
«Dov’è Sergej?»
chiese improvvisamente al ragazzo accanto a lui intento a sorseggiare il suo
drink, non risparmiando uno sguardo indagatore al contenuto del bicchiere.
«Ah, non
guardarmi così è coca cola. Il presidente Daitenji ha fatto togliere qualunque
cosa fosse potenzialmente alcolica dal mini-frigo» un’occhiata sprezzante
rivolta al suddetto oggetto dall’altro lato della stanza prima di continuare in
tono più calmo «Sergey invece è uscito a comprarti qualcosa da mangiare, hai
saltato la cena. Evita di addormentarti finché non torna».
Yuri lo fissò
inespressivo aprendo la bocca per parlare, chiudendola il secondo successivo.
Boris roteò gli
occhi portandosi il bicchiere alle labbra «Sì, è andato perché sapeva avresti dimenticato
di essere un uomo che come tale ha bisogno di mangiare»
«Oh ma guarda,
Sergey ha iniziato il servizio baby-sitting» la vocina melliflua di Ivan si
insinuò nelle orecchie di Yuri, ma lui non diede alcun segno di averlo
ascoltato.
Boris alternò
lo sguardo fra i due tossicchiando leggermente, una stupida coca cola non era
di aiuto per stemperare la tensione. Una bottiglia di vodka, quella sarebbe
stata utile.
Imprecò
mentalmente scacciando via l’immagine della succulenta bottiglia. Nulla di tutto
ciò avrebbe funzionato fin tanto che la guerra fredda era in atto, perché lui
non sapeva portare la pace, sapeva metter zizzania.
«Allora… Come è
andata a finire la riunione per le sorti della squadra Barthez?»
Ivan aprì
rumorosamente la confezione di patatine sistemandosi al meglio contro i cuscini
in attesa del rapporto, al di là di tutto voleva placare la sua curiosità. Prese
una patatina ridacchiando dell’espressione perplessa dell’amico davanti alla
domanda caduta nel vuoto.
Yuri sembrò
uscire improvvisamente dal suo stato di dormiveglia quando la mano di Boris
sventolò davanti la sua faccia. Ivan si ritrovò a domandarsi se fosse semplice
stanchezza o se stesse evitando di rispondere per la sua presenza.
Vinse l’opzione
più pessimistica e la sua bocca non riuscì a contenere il tono tagliante.
«Non ti ha
chiesto la circonferenza della terra, è una risposta piuttosto semplice da dare»
Boris sentì i
suoi muscoli contrarsi quando il braccio di Yuri si mosse, era pronto a
scattare e afferrare al volo il portatile per salvarlo da una furia assassina
ma lui si limitò ad incrociare le braccia al petto. Lo sguardo rivolto dritto
dinanzi a sé, verso l’esteso paesaggio oltre la vetrata.
«Barthez è
stato allontanato dal suo ruolo con l’accusa di antisportività»
Yuri si lasciò
sfuggire una smorfia al ricordo delle ore passate nell’asfissiante sala
riunioni, la rabbia dell’allenatore era esplosa dopo le prime accuse lette dal
presidente. Michelle gli aveva fornito una lista piuttosto cospicua e
dettagliata, avvalorata dalle testimonianze di Ralph e Andrew degli European Dream. L’ uomo aveva negato fermamente ogni
singola cosa, enfatizzando le sue frasi con dei pugni ben assestati sul tavolo
che se avesse chiuso gli occhi sarebbe stato sicuro di poter ancora sentire.
Aveva perso il conto intorno al decimo.
Boris ondeggiò
i cubetti di ghiaccio rimasti nel bicchiere decidendo di addentarne uno,
sbiasciando con difficoltà «Da come lo dici non mi sembri particolarmente
soddisfatto».
Yuri strinse le
maniche della sua giacca accavallando le gambe, molto più lentamente di quanto
avrebbe voluto. La sonnolenza stava prendendo il sopravvento.
«Lo sono, ma
avrei preferito trovarmi davanti direttamente Vorkov così da chiudere la storia»
«Ed avete
impiegato sei ore di riunione solo per decretare questo?» lo scetticismo di
Boris evidente mentre morsicava il cubetto riducendolo in pezzi. Lui non
sarebbe stato capace di resistere tutto quel tempo chiuso in uno stanzino a
parlare.
Yuri scosse la
testa adagiandosi contro lo schienale con un sospiro.
«Il tema
centrale della riunione era un altro. Le accuse a Barthez erano pura formalità,
il presidente Daitenji ci ha chiesto di decidere se far proseguire o meno il
campionato al resto della squadra» la sua voce più cascante di quanto avrebbe
realmente voluto dimostrare. Una guerra avrebbe richiesto lo spreco di meno
energie.
Adagiato contro
lo schienale, si voltò verso Boris affondando il viso nella stoffa e trovandolo
nella medesima posizione.
«Non è stato
facile raggiungere l’unanimità»
Ivan addentò
l’ennesima patatina limitandosi ad ascoltare senza intervenire. Al suo capitano
riusciva bene giocare con i destini degli altri, non aveva motivo di creare
tutta quella suspence.
Boris corrugò
le sopracciglia in muta domanda facilmente intuibile aspettando la
continuazione.
Ivan non aveva
mai amato le attese.
«Quindi?»
chiese aprendo le braccia con tono eloquente anche se nessuno si mosse «Hanno
fatto opera di convincimento fino a poco fa riuscendo per la prima volta a
farti cambiare idea? Gridiamo al miracolo».
Una fitta
stretta allo stomaco placò la sua dichiarazione nervosa. Lui aveva provato
senza successo per giorni a fargli cambiare idea sull’assemblamento della
squadra, e degli estranei in poco tempo erano riusciti a imporgli qualcosa. Lui
aveva fallito, loro erano stati ascoltati.
La fame era
scomparsa lasciando il posto alla nausea.
«Io ho votato a
favore fin dal primo momento»
Cosa? Quella domanda
volteggiò nella mente di Ivan da una parte all’altra. Strofinò le mani sporche
di sale sul pantalone sbattendo gli occhi perplessi.
«Vorresti farmi
credere che tu fossi l’unico favorevole? Dopo tutto il buonismo che quegli
allocchi vanno dispensando a destra e a manca?»
«No»
Boris corrugò la
fronte passandosi una mano fra i capelli, gli stavano davvero chiedendo di
pensare a quell’ora, con l’afa in camera?
«Ivan non ha
tutti i torti, dubito fortemente che San Takao e i suoi seguaci decidano
volontariamente di farli squalificare»
«Takao no, il
fratello sì»
Le sopracciglia
di Ivan scattarono verso l’alto seguite dal fischio estasiato di Boris.
Yuri continuò a
prestare attenzione solo a quest’ultimo.
«Alla riunione
erano ammessi gli allenatori delle squadre. Solo in assenza di tal figura come
nel nostro caso, subentra il capitano. I Bladebreakers avevano Hitoshi Kinomiya a rappresentarli»
Terminò la sua frase sospirando stancamente mentre le dita battevano
ritmicamente sul braccio.
Il fruscio
dall’altro lato della parete non gli era sfuggito.
«Kei puoi anche
smetterla di origliare e venire qui»
Boris si sporse
in direzione della porta della stanza da letto da cui un attimo dopo uscì con
nonchalance il ragazzo chiamato. La sciarpa svolazzante accompagnò l’andatura
fino alla parete vicina al gruppo, dove si appoggiò a braccia incrociate fissando
il Yuri e il suo ghigno soddisfatto.
«Bene, ora eliminata
la spia nell’ombra…»
«Che razza di
problema avete voi due?»
Al suo sbotto
si beccò un’occhiataccia assassina color ghiaccio di cui non si curò particolarmente,
troppo preso a considerare i suoi due compagni di squadra dei marziani.
«Questo qui»
rimarcò il soggetto indicando il suo capitano «continua a girare completamente
vestito da stamattina, gli manca solo lo scafandro e può partire per lo spazio.
Ora esci tu con quella stramba sciarpa ancora attorno al collo. Voi lo avete
capito che siamo in Egitto, sì?»
Ivan tossì un
paio di volte allontanando la bottiglia dalla bocca, alla mesta ricerca di un
fazzoletto per pulire l’acqua sputata sullo schermo. Con disappunto, asciugò
con fin troppa vemenza il computer quando notò che il terzetto non si era
minimamente reso conto del suo quasi soffocamento. Tutt’altro, era intento a
bisticciare per conto proprio.
Yuri scostò
sconfortato il dito ancora puntato verso di lui, reprimendo l’istinto di spezzarlo.
Sapeva fin
troppo bene come sarebbe andata a finire quella conversazione, la parlantina di
Kei usciva nei momenti sbagliati.
«Prima di
blaterare, pensa al tuo di abbigliamento durante gli incontri, pecoraio
delle nevi»
«Almeno i miei
sono vestiti normali. Non modifico sciarpe con il piombo o qualunque
altra ferraglia tu utilizzi per renderla più pesante»
«Si chiama allenamento.
