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Autore: RaElle    17/08/2020    1 recensioni
Un aereo di linea, il volo 475 della Japan Airlines era partito da Sendai alle 19, con arrivo previsto per le 22 circa all'aeroporto di Naha.
Ai comandi del velivolo, il noto pilota della compagnia Oikawa Tooru, il copilota e sette membri dell'equipaggio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kozune Kenma, Ryuunosuke Tanaka, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Raggiunse la grande sala d'attesa tirandosi dietro i trolley, appena passati gli ultimi controlli del bagaglio a mano, seguendo con sguardo attento la marcia imperiosa della figlia. Camminava svelta, quanto più le permettevano le sue gambette, le braccia incrociate e un broncio che non sembrava volerla abbandonare. Sospirò senza farsi vedere, poi spostò lo sguardo sulla moglie, che a sua volta trascinava la valigia piccola della figlia. Stava tentando di conversare con lei, ma la più piccola era ostinata nel suo mutismo.
"Junko..." Wakatoshi richiamò solo allora la figlia, che si fermò di colpo, ma senza voltarsi verso di lui: continuò a dargli le spalle. "Quando tua madre ti parla, devi rispondere" le disse quasi con apatia, cercando di non suonare troppo brusco o cattivo.
Con lentezza, Junko si voltò, ma gli scuri occhi umidi rimasero puntati sul pavimento lucido dell'aeroporto. Stava stringendo così tanto le labbra che di loro non rimaneva visibile che una sottile linea rosa.
"Papi..." cominciò con voce lamentosa, cercando di trattenere le lacrime. Quando si accorse di non riuscirci, lasciò che scorressero inermi sulle proprie guance. "P-papi".
Wakatoshi si scambiò un'occhiata esasperata con la moglie, poi trascinò i trolley fino alle prime sedie disponibili, e tornò sui propri passi. "Tesoro, non puoi fare così" disse alla figlia, abbassandosi alla sua altezza per prenderla tra le proprie braccia. Avvertì immediatamente le braccia di lei avvolgersi attorno alle sue spalle con forza, mentre i singhiozzi si facevano sempre più radi.
"Ne abbiamo parlato a casa. Avevi promesso che non ti saresti comportata così" si aggiunse a loro Ichi, sua moglie.
Junko nascose la testa nel petto del padre, e parlò. "Mami, voglio solo sedermi vicino al finestrino!" le parole vennero fuori soffocate dal contatto col torace di Wakatoshi, ma era un discorso che avevano già affrontato, e l'idea di ripetersi ancora una volta non piaceva né a Wakatoshi, né a Ichi.
"Non siamo noi a scegliere" ripeté con ostinazione Ichi, sedendosi e indicando un posto libero accanto a sé a Wakatoshi, che si accomodò sempre con la figlia tra le braccia. "Sono i signori dell'aereo a scegliere il nostro posto, lo sai".
Junko tirò su col naso, staccandosi quel poco dal padre per parlare. "Ma io voglio guardare giù" si lamentò a bassa voce, puntando poi gli occhi supplicanti sulla figura di Wakatoshi. "Papi, per favore!"
Ichi gettò un'occhiata torva al marito, accusandolo silenziosamente solo lei sapeva di cosa.
"Che c'è? Che ho fatto adesso?" chiese Wakatoshi sorpreso, sentendosi minacciato da quello sguardo.
"Non capisci?" sbottò Ichi a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri passeggeri che come loro attendevano solo l'arrivo dell'aereo. "Continui a viziarla e questo è il risultato! Ora arrangiati da solo!" concluse con veemenza. Prese una cartellina dalla borsa a tracolla e prese a sfogliare i documenti di tutta la famiglia, ignorando la loro presenza accanto a lei.
Wakatoshi rimase in silenzio. Cinse le spalle della figlia, avvolgendola del tutto tra le proprie braccia. "Ora la mamma si è arrabbiata anche con me" le disse, baciandola sulla fronte.
"Non è giusto!" ribattè Junko, offesa da quella scoperta. "Perché?" e nel chiederlo, allungò una mano verso il braccio della madre, per attirare la sua attenzione. "Mami".
"Mh" rispose Ichi senza alzare lo sguardo dai biglietti aerei, dedicandole la minima attenzione.
Junko si mosse a disagio, poi parlò con l'ingenuità che solo i bambini hanno. "Papi non è cattivo, non puoi arrabbiarti con lui".
Ichi inarcò un sopracciglio, poi alzò gli occhi al cielo prima di girarsi nella loro direzione. Wakatoshi aveva un accenno di sorriso sul volto rilassato, mentre Junko sembrava sul piede di guerra.
"Adesso la stai pure mettendo contro di me?" gli chiese Ichi, mollando la cartella sulle ginocchia, già dimentica di quei documenti.
"Io non ho fatto nulla" rispose Wakatoshi, cullando la figlia. "Lei ha visto che non ti ho fatto niente e ha preso le mie difese".
Ichi soppesò le sue parole, poi guardò entrambi, uno dopo l'altro. Infine decise che sarebbe stato meglio ignorarli, riprese i documenti e tornò a spulciare tra i vari fogli.
A quel punto, le dita affusolate di Wakatoshi abbandonarono la schiena di Junko, per avvicinarsi al volto contratto di Ichi. Passavano leggere sulle guance, carezzandola come una piuma, quasi solo sfiorandola, gesti lievi, ma che fecero arrossire di poco Ichi. Amava quando il marito la coccolava in quella maniera, mai troppo sfrontato né aggressivo. Trovava romantico quel suo modo di porsi, allo stesso tempo così riservato: erano così rare le volte in cui si lasciava andare alle coccole... non si sarebbe detto, ma di solito era una bestia divorata dalla passione, cosa che non le dispiaceva affatto.
"Stai cercando di farti perdonare?"
"Sì" ammise senza vergogna Wakatoshi, portando le dita a stuzzicare le labbra sottili di Ichi. Le ritirò solo quando lei fece per mordergliele, scherzosamente. "Allora, sono perdonato?"
Ichi strinse gli occhi per qualche attimo, poi si rilassò. "Lo sei" acconsentì. "Ma Junko" e nel dirlo, puntò un dito intimidatorio contro la faccia della figlia, "non starà accanto al finestrino".
Junko arricciò le labbra, poi affondò il volto nel petto di Wakatoshi, stringendosi più forte a lui. "Papi..."
"E niente lamentele" riprese Ichi. "A meno che tu non voglia sederti sulle gambe di un perfetto sconosciuto".
Wakatoshi si girò verso la moglie con curiosità. "Cosa vorresti dire?"
Ichi sbandierò i due biglietti aerei, poi spiegò: "Tesoro, non siamo vicini".
Wakatoshi le tolse dalle mani i biglietti, e controllò a sua volta. "Perché non ce ne siamo accorti prima?" chiese, più a se stesso che non a Ichi. "È strano".
"Papi?"
Wakatoshi strinse Junko. "Questo significa che non saremo vicini. Ma tu sarai con la mamma".
Ichi li osservò, e non potè non notare lo sguardo spento di Junko a quelle parole. "Cos'è, non vuoi stare con me?" le chiese.
Junko scosse con forza la testa. "Sì che voglio stare con te! Ma tu non mi lasci guardare giù... o posso?"
Al diniego di Ichi, Junko si limitò a sbuffare leggermente. "E va bene" acconsentì infine, tutt'altro che contenta, spalmandosi sul torace del padre.

