Anni or sono, Boston…
La ragazza sussultò quando la luce si
accese all'improvviso, nonostante
sapesse che Ford stesse tornando a casa. Mentre il genio criminale
strizzava
gli occhi, lei, lentamente, lasciò la sedia che aveva
occupato mentre lo
aspettava, e alzò le mani in segno di resa.
"E tu chi saresti?". Nate chiese, passeggiando con
disinvoltura
verso di lei, con le mani in tasca, ridacchiando leggermente. Nate era
un uomo
che, nonostante i suoi vizi, amava il controllo - lo bramava,
addirittura - e
aveva bisogno di sapere tutto, di leggere con chiarezza
l’ambiente e chi vi si
trovava. Ed era abbastanza bravo a farlo - ecco perché,
nonostante non fosse
esattamente entusiasta della presenza di uno sconosciuto nel suo
appartamento a
notte fonda, nel bel mezzo di un lavoro, si sentiva in qualche modo...
a suo
agio. Perché o la giovane donna vestita casual non aveva
cattive intenzioni,
oppure le aveva... ed era un'attrice molto brava, meglio di Sophie
quando non
era sul palco.
"State lontani da Pryce", disse con freddezza,
senza mai
interrompere il contatto visivo, con un'aria molto seria... e forse,
solo
forse, un po' spaventata, mentre l'ultima sillaba del nome dell'ultima
vittima
di Nate le danzava
sulla lingua- uno
spietato industriale a cui piacevano i soldi, le donne, le macchine e
il poker
e che stava anche contaminando il corso d'acqua di una piccola
città fuori
Baltimora - Shellock Grove - con i residui chimici della sua fabbrica
di
mobili.
"Davvero? E perché dovrei fare come
dici tu? Signorina?" Nate
stava in piedi davanti alla donna, appoggiato al muro, con le caviglie
incrociate, sollevando quietamente il sopracciglio destro. "Mi
dispiace,
non ho capito il tuo nome."
"Ascolta, non importa, ok?" Sospirava lei, e,
scuotendo
leggermente la testa, abbassò le mani e si diresse verso la
porta d'ingresso.
Quando fu al fianco di Nate si fermò, e
abbassò la voce, quasi
sussurrando, il suo tono severo e deciso. "Per il tuo bene, e per il
bene
dei tuoi amici, stanne fuori. I giorni di Pryce sono comunque contati.
Shellock
non è stato il suo primo peccato - ma faremo in modo che sia
l'ultimo. Si
tratta solo di decidere se andrai a fondo con lui o no".
"È una promessa, una minaccia o solo un
avvertimento.... Rebecca?" Mentre
lo sentiva
pronunciare il suo nome a voce alta, deciso e sicuro, lei si
fermò, con la
maniglia della porta che le bruciava quasi la pelle del palmo della
mano.
Sudore freddo le colava lungo il collo, e lei inghiottì,
girandosi lentamente
per vedere Nate che le si avvicinava. "Sì, so esattamente
chi sei. Ti
chiamano... il chimico, vero? Rebecca Cummings. Figlia di Albert
Cummings e
sorella di Madeline, loro sono truffatori, guardano più il
lato pratico delle
cose, mentre tu sei più che altro una scienziata. So chi sei
e so che anche tuo
padre e la sua squadra danno la caccia a Pryce. Quello che ancora non
so è
perché."
Lei ridacchiava con leggerezza, sospirava. "Tu e i
tuoi amici non
siete affatto come mio padre. Voi cercate la giustizia, lui cerca i
soldi. E
l'arte. E ha messo gli occhi sulla collezione di artefatti di Pryce. Se
-
quando - scoprirà che ti stai mettendo in mezzo ai suoi
affari, non sarà molto
gentile".
"Ci sono modi peggiori per fare del male a un uomo
che
ucciderlo". Nate annuì, borbottando tra sé e
sé, mentre guardava davanti a
sé, verso nulla in particolare nel buio. "Quindi, tuo padre
è interessato
solo alla collezione d'arte personale di Pryce, noi siamo interessati
solo ai
suoi beni aziendali... Perché non uniamo le forze e ci
assicuriamo che entrambi
i nostri team ottengano esattamente ciò che
vogliono?”
Mentre una ciocca di capelli rossi le cadeva sopra
gli occhi nocciola,
Rebecca sorrise. "E perché dovrei essere interessata ad
aiutarvi?"
"Perché sarai anche figlia di tuo
padre, lavorerai anche per lui, ma
non sei affatto come il tuo vecchio".
Rebecca
si voltò a guardare Nate,
improvvisamente triste e si sentì nuda, esposta, sapendo fin
troppo bene che
aveva ragione. Era in famiglia, eppure non ne aveva mai fatto veramente
parte.
Lavorava per loro, non con loro, e
anche
dopo anni - anche dopo essere stata cresciuta per essere la degna erede
di suo
padre - si sentiva figlia di sua madre, voleva aiutare gli altri.
Mettere le
cose a posto. Era rimasta solo perché loro erano tutto
ciò che le era rimasto,
e perché amava Danny – il braccio destro del padre
– e sperava che un giorno lui
avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.
Le lacrime le bruciavano gli occhi e il mondo le
crollò addosso. L’aveva
sempre saputo, ma non aveva mai osato ammetterlo ad alta voce, o
davanti a
qualcun altro. Nessuno aveva ammesso quello che tutti sapevano.
Nessuno, solo
Nate con la sua brutale onestà.
Lasciò andare la maniglia della porta e
si voltò verso di lui.
"Allora, sentiamo, qual è il tuo piano?"
***
Portland, Oggi.
“Non mi dirai cosa c'era in quel profumo
che mi hai dato per rendere
Callaghan più suscettibile alle mie idee, vero?”
Becks sorseggiò lentamente la sua
bevanda preferita - Gimlet con vodka al
posto del gin - e assaporò la bevanda fredda ad occhi
chiusi, leccandosi le
labbra ad ogni sorso, in modo che nemmeno una goccia del delizioso
liquore
andasse sprecata.
"Assolutamente no. È una ricetta
segreta!” Becks rise mentre gli occhi
le ricaddero sul bicchiere da martini vuoto. Nella penombra del locale,
fece
segno al barista di dargliene un altro, il terzo della serata. Sophie
era quasi
tentata di parlare, ma decise di stare zitta e vedere come andavano le
cose,
per capire cosa stesse succedendo all’amica e compagna di
truffe. Certo, Becks
apprezzava i liquori di qualità, proprio come il padre, ma
amava troppo il
controllo e la perfezione per ubriacarsi.
A meno che non ci fosse un problema. E
c’erano solo tre cose che le
causavano problemi: quando i piani di Nate gli sfuggivano di mano e
andava
tutto a farsi friggere (cosa che non era recentemente successa), quando
Albert
si faceva di nuovo vivo ricordandole che lei lo aveva tradito per
unirsi a loro
(probabile, dato che lo faceva almeno due o tre volte
all’anno, quando gli
serviva una mano dalla figlioletta adorata), o quando un certo qualcuno
per cui
Becks si era presa una cotta gigantesca flirtava
con tutte le ragazze tranne lei, perché, l’idiota
cieco (metaforicamente) la
considerava un maschiaccio, una sorellina.
Sophie ticchettò il bancone con le sue
unghie perfette, dimenticandosi il suo
bicchiere di vino rosso, e osservò Becks: non era
appariscente, preferendo (un
po’ come il personaggio preferito