Sai, serve per poter scendere in campo. Ah, dimenticavo tu-»
Boris si rizzò
improvvisamente in piedi incenerendolo con gli occhi, accompagnando il suo
scatto con un sibilo «Io cosa Hiwatari?»
Un conto era assecondare
le decisioni di Yuri sullo sfruttare la bravura di Kei per condurre la squadra
alla fase due del piano, un altro sopportare la superiorità del nippo-russo.
Kei curvò
derisorio l’angolo della bocca all’insù.
«Tu sei troppo incap-»
«Silenzio!»
Kei chiuse la
bocca, mordendosi la lingua per non continuare. Suo malgrado aveva imparato che
discutere gli ordini perentori del rossino, poteva essere fin troppo
controproducente.
Soprattutto
quando si innervosiva per via delle insinuazioni rivolte al resto della
squadra.
Yuri alzatosi alla
velocità della luce aveva bloccato la furia russa con un semplice braccio
alzato, mentre trafiggeva lui con occhi glaciali, sfidandolo a infrangere
l’ordine.
«Quando avrete
finito il gioco del silenzio, Boris potresti spostarti? Sai, non mi interessa
il primo piano sul tuo culo»
Non muovendosi
di un millimetro, Ivanov continuò a scrutare Kei che con una scrollata di
spalle tornò al solito e alquanto morboso attaccamento alla parete. Nel solito stato
semi meditativo segno che per lui la conversazione era terminata. D’altro
canto, Boris ormai era pienamente occupato a elargire una serie di motivazioni
alquanto spinte e fraintendibili in difesa del suo deretano.
Yuri ricadde a
peso morto sul divano massaggiandosi i lati del capo, il fastidioso martellare
era ricominciato più forte di prima. Iniziava a credere seriamente fosse la sua
squadra a procurarglielo, e il sol fatto che Boris aveva appena decantato
l’ennesimo paragone del suo sedere con una scultura greca gli fece rimpiangere
di averlo mandato da solo nei Musei Capitolini durante la tappa italiana. Alle
volte provava pena per Ivan costretto ad ascoltarlo.
«Esaurimento
nervoso capitano?»
Pensandoci, non
provava alcuna pena per quella peste diabolica.
Quasi
rimpiangeva la sala riunioni in cui era stato segregato per il resto della
giornata.
«Se vossignorie
lo permettono, vorrei finire l’aggiornamento»
Un brivido
corse lungo la schiena di Boris, la piega baritonale della voce di Yuri era fin
troppo simile all’ultimatum di un killer. Smise di parlare stranamente imitato
anche dal ragazzo dall’altra parte del mondo.
«Dato che Sergej
non è ancora tornato, lascio a voi il compito di ragguagliarlo»
L’occhiata
eloquente al suo indirizzo fece ben intendere a Boris che nonostante il plurale
sarebbe toccato a lui fare l’Ermes di turno.
«Come stavo
dicendo» riportò le gambe accavallate «Hitoshi si è
opposto per ore alla decisione, ma non perché indignato dal comportamento
scorretto di quei quattro. Tutt’altro, ha difeso Michelle durante tutta la sua
arringa. Lui ha rifiutato la proposta del presidente quando io per primo ho
confermato di essere d’accordo»
Kei si fece improvvisamente attento, cosa che non sfuggì a Yuri. C’era qualcosa
di strano nel rapporto fra il più grande dei Kinomiya e il suo compagno di
squadra, e non era solo Dranzer quasi lanciato in faccia al giapponese durante
la sfida in Italia a suggerirglielo.
Ivan incrociò
gambe e braccia pensieroso.
«Tu credi lo
abbia fatto per dispetto, perché dovrebbe avercela con te?»
«Non con lui»
Boris giocherellò con il bicchiere ormai vuoto, roteandolo tra le mani
lanciando un’occhiata di sottecchi alla sua destra «Il fratello di Takao non
digerisce la presenza di Hiwatari, non che gli possa dar torto dopo aver
rischiato la chirurgia plastica facciale»
Kei inclinò la
testa rispondendo tranquillo «Non credo lo abbia fatto a causa mia»
Le dita di Yuri
si contorsero involontariamente.
«Kei in parte ha
ragione» si accorse in ritardo di aver dato voce ai suoi pensieri attirando
l’attenzione su di sé. Hitoshi per qualche suo assurdo
motivo aveva deciso di provocare la sua squadra, prima lo aveva fatto con Kei
non facendo gareggiare Takao, ora con lui.
«Anche il presidente
Daitenji è rimasto sorpreso sul momento, ancor di più quando dopo ore di
discussione Hitoshi si è rivolto esplicitamente a me
in modo canzonatorio chiedendomi un motivo per votare a favore, ignorando
palesemente le motivazioni dell’allenatore dei White Tigers. Mi son rifiutato
di rispondere, probabilmente assecondando il suo gioco»
Kei si distaccò
leggermente dal muro, interessato all’inflessione irritata finale nella voce
del suo leader.
«Son curioso,
cosa ha detto per farti arrabbiare così tanto?»
Yuri serrò la
mascella guardando verso un punto imprecisato della stanza, e il sorrisino
derisorio della domanda si spense alla risposta che ricevette.
«Tra
imbroglioni ci si intende»
Ivan sussultò
leggermente al tonfo sordo del bicchiere poggiato con ben poca grazia sul
tavolo. Le iridi blu di Boris brillarono di luce maligna dinanzi alle piccole
crepe che pian piano si stavano formando sul vetro attorno alla sua presa.
«Perché giustamente
di nostra spontanea volontà abbiamo giocato sporco due anni fa»
«Cosa ti
sorprende? Un tal colpo basso dovevate aspettarvelo»
Yuri annui
assorto, Ivan non aveva tutti i torti.
Lui se lo era
aspettato quell’attacco dal primo momento in cui nella sala Hitoshi
aveva scelto di sedersi difronte a lui, tenendolo sotto controllo per tutto il
tempo. Quello che non si era aspettato era lo sdegno mostrato dalla signora
Mizuhara.
Kei gli
picchiettò leggermente la spalla attirando la sua attenzione.
«Dato che sei qui e non rischiamo l’accusa di favoreggiamento per concorso in
omicidio, deduco tu gli abbia risposto»
«Sì, l’ho fatto»
ripensò alla faccia indispettita dell’allenatore giapponese beandosi della sua
piccola vittoria, mai attaccare un lupo ferito «Imbroglia chi vuole
eliminare a tutti i costi una squadra solo per gli sbagli dell’allenatore in
modo da spianare la strada alla propria. Paura che il fratellino non sia ancora
in grado di reggere la pressione del campionato?».
Kei si ritrovò
suo malgrado a mostrare un lieve sorriso seguito da Boris. Per quanto volesse
convincersi di essersi unito alla squadra solo per battere Takao, in un modo
nell’altro si stava affezionando a quei ragazzi tanto simili a lui.
«A questo punto
mi chiedo come ti abbia lasciato vivo lui»
«Inaspettatamente,
ci ha pensato la mia bodyguard a metter fine alla conversazione» allo sguardo
perplesso del terzetto cercò di nascondere il proprio divertimento «La madre
dell’americano, Max. Me la sono trovata improvvisamente accanto a inveire
contro Kinomiya, se gli sguardi potessero uccidere quel ragazzo ora sarebbe
morto»
Boris scoppiò a
ridere, per quanto quel suon gutturale potesse esser considerato una risata.
«Tutte queste
storie per una squadra matematicamente già eliminata dall’accesso alle finali»
Kei si
allontanò silenziosamente, era rimasto in stanza solo per quelle informazioni,
ora aveva bisogno del suo momento di solitudine. Afferrò la maniglia pronto ad
andarsene ma alla voce di Yuri si bloccò volgendosi indietro di scatto.
«Se cerchi del
latte, svolta l’angolo a destra appena esci. Troverai un bazar ancora aperto
dopo qualche metro»
Un sopracciglio
elegantemente inarcato sottolineava la sua diffidenza dinanzi al ragazzo che con
un braccio sullo schienale del divano si era voltato a sua volta.
«Sei una
sottospecie di stalker o cosa?»
Yuri scosse la
testa in preda al suo sadico divertimento. Le labbra arricciate in un ghigno
mostrarono il canino affilato sporgente, conferendogli un’aurea demonica in
controluce.
«No, come
potrei? Sono sempre occupato con la squadra»
Appunto, come
poteva? Quella domanda Kei se la faceva ogni singolo giorno da quando si era
unito alla Neoborg. Yuri era un fottuto maniaco del controllo. Tra gli allenamenti,
il presidente Daitenji, il resto della squadra con cui era la restante parte
del tempo, lui riusciva sempre a sapere dove andava, cosa faceva, con chi si
incontrava.