***

"Tutto in regola," esordì Oikawa, rientrando in cabina dopo i controlli esterni dell'aereo. "Non ci sono problemi".
"Perfetto, Comandante. Inizio con la checklist, allora" gli disse Kageyama, seduto accanto a lui, prendendo in mano il plico di fogli.
Oikawa annuì, ammirò la moltitudine di pulsanti, leve, comandi e allarmi che lo attorniavano. Le luci degli strumenti erano ancora tutte spente, tranne la spia del Ground Power, l'energia elettrica con cui veniva alimentato l'aereo da terra. "Assolutamente" confermò poi, guardando il suo Primo Ufficiale per qualche secondo. "Prima non ho avuto modo di parlarti, quando ci siamo incontrati. Ci conosciamo già, noi due," disse.
"Meglio iniziare. Freno del parcheggio" disse a voce ferma Kageyama, ignorando quella che era suonata come un'affermazione, piuttosto che come una domanda.
"Inserito". Oikawa tirò la leva, posta tra il proprio sedile e quello del Primo Ufficiale, finché non si accese la spia rossa.
"Batteria dell'aereo".
"Accesa" disse ancora Oikawa, tirando un altro pulsante posto sopra la propria testa e assistendo all'accensione contemporanea delle spie del sistema di bordo.
"Pompe idrauliche?" chiese Kageyama, continuando a consultare la lista di pre-decollo.
"Spente".
"Carrello di atterraggio..."
"Leva bassa".
"Test dell'impianto antincendio" chiese Kageyama.
Oikawa tirò le levette e attese qualche secondo, finché non risuonò l'allarme di corretto funzionamento.
"Luci di posizione".
Oikawa tirò altre piccole leve per accendere le luci verdi e rosse che si trovavano sulla punta delle ali.
"APU?"
"Generatore ausiliario attivato" gli rispose Oikawa, portando il comando dell'APU su ~Start. Gli strumenti di bordo smisero di essere alimentati da terra, ma iniziarono a ricevere energia dal piccolo generatore che si trovava a bordo dell'aereo.
"Allarme superamento di velocità massima consentita?"
"Allarme funzionante" fece Oikawa, dopo averlo provato.
"Misuratore dello stallo?"
Oikawa premette i due pulsanti, e quando il rumore graffiante dell'allarme risuonò attorno a loro, diede la sua conferma. "Attivo".
Controllarono che le guardie dei dispositivi idraulici fossero abbassate, passarono ai test elettrici e testarono la funzionalità del Cockpit Voice Recorder, una delle due scatole nere presenti sull'aereo, attivando in quel modo la registrazione dei suoni all'interno della cabina di pilotaggio.
Iniziarono a programmare il computer di bordo, inserendo il piano di volo, e impostando il peso totale presente tra passeggeri, bagagli e carburante.
Inserirono di quanta potenza motore necessitassero durante il decollo, impostarono i flap e le varie velocità. Inserirono l'altitudine iniziale riferita loro dalla torre di controllo, controllarono che il pilota automatico fosse spento, e configurarono l'altimetro.
Continuarono così finché non arrivarono agli allarmi delle cinture di sicurezza, ormai certi che i passeggeri fossero tutti a bordo.

***

"Papi, posso salire con te?"
Ushijima scosse la testa. "Questo non è possibile. Io salgo nella porta davanti. Tu e la mamma invece dovrete salire dall'altra parte... però ci vedremo quando saremo ai nostri posti e l'aereo avrà preso il volo!" si affrettò a dire, notando le labbra della figlia tremolare piano.
"Va bene" acconsentì lei, staccandosi dalla gamba della madre. "Allora ciao, papi" e gli si avvicinò. Wakatoshi si abbassò di riflesso, e Junko gli lasciò un bacio sulla guancia, guadagnandone uno sulla fronte da parte sua.
"Ci vediamo di sopra, tesoro" la tranquillizzò, avvolgendola in un abbraccio veloce. Poi si rimise in piedi, guardando la decisa ostinazione di Ichi. "Diamo un bacio anche alla mamma, altrimenti si offende".
Ichi sollevò un sopracciglio, decisa a non lasciargli fare niente, ma le parole le morirono sul nascere, quando le labbra di Wakatoshi si plasmarono sulle sue, spingendosi con inaspettata dolcezza. Il tutto non durò che pochi secondi, quando si accorsero entrambi che forse era qualcosa di inappropriato da fare davanti alla figlia e alla folla di passeggeri che stavano attorno a loro. "Riprenderemo dopo" chiarì Wakatoshi, facendola sbuffare.
"Certo, come no. Ora vai, io devo vedermela con questi due trolley. Ma non potevo mandarli in stiva?" fece, indicando la sua valigia e quella di Junko.
"Troppo tardi" rispose Wakatoshi. "Dai, ci vediamo dopo". Tentennò ancora qualche secondo, poi abbassò la mano ad arruffare i capelli scuri di Junko. "Bimba mia, sei bellissima. Sei tutta tuo padre" le disse, ricevendo in risposta da parte sua un sorriso raggiante. Ichi finse di non sentire e non vedere il marito, spinse delicata un braccio sulla schiena della figlia e si tirò dietro entrambi i trolley, dando le spalle a Wakatoshi senza dargli la soddisfazione di una risposta.
"Comunque scherzavo" si corresse Wakatoshi, rilassato, quando le sue donne furono qualche passo più lontane da lui. "Sei bella anche come la mamma".
Ichi si voltò per un solo istante, guardandolo divertita: "glielo dici sempre, non ti stanchi mai?" poi riprese la strada verso le scale della porta posteriore.
Ushijima si avviò verso la porta che avrebbe dovuto varcare lui, col biglietto nella tasca della giacca e il trolley dietro.

***

Ryunosuke Tanaka aveva rilasciato da poco un invisibile sospiro di sollievo dopo aver controllato i documenti dell'ultimo passeggero, quando si rese conto che lo spettacolo vero e proprio doveva appena iniziare.
Si avvicinò con calma e affabilità ad un ragazzino dall'aria smarrita, e lo aiutò a infilare la sua valigia nella cappelliera, a cui non arrivava. Tanaka occhieggiò con curiosità la strana capigliatura del ragazzo: un lato della testa era circondato da lunghi capelli biondi, mentre l'altro lato era quasi completamente rasato; in mano reggeva una consolle accesa, e solo quando si rese di conto di essere osservato, quello gli rivolse un ringraziamento quasi impercettibile, per poi infilarsi nel posto vicino al finestrino senza degnarlo di altre attenzioni, di nuovo rapito dal suo gioco.
Tanaka si fece strada tra persone che ancora cercavano il proprio posto e valigie ingombranti, issò i bagagli per coloro che non raggiungevano le cappelliere e chiuse a forza quelle che non volevano saperne, aiutò i più distratti a trovare la fila a cui erano stati assegnati nel biglietto, e solo allora gli venne incontro la visione di un corridoio finalmente vuoto da oggetti e persone.
Fece una veloce perlustrazione tra i sedili, invitando tutti a mettersi la cintura, tenere i tavolini chiusi, lasciare gli schienali nella posizione originale in cui erano stati trovati all'imbarco e mettere via i dispositivi elettronici almeno finché non avessero superato il decollo.
Una voce calda e cadenzata riempì allora il velivolo, spezzando quella monotonia fatta di bisbigli e sussurri, attirando l'attenzione dell'equipaggio e di buona parte dei viaggiatori.
"Signore e signori buonasera, è il Comandate Tooru Oikawa che vi parla. Benvenuti a bordo della Japan Airlines. Il decollo è previsto tra pochi minuti. Il tempo di percorrenza previsto è di 2 ore e 15 minuti. A nome di tutto l'equipaggio, vi auguro un buon viaggio".
Tanaka, nella sua elegante giacca scura, si mise in un punto ben visibile del corridoio dalla maggior parte dei passeggeri, e poi, come di routine, iniziò la dimostrazione delle procedure di sicurezza da mantenere prima, durante e fino alla fine del volo se necessario.
Mentre la voce di una collega recitava le norme di sicurezza al microfono, alternando giapponese e inglese per i turisti, Tanaka mostrava nei fatti ciò che i passeggeri avrebbero dovuto fare, non solo in caso di emergenza.
Mostrò come chiudere e aprire la cintura, si portò la mascherina dell'ossigeno sulla faccia, indossò il giubbotto salvagente e infine indicò le uscite di sicurezza e il tragitto illuminato che segnalava quelle stesse uscite.
Aveva fatto quelle dimostrazioni tante di quelle volte da conoscerle a memoria. A lungo andare avevano preso la parvenza di una danza bizzarra; le braccia seguivano il ritmo alzandosi per indossare il giubbotto, mentre le mani brandivano la maschera dell'ossigeno come fosse un microfono. Aveva il suo ristretto pubblico, passeggeri diversi per ogni viaggio, e questo alimentava il suo amore per quel lavoro che gli dava tante soddisfazioni.
E quando anche le dimostrazioni furono terminate, si ritirarono dalla cabina passeggeri.
"Assistenti, pronti al decollo!"
La voce calibrata del comandante pose fine al loro servizio in cabina finché non si fossero trovati all'altitudine di crociera adatta a fargli riprendere il servizio di catering.
Tanaka si allacciò la cintura, e Kindaichi prese posto accanto a lui. Quando l'aereo prese a rullare sulla pista, il più giovane gli chiese: "prossima tappa?"
Tanaka ghignò con evidente piacere, poi si stirò le braccia con soddisfazione. "La mia prossima tappa sarà prendere il sole per i prossimi tre giorni, sdraiato e in totale relax sulle spiagge di Kerama, mentre voi ve ne dovrete tornare a Sendai su questo bestione di metallo!" e nel dirlo, picchiò una mano sulla parete accanto a lui. "Vi penserò" mentì poi, divertito.
"Come no" borbottò Kaori Suzumeda, togliendosi i tacchi per far riposare i piedi in attesa del decollo. "Sono tre volte che faccio questa tratta in questo periodo, e ancora non ho avuto la fortuna di farci un salto per godermela a dovere. Questo lavoro è snervante".
"Mah, per me non lo è" rispose Tanaka, mentre l'aereo prendeva sempre più velocità sulla pista. "Io lo adoro sto lavoro. Tutto quanto. Ci credi se ti dico che mai, nemmeno un minuto, mi sia sentito stressato?" le chiese, sporgendosi per vedere la collega. "Beh, è così!" annuì convinto, tornando a sedersi composto. "Le turbolenze non mi hanno mai fatto vacillare, e cos'è mai un atterraggio di emergenza in un paese che non conosci? Adoro questo lavoro, adoro quando controllo quei fottuti passaporti e quando chiudiamo il portone! Non sono un pilota, magari! Ma faccio parte dell'equipaggio che porta sano e salvo questo bestione a terra, ogni volta. Per le emergenze, i passeggeri si rivolgono a noi, e noi abbiamo potere decisionale su cosa fare e come comportarsi..."
"Ha cominciato" si lamentò Kaori, portando teatralmente gli occhi al cielo.
"E vorrei ricordarti, Tanaka, che l'ultima volta che un passeggero voleva aiuto da te, era una nonnina di 90 anni che non trovava il bagno" infierì Kindaichi, scatenando le risate degli altri assistenti.
Tanaka si girò verso il finestrino, e ammirò il paesaggio che si allontanava sempre più da lui, sempre più lontano, lì in basso. Una sola volta si era reso veramente utile, ricordò. Era rimasto in piedi per tutta la fase di atterraggio di un volo, tenendo la mascherina dell'ossigeno ad un signore che aveva avuto un malore e che necessitava di cure mediche non appena avessero raggiunto l'aeroporto. Si era staccato da lui solo quando i medici del pronto soccorso erano entrati in cabina passeggeri. Strinse il pugno al ricordo, ma si rilassò dopo poco. Aveva capito da tempo che non gli importava cosa pensassero gli altri del suo quanto mai esagerato entusiasmo.
"Se anche fosse solo una nonnina ultra centenaria a chiedermi dov'è il bagno" disse, di nuovo animato come prima ma più contenuto nei toni, "io sarei ben lieto di accompagnarla anche fino alla porta e aspettarla per riaccompagnarla dopo al suo posto. Non ha importanza, anche quello mi ripaga di questo lavoro. Tutto, io di questo lavoro apprezzo tutto".

