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Autore: Final_Destiny98    05/08/2020    0 recensioni
L’auto colpì il più grande prima ancora che se ne rendesse conto. Il suo corpo fu spinto in avanti di diversi metri, immobile. Non si sentì nessun suono accetto quello dello schianto; calò un silenzio gelido e mortale per alcuni istanti prima che si scatenasse il panico.
Keiji cadde in ginocchio mentre lacrime calde gli scorrevano sul viso, proprio come la prima volta. Lanciò un’occhiata alla sua destra, dove la piccola folla si stava radunando, e il dolore arrivò improvvisamente, pesante come un macigno. Piegò il busto scosso dai singhiozzi fino ad appoggiare la fronte sull’asfalto; poco lontano, il sangue lo macchiava.
Il suo sangue.
Akaashi aveva fallito, di nuovo.
[Bokuaka week day 6: (time) travel]
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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  Non voleva assistere a quella scena ancora una volta, voleva evitarla definitivamente. Le sue gambe si muovevano senza che se ne rendesse conto e il respiro stava diventando sempre più veloce, ma non avrebbe permesso alla stanchezza di fermarlo. Doveva correre, non aveva tempo di riposare o prendere fiato; doveva correre, arrivare prima che fosse troppo tardi.
  
Cambiò strada automaticamente, deciso ad abbreviare attraverso quel vicolo sudicio e abbandonato. Evitò un paio di scatoloni abbandonati e uscì dopo pochi secondi alla luce del sole. Si fermò alcuni istanti ad osservare la strada davanti a sé su cui le macchine sfrecciavano veloci; i suoi occhi azzurri, ormai spenti e privi della vivacità di un tempo, guardarono accuratamente tutte le persone presenti sul marciapiedi opposto finché non notarono la persona interessata. Il petto iniziò ad abbassarsi e alzarsi lentamente, come se il tempo avesse rallentato la sua inesorabile corsa. Le sue gambe tremavano quando Bokuto guardò a destra e a sinistra, pronto per attraversare la strada sulle strisce pedonali.
  
Ad Akaashi scappò un urlo e provò anche a raggiungerlo. Koutarou, continuando a camminare, alzò il capo e lo guardò confuso.
  L’auto colpì il più grande prima ancora che se ne rendesse conto. Il suo corpo fu spinto in avanti di diversi metri, immobile. Non si sentì nessun suono accetto quello dello schianto; calò un silenzio gelido e mortale per alcuni istanti prima che si scatenasse il panico.
  
Keiji cadde in ginocchio mentre lacrime calde gli scorrevano sul viso, proprio come la prima volta. Lanciò un’occhiata alla sua destra, dove la piccola folla si stava radunando, e il dolore arrivò improvvisamente, pesante come un macigno. Piegò il busto scosso dai singhiozzi fino ad appoggiare la fronte sull’asfalto; poco lontano, il sangue lo macchiava.
  
Il suo sangue.
  
Akaashi aveva fallito, di nuovo.