Un pomeriggio
da solo in stanza aveva persino controllato tutti i vestiti in valigia alla
ricerca di cimici. La parte raccapricciante era giunta a cena, quando dal nulla
Yuri era apparso dicendogli di non avergli messo addosso alcun dispositivo di
tracciamento.
«Ivanov tu hai
qualche serio problema»
«Credo me
l’abbiano detto anche gli scienziati al monastero»
«Ehi Bo, di
cosa stanno parlando?»
Boris si limitò
ad alzare le spalle, non ne aveva la più pallida idea. Spostava lo sguardo
dall’uno all’altro ma vedeva in quello scambio di battutine soltanto Kei sempre
più indispettito e Yuri più compiaciuto. Decise di rivolgersi al secondo.
«Perché
dovrebbe comprare del latte?»
«Non sono
affari tuoi Boris»
«Hiwatari non
l’ho chiesto a te. Oh…hai problemi di stitichezza?»
Ivan si limitò
a fissare lo schermo non vedendolo realmente. A discapito di quello che diceva
sempre Boris, Kei lo aveva sostituito non solo per il campionato. Qualcosa era
cambiato da quando erano partiti, ed era la prima volta che oltre a Boris –
senza contare gli interventi di Sergey – trovava tutti insieme. Vederli
punzecchiarsi con tanta naturalezza, vedere lui stuzzicare con così
tanta confidenza Hiwatari gli aveva fatto storcere il muso. Era davvero geloso
di quell’asociale?
Tornò alla
realtà allo schianto della porta, Kei doveva essere uscito con l’intenzione di
portare i cardini con sé mentre un sorridente Boris quasi incollato alla webcam
bussava sullo schermo.
«Gatti»
Lo guardò incapiente,
l’oppressione alla bocca dello stomaco ancora presente.
Boris era in
completo visibilio, ritiratosi in posizione composta a dita congiunte ricordava
molto il riccone psicopatico dei Simpson. Infatti, dubitava se quell’eccellente
udito fosse frutto della sua immaginazione o fosse stato detto per davvero.
La sua
perplessità dovette essere abbastanza evidente.
«Hiwatari ha
un’ossessione per i gatti, non può fare a meno di andarli a sfamare ovunque si
trovi»
Sapeva che
Boris avrebbe usato quell’informazione per architettare qualche malsano piano
ai danni del ragazzo, ma ciò non fece sparire quel bruciante disagio.
Si sforzò di
nascondere il disprezzo dietro la sua solita vocina velenosa.
«Bene, ora non
vi resta che portare una palla di pelo in stanza per non farlo uscire»
Durante il suo
soggiorno al monastero aveva imparato una lezione fondamentale, mai
sottovalutare i propri sensi. All’improvviso formicolio sulla nuca seppe con
certezza di essere attentamente osservato. Un leggero spostamento degli occhi e
si scontrò con due iridi cerule puntate su di lui.
Yuri lo stava
fissando con quell’espressione indecifrabile che poteva significare tutto e
niente, deciso a non mollare la presa che diventava più penetrante dopo ogni
secondo, soffocandolo.
«Vado a controllare
di aver chiuso tutto»
All’ennesimo
giro d’elica del ventilatore Boris fu certo di una cosa: Ivan si era dato alla
macchia.
Ok il
controllare le serrature, ma erano passati venti minuti dalla sua scomparsa.
Stupida scusa.
«Yu.. ma se-?»
«No»
«Almeno fammi
finire la frase!»
«Non userai
Wolborg come condizionatore»
Sbuffò
rumorosamente rimettendosi in piedi di slancio, e con la precisione di un orologio
svizzero dovette spingere per la quarta volta il suo capitano seduto. Troppo
difficile capire di dover aspettare sveglio Sergej.
«Boris»
«No Yu, devi
cenare» enfatizzò l’ultima parola abbassandosi alla sua altezza «Perché, se
torno e non lo hai fatto utilizziamo il metodo Kuznetsov. Chiaro?»
Yuri indurì la
mascella, gli occhi ridotti a due fessure. Odiava quel tono nei suoi confronti,
era lo stesso usato verso i nuovi bambini che si trovavano al monastero. Lui
non era un moccioso.
«Io, devo
andare in bagno» avvicinò il suo volto a quello di Boris sibilando a pochi
centimetri dalla bocca dell’altro «Se non vuoi trovarti nelle prossime tappe a condividere
misteriosamente il letto con Kei, faresti meglio a spostarti».
Una spinta
stizzita e fu libero di dirigersi verso il bagno, dove soltanto al terzo getto
d’acqua sul viso poté ritenersi soddisfatto. Con un po’ di fortuna sarebbe
rimasto vigile fino all’arrivo di Sergej, giusto per non rendere vano
l’interessamento del biondo. Al diavolo Boris e le sue minacce.
«Come sei
diventato suscettibile. È dalla tappa italiana che non ti si può dire nulla»
Alzò il volto ancora
gocciolante trovandosi accanto il falborg-blader.
Allungò la mano quasi strappando via l’asta di ferro oltre che l’asciugamano, pensando
per un istante di soffocarlo.
«Parla chiaro
Boris» il ringhio fu smorzato dal tessuto spugnoso.
«Dico solo che
non puoi prendertela per l’atteggiamento di Ivan se tu ti comporti allo stesso
modo»
Boris riuscì a
scansarsi appena in tempo. La manata diretta all’interruttore del bagno per
poco non lo aveva colpito nello sterno. Sospirò esasperato seguendo imperterrito
il suo iracondo capitano nel salottino.
«Chi tace
acconsente. Giusto?» oltrepassò il bracciolo del divano evitando per un soffio il
rimbalzo delle fibbie della giacca gettata con foga su di esso «Oh andiamo, non
puoi negarlo. Hai rinchiuso Kei per un pomeriggio nella stanza d’albergo in
Italia»
«Sai benissimo il
motivo»
«Sì, per via
della tua sconfitta contro Daichi»
I medici del
monastero avevano ragione, dovevano proprio piacergli i campi minati.
«Lui ha perso
volontariamente, non aveva il minimo diritto di sputare sentenze. Gli avevo già
detto di finirla, non mi ha ascoltato»
«Già, così hai
sprangato porte e finestre lasciandolo lì per un intero pomeriggio»
«A cosa stai
puntando? Ti dispiace non averlo salvato?»
«No. Penso solo
che non sei stato molto diverso da Hiwatari non ascoltando Ivan»
Yuri fremette
sul posto inspirando lentamente, doveva essere stato un vero attore per farsi
considerare un mostro senza cuore anche da Boris. Come se gli avesse fatto
piacere lasciare Ivan indietro, abbandonare un compagno per rincorrere una
vittoria personale. Lui non era Kei.
All’improvvisa
fitta del palmo, dove le unghie avevano scavato la carne, si accorse di aver
serrato i pugni sulle ginocchia.
Boris lasciò
defluire l’aria trattenuta maledicendolo mentalmente quei dannati meccanismi di
difesa. L’aveva vista la postura improvvisamente rigida, parlare ad un animale
braccato non sarebbe servito a nulla. Gli passò davanti lasciandogli una pacca
sulla spalla, in un incrocio fugace di sguardi alla leggera pressione
esercitata.
D’accordo o no
con quell’atteggiamento, riconosceva il suo farsi in quattro per tutta la
squadra. La pressione aumentava con l’avvicinarsi della fase finale, di
conseguenza anche la futura mossa di Vorkov.
«Guarda il lato
positivo» armeggiò con il portafoglio seguito dallo sguardo perplesso del suo
amico «A differenza di Hiwatari hai ancora speranza di salvarti, ti sei tolto
la giacca. Soffri il caldo come noi comuni mortali»
Yuri sorrise
mesto allentando quell’insopportabile tensione lanciando uno dei cuscini contro
il blader inginocchiato accanto allo zaino, centrandolo in pieno.
«A che ti
servono quei soldi?»
«Hai detto che
c’è un bazar aperto no?» Boris raccolse le sterline egiziane rotolate
all’impatto, svuotando il restante contenuto di quel portafoglio che non gli
apparteneva «Vado a cercare qualcosa che non sia una coca cola»
«Rubando i
soldi di Kei?» fu la risposta prontamente scettica.
«Sarà contento
anche lui di bere altro» alcune monete volarono in aria afferrate dalla presa
ferrea mentre si rialzava da terra «Se provi a bloccarmi sappi che butterò giù
la porta»
«Almeno vestiti
prima di uscire»
Boris seguì lo
sguardo allusivo di Yuri puntato verso il basso rendendosi conto di star
uscendo in boxer. Un’imprecazione gli sfuggì dalle labbra alla ricerca della
canotta che non gli facesse fare una sauna, ma questa non si trovava
nell’armadio, né nella valigia, né nelle valige dei suoi compagni. Yuri chiuse
gli occhi esasperato quando il tornando passò alle spalle del divano diretto al
bagno. Cinque secondi dopo riaprendoli lo trovò infilato per metà sotto il
tavolino ad analizzare circospetto il pavimento in ogni direzione. Sospirò
facendosi volutamente sentire indicandogli afflitto la poltrona accanto alla
finestra su cui riversava la tanto agognata maglia.