***

Kuroo si staccò le cuffie dalle orecchie, annoiato. Quando mise via il telefono, si affacciò nel corridoio, guardando qualche sedile davanti a lui. Nello stesso istante, una bambina separata da lui dal corridoio fece lo stesso, puntando gli occhi su una figura maschile che stava ricambiando il suo saluto da poco lontano. Kuroo avrebbe voluto fare lo stesso, giusto per far innervosire i suoi amici, ma quelli non stavano guardando nella sua direzione. Decise di fare il maturo, e si alzò dal proprio posto.
Raggiunse in pochi passi l'uomo che prima salutava quella che doveva essere la figlioletta, e vide le teste ciondolanti di Bokuto e Kenma accanto a lui.
Kuroo si prese il tempo di scattargli qualche fotografia, divertito, mentre lo sconosciuto lo guardava con fare scettico e preoccupato.
"Sono miei amici" spiegò Kuroo, "È solo uno scherzo innocente".
"Ah, va bene" acconsentì il giovane uomo, ancora poco convinto.
Kuroo si piegò in avanti, ignorando le perplessità dell'altro, e con una manata poco gentile richiuse la bocca a Bokuto, svegliandolo di colpo. "Bell'addormentato!"
"Ma ch-"
"Stavi sbavando. Che schifo!"
Bokuto si passò istintivamente il dorso della mano sul mento, guardando male l'amico. "Si può sapere che vuoi?"
Kuroo sorrise. "Mi annoiavo".
Bokuto sembrò reprimere un ringhio, poi si girò verso Kenma, che stava assistendo allo scambio di battute con gli occhi ancora semi chiusi dal sonno. "Quanto manca?" chiese sbadigliando.
"Mah. Siete crollati come due poppanti, non vi vergognate? Pensavo che steste almeno discutendo di affari. Mi avete deluso" e finì la sua sceneggiata con un ghigno poco rassicurante. "Kenma..."
Kenma evitò lo sguardo indagatore dell'amico, e si passò una mano tra i capelli lunghi. Poi, come d'istinto, fece scorrere la mano sulla parte rasata della testa, sentendo sotto le dita le punte ispide dei capelli che stavano ricrescendo.
"Kenma, sei fregato anche sta volta!" si intromise Bokuto, mollandogli una gomitata nello stomaco.
Kenma reagì con apatia al colpo e alle parole degli altri, poi fissò lo sguardo sul sopracciglio destro di Bokuto, dove un piercing rifletteva la debole luce della cabina. Poi scosse la testa, tirando fuori dallo zaino che teneva sulle ginocchia la propria psp. "Niente piercing" disse.
"E invece ti toccherà. Ora ti ritrovi con i capelli solo da un lato della testa, la prossima volta sarà un bel piercing alle labbra, e ringraziaci per non avere scelto la lingua" disse con fare angelico Kuroo.
Kenma non perse tempo a guardarlo. Sapeva che tra i tre, Kuroo era quello che se la passava meglio. Non aveva ancora perso una sfida, non si era mai tirato indietro. Anche Bokuto si era trovato a dover mollare, e il piercing al sopracciglio era una prova palese del suo fallimento. Kenma invece aveva subito dapprima una tinta bionda che non lo convinceva affatto, e la seconda penitenza scelta dai suoi amici era quel fantasioso taglio di capelli che portava ormai da tempo.
"Niente piercing" ripeté con apatia Kenma. "Lo farò... e poi questo taglio di capelli mi piace" disse passandosi una mano sulla parte rasata. "Se continuo a tenerli così è perché piacciono a me, non perché l'avete deciso voi".
"Comunque l'hai detto anche le volte scorse" gli ricordò Bokuto, e gli battè una pacca consolatoria sulla spalla. "Non ti farà male l’ago, fidat-"
"Ma se tu hai pianto come un neonato?" lo derise Kuroo, facendo avvampare le guance di Koutaro.
"Kuuuroo!" ringhiò con imbarazzo Bokuto, guardando male il suo non più miglior amico.
"Non ha importanza. Non ci saranno piercing, non per me almeno. Lo farò. Lo faremo".
"Ballerai?" chiese Bokuto, dando le spalle a Kuroo e voltandosi verso Kenma.
"Sì, ballerò" disse, nascondendosi quasi dietro la consolle.
Kuroo sembrò rianimarsi a quell'affermazione. "La canzone l'hai già scelta? Qual è? Cosa ballerai? Cosa indosserai? Cosa faremo noi? Hai in mente una coreografia? Sarà individuale o potremo aiutarti? Allora?"
Kenma si accovacciò su se stesso, preso in contropiede dal fiume in piena che era Kuroo. Per un attimo si sentì male al pensiero di salire su quel palco, a ballare davanti a un numero indefinito di persone, ma poi il battito si regolarizzò e l'aria tornò a farsi respirabile. Chiuse gli occhi un istante e li riaprì. "Voglio ballare. E sì, ho già tutto in mente. Sarete con me... almeno credo".
A quelle parole, Bokuto fece un salto sul proprio posto, le braccia che scattavano come una molla verso l'alto, vittoriose. Kuroo non disse niente, ma bastò un semplice sguardo d'intesa con Kenma affinché tutto fosse a posto. Non avevano bisogno di dirsi altro.