  «Gli allenamenti sono sempre così stancanti».
  Akaashi ridacchiò. Bokuto amava la pallavolo e il più delle volte era felice di partecipare agli allenamenti, anche se in alcune occasioni era difficile convincerlo ad alzarsi. Camminavano l’uno accanto all’altro lungo le strade affollate della città e il più grande teneva un braccio avvolto alla sua vita.
  «Lo so, ma servono. E alla fine sei sempre contento e soddisfatto».
  «Ma ‘Kaashi, non vieni a vedermi nemmeno oggi».
  A volte sapeva essere davvero insistente come un bambino. Sorrise, Akaashi, e lasciò un bacio sulla guancia per poi allontanarsi. Con una mano raggiunse quella dell’altro e intrecciò le loro dita. Lo facevano spesso, ormai non si preoccupavano più degli sguardi su di loro in quelle occasioni: con il tempo andavano riducendosi, e ne erano contenti, ma lo sarebbero stati in ogni caso. Si fermarono prima di attraversare la strada, aspettando che il semaforo diventasse verde.
  Stavano insieme da quasi nove anni. Si erano conosciuti e fidanzati quando lui aveva solo diciassette anni, e ora che ne aveva venticinque poteva dire di essere sempre più certo del suo compagno. Qualche volta gli passava per la mente di cominciare a parlare di matrimonio, ma non aveva mai trovato fino a quel momento l’occasione giusta. Avrebbe potuto semplicemente comprare un anello e fare all’altro la proposta, ma non era in quel modo che loro due prendevano le decisioni: certo, Koutarou era una persona impulsiva e il più delle volte riusciva a sorprenderlo, ma solo nelle situazioni meno importanti. Le nozze sarebbero state un enorme cambiamento nella loro vita e avevano bisogno di parlarne prima di compiere un simile passo.
  Erano felici. Vivevano la loro vita insieme con le preoccupazioni della quotidianità e senza problemi gravi di alcun tipo. Avevano progetti da realizzare, obiettivi da raggiungere, non facevano altro che supportarsi l’un l’altro nei loro impieghi e nelle loro passioni; a volte discutevano, com’era normale, ma alla fine tornavano sempre a dormire nello stesso letto la sera, e spesso abbracciati. Ad Akaashi piaceva la sua vita.
  A volte provava sensazioni strane, però. Gli sembrava di aver già vissuto alcuni momenti e di affrontarli per la seconda volta, ma tutto durava un secondo e non dava mai troppo peso alla questione. Bokuto diceva che era come in Matrix, ma lui non l’aveva mai visto e non riusciva a capire la citazione – e ogni volta era quasi costretto a guardarlo, ma riusciva a scamparla.
  Venne tirato per un braccio e si riscosse dai suoi pensieri. Koutarou aveva iniziato a camminare, e lui non si era nemmeno reso conto che il semaforo era diventato verde.
  «Dopo gli allenamenti potremmo andare fuori a cena», propose ad Akaashi il più grande. «Non lo facciamo da un po’ e mi piacerebbe portarti».
  Akaashi annuì. Dopo solo alcuni minuti le loro strade dovevano separarsi, così si fermò e separò le loro mani. «Va bene, allora dimmi quando hai finito. Io penso che sarò già a casa». Si avvicinò per lasciargli un veloce bacio a stampo, e lo vide sorridere quando si allontanarono.
  «Va bene, ‘Ji», rispose.
  Si salutarono velocemente prima di imboccare strade diverse.

  Non avrebbe mai dimenticato la prima volta che aveva visto morire Koutarou. Aveva finito di lavorare più tardi del previsto quel giorno, così l’aveva chiamato e insieme avevano deciso di incontrarsi a metà strada per tornare a casa. Pensò a quel momento mentre si alzava in piedi e lo salutava: era bello come sempre, Bokuto, e gli sorrideva. Eppure Akaashi non riusciva a togliersi dalla testa il rumore sordo del corpo del suo ragazzo che sbatteva contro l’auto e cadeva diversi metri più distante, e la vista di lui immobile e privo di vita.
  
Se avesse dovuto spiegare cosa stava succedendo nella sua vita, non avrebbe saputo farlo. Tutto ciò che capiva era che c’era qualcosa che accadeva, e tutto perché Koutarou non doveva morire. Lui aveva la possibilità di salvarlo, e non se la sarebbe lasciata scappare, anche a costo di ritentare decine e decine di volte. Doveva solo capire il modo di evitare l’incidente, ma per ogni soluzione fino a quel momento aveva sempre trovato altri ostacoli lungo il cammino: se la prima volta non aveva capito cosa stesse accadendo e il corso degli eventi era rimasto invariato, in seguito aveva provato a impedire a Koutarou di andare agli allenamenti, ma non era riuscito a convincerlo in nessun modo e tutto si era comunque ripetuto; aveva provato a non avvisarlo di aver finito prima di lavorare, ma Koutarou era comunque passato per la stessa strada. Infine aveva provato a raggiungerlo prima che mettesse piede sull’asfalto, ma era arrivato troppo tardi. E così Koutarou, per ben quattro volte da quando quella situazione si ripeteva, aveva perso la vita davanti ai suoi occhi.
  