«Se non torno
entro mezz’ora, raccogli i miei resti e portali in Russia» annui solidale, le
labbra arcuate in un sorriso al teatrale saluto del compagno quando la porta
finalmente si chiuse. C’era solo un problema, aveva dimenticato un piccolo ma
rilevante dettaglio.
«Dove sta
andando Boris?»
La saliva gli
andò di traverso arrestando la bocca in una rigida linea piatta. Sollevò
lentamente lo sguardo trovando Ivan intento a grattarsi svogliatamente la testa,
con l’attenzione rivolta a tutto fuorché a lui. Quanto era bravo Boris nei suoi
subdoli sotterfugi.
«Voleva comprare
qualcosa con più gradi di una coca cola»
«Ah»
Yuri fu certo
di sentire gli ingranaggi della testolina di Ivan lavorare freneticamente,
giungendo alla sua medesima conclusione: Boris era un uomo morto.
I numeri
digitali sullo schermo segnarono le ventidue e quindici.
Dal laconico monosillabo
un pesante silenzio era calato nella stanza, interrotto soltanto dal ronzio
della ventola. Il Cairo doveva essere particolarmente affascinante di notte se
tutta la squadra era ormai a zonzo nelle strade, oppure era una congiura architettata
all’unanimità per lasciarli soli.
Yuri scartò
l’ultima opzione, conoscendo Kei ad un piano del genere sarebbe rimasto di
proposito nella stanza pur di rovinarlo. Si trattava solo dello zampino di
Boris.
La durata della
chiamata continuò a scorrere inesorabile, nessuno dei faceva il primo passo per
chiuderla. Yuri immaginava anche il perché, se avesse fatto lui la prima mossa
Ivan avrebbe avuto un motivo in più da aggiungere alla sua lista di accuse.
Storse la bocca
in una smorfia contrariata, quei giochetti non gli piacevano minimamente.
«Boris prima mi
ha detto una cosa» esordì a un tratto stanco di quell’attesa, riuscendo a
distogliere l’altro dal suo innaturale interesse per la piega del lenzuolo «Mi
accusava di non prestarti ascolto, però io mi chiedo, esattamente cosa dovrei
ascoltare?»
Ivan picchiettò
le nocche sul materasso non rispondendo nell’immediato.
«Attualmente
nulla, ti ho già detto tutto quello che avevo da dirti prima della vostra
partenza».
«Detto. Ti
sei messo a urlare»
«Qual è la
differenza? Credi di poter alzare la voce solo tu?» aveva ormai smesso di
battere ritmicamente sul letto, inclinando leggermente indietro lo schermo «Ti
ho chiesto decine di volte perché avessi messo Kei in squadra, hai saputo
soltanto dirmi: “per la missione”».
Ivan si
interruppe sbattendo un pugno sulla coperta perdendo lentamente la sua poca
pazienza «Credevi non fossimo all’altezza? Mi consideravi un incapace tanto da
sostituirmi con un’idiota che pensa solo a sé stesso non sapendo cosa c’è in
ballo?!»
Yuri fissò il
monitor mordendosi l’interno guancia, il segnale della connessione era saltato
ma il senso della frase lo aveva recepito ugualmente.
«No»
Il suo amico –
o ciò che era al momento – aveva completamente sbagliato strada, in quelle
occasioni non gli aveva risposto perché qualunque cosa avesse detto non sarebbe
servita a nulla. Voleva far sbollire la sua rabbia aspettando qualche giorno,
il risultato ottenuto però era stato l’esatto opposto.
Ivan si era rivelato
più emotivo di quanto credesse ed il suo fastidioso senso di colpa era
aumentato ad ogni incontro con quegli occhi rubini astiosi, tanto da spingerlo
a evitarlo.
«Ed allora cosa
Ivanov?»
Le sopracciglia
rosse scattarono sorprese al suono di quell’epiteto, nemmeno durante le
sconfitte dei primi tempi lo aveva chiamato per cognome con quell’aggressività.
Allora Sergej l’aveva definito un effetto collaterale della troppa stima nei
suoi confronti, ora si chiedeva se ne fosse rimasta almeno un briciolo.
«La bravura con
il beyblade centra poco e niente»
Ivan non riuscì
a fermare la propria risata derisoria poggiandosi ai cuscini posteriori,
umettando le labbra per scandire lentamente le successive parole «Non voglio la
tua pietà».
«Infatti, non
ti sto dando quella» fu la pronta risposta piccata.
Un lampo di
consapevolezza attraversò la mente di Ivan «Ma certo!», una mano sbatacchiata
sulla fronte quasi fosse stato sciocco a non rendersene conto «Hai nominato
Boris prima, è lui ad averti consigliato anche cosa dire?»
«No»
«Sai dire solo
quella dannata parola?!» come poteva pensare di riuscire ad avere una
conversazione con il suo capitano se questi continuava a mostrarsi impassibile
senza minimamente scomporsi «Non ho mai messo in discussione una tua decisione
al contrario di Boris, tuttavia sono io quello che si ritrova completamente
escluso da tutto per l’unica volta in cui l’ho fatto!».
Ivan impedì
qualunque rimostranza ripartendo all’attacco dopo un profondo respiro «So
benissimo che Boris mi ha definito un cagnolino scodinzolante, ebbene non lo
sono!» le braccia allargate per enfatizzare il concetto «Ho cercato di imitarti
in tutto e per tutto perché ti ammiravo. Ho seguito la tua sconsiderata idea di
lanciarci dal cornicione del monastero per bloccare i Bladebreakers perché
volevo farlo. Avevo accettato di partecipare a questo campionato perché cercavo
vendetta anche io. Ho una mia testa in caso lo abbiate dimenticato!»
«Calmati Ivan»
Il blader si ritrovò
improvvisamente zittito. Yuri non aveva nemmeno alzato la voce, il tono era
rimasto fermo e controllato eppure si era trovato ad assecondare d’istinto
quell’autorità.
Yuri deglutì a
vuoto in quell’assordante silenzio.
Le parole
feriscono più della forza bruta.
Era stato lui
ad insegnarlo a Ivan, come meccanismo di difesa in quell’orribile posto. Non
aveva minimamente pensato che un giorno quei consigli gli si sarebbero ritorti
contro.
Ammiravo.
Quanti danni
poteva fare un insulso tempo verbale.
Il leggero
bussare interruppe il filo dei suoi pensieri.
Guardò
un’ultima volta Ivan intento a recuperare fiato prima di alzarsi in direzione
della porta, Boris aveva il brutto vizio di non portare mai le chiavi.
Una volta aperta
fu costretto ad abbassare la testa per non restare accecato dal repentino
cambio di illuminazione. Aprì e chiuse le palpebre un paio di volte pronto a inveire
contro il suo compagno ma le gambe abbronzate che si trovò ad osservare
decisamente non erano quelle di Boris.
Un colpo di
tosse portò la sua attenzione sul volto della sconosciuta che tanto estranea
non era.
«Fernandez?»
Inarcò un
sopracciglio dopo averla squadrata con attenzione. Indossava una camicia da
notte bianca decisamente poco coprente. L’orlo in pizzo a malapena arrivava a
metà coscia – senza contare l’ampio scollo fra le bretelle – ed era puntellata
dalle goccioline d’acqua che continuavano a caderle dai capelli bagnati.
«Buonasera Yuri,
scusa il disturbo ma avrei bisogno di un grande favore!» Julia gli sorrise
vispa congiungendo le mani all’altezza del viso «Potresti prestarmi il phon? Il
mio l’ho appena rotto»
«Lo dà in
dotazione l’albergo, vai alla reception e chiedine un altro»
Tutta
l’allegria svanì sostituita da un’aria indispettita.
«Genio del male
non posso girare nell’hotel conciata così!» sottolineò le ultime parole
indicando il suo abbigliamento, coprendosi il petto con le braccia poco dopo
per quell’errore.
Yuri la stava fissando
con un ghigno malizioso.
«Però vieni a
bussare alla porta dell’unica squadra composta esclusivamente da ragazzi»
«Ivanov!»
l’acuto della ragazza gli perforò il timpano, ma il tenue rossore sul suo viso ne
era valsa la pena «Siete l’unica altra squadra su questo cavolo di piano…e non
devo mica giustificarmi con te! Vorrei soltanto asciugare i capelli»
Il russo
incrociò le braccia poggiandosi allo stipite della porta, era sorpreso da
quell’innaturale confidenza. Le aveva parlato due volte stentate, ed una era
stata durante la loro sfida.