***

Oikawa sciolse le cinture di sicurezza, mentre l'aereo viaggiava a velocità di crociera. Si girò col busto verso il suo Primo Ufficiale, che ripassava con poca credibilità le liste di decollo.
"Il decollo è bello che superato, Kageyama".
"Non è mai troppo" rispose scocciato l'altro, "più ne sappiamo, meglio è".
Oikawa sorrise. "Oh, lo so bene. Ma visto che siamo qui, faresti bene a controllare le liste di atterraggio, non trovi? Comunque le voci che ho sentito sono vere... stai per diventare Comandante?"
Kageyama attese qualche istante prima di dare la sua risposta, mettendo via la lista di volo. Non stava veramente leggendo, aveva passato gli ultimi minuti con lo sguardo fisso su un paragrafo ma senza sapere esattamente cosa contenesse.
"Sì" disse, "ci sto pensando".
"Quanti anni hai?"
"37. Tu?"
Kageyama osservò le labbra di Oikawa curvarsi con lentezza verso l'alto. "Quanti me ne dai?"
Di risposta Kageyama sbuffò, chiedendosi quanto potesse essere infantile quell'uomo. "Cosa siamo, all'asilo nido? È una domanda semplice".
Oikawa si passò una mano tra i capelli scuri, guardandolo con sfida. "Non mi offendo se sbagli di qualche anno. E dai, è un gioco innocente!"
"E invece è proprio quello il punto!" rispose con stizza Kageyama, "se sbagli, e di parecchi anni, anche! Mai sopportate le persone che se ne escono con questi giochetti infantili".
"Con me non attacca, caro collega".
Kageyama si chiese quanto un comandante servito e riverito in tutto il Giappone potesse trasformarsi in un bambinone simile. Ci pensò su, e mordendosi un labbro con agitazione, sparò il primo numero onesto che gli venne in mente. "46?"
Oikawa sogghignò, ghiacciando il sangue nelle vene di Kageyama. "Hai mai letto qualcuna delle mie interviste? O partecipato ad una mia conferenza?"
Kageyama si sentì stupido. Certo, Oikawa di interviste ne aveva fatte a centinaia, ma mai gli era passato per il cervello di informarsi sulla sua storia. Di solito abbandonava la lettura non appena vedeva la sua faccia stampata sulla copertina. Quanto alle conferenze, aveva assistito a più di una, ma mai era stata tirata in ballo l'età o non era stato attento a sufficienza. "Hai meno di 46 anni?" chiese con diffidenza.
Oikawa scosse la testa, divertito. "57 candeline spente lo scorso mese. Grazie, non tutti mi danno dieci anni meno di quanti ne ho. È una bella botta per l'autostima!"
"Cos-" Kageyama strabuzzò gli occhi, del tutto incredulo. "57? Sul serio?!"
"Tu non farti venire le rughe però, il lavoro di Comandante ti stressa a livelli assurdi. Una buona spalla che ti dia una mano in cabina è l'ideale; abbiamo già volato insieme in passato, un paio di volte credo, di te non posso lamentarmi, almeno per ora" disse Oikawa, non mollando comunque l'osso con le domande.
"Sei sposato, Kageyama? Hai moglie, fidanzata, figli?"
"No, no, no e no" gli rispose in automatico a tutte le domande, come se si fosse abituato a dare quella risposta.
"Come mai? Sei giovane, hai un buon lavoro, e anche se non ai miei livelli, puoi comunque considerarti un bell'uomo".
Kageyama si limitò ad alzare le spalle, senza degnarlo di una risposta. Sapeva di essere sotto osservazione, ma sperava in questo modo di far desistere l'altro dal porgergli altre domande scomode.
"Sei stato sposato in passato, forse?" insistette invece Oikawa, quasi parlando da solo, "o magari sei appena uscito da una rel..." ma le ultime parole vennero troncate sul nascere, come se avesse capito di star oltrepassando troppo il limite. "Penso che non dovrebbe riguardarmi..."
Kageyama tirò un sospiro di sollievo senza farsi vedere, ma Oikawa non gli diede il tempo di rallegrarsi che tornò di nuovo all'attacco. "Credo di aver posto la domanda sbagliata... Sei fidanzato?"
Kageyama continuò nel suo mutismo, ma una mano invisibile si era stretta al suo cuore, facendogli mancare un colpo. Perché non se ne stava zitto? Quel dannato, maledetto Oikawa...
"Non ti riguarda", risolse infine, deciso a dargli quella mezza risposta.
"Questa è già una conferma" gongolò, come se ci fosse da essere contenti. "Abbiamo ancora quasi un'ora di volo davanti a noi, tanto vale fare conversazione. Com'è?"
Kageyama aggrottò le sopracciglia, confuso. "Com'è cosa?"
"Il tuo fidanzato. O ragazzo, insomma, quello che è", disse Oikawa, tranquillo e rilassato come se avesse posto una domanda di poca importanza.
Kageyama rimase in silenzio per alcuni secondi, indeciso se mandarlo a quel paese per direttissima o se assecondare i suoi capricci da bambino. Beh...
"Più bello e giovane di te".
Tempo due secondi, e Oikawa rise di cuore, forse per la prima volta in quella giornata. "Addirittura? Mi stupisce così tanta cattiveria!"
Kageyama avvertì le guance andargli a fuoco; si meravigliava per primo di come gli fosse uscita quella battuta acida, stupida e mancante di rispetto. Non che Oikawa avesse mostrato rispetto per lui, ficcanaso com'era stato, ma lui non era abituato a dare risposte così velenose... "Comunque sia, preferisco che questa cosa rimanga tra di noi. Non voglio che la mia vita privata diventi di pubblico dominio", a differenza tua, avrebbe voluto aggiungere, ma stavolta si morse la lingua pur di non pronunciare quelle parole.
"Certo, certo", sorrise Oikawa, con le sopracciglia alzate come se volesse alludere a qualcosa. Poi indicò la meraviglia delle luci del blocco comandi che li circondavano. "Allora impegnati per arrivare sano e salvo a Naha, se non vuoi che tutto venga fuori dalle registrazioni. A te l'aereo, Comandante".

***

"Bokuto, ascolta qui" disse Kenma, passando una cuffia all'amico.
Bokuto si infilò la cuffia nell'orecchio e attese, prima che il ritmo incalzante di una canzone inziasse a martellargli nella testa... "Eminem?" gli chiese poi, voltandosi a guardare il più piccolo in faccia.
"Già" fu la semplice risposta di Kenma. "E... ho anche questo" e nel dire queste parole, chiuse la riproduzione musicale e aprì la galleria del telefono per mostrargli un video.
Bokuto prese in mano il telefono dell'altro e un sorriso gli incurvò le labbra, capendo già dall'anteprima di cosa si trattasse. Dopo aver premuto il testo di avvio, gli apparve Kenma nella sua stanza, con una felpa nera che ballava seguendo un ritmo che non doveva essere altri che della canzone che aveva sentito poco prima. Durava forse neanche un minuto, ma Bokuto fu attratto da quei movimenti come poche altre volte gli era capitato. "Ballerai veramente" disse incredulo, dopo che il video fu terminato. "Ballerai davvero!" ripeté stavolta con più entusiasmo, girandosi completamente verso di lui. "Niente piercing?!" chiese poi con incredulità.
"Niente piercing. Kuroo non ha ancora visto niente, gli faremo una sorpresa quando saremo lì. Insomma, più o meno" aggiunse, di nuovo imbarazzato.
"Cazzo, stavolta possiamo veramente sperare di vincere! Questa HipHop Taikai potrebbe essere nostra!" esultò Bokuto nella sua solita posa da vittoria, con le braccia alte e un sorriso infinito.
Kenma annuì, sentendo l'ansia e il panico impossessarsi ancora di lui, ma aveva ormai preparato già tutto ed era stupido avere paura; quanto meno, quella volta sarebbe salito sul palco a sfidare altre centinaia di ragazzini decisi ad accaparrarsi il titolo di migliori ballerini hiphop, giudicati da niente poco di meno che dai volti famosi della scena musicale e ballerina del Giappone. Avvertì l'adrenalina, e l'eccitazione all'idea di poter veramente vincere... poco credibile, Kenma aveva i piedi ben piantati a terra, ma nessuno poteva deriderlo per i suoi pensieri. Doveva essere positivo!
Bokuto si sporse verso Kenma, e si mise a guardare dal finestrino le luci vicine dell'aeroporto, borbottando parole a caso. Forse anche lui stava fantasticando di riprendere quell'aereo per il ritorno con la vittoria in tasca.
"Bokuto, sai per caso se Kuroo-san ha preso lo stendardo della Nekoma? Se sì dimmelo, che gli dò fuoco piuttosto che vederlo esposto davanti a tutti".
Bokuto ghignò, dicendo tutto e niente con quel sorriso. Kenma sospirò, affranto, quando avvertì uno strano movimento dell'aereo intero.
Si voltò di scatto verso Bokuto, e pochi secondi dopo l'uomo che stava seduto accanto a loro si slacciò la cintura di sicurezza, alzandosi in piedi mentre l'aereo traballava sotto di loro. "Jun!" lo sentirono esclamare. Si era voltato verso la coda dell'aereo, forse intenzionato ad andare lì, ma non aveva fatto in tempo neanche a muoversi che era stato richiamato a gran voce da uno degli steward che gli intimava di tornare al suo posto.
"Bokuto, cosa..."
Bokuto strinse d'istinto il braccio di Kenma, nel disperato tentativo di infondergli una sicurezza che nemmeno lui aveva. "Va tutto bene".