Quella volta l’avrebbe impedito.

  «Ho finito tardi di lavorare e non sono ancora tornato. Se vuoi ci possiamo incontrare a metà strada, così andiamo a casa insieme», propose a Koutarou. Aveva il telefono tra la spalla e l’orecchio, la borsa in una mano e con l’altra chiudeva a chiave la porta dello studio. Si mise poi in punta di piedi per abbassare la saracinesca.
  «Certo, allora ti vengo incontro. Sono stanchissimo, ‘Ji».
  Akaashi rise prima di cominciare a camminare. Non era stata una giornata particolarmente impegnativa per lui, anche se aveva dato il meglio di sé come sempre; gli allenamenti invece dovevano aver tolto al più grande tutte le energie, e lui non vedeva l’ora di rilassarsi a cena fuori.
  «Ci vediamo davanti al centro commerciale», concluse. L’altro approvò, e poi si salutarono.
  Ancora, Akaashi ebbe l’impressione di aver già vissuto quel momento e senza pensarci accelerò il passo; notò alcune persone fermare lo sguardo su di lui, ma non se ne curò. Aveva la terribile sensazione che qualcosa stesse per succedere, qualcosa che avrebbe cambiato definitivamente la sua vita. Cercò di tranquillizzarsi, e se anche rallentò il passo non riuscì del tutto a eliminare la pressione sul suo petto. Aveva bisogno di vedere Koitarou: solo in quel caso sarebbe riuscito a rimanere calmo.
  Davanti al centro commerciale guardò lungo il marciapiedi opposto per individuare il suo fidanzato. Sbottonò i primi due bottoni della camicia, si sedette su una panchina e attese alcuni minuti soltanto prima di sentire il suo cognome urlato da un punto non troppo distante da lui. Alzò il capo e vide Bokuto salutarlo con un sorriso, in attesa davanti alle strisce pedonali; guardò a destra e a sinistra un paio di volte prima di iniziare ad attraversare la strada su di esse. Akaashi si alzò in piedi, lo guardò, ma quella sensazione ancora non accennava a sparire, anzi, sembrava sempre più grande.
  Da un vicolo poco lontano uscì una macchina. Svoltò a velocità elevata, si inserì sulla strada principale e non sembrava tenere conto di nessuno, nemmeno dei pedoni.
  Akaashi cominciò a correre ancora prima di rendersene conto, ma Bokuto fece appena in tempo a voltarsi. Udì il rumore dello schianto e per diversi istanti le sue orecchie fischiarono, i piedi si mossero lenti e tremanti. Con la coda dell’occhio vide realizzato il suo peggior incubo e tutto quello che riuscì a fare fu crollare in ginocchio sull’asfalto, fissarlo con gli occhi sgranati e respirare velocemente annaspando alla ricerca di aria. Perché non faceva nulla? Perché non correva, non gli stava accanto, non controllava se stesse ancora respirando. Strizzò gli occhi mentre due piccole folle si radunavano, una intorno a lui e l’altra intorno a Koutarou, poi si piegò con il busto fino a toccare l’asfalto con la fronte. Il suo busto iniziò ad essere scosso dai singhiozzi quando sentì le persone attorno a lui confermare ciò che la sua mente aveva solo immaginato. Poco lontano da lui, macchie del suo sangue rendevano tutto tremendamente vero.
  Forse perse conoscenza.
  Quando aprì gli occhi era steso sul loro letto e Koutarou dormiva accanto a lui. Si alzò a sedere di scatto, respirando pesantemente, cosa che svegliò il fidanzato. Keiji non capiva, ma si disse che tutto doveva essere stato un incubo. Si passò una mano tra i capelli e, tra le braccia del più grande, riuscì a riaddormentarsi. Eppure tutto sembrava uguale al suo sogno, persino le parole che gli venivano rivolte.
  Nel corso della giornata, tutto si svolse come nel suo sogno. Persino la sua morte, e Keiji fece le stesse identiche cose per poi risvegliarsi nuovamente nel suo letto.
  Non capiva cosa stesse succedendo, ma era certo di una cosa: avrebbe impedito la sua morte ad ogni costo.