«Allora chiama
una delle altre ragazze»
«Non posso» alternò
lo sguardo fra lui e l’ascensore in fondo al corridoio, aggiungendo con uno
sbotto «Non ho i loro numeri va bene?! Abbiamo parlato pochissime volte»
«Peccato, buonanotte
Fernandez» afferrò la maniglia chiudendo la porta.
«No Yuri,
aspetta!»
Yuri si bloccò,
non per la richiesta, piuttosto per evitare di farle male. Nel tentativo di
fermarlo Julia aveva frapposto impulsivamente il piede nell’intercapedine.
Peccato fosse scalza, e a giudicare dal suo sguardo lo aveva ricordato con
ritardo.
«Per favore,
giuro che farò in fretta»
«Quante storie,
una volta tanto che puoi parlare con una ragazza come te su come acconciare i
capelli»
Yuri maledisse
Ivan e la sua lingua lunga, approfittando della sua distrazione al commento la
ragazza era sgusciata dentro.
«Pensavo i tuoi
compagni stessero dormendo»
«No, loro sono
in giro»
Sbatté la porta
infastidito dirigendosi a passo di marcia verso lo schienale del divano,
afferrandolo saldamente con entrambe le mani.
«Zakroy svoy rot!1»
Julia lo seguì
titubante nella penombra credendo fosse impazzito prima di scorgere il ragazzo
in videochiamata. Chiunque fosse il destinatario di quelle parole non le stava
ascoltando, tutt’altro, stava salutando lei con la mano.
Il russo accanto
a lei sibilò qualcosa fra i denti di ancor più incomprensibile prima di sparire
oltre la porta del bagno.
«Piacere io
sono Ivan, tu devi essere la rappresentante della squadra spagnola giusto?»
Annuì
sorridendo leggermente, quel ragazzo a prima vista le stava simpatico anche se
a giudicare dal modo in cui aveva guardato Yuri la stava intrattenendo in
stanza solo per fargli un dispetto.
«Sì, mi chiamo
Julia Fernandez»
«Julia..bel nome, mi piace. Yuri
non conosce le buone maniere, ignoralo e accomodati pure»
Lo schianto
della porta le suggerì di non assecondare quell’invito.
«Ivan smettila
con i tuoi inutili convenevoli»
«Altrimenti
cosa fai Ivanov? Io sono in Russia, tu in Egitto»
Yuri sbuffò infastidito
al commento guardando in cagnesco lo schermo. Senza prestarle attenzione, mollò
il phon fra le mani della madrilena piuttosto divertita dalla situazione.
«Ecco a te, restituiscimelo
pure domani non mi importa. Ho già un’idiota a cui pensare»
«Esta es la vida2, non ce li scegliamo mica i fratelli, ci
toccano»
Ci toccano.
No, lui non
aveva fratelli di sangue. Li aveva scelti eccome, l’intera squadra.
Julia si trovò improvvisamente
a fissare due occhi azzurri simili a quelli di un cerbiatto davanti ai fari di
un’auto. Il suo intento era quello di sdrammatizzare, non aizzare quella strana
elettricità nell’aria.
«Già» fu
l’unica risposta che ricevette.
«Io…Credo che
andrò ad asciugare i capelli»
Yuri annui
perso nel proprio mondo distogliendo lo sguardo dalla ragazza diretta alla
porta. L’istante successivo tornò a osservarla con molta più attenzione.
Lei non stava andando
via, stava entrando nel suo bagno.
«Fernandez,
l’uscita è dall’altra parte»
«Lo so. Raul però sta dormendo, non posso mica svegliarlo»
Con un
sorrisetto furbo Julia gli fece l’occhiolino sparendo oltre la porta. Tentò
inutilmente di avvicinarsi
ma questa si chiuse in anticipo seguita dallo scatto della
serratura.
Ivan cercò di
non ridere davanti all’espressione corrucciata del proprio capitano, ormai
seduto nella sua postazione fissa della sera.
Quel peperino
l’aveva fregato alla grande e lui non sembrava digerire la cosa.
Il suono del
phon attutito dalle pareti accompagnò quell’ennesimo silenzio, meno pesante dei
precedenti senza il pressante sguardo indagatore ceruleo.
Girovagando su
internet durante le sue notti insonni in cerca di rimedi, si era imbattuto più
volte in alcune pratiche di cui dubitava fortemente dell’attendibilità, fra
queste il suono del phon. Onestamente non credeva possibile riuscire a
rilassarsi con un rumore infernale da sottofondo, eppure sul suo capitano stava
funzionando. La testa cadente e le palpebre a stento tenute aperte erano un
chiaro segno che di lì a poco si sarebbe addormentato.
Lo chiamò non
ottenendo risposta.
Il suo dovere
l’aveva fatto, affari suoi se la spagnola lo avrebbe assalito nel sonno, no?
No.
Riprovò una
seconda volta alzando il tono, ottenendo un mugugno soffocato.
Ora poteva pure
lasciarlo lì, la coscienza era pulita.
Maledetto
Ivanov.
Sospirò sconfitto
urlando più forte e facendolo sobbalzare, gli occhi vacui in bilico fra veglia
e sonno.
«Yuri, vai a dormire a letto»
«No…devo aspettare
Sergey»
Dovette farsi
ripetere la frase per capire quel farfuglio sconnesso da dormiglia. Quanto
potesse risultare innocente nel suo stato catatonico Yuri non doveva averne
idea, cambiava totalmente espressione ed era uno spettacolo più unico che raro.
Solitamente era
Boris quello che si addormentava in qualunque luogo o posizione e loro ne
approfittavano per fargli le domande più strane, in quello stato rispondeva
sempre con sincerità.
Alle volte non
ricordando neanche di aver parlato con loro.
Mordicchiò il
labbro inferiore pensoso, un’idea non proprio corretta gli era balenata nella
testa.
«Yu…Come mai
hai assecondato Julia sulla storia dei fratelli?»
«Perché avrei
dovuto mentirle? Lo siamo» Yuri inclinò la testa sbadigliando, la spalla
utilizzata come cuscino improvvisato «Boris dovrebbe averlo scritto anche sul
modello d’iscrizione della scuola… o era del campionato?»
«Perché hai
scelto Kei al mio posto?»
Doveva essere
scattato una sorta di segnale d’allarme segreto, Yuri aveva aperto gli occhi
fissandolo in maniera molto più lucida. Fin troppo sveglio.
«È stata una
scelta dettata dalle circostanze, potevamo essere solo in quattro, Kei mi
serviva, uno sarebbe dovuto restare fuori»
«Tra tutti
proprio io. Sono il più scarso della squadra?»
Yuri scivolò
lentamente seduto a terra spostandosi molto più vicino al pc, stavano parlando
in russo ma gli dava fastidio l’idea di poter essere comunque ascoltato da
orecchie indiscrete.
«Scarso non è
la parola corretta, Vorkov ci ha messo insieme differenziando le nostre abilità
in modo da ottenere un equilibrio. Sei rimasto tu lì perché mi fidavo a
lasciarti in mano la gestione del monastero, non avrei rischiato di trovarlo bruciato
al nostro rientro»
«Pensavo fosse
Boris quello di cui ti fidassi maggiormente»
«Dipende dai
contesti, proprio con lui sarebbe andato a fuoco dopo un giorno»
Si passò una
mano tra i capelli annientando quell’ultima traccia di gel sopravvissuta, legandoli
alla base della nuca non perdendo di vista Ivan.
Non lo aveva
convinto, stava per ripartire all’attacco.
«No, non potevo
lasciare Sergey»
Ivan richiuse
la bocca mettendo su un broncio infantile, invitandolo a continuare con un
gesto della mano.
«Kei è una
persona insopportabile, penso Boris ti abbia tenuto abbastanza aggiornato. Alle
volte ti fa desiderare davvero di prendere quella sciarpa e strangolarlo, ed è
proprio qui che sta la scelta. Boris non mi fermerebbe, resterebbe a guardarmi
non muovendo un dito se lo facessi. Anzi, mi aiuterebbe ad occultare il
cadavere con somma gioia»
«Quindi, io non
sono abbastanza forte per fermarti» controbatté acido l’altro.
«A malapena ci
è riuscito Sergey»
Ivan sbarrò gli
occhi all’ultima frase quasi sussurrata, non riusciva proprio a immaginare il
suo capitano completamente fuori controllo.
«Il tuo non era
un esempio casuale»
Yuri scosse la
testa, gli ci era voluto un quarto d’ora per riacquistare il completo controllo
in Spagna. Il lato positivo erano state le frecciatine improvvisamente svanite
nei suoi confronti.
«Abbiamo
litigato per un malinteso…»
«In realtà hai fatto tutto da solo»
«No capitano!
Non mi scaricherai addosso tutta la colpa!»
«Eppure l’ho
appena fatto»
Il sorrisetto
sghembo di Yuri sancì per Ivan un ritorno alla normalità.