***

Nonostante le insistenze iniziali, Oikawa non aveva più provato a infastidire Kageyama. In realtà, non si erano quasi più scambiati parola che non riguardasse il volo nello specifico.
Non erano amici, erano colleghi che per coincidenza si erano trovati un paio di volte a volare insieme, ma Tobio Kageyama non voleva che quel volo si concludesse. Quell'essere egocentrico che viaggiava accanto a lui l'aveva chiamato Comandante! E gli aveva lasciato pieno potere decisionale sul volo per tutta la tratta... non avrebbe mai creduto possibile che lui potesse emozionarsi così all'alba dei 40 anni. Quelle parole, quel gesto, quella fiducia che gli aveva mostrato Oikawa – non qualcuno a caso, ma Tooru Oikawa, il volto ufficiale della compagnia! - lo avevano riempito di orgoglio così come gli era capitato sia quando aveva messo piede per la prima volta su un simulatore da studente, sia da Primo Ufficiale nelle prime piccole tratte. Ore su ore di pratica, volo, checklist, contatti con le torri di controllo e atterraggi... e questo poteva considerarsi il suo primo vero volo da Comandante. Le parole di Oikawa erano oro colato in confronto a qualsiasi cosa avessero mai detto altri comandanti con cui aveva viaggiato in passato.
"Ti odio" disse infine Kageyama, intimando al suo cuore di placarsi. "Sei talmente egocentrico, egoista e presuntuoso che immagino userai sto mezzuccio con tutti i copiloti che incontri per addolcirli; A te l'aereo, Comandante!" lo imitò con cattiveria. "Sarà per questo che tutti ti elogiano. Gli fai credere di avere in mano pieno potere, due paroline incoraggianti ed eccoli che nelle interviste elogiano l'immenso, il grande re dei cieli ~Oikawa! Spiacente, con me non attacca", mentì, col cuore che galoppava dalla soddisfazione.
Oikawa ascoltò senza fiatare, forse preso in contropiede, aspettò che il collega terminasse la filippica e solo allora si diede pena di parlare. "Sei stato zitto tutto sto tempo a rimuginare su quella parola? Non posso crederci" disse a mezza voce, incredulo. "Comunque nulla di tutto questo. E se pensi di farmi torto o offendermi con queste stupidaggini, beh, ho delle brutte notizie per te".
Kageyama lo osservò, di sfuggita, per poi prestare di nuovo attenzione al volo: Oikawa era più serio che mai. Forse aveva veramente colpito un punto debol-
"E prima che possa farti venire in testa altre idee assurde come questa, sappi che è anche il mio lavoro" disse Oikawa, abbandonando il cipiglio severo che aveva assunto in quell'attimo. "Formare voi primi ufficiali non tocca a me personalmente, ma toccare con mano in prima persona le vere responsabilità di un Comandante prima di diventarlo è importante, e forse anche fin troppo sottovalutata come cosa. Lo so che hai già avuto modo di pilotare con tutti gli onori un aereo, con le ore di volo che hai accumulato in questi anni sarebbe impossibile il contrario. Ma cosa dirai di me fuori da questo aereo non è qualcosa che mi preoccupa. Voi copiloti siete tutti figli da svezzare, uno vale l'altro".
"Non sono tuo figlio, per carità" borbottò Kageyama, fingendo un brivido di disgusto che fece tornare il sorriso a Oikawa. "Hai veramente dei figli?"
Oikawa ci pensò prima di rispondere. "Non proprio. La mia compagna ha due meravigliose adolescenti da una relazione precedente, ma le considero figlie mie a tutti gli effetti".
Kageyama si sentì stranamente meglio nel vedere che Oikawa aveva messo da parte l'incazzatura. Si sentì di nuovo in colpa per non essere riuscito a tenere a freno la lingua, ma ormai era fatta. Stava per parlare, forse voleva abbozzare una scusa per poter concludere quel viaggio in serenità, ma venne interrotto ancora una volta dal Comandante. "Kageyama, direi che possiamo porre fine al servizio di catering. Dobbiamo pensare all'atterraggio, avremmo dovuto già iniziare da un po'. Contatta gli assistenti".
Kageyama lo ascoltò con attenzione e si mise subito al lavoro, lasciando da parte per un momento il loro diverbio. Parlò con gli assistenti di volo, diede loro il via libera per finire il servizio e li invitò a controllare che in cabina passeggeri fosse tutto a norma e che tutti rispettassero le regole basilari, quali la cintura attaccata e i tavolini chiusi, per poter procedere in tutta sicurezza all'atterraggio.
Oikawa aveva già iniziato a consultare la checklist, guidando così Kageyama sui nuovi parametri da impostare per la discesa. Erano attimi di concentrazione, non potevano permettersi altre distrazioni.
E furono di nuovo leve, manopole, pulsanti e bottoni da premere, impostazioni e informazioni aggiornate da inserire nel computer di bordo e contatti via radio con la torre di controllo di Naha.
Non potevano spercare ulteriore tempo, erano in ritardo sulla tabella di marcia, ma ora o mai più... "Scusa. Non volevo essere stronzo prima, dimentica quello che ho detto", disse Kageyama trafficando senza sosta e seguendo le direttive che gli venivano date costantemente da Oikawa. "È... è eccitante essere qui come Comandante. È eccitante il fatto che tu stia leggendo solo la checklist-" e arrossì di botto nel dire quelle parole.
"Non volevo dire questo!" sbottò imbarazzato quando Oikawa si mise a ridere lusingato per quella sua uscita. "Non intendevo quello" ripeté cercando di darsi una calmata e imponendo al suo cuore di smettere di battere così all'impazzata. Oikawa lo stava guardando con un misto tra divertimento e tenerezza.
Kageyama sospirò forte, poi guardò fuori dai finestrini. Le luci della città ormai sempre più vicina illuminavano quel pezzo di terra altrimenti buio. Si stavano avvicinando. "È stato piacevole viaggiare con te come copilota e io come comandante, volevo dire solo questo."
"Non c'è di che, copilota" disse Oikawa, facendogli il verso. "Preferisco essere chiamato Primo Ufficiale, copilota non lo sento da decenni a quest-"
All'interno della cabina di pilotaggio risuonò un allarme.
Sia Oikawa che Kageyama videro che era l'allarme dell'altimetro.
"L'altrimetro non funziona?"
Oikawa non rispose. Spense l'allarme.

***

Tanaka non attendeva che l'atterraggio. ~Chissà se Saeko era già all'aeroporto...
Era un annetto buono che non vedeva la sorella, e avevano scelto di comune accordo di trovarsi lì per quei pochi giorni che gli concedeva la compagnia. Saeko era in pieno periodo di ferie e aveva deciso di andargli incontro per, a suo dire, far conoscere al fratellino l'uomo della sua vita. Tanaka scosse la testa, e si girò verso il finestrino per non farsi vedere dai colleghi mentre sorrideva da solo. Saeko era sempre piuttosto riservata, di solito non faceva le presentazioni solo dopo anni e la certezza che potesse esserci un futuro con il soggetto che gli voleva presentare. Per queste piccolezze, Tanaka non aveva conosciuto metà dei suoi ex. Donne.
"Cazzo, mi sono scordato... qualcuno di voi ha la crema sol-" ma le parole gli morirono in gola. Una serie di piccoli scossoni invase la cabina dove erano seduti per la fase finale del viaggio. Tanaka guardò gli altri, perplesso. Si slacciò le cinture di sicurezza con foga, seguito a ruota dai colleghi. Mentre Kindaichi si avviava verso il telefono per mettersi in contatto con la cabina pilotaggio, Tanaka e gli altri si precipitarono nella cabina passeggeri. C'era un silenzio assordante, evento più unico che raro per un mezzo di trasporto come lo era l'aereo, e vide lo stupore misto a domande mute sul volto dei passeggeri.
Passò tra i sedili invitando tutti a mantenere allacciate le cinture di sicurezza, mentre il pavimento dell'aereo continuava a vibrargli sotto i piedi. Tanaka volse lo sguardo ai finestrini, e vide avvicinarsi il suolo illuminato dai lampioni accesi a sera. Troppo in fretta. Mentre il panico generale prendeva sempre più piede tra i passeggeri, che si sporgevano sul corridoio per ricevere rassicurazioni dagli steward di passaggio, Tanaka avvertì per la prima volta il fiato mancargli all'idea dell'atterraggio. Non era affatto normale... "Hei, signore!" si ritrovò a gridare in direzione di un passeggero davanti a lui che si era alzato in piedi: "Ritorni al suo posto, immediatamente!" gridò con tutto il fiato che aveva, per evitare che altri lo imitassero, non riuscendo comunque a nascondere il terrore nella propria voce. Si sentiva come su una giostra; Tanaka si sentì sul punto di vomitare e svenire insieme. Gli girava la testa e sentiva le orecchie fischiare, si sentiva quasi in bilico, senza più equilibrio su quell'ammasso di ferro e tecnologia che era l'aereo, ma si incamminò comunque verso il giovane che si era seduto come gli era stato ordinato.
Poi, d'un tratto, le luci provenienti dal terreno sotto di loro divennero accecanti, troppo vicine, quasi beffarde. Tanaka chiuse gli occhi e si aggrappò con tutta la forza che aveva in corpo al primo sedile che gli capitò a tiro. Attorno a lui, sentì delle urla.
Poi, il nulla.