  Inizialmente non credeva che tutto quello potesse essere vero. Credeva che quel genere di cose succedesse soltanto nei film, ma si era dovuto ricredere: pochi minuti dopo l’incidente, tutto per lui ricominciava e aveva a disposizione un’altra occasione.
  
Non faceva mai meno male. Vedeva il corpo immobile di Bokuto steso sulla strada e la paura, il dolore e il panico prendevano possesso di lui esattamente come la prima volta. Tuttavia sapeva di poter rimediare in qualche modo, e così quel male diventava la sua forza.
  
Quel giorno non era andato al lavoro. Aveva chiamato con una scusa e aveva mentito a Koutarou dicendo che non era necessaria la sua presenza quel giorno, e lo aveva accompagnato agli allenamenti con l’aria tesa di chi non vedeva l’ora che la giornata finisse. L’altro lo notò, ovviamente.
  
«Va tutto bene?», gli chiese mentre tornavano a casa. Stava calando la sera, l’ora dell’incidente si avvicinava e lui era esausto. Da tutto il giorno non riusciva a fare altro che pensarci, ma doveva rimanere tranquillo per il bene dell’altro.
  
«Certo», rispose semplicemente.
  
Prese un profondo respiro. Guardava l’orologio continuamente, tentava di evitare quella strada a tutti i costi.
  
«Se passiamo di qua facciamo prima. Sono stanco, ‘Ji, non ho molta voglia di camm-»
  
«Ti prego andiamo da questa parte», lo interruppe senza pensarci. Lo guardò negli occhi con tutta la forza che aveva in corpo, quasi disperato. Se lo avesse ascoltato probabilmente non sarebbe cambiato nulla; per evitare di perdere la vita avrebbe dovuto lasciare che attraversasse da solo con una scusa: Keiji non sarebbe riuscito a sopportarlo. «Ti prego», ripeté stringendo con forza la sua mano.
  
Koutarou lo guardò senza parole per alcuni secondi, evidentemente confuso. Keiji aveva già provato quel metodo diverse volte, così come tanti altri, ma tutti avevano fallito; non riusciva più a vedere quella scena davanti ai suoi occhi, voleva mettere fine a tutta quella storia.
  
Evidentemente il suo sguardo lo convinse. Koutarou mise una mano sul suo viso e lo accarezzò piano prima di baciarlo a stampo sulle labbra. Annuì poi e riprese a camminare, ridendo e parlando insieme a lui.
  
Diede un’occhiata all’orologio e sorrise, sentendosi leggero, quando si accorse che quell’ora e quel minuto erano passati. Trattenne le lacrime per tutta la sera, per tutta la loro cena fuori, per tutta la notte, finché non crollò addormentato.
  
La mattina dopo, tutto era diverso. Era strano, ma Keiji lo trovò bellissimo, e come prima cosa volle fare l’amore con Koutarou. Perse minuti interi baciandolo, contento di poterlo ancora stringere, emozionato di poter ancora sentire la sua voce, che tutto quello fosse finito. L’altro non capì e continuò a chiedergli che cosa stesse succedendo, ma l’emozione era troppa per permettere ad Akaashi di parlare.

  Ancora non riusciva a capire come tutto quello fosse accaduto, ma tutto ciò che gli interessava era avere Koutarou accanto a sé ancora e ancora, per molti anni.

   
 
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