Sorrise a sua
volta finalmente in pace con sé stesso. Potevano essere scelte d’utilità ma il
suo capitano aveva detto chiaramente che si fidava di lui, oltre che
considerarlo un fratello. Ok, quest’ultima cosa l’aveva ottenuta in modo
subdolo ma non importava se Yuri non ricordasse di averla detta, gli bastava
esserne lui a conoscenza.
Julia spense il
phon passandosi una mano tra i capelli.
In assenza
della sua spazzola aveva usato un pettine rinvenuto accanto al lavandino e sperava
che i proprietari si accorgessero dei denti mancanti quando lei fosse ormai
abbastanza lontana.
Uscì
rabbrividendo dalla cappa creata nel bagno, la sala sembrava molto più fresca
al confronto. Individuò i due russi ancora intenti a parlare tra loro, con sua
somma gioia trovando un’atmosfera molto più distesa.
Ivan interruppe
il suo discorso salutandola allegramente quando fu ad un passo da loro.
Abituata all’atteggiamento algido dei quattro presenti al mondiale continuava a
restare sorpresa davanti a un russo così espansivo. L’altro infatti le aveva
appena scoccato un’occhiata poco amichevole alzandosi da terra, spolverando il
pantalone dove inevitabilmente cadde anche il suo occhio.
«Stai
sbagliando di nuovo uscita, la porta è dietro di te»
«Lo so» ridusse
la distanza a pochi centimetri sollevando il mento altezzosa «Però non mi va di
andarmene», così dicendo si sedette soddisfatta sul divano facendo scoppiare a
ridere Ivan davanti all’espressione stranita del rosso.
«Nessuno ti ha
messa in guardia dal tenerti a debita distanza da questa squadra, vero?»
Julia si portò
l’indice al mento pensosa «In realtà, Takao ha detto qualcosa di simile a
Daichi nel corridoio, Mathilda lo ha sentito ed ha deciso di dirlo a Raul, che
lo ha riferito al nostro allenatore che infine lo ha detto a me», scrollò le
spalle aggiungendo con nonchalance «Sono solo dicerie, Romero è tornato dalla
vostra riunione del pomeriggio facendoti un sacco di elogi»
Yuri emise un
sospiro esasperato, quella ragazza era un fiume in piena quando iniziava a
parlare, doveva pur averlo un interruttore di spegnimento.
«In sintesi
presti attenzione solo a quello che ti pare, ed in questo momento anziché
essere qui non dovresti star pensando a una strategia per la vostra sfida di
dopodomani contro i Bladebreakers?»
«Ti stai
preoccupando per me?» lo stomaco attorcigliato in una stretta piacevole al
pensiero.
«No»
«Sta solo
cercando di cacciarti via in modo gentile»
Ivan andò
dritto al punto ridacchiando fra sé, altro che cinema, aveva un cabaret in
diretta comodamente seduto a casa propria. Gli sguardi spudorati della
madrilena al fondoschiena del suo capitano erano stati esilaranti, il suo amico
nemmeno se ne era accorto.
«Asociale.
Quante storie per un po’ di compagnia, non vuoi festeggiare la tua vittoria di
oggi?»
Yuri lasciò
ricadere le braccia afflitto, qualcuno lassù doveva volerlo proprio male per
non farlo dormire. L’occhiata intimidatoria andò a farsi benedire quando il suo
stomaco prese il sopravvento facendosi udire in tutto il suo fragore.
Julia si coprì
la bocca non riuscendo però a trattenere le risate mentre lui avvertì le sue
guance surriscaldarsi più del dovuto. Non importava come ma avrebbe ucciso pure
Sergej, dove diavolo era finito con la sua cena?!
«Sei diventato
un pozzo senza fondo come Daichi e Takao?» la domanda sbiascicata tra un
risolino e l’altro non fece che aumentare il suo nervosismo.
La guardò
dall’alto in basso incenerendola, la frecciatina velenosa morta per strada al
lampo di genio improvviso. La camicia da notte era stata un’attrazione
invitante, ritiratasi lasciando libere porzioni di pelle lo aveva portato a un’attenta
riflessione. Quel tessuto così leggero e aderente non recava alcuna tasca su di
sé.
Si chinò su di
lei, una mano puntata sullo schienale accanto al suo viso.
Julia inghiottì
a vuoto presa alla sprovvista, i magnetici occhi azzurri ad un soffio da lei. Trattenne
il respiro per quella vicinanza non riuscendo a trovare un solo aggettivo
negativo per descriverla.
Un brivido le
corse lungo la schiena quando il respiro del ragazzo le sfiorò il volto, il calore
corporeo sentito distintamente nonostante la t-shirt nera che gli fasciava il
torace.
«Tu non hai la
chiave» gli occhi smeraldini sbarrati parlarono al suo posto, Yuri sorrise
trionfante alla confusa e balbettante rimostranza «Vuoi restare qui perché hai
dimenticato la chiave per tornare in stanza»
Julia maledì i
muscoli del suo corpo incapaci di muoversi, era sicura di essere arrossita come
una ragazzina per essere stata smascherata in quel modo. Per un attimo aveva
creduto o piuttosto sperato che la vicinanza portasse ad altro esito, a sua
insaputa quel pensiero aveva sfiorato anche la mente del terzo incomodo.
Yuri si
discostò lentamente godendosi la vittoria, una piacevole sensazione accentuata
alla vista delle gote arrossate in grado di far concorrenza ai suoi capelli.
Attirato da una forza invisibile le si sedette accanto senza eliminare il
sorriso da schiaffi.
Quella serata
non era poi così malvagia.
«Prima o poi ci
dovrai tornare, non ti conviene bussare ora?»
Ivan lo aveva
chiesto in buona fede, voleva salvarla dalle grinfie di quella belva famelica
in modalità offensiva. L’espressione tormentata che ricevette lo informò di
aver fatto ancora più danni.
«L’intrepida
Julia Fernandez ha paura di svegliare il suo fratellino?»
«Non ho di
certo paura di Raul!»
«Eppure sei
ancora qui»
Julia torturò
le proprie labbra fino a sentire il sapore ferroso in bocca, non doveva
mostrarsi così a disagio accanto lui. Aveva resistito così bene all’inizio ed
ora tutto stava precipitando. Il profumo alla menta peperita le aveva in vaso
le narici in quella distanza nulla gettandola in confusione, quasi come se lo
avesse abbracciato affondando la testa nei suoi capelli.
«Non farti strane
idee Ivanov! Io…» si mosse in difficoltà appiattendosi nel suo angolino del
divano, Yuri non la perdeva di vista un secondo con quell’aria di superiorità e
lei non riuscì a reprimere la sua indole impulsiva «Io semplicemente non posso
andare lì e bussare! Non mi aprirebbe nessuno»
Il moscovita la
invitò a continuare, la scintilla di divertimento sempre più evidente in quegli
occhi celesti man mano che la situazione acquisiva chiarezza con il suo
racconto.
«Romero e Raul
sono usciti mentre mi stavo facendo la doccia, pensavo blaterassero qualcosa
sugli scontri di domani e non li ho ascoltati con attenzione. Quando sono
uscita dal bagno me ne sono accorta, volevo asciugare i capelli e poi
richiamarli ma il phon si è rotto. Volevo chiederne uno alla reception e sono uscita
senza pensare a come fossi vestita, un colpo di vento ha chiuso la porta e sono
finita qui. Contento ora? L’unico colpo di vento d’Egitto a me doveva capitare!»
«Avevo ragione
prima, presti attenzione solo a quello che ti pare»
Dall’inizio del
campionato per combattere la noia Boris aveva iniziato ad apprezzare quella che
comunemente veniva definita “arte”, ed Il Cairo era sicuramente una bellissima
città dal punto di vista estetico.
I variopinti
arabeschi sulle decorazioni di alcuni palazzi non perdevano il loro splendore
sotto la luce giallognola dei lampioni, così come le particolari finestre
traforate di quella che presupponeva fosse una moschea si imponevano sulla
strada catturando l’attenzione di qualunque passante.
Peccato ci fosse
solo lui, abbandonato sul ciglio del lastricato, ad attendere la sua fine in
quella fornace a cielo aperto.
Esci
dall’hotel, svolta a sinistra, cammina sempre dritto e troverai il bazar.
«Fottuto Yuri e
le sue indicazioni!» urlò all’indirizzo del pavone ritratto sul palazzo
difronte, quella sottospecie di uccellaccio continuava a guardarlo dall’alto in
basso «Dimmi piuttosto la strada per tornare all’hotel!»
Bevve un sorso
dalla bottiglia – comprata nel primo buco trovato in strada, non di certo al
maledetto negozio di cui aveva parlato Yuri – con espressione schifata sputando
la maggior parte del contenuto per terra.
«Questa roba fa
veramente schifo!»