***

L'allarme continuava a suonare.
"Qualcosa non va" disse Oikawa, spegnendo ancora una volta l'allarme dell'altimetro. Ma cosa? Perché l'altezza che lo strumento riportava era errata?
Kageyama stava controllando sui moduli cosa fare quando si presentava un simile evento, ma era difficile, se non impossibile, leggere tutte quelle informazioni col rumore martellante dell'allarme che gli rimbombava nelle orecchie. Non aveva nemmeno il tempo materiale per farlo: l'aereo stava perdendo drasticamente potenza.
E a così poca distanza dal terreno, non poteva permettersi di sprecare secondi preziosi. Cazzo, in cosa ci siamo distratti per non avere seguito minuziosamente sti parametri in tempo?!
Oikawa continuava a guardare i parametri di volo, sperando in un miracolo che gli mostrasse la causa di quel problema.
"Siamo in stallo", disse poi col cuore a mille, perdendo ogni sorta di speranza quando la cloche e l'aereo presero a vibrare.
Kageyama lo guardò terrorizzato e guardò a sua volta la sua cloche che vibrava alla stessa maniera, e poi, come un fulmine a ciel sereno, puntò gli occhi sul pilota automatico.
Oikawa lo seguì, impiegò un attimo, un attimo che sembrò durare un'eternità, per capire anche lui quale fosse il problema: il pilota automatico. Secondo l'altimetro guasto, l'aereo doveva stare già atterrando... l'autopilota aveva così diminuito in automatico la velocità del mezzo, come se fossero ormai in procinto di atterrare, agevolando la discesa... nella realtà non aveva fatto altro che far perdere velocità all'aereo, che all'altitudine in cui si trovava necessitava ancora di potenza dai motori... portando l'aereo in stallo, sospeso in aria senza più alcuna spinta dai motori...
Oikawa disinstallò con urgenza il pilota automatico, per tutto quel tempo rimasto attivo, e provò a ridare potenza ai motori nella speranza di farlo uscire dallo stallo e poter così atterrare in sicurezza.
Ma era troppo tardi, erano troppo vicini...
Oikawa si girò verso il giovane collega.
"Cos'ho fatto..."
Il suolo lo accolse per la prima volta con inaspettata violenza.

***

... è notizia di pochi minuti fa il ritrovamento delle due scatole nere, appartenenti all'aereo precipitato ieri sera a pochi chilometri dalla pista di atterraggio dell'aeroporto di Naha, nella prefettura di Okinawa.
Un aereo di linea, il volo 475 della Japan Airlines era partito da Sendai alle 19, con arrivo previsto per le 22 circa all'aeroporto di Naha.
Ai comandi del velivolo, il noto pilota della compagnia Oikawa Tooru, il copilota e sette membri dell'equipaggio, tutti e nove deceduti sul colpo nell'incidente.
Nella notte, il numero di morti è salito a 49. Tra di loro 7 bambini, mentre ai feriti in ospedale è stata data la massima priorità.
L'aereo si è spezzato in due parti impattando al suolo, ma nessun incendio è divampato dopo lo schianto. Ed è per questo che sono stati 116 i sopravvissuti di questa tragedia, tratti in salvo subito dopo l'accaduto dai soccorsi e dai vigili del fuoco.
Continuano intanto le indagini della polizia sulle dinamiche dell'incidente, ora del tutto affidate ai risultati che le scatole nere forniranno. Testimonianze dei sopravvissuti riferiscono scossoni e vibrazioni all'interno della cabina passeggeri poco prima dell'impatto, indirizzando gli agenti e gli investigatori verso un probabile stallo.
Non risultano essere stati mandati segnali di emergenza alla torre di controllo dai piloti, ma la polizia...~