Un suono di
passi leggeri seguiti da una risata accompagnò quella che Boris definì un’apparizione
divina. Si mise subito in piedi sbarrando la strada alle due donne che
arretrarono abbracciandosi l’una con l’altra alla sua vista.
«No no, io non
voglio farvi nulla di male» ondeggiò le mani cercando di far capire al meglio
le sue intenzioni, gesticolando in tutti i modi possibili una traduzione non verbale
per la sua richiesta «Sto cercando di tornare al mio Hotel…come cazzo si chiama
il mio hotel?!»
Quando si rese
conto di aver mimato anche l’ultima parte toccandosi le sue parti basse, fu
troppo tardi. La donna con l’ḥijāb3 arancione gli
scagliò in faccia la borsa seguita da un calcio dritto in mezzo alle gambe.
Ululò di dolore accasciandosi a terra e tenendo stretti i suoi gioielli di
famiglia mentre le due scappavano via lasciandolo lì a contorcersi.
«Fottuta ninja
egiziana!»
Tossicchiò un
paio di volte rotolando sulle pietre coperte di sabbia, quella maledetta
l’aveva colpito in pieno tanto da fargli vedere le stelle. Riverso di schiena
sulla strada sentì per la seconda volta rumore di passi e col cavolo che
avrebbe provato a chiedere nuovamente informazioni.
Chiuse gli
occhi fingendosi morto quando i passi si fermarono accanto a lui.
«Boris?» li
aprì immediatamente ritrovandosi ad osservare in controluce una familiare
zazzera bionda.
«Sergej….» sussurrò esterrefatto non credendo davvero
ai propri occhi, scattò improvvisamente seduto afferrando il volto dell’altro e
scoccandogli un bacio a stampo urlando al settimo cielo «Sergej sei il mio
salvatore!»
Il ragazzo
corpulento lo rispedì a terra di colpo pulendosi la bocca disgustato.
«Ti ho detto
decine di volte che puoi far pratica in questo modo solo con Yuri…poi cosa
diavolo hai bevuto, hai un sapore disgustoso!»
Boris si rialzò
in piedi come una molla, una mano ancora stretta attorno al suo prezioso
gingillo, agguantando la bottiglia ormai vuota di una sconosciuta marca araba
il cui puzzo era un misto tra il primo tentativo culinario fallito di Ivan,
vodka e…liquirizia.
«Non ne ho la
più pallida idea ma era impossibile da bere»
«Talmente
impossibile che te la sei scolata tutta…» Sergey
mise le mani sui fianchi scoccandogli un’occhiata di rimprovero,
misteriosamente accentuata alla sua risposta.
«Magari, è più
quella che ho sputato in giro. Fortunatamente i soldi erano di Hiwatari»
«Sei senza
speranza…piuttosto che ci fai qui? Per di più tenendoti il cavallo dei
pantaloni come se non ci fosse un domani?»
«Le donne sono
pazze» il biondo si sorprese al ringhio improvviso cercando di non ridere alla
successiva specificazione «Volevo delle indicazioni stradali e loro capiscono altro»
Boris gettò la
bottiglia nel cestino vicino trattenendo una smorfia al dolore pulsante in
basso «Cercavo solo qualcosa di fresco da bere, ero uscito per questo»
«Potevi
aspettare, non rientrerà nei tuoi gusti ma ho comprato delle bibite» Sergey
frugò in uno dei sacchetti ricolmi di porzioni d’asporto alla ricerca della
coca cola, aggiungendo perplesso tra sé «Però non capisco perché tu sia
arrivato fin qui se c’è un negozio a pochi passi dall’hotel»
«Non c’è nessun
dannato negozio! Ho svoltato a sinistra arrivando fino al Nilo!»
Sergey tirò
fuori la bibita lasciando cadere le braccia lungo i fianchi completamente
sconfortato.
«Dovevi girare
a destra»
Boris lo mandò
a quel paese scippandogli letteralmente la lattina dalle mani e infilandosela
nei pantaloncini, beandosi dell’immediata freschezza alle sue martoriate parti
intime.
L’altro blader
al contrario trovo fortemente fuori luogo quell’espressione d’estasi.
«Smetti di aver
la faccia di chi sta facendo sesso e cammina, voglio portare la cena a Yuri che
tra l’altro, ti avevo chiesto di tener sveglio»
«Sì sì, arrivo mamma.
Tranquillo, l’ho lasciato con Ivan»
Sergej si bloccò di scatto quasi rompendogli un timpano per l’urlo diretto nel
suo orecchio.
«Ti sei
completamente rimbambito?! Già che c’eri gli lasciavi pure un lanciafiamme così
da bruciare meglio il portatile».
Alzò il dito
imponendo a Boris di far silenzio prima di riprendere a camminare borbottando
come una teiera in ebollizione «Squadra di fenomeni da barraccone. Uno adesca
senza successo donne in strada, l’altro nel cuore della notte noleggia cammelli
e se ne va in giro per le dune»
«Eh? Kei se ne
è andato con un cammello?»
«Già»
«Oh. Quando
arriviamo ricordati di dirlo a Yuri, ne sarà sicuramente felice» passò la
lingua sulle labbra pregustando l’esatto momento in cui Kei avrebbe nuovamente
messo la stanza a soqquadro alla ricerca di un gps.
Pensando al bicolore si ricordò all’improvviso della richiesta del capitano.
«A proposito,
devo aggiornarti sulle news del campionato»
Sergej ringraziò il cielo davanti alle porte scorrevoli
dell’hotel.
Avendo le mani
occupate durante il riassunto aveva chiesto a Boris di tenere sotto controllo
il navigatore del cellulare – impedendogli di infilare anche quello nella patta
interna dei pantaloni per comodità – e poco ci era mancato che non si perdessero
nuovamente.
Per quattro
volte avevano sbagliato strada a causa della distrazione del compagno, a cui
era riuscito finalmente a far togliere la lattina dai suoi gioelli
dopo l’ennesima occhiata allusiva dei passanti.
Imboccando la
via per l’ascensore tirò un sospiro di sollievo all’assenza di eventuali
camionette dei pompieri. Alla chiusura delle porte distrattamente adocchiò
l’orologio segnare le ventidue e trenta.
«Secondo te
Yuri avrà ancora fame?»
Boris
accasciato contro lo specchio del vano, inclinò la testa in stile zombie
godendosi l’aria condizionata azionata a manetta.
«Se non mangia
giuro che qualunque cosa tu abbia preso gliela infilo in gola a forza» lo
avrebbe fatto, non stava scherzando. Per fargli risolvere i drammi con Ivan era
uscito, era colpa sua se ora doveva farsi la quarta doccia della serata perché
la sabbia gli era arrivata persino nelle mutande.
Sergej non commentò quello stato disfatto per
istinto di sopravvivenza, l’aura omicida era palpabile.
Arrivati al
dodicesimo piano a malincuore Boris fu il primo ad uscire strisciando i piedi
lungo il corridoio, quasi urtando il nano dei Bladebreakers nel suo stesso
stato diretto in direzione opposta.
Sergej si fermò
accanto a Boris davanti la porta della loro stanza corrugando la fronte al
passaggio del piccoletto, in pigiama, con in mano un cuscino.
«La tua squadra
non alloggia al quarto piano?»
Daichi annui
premendo il bottone dell’ascensore con uno sbadiglio.
«Sì, ma
l’ochetta si è offesa per non so cosa e mi ha cacciato fuori dalla stanza. Ho
passato le ultime ore dormendo su piani diversi, ogni volta che prendevo sonno
arrivava la sicurezza. Ora mi ha chiamato Hitoshi
avvertendomi di poter rientrare».
Agitò la mano
in segno di saluto salendo in ascensore e sbadigliando di nuovo.
«Lo vedi? Le
donne hanno qualche rotella fuori posto»
Sergej roteò
gli occhi indicando con la testa la loro porta, il sesso femminile era l’ultimo
dei suoi pensieri, le buste cominciavano a pesare e il suo amico ancora non si
decideva ad aprire. Boris si riscosse toccando la tasca destra, poi quella
sinistra, poi quella posteriore, grattandosi infine la guancia.
«Non ci credo,
hai di nuovo dimenticato le chiavi» si trattenne dall’alzare la voce solo per
l’orario, lo avrebbe volentieri preso a testate «Prendile, sono nella tasca
destra…la mia destra Boris!»
Il suddetto
blader alzò le mani in segno di resa, fece scattare la serratura ed entrambi vennero
inghiottiti dall’oscurità della stanza.
Boris chiuse la
porta ed imitato da Sergej si mosse a tentoni verso il fondo da dove si scorgeva
la luce del pc, una leggera ansia per tutto quel silenzio irreale. Il capitano non
si vedeva da nessuna parte e persino il ventilatore era stato spento.
Il sollievo lo
invase alla vista del pc perfettamente integro.
Ivan, il capo
appoggiato sul palmo in contemplazione incrociò il suo sguardo portandosi
l’indice alle labbra in una muta richiesta. Stette al gioco guadagnandosi uno
strano sorriso sinistro mentre gli indicava di guardare in basso, seguì il
suggerimento e per poco le sopracciglia non gli finirono nell’attaccatura dei
capelli.
Sbucata da
chissà dove c’era Julia, semisdraiata, la testa appoggiata sul bracciolo del
divano con un braccio sotto ad essa placidamente addormentata. Medesimo stato
in cui riversava il suo capitano, con la sola differenza che le era praticamente
finito addosso. Da quella angolazione il seno della ragazza era diventato
chiaramente un cuscino, però tutto sommato Yuri aveva evitato di affondarci di
faccia restando girato verso lo schermo.
«Avevo proposto
di vedere un film, mi hanno abbandonato contemporaneamente cinque minuti dopo»
il bisbiglio di Ivan lo riportò alla realtà, il ragazzino non sembrava
particolarmente offeso di essere stato lasciato solo.
«Perché la spagnola
è qui?» sussurrò sporgendosi maggiormente oltre lo schienale, come facevano a
stare comodi in quella posizione contorta proprio non riusciva a capirlo.
L’indomani si sarebbero svegliati entrambi con il mal di schiena per essere
crollati solo di lato senza stendersi.
«Era rimasta
chiusa fuori e nessuno poteva aprirla» il tono di Ivan ricordò quello del
narratore di una love comedy, enfatizzato dalla finta lacrimuccia che si
accinse ad asciugare.
«Hai capito il
nostro Yuri, noi a preoccuparci e lui a spassarsela» mormorò Boris sornione
sollevando una ciocca di capelli cremisi, lo sguardo caduto sull’estremità
della camicia da notte che avrebbe lasciato ben poco spazio alla fantasia se il
braccio del suo amico non vi fosse stato sopra «Come dargli torto, guarda che
gambe si ritrova la bomba sexy della Spa-»
Le parole vennero bruscamente interrotte da una manata calata a picco.
«Ahia!»
Boris si
massaggiò indignato la nuca dove la sberla di Sergey era discesa. Quel ragazzo
doveva essere gay per non apprezzare quei commenti. Come se gli avesse letto
nel pensiero mr mano pesante aveva sollevato il
braccio minacciandolo di colpirlo di nuovo.
Un tenue
brontolio seguì il piccolo urletto di dolore facendo irrigidire i due. Yuri
accoccolatosi meglio sul petto della madrilena aveva ormai spostato il braccio
cingendola attorno al ventre.
Ivan provò la
stessa gioia di un giocatore incallito che vince il jackpot, ridestatosi aveva
ripreso ad armeggiare con la tastiera attirando l’attenzione di Sergej.
Quest’ultimo sentì una gocciolina di sudore scendergli lungo la fronte, Ivan
non poteva essere tanto pazzo da voler morire suicida così giovane.
«Dimmi che non
stai facendo quello che penso» un bisbiglio dal sapore di supplica.
«No, non sto
facendo quello che pensi» uno schiocco di lingua e Ivan smise di premere tasti
osservandolo con quegli occhi rubini esaltati, le labbra distese in un
sorrisetto malizioso «Ho avuto diverso tempo per farlo prima»
Sergej si schiaffò
una mano in fronte scambiando inutilmente un’occhiata in tralice con Boris, in
cerca di aiuto. La risposta ricevuta fu una scrollata di spalle e uno
scuotimento di testa, segno che non aveva capito un bel nulla. Promemoria:
comprare dei pastelli per comunicare con lui.
Gli diede del
deficiente inginocchiandosi davanti al notebook ma la distanza chilometrica
prevalse, Ivan non si intimidì davanti a nessuna delle sue minacce.
«Devo
ringraziarti sai, non avrei mai pensato di dirlo ma hai avuto un’idea geniale a
comprare una nuova webcam per il tuo computer» inclinatosi, Ivan lo aveva
totalmente snobbato, interessato a comunicare con il blader rimasto poggiato con
i gomiti allo schienale. Concretizzando a malincuore i suoi sospetti.
«Non ti seguo»
Ivan accentuò
il sorriso malizioso avviando la condivisione schermo, il suo volto ridotto a
icona lasciava piena visione ad una cartella piena di miniature di immagini.
«Ha una
risoluzione pazzesca, persino i piccoli dettagli coglie» un doppio clic e l’immagine
dei due belli addormentati fece capolino, la rotellina del mouse scrollata per
zoomare sul volto del capitano «Lo sapevi che Yuri tende a sbavare nel sonno?
Mmh, oppure è la circostanza ad averlo ispirato»
Boris sbarrò
gli occhi capendo finalmente la preoccupazione del biondo.
«Ivan. Cancella
quelle fotografie» sbottò il più silenziosamente possibile rischiando quasi di
ribaltarsi in avanti a causa della foga dei suoi gesti imperiosi.
«Secondo te Julia
apprezzerà la camicetta inzuppata di saliva?» altri battiti sul mouse e
immagini molto simili si susseguirono bloccandosi su un altro dettaglio
ravvicinato, quello dell’ultima foto scattata «Guarda, vista così sembra che
Yuri le abbia infilato una mano sotto la camicia»
Ivan annui
soddisfatto al coro del suo nome, quanto erano belli i suoi compagni così preoccupati
per la sua vita. Peccato non avessero considerato la propria e le sue abilità
informatiche.
«Tranquilli,
per vostra gioia vi ho lasciato non una, non due, ma ben sedici copie della
cartella nel vostro disco rigido oltre ad avervi impostato la mia preferita
come sfondo sul desktop»
Entrambi i
ragazzi si bloccarono all’istante, la condivisione schermo ancora attiva su una
schermata youtube. Ivan sorrise gettando un occhio sullo schermo ed uno alla stanza
d’albergo, la freccia del mouse spostata sul pulsante play di un video riportante
il suono di una tromba da stadio.
«IVAN NO!»
L’urlo di Boris
fu nulla in confronto al fracasso assordante delle casse.
I due sul divano
sobbalzarono svegliandosi di scatto e Sergej si ritrovò a fissare sconcertato
il susseguirsi delle azioni in quei pochissimi secondi. Boris ancora sporto in
avanti si era beccato in piena faccia una craniata di Yuri e per la botta aveva
perso l’equilibrio capovolgendosi in un salto mortale, finendo agonizzante
accanto a lui mentre un rivolo di sangue gli colava dal naso. Yuri per il contraccolpo
era ripiombato verso la madrilena intenta ad alzarsi tirandole una testata e a causa
del dolore non aveva frenato la sua caduta.
Julia confusa e
stordita si era trovata schiacciata sul divano, il seno premuto contro il petto
del russo che la fissava con i suoi splendidi zaffiri spalancati e labbra a un
centimetro dalle sue.
No, la sua
maestra aveva avuto ragione alle elementari.
La matematica
non era proprio il suo forte.
Nessuna
distanza esisteva fra loro, la sua bocca era premuta contro quella di Yuri.
Sergej chiuse
con foga lo schermo del laptop sedendosi sopra, un sorriso forzato stampato sul
viso.
Il silenzio
padrone indiscusso della stanza era soltanto il preludio della tempesta che si sarebbe
di lì a poco scatenata quando i protagonisti di quel pittoresco quadro avrebbero
ripreso vita.
Il caos aveva
sempre un suo innesco e questa volta il ruolo fondamentale era stato giocato
dalla fragorosa risata risuonata in tutta stanza, alternata e interrotta da
sbiascicate parole provenienti dal portatile.
«Sergej…la
chiamata…non l’hai chiusa»
Note finali
1Zakroy svoy rot! à
Chiuditi la bocca!
2Esta es la vida à Questa è la vita
3Hijābà nome usato per indicare il velo utilizzato
dalle donne islamiche per coprirsi la testa.
Qualcuno è giunto fin qui vero? ç.ç (lei sta ancora sbavando per la foto che ha condiviso prima…ndYuri)
Spero di sì, io mi sono divertita davvero tanto
a scrivere questa one-shot catapultata nuovamente in questo fantastico mondo pieno
di ricordi. Il finale mi rendo conto possa rientrare nella categoria dei soliti
cliché ma le mie dita hanno deciso per me modificando la storia, creando
un risultato che ammetto mi soddisfa abbastanza. Miracolo! xD
Ringrazio di cuore anticipatamente tutti coloro
che sono sopravvissuti alla lettura arrivando fin qui e semmai vorrete lasciarmi
un commento, mi rendereste la persona più felice del mondo ❤
Un grosso (e ben distanziato) bacio a tutti!
Aky
Ps: dato che oggi è il compleanno del nostro
amato Kei, ecco un meraviglioso scatto rubato della sua avventura nelle dune!
Questi personaggi non mi appartengono, ma
sono proprietà di Takao Aoki, questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.