Wakatoshi girò la testa verso la finestra, chiudendo la mente e le orecchie alla voce decisa e seria del giornalista televisivo. Nella sua stanza non c'erano televisori, ma il volume alto lo raggiungeva senza problemi da qualche stanza lì vicina. Avrebbe preferito non sentire.
Avvertiva il lato sinistro del fianco pesante, ingombrante, e gli ci vollero alcuni secondi per capire che il braccio era ingessato.
Attorno a lui il silenzio totale invadeva ora la stanza, ma aprì comunque gli occhi, sotto sforzo. La tapparella della finestra di quell'ospedale era alzata, lasciando filtrare nella stanza la luce del sole. Accanto a lui, nascosto da una tendina, stava un altro letto.
Non sapeva chi ci fosse steso lì, non sapeva niente.
Si rese conto che il giornalista aveva smesso di parlare, e ogni rumore proveniente dal televisore si era azzerato.
Preferiva dimenticare cosa fosse successo di preciso. Tornò a chiudere gli occhi a forza, si distese sul cuscino e aspettò l'arrivo di qualche medico o infermiera per sincerarsi della sua situazione.
Chiuse e aprì le dita del braccio sinistro, ma ingessato com'era, gli sembrava completamente inerme, come se gli fosse stato tranciato via di netto dal corpo.
Allora mosse le gambe, le dita dei piedi, la testa, e assicuratosi che fossero presenti e rispondessero ai comandi del cervello, decise di rilassarsi nell'attesa che venisse qualcuno.
Era in quel limbo già da qualche minuto, quasi si stesse per addormentare, quando dei passi lievi attirarono la sua attenzione.
Questa volta risultò più difficile aprire gli occhi.
Si costrinse a farlo. La stanza era immersa nell'oscurità totale. Wakatoshi si girò verso la finestra, ma le tapparelle erano sempre alzate. Doveva essersi addormentato nel frattempo, se si era fatto buio.
Il rumore di passi divenne sempre più vicino, poi la maniglia della porta della stanza venne abbassata.
Wakatoshi strizzò gli occhi per vedere nel buio, e una solitaria figura minuscola gli si avvicinò a passi leggeri.
"Papi?"
Wakatoshi strabuzzò gli occhi, mentre il cuore cominciava a battere come un forsennato nella cassa toracica. Junko...
"Papi?"
Wakatoshi aprì bocca per parlare, ma nessun suono venne fuori, non riuscì a pronunciare nemmeno una parola. Si tirò su contro il cuscino per meglio vedere la figlia, ma tutto ciò che vide furono ombre che si muovevano ai piedi del suo letto.
"Tesoro, vieni qui" disse poi con la gola secca dall'emozione. Deglutì un paio di volte affinché la sua voce suonasse naturale. "Fatti vedere da papà" la invitò, trepidante.
Ma Junko non si mosse. "Papi, dov'è la mamma? Magari ha bisogno di me".
Wakatoshi scosse la testa, poi si ricordò che lei non poteva vederlo. "No, la mam... la mamma è andata in un bel posto, ma sono sicuro che non abbia bisogno di t-".
"Perché dici questo, papi?" gli chiese con la solita voce lamentosa che aveva imparato ad amare. "Lei è da sola, non possiamo lasciarla da sola!" continuò Junko, ormai sull'orlo delle lacrime.
"No, no", si agitò Wakatoshi, ma pur provando in tutti i modi ad alzarsi da quel letto, non riuscì a spostarsi di alcun centimetro. Si sentiva gli arti formicolare, ma non poteva alzare un dito, quasi fosse di nuovo sotto anestesia. "Non piangere. La mamma non ha bisogno di te, ora. Io ho bisogno di te. Junko, vieni qui, da papà!" la pregò, con la voce spezzata.
L'ombra si mosse alle sue parole, ma Junko continuava a rimanere invisibile ai suoi occhi.
Le luci del corridoio si accesero di colpo, illuminando la stanza di un tenue giallo. Wakatoshi spostò gli occhi sulla figlia, sperando di vederla, ma rimase deluso. Era solo un'ombra scura. Nulla di più.
"Papi, io devo andare" gli disse la sua voce, esitante. "Io sto bene, ma la mamma... la mamma mi sta chiamando".
Ushijima scosse la testa con forza. Si sentiva di nuovo paralizzato: avrebbe voluto urlarle di rimanere con lui, ma non riuscì a fare altro che lasciare che le lacrime scorressero sulle proprie guance. L'ombra si allontanò di pochi passi dal letto, e solo allora la voce gli uscì tremante dalla sua gola. "Jun!"
L'ombra scosse la testa, e si allontanò sempre di più.
"Wakatoshi".
Si dimenò nel letto, terrorizzato, maledisse quel suo braccio ingessato che gli stava impedendo di raggiungere la figlia, e richiamò con tanta più forza che poteva il suo nome.
"Wakatoshi!" gli rispose l'ombra, con una voce maschile che non aveva nulla a che fare con la figlia.
"... Junko?"
Wakatoshi aprì di scatto gli occhi. Avvertì le guance umide, gli occhi pizzicare ancora e il cuore battere a mille.
La testa era ancora rivolta verso la finestra della stanza, ora di nuovo illuminata dalla luce naturale del giorno, ma il dolore al petto non voleva saperne di andarsene. "Jun", sussurrò a fatica, mentre altre lacrime arrivavano a distorcergli la vista, scivolavano via scorrendo lungo il naso e arrivando infine a bagnare il cuscino.
Una mano grande, ruvida, gli passò con una delicatezza ormai dimenticata sulla guancia, asciugandogli quelle lacrime. "Wakatoshi" lo chiamò ancora la voce.
Ushijima deglutì, si fece forza e tornò disteso supino sul letto dell'ospedale. "Papà".
L'uomo prese il piccolo telecomando e regolò il letto del figlio, affinché la tastiera fosse più alta, per potergli parlare senza che l'altro si sforzasse in gesti e movimenti inopportuni. "Sì, sono io. Come ti senti?"
Wakatoshi soppesò per un attimo le parole da dirgli, ma mentire non aveva mai fatto parte del suo carattere. "Male" confessò, tirando su col naso. "Mi fa male il braccio e faccio fatica a muovermi".
"Lo so, forse è l'anestesia. A volte fa così. Andrà meglio".
Wakatoshi annuì, asciugandosi gli occhi col dorso della mano destra. "Probabile", rispose, mentre il ricordo del sogno appena fatto gli tornava in mente in tutta la sua cruda realtà. "Ho sognato Jun", disse, sentendo gli occhi tornare lucidi. "Questo sarà molto più difficile da supe-" si interruppe. Si morse il labbro, mentre l'angoscia e il dolore tornavano a farsi prepotenti. Chiuse gli occhi e iniziò a prendere grosse boccate d'aria. "Rivoglio mia figlia. E mia moglie".
Ancora non credeva del tutto a cosa fosse successo. Gli sembrava impossibile che fosse accaduto ciò, gli sembrava di vivere solo un brutto incubo senza fine. Da un momento all'altro si aspettava di vedere Ichi chiamarlo sul cellulare, o Junko entrare con energia nella stanza e saltargli addosso sul letto. Non poteva esistere una realtà senza loro...
Il padre scosse la testa, incapace di fare altro. "Sono venuto appena ho saputo... ti faccio le mie più sentite condoglianze, figliolo!" disse, stringendogli la spalla illesa in una morsa che avrebbe dovuto confortarlo, per poi circondarlo in un abbraccio veloce, per non dargli fastidio. "Ho preso il primo aereo disponibile. Tua madre è stata qui?"
Wakatoshi annuì. Aprì di nuovo gli occhi, cercando di tenere a bada le sue emozioni. "È stata qui ieri notte. È rimasta sempre con me, non ricordo quand'è andata via, devo essermi addormentato".
"Non ha importanza" lo tranquillizzò suo padre, sedendosi accanto a lui sul letto. "Comunque non ti ha lasciato solo, è questo l'importante".
"No. Mi è stata vicina" aggiunse con un filo di voce, ripensando alla madre. "Lei... lei non voleva che Jun venisse con me", disse con difficoltà.
"Questo cosa vorrebbe dire?" gli chiese suo padre, cercando di non risultare aggressivo nel porre la domanda, di cui temeva già una risposta spiacevole.
"Prima del viaggio ha tanto insistito che la lasciassi con lei. Questo è stato il primo viaggio di Jun in aereo, mia madre continuava a sostenere che fosse ancora presto. Fors-"
"Non azzardarti a dirlo!" Lo aggredì severo il padre.
Wakatoshi abbozzò un sorriso di circostanza, poi forse per la prima volta vide il volto segnato del vecchio genitore. Era sconvolto tanto quanto lui, le rughe e i segni scuri sotto agli occhi si erano fatti più marcati, ma le mani non avevano perso quella delicatezza che gli ricordava la sua prima infanzia.
Wakatoshi si sporse di poco fino ad appoggiarsi alla sua spalla, e come tacitamente richiesto, il suo vecchio lo accolse di nuovo nel suo abbraccio. Troppi anni e una certa lontananza separavano un contatto come quello. "Ascoltami Wakatoshi, non devi dare ascolto a tua madre. Mai! Non saresti mai partito senza tua figlia al tuo fianco, lo sappiamo tutti. Non lasciare che il dolore e la perdita ti offuschino la mente in questo modo. Se avessi lasciato Junko con tua madre, non saresti stato in pace nemmeno un attimo, lontano da lei. Le sarebbe potuto succedere qualcosa, qualsiasi cosa, anche se fosse rimasta assieme alla nonna. A quel punto sì che non ti saresti mai messo l'anima in pace. Invece tua figlia ti è stata accanto fino alla fine, Wakatoshi, ed è così che dovrebbe essere sempre. Una simile catastrofe non la potevi prevedere né tanto meno potevi fare nulla per evitarla..."
"Mi ha chiamato" confessò Wakatoshi, le spalle di nuovo scosse dal pianto silenzioso. "Ricordo quell'attimo. Un secondo prima che l'aereo si schiantasse, mi sono girato verso di lei... e mi ha chiamato. L'ho sentita, ho sentito il suo papi raggiungermi come se fosse stato urlato dentro un megafono, ma lei non sembrava preoccupata. Non poteva sapere. Mi stava solo guardando, come aveva fatto per parte del viaggio. Un secondo dopo non c'era più niente... niente. Non ricordo il rumore dell'impatto. Non ricordo lo schianto. Ricordo la voce di mia figlia che mi chiamava e io non ho avuto il tempo di dirle niente. Mi chiedo perché... perché non sono con la mia famiglia, adesso?" singhiozzò stremato, la testa che gli mandava fitte di dolore nascosta sulla spalla del padre.
Il padre allentò la presa, incapace di vederlo in quello stato. "Perché hai ancora una famiglia, che sta ringraziando ogni ora di non star piangendo anche sulla tua tomba! Nessuno potrà mai nemmeno pensare di poter riempire il vuoto che tua moglie e tua figlia hanno lasciato, ma non intendo lasciarti da solo, in questo stato, con questi pensieri che ti tormentano. La tua famiglia non c'è più ma tu sei vivo, e devi vivere. Per te, per loro. Per me, anche. Tieniti aggrappato alla vita. Per ogni singola vittima di questo incidente che non ha avuto alcuna scelta..."

"Perché sono ancora vivo?"
Kenma si tirò le coperte fin sopra al naso, beandosi delle parole che uno sconosciuto stava rivolgendo al figlio, lì accanto a lui, divisi da un separé.
Non era venuto nessuno da lui, e non si aspettava nulla di diverso, ma fece male. Non aveva una famiglia, non di sangue almeno: la sua famiglia erano i suoi amici.
La madre di Bokuto era stata lì, la notte precedente, e gli aveva anche fatto una visita breve. Non aveva parlato molto, si era sincerata delle sue condizioni, senza però riuscire a scucirgli dalla bocca neanche una parola. Che senso aveva parlare? si chiese Kenma. Desiderava solo riposare, di un riposo eterno, ma nessuno sembrava capire; i medici entravano ed uscivano indisturbati a controllare, cambiare le flebo ed esortarli a mangiare. A quanto sembrava, nemmeno il suo compagno di stanza riusciva a mandare giù qualcosa. E come avrebbe potuto? Kenma si stupiva di come gli altri potessero pensare che gli importasse qualcosa del cibo... quando solo il giorno prima l'aereo su cui viaggiavano si era sfracellato sul suolo rovinando loro la vita. Kenma ricordava nitidamente il dolore alle gambe, quando i sedili su cui si trovava lui e quelli davanti si erano pressati tra di loro. Si passò le dita sulle gambe, avvertendo la base ruvida del gesso. Chissà se avrebbe mai ripreso a camminare... e Bokuto? Stava meglio? Si sentì in colpa per non aver pensato neanche un istante all'amico. Doveva essere in qualche stanza a lui sconosciuta, in quell'ospedale... avrebbe voluto vederlo, almeno lui, l'unica faccia amica in mezzo a quei camici bianchi.
Kenma si portò una mano tra i capelli, a disagio. Quella mattina era passata anche la famiglia di Kuroo. Piuttosto silenziosi, per essere la famiglia più casinista che avesse mai conosciuto. Anche con loro non riuscì a dire una parola, ma non era il solo: nemmeno loro sapevano che dire.
Kenma avrebbe voluto trovare da qualche parte il coraggio di fare almeno le condoglianze alla famiglia che l'aveva accolto come un secondo figlio, ma il pensiero che Kuroo se ne fosse andato gli sembrava assurdo. Alla fine non aveva proferito parola, e loro se ne erano andati con gli occhi lucidi e un dolore che neanche lui poteva capire.
Un ronzio, come la vibrazione di un cellulare, fece distogliere Kenma da quei pensieri. Il cellulare si era veramente salvato dopo quanto era successo?
Si tese, sforzandosi, verso il cassetto, ma un braccio di scuro vestito fu più veloce a raggiungere il comodino. Kenma tornò a stendersi sul cuscino, guardando con leggero interesse l'infermiere che gli era arrivato a fianco. Era ancora lui, il rosso dalla parlantina sciolta che gli aveva tenuto compagnia mentre lo portavano in sala operatoria la sera prima, e che quel mattino era tornato lì, a fargli domande senza stancarsi di parlare. Aveva delle occhiaie che gli arrivavano al mento, ma non portava più il camice, quindi doveva aver staccato dal suo turno.
"Lasciatemi morire", Kenma ricordava bene di aver pronunciato quelle parole, mentre era disteso sulla barella dell'ospedale, ancora febbricitante per il dolore. Anche l'infermiere se lo ricordava... non si era mai sentito così male per un paziente.
Kenma si chiese se fosse legale essere così loquace con uno sconosciuto, ma era così stanco che anche pensare gli faceva venire mal di testa. Eppure, nel chiudere gli occhi, la voce del giovane sembrava quasi una ninna nanna, quasi una coccola... dopo una decina di minuti abbondanti il ragazzo si zittì, pronto ad andarsene dopo non aver ricevuto mezza risposta, ma Kenma si destò di colpo come risvegliato da un sogno. Dovevi continuare a parlare, pensò. Invece aprì le labbra e gli chiese insicuro, temendo allo stesso tempo la risposta: "Bokuto Koutaro?"
Il ragazzo, che si era allontanato di pochi passi dal letto, si girò nella sua direzione, sentendolo parlare per la prima volta. "Mi chiamo Shoyo Hinata" fece l'infermiere cercando di nascondere uno sbadiglio dietro la mano, togliendosi gli occhiali e avvicinandosi ancora al fondo del suo letto per controllare le informazioni riguardanti il suo stato di salute. "Chiamami Shoyo, se preferisci. D'accordo... Kenma? Ripetimi il nome che vado a controllare".
"Bo... Bokuto Koutaro" ripeté senza forza; eppure, avrebbe voluto chiedere tante cose, cose di cui era certo di non volere nemmeno sentire una risposta.
Si ridistese sul cuscino, mentre sentiva l'uomo oltre la tendina salutare il figlio. A Kenma non sarebbe dispiaciuto sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, ma chi avrebbe potuto farlo?
I suoi genitori si erano volatilizzati anni prima, dall'infanzia era rimasto in comunità fino alla maggiore età. Gli unici che potevano consolarlo avevano appena vissuto insieme a lui una tragedia, e non sapeva nemmeno con certezza come stesse Bokuto, se era vivo, se era morto...
Kenma represse un brivido, e per un secondo anche la faccia sorridente di Kuroo gli balenò alla mente. Gli occhi si fecero lucidi, e prima che potesse anche solo provare a fermarle, le lacrime gli rigarono il volto.
Si stava sfregando con forza le guance quando il giovane infermiere gli tornò accanto, allungandogli un fazzoletto.
Kenma alzò lo sguardo, temendo altre cattive notizie, ma quello sorrideva, come aveva sempre fatto.
"Ti farà piacere, Kenma, sapere che il tuo amico sta benone".
Kenma si lasciò andare ad un sospiro liberatorio, ricevendo finalmente una bella notizia in quelle ore così angosciose. Si asciugò gli occhi, affatto dimentico di Kuroo, ma contento in cuor suo che almeno Bokuto fosse vivo.
"G-grazie... Shoyo", disse con fatica.
Shoyo Hinata gli sorrise, come se non sapesse fare altro. Sembrava così affidabile...
"E di che? Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, premi il pulsante, oppure..." Shoyo gli consegnò il suo cellulare, a disagio. "Mi sono permesso di annotarti il mio numero. Per qualsiasi evenienza, anche se volessi solo parlare! Non farti problemi a chiamare. Noi comunque ci vediamo domani, buona notte Kenma!"
Buona notte. Avrebbe dormito? Che fosse dormiente o sveglio non faceva differenza, le ore e gli eventi passati lo rincorrevano anche nel sonno.
Ci vediamo domani.
Si chiese cosa gli avrebbe riservato il giorno dopo, la settimana successiva, il mese e l'anno a venire. Se avrebbe resistito. Avrebbe potuto chiedere a Shoyo se poteva vedere Bokuto, magari parlare con un amico avrebbe fatto sparire quell'agrodolce sensazione che da qualche ora lo invitava ad addormentarsi una volta per sempre. Rabbrividì al pensiero. Si impose di non pensarci. Shoyo non sembrava uno che potesse negargli una simile richiesta, doveva solo trovare il coraggio di chiederglielo.
Si stese, stanco anche a pensarci. Mise il cellulare sopra il comodino, senza guardarlo.
Sentiva ancora il corpo dolergli per il brutto colpo, ma cercò di trovare una posizione che gli desse sollievo, per poi abbandonare il tentativo.
Forse non gli importava di stare meglio.
Intanto, per l'indomani aveva un'unica certezza: quell'infermiere sarebbe stato lì, avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa. Anche informarsi sullo stato di salute di Koutaro... a dispetto di quanto amava ripetersi sempre, a Kenma faceva piacere che qualcuno gli tenesse compagnia, e se non c'era Bokuto, anche uno sconosciuto sarebbe andato bene: Shoyo, gli aveva detto di chiamarlo Shoyo. Una simile confidenza... solo Kuroo gli si era avvicinato con così tanta finta noncuranza fino a entrare di prepotenza nella sua vita.
No, nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Kuroo, pensò Kenma devastato.
Pensò poi a Bokuto, a Kuroo, all'uomo accanto a lui che aveva perso una figlia e la moglie; pensò alle decine di sconosciuti che erano con lui su quell'aereo e che non ce l'avevano fatta.
Pensò a tutti loro, poi pensò a se stesso e pregò, pregò che l'indomani arrivasse presto e che il ricordo e il dolore si affievolissero, prima che la sua debolezza avesse potuto avere la meglio.



#Ci ho messo più di due anni per scrivere questa oneshot, è stata tremenda!
Comunque, link e spiegazioni più che dovute.

- L'incidente aereo da cui ho preso spunto è quello della Turkish Airlines 1951 (https://it.m.wikipedia.org/wiki/Volo_Turkish_Airlines_1951)

- Non conosco mezza cosa sugli aerei, quindi potrei avere scritto non solo strafalcioni, ma di più! Mi sono comunque informata il più possibile seguendo questo youtuber, che ha portato sul suo canale anche la simulazione completa di come si pilota un aereo in tutte le sue fasi, dal pre decollo fino all'atterraggio. Questo più altre cose molto interessanti! (https://youtu.be/zVr_4W6Rpu8)

- Kenma si stava preparando per una competizione di ballo hip hop, ma non mi sono inventata nulla neanche in questo caso: l'ipotetico ballo guidato dalla canzone di Eminem è un video ovviamente esistente. Nel caso, è questo! (https://youtu.be/WORirbXAI8A)

- Anche la scena di Tanaka che rimane in piedi per aiutare un passeggero in difficoltà fino all'atterraggio non è di mia invenzione, ma una delle curiosità riportate da una hostess di volo. Qua il video: (https://youtu.be/PPteBxWVaP4

   
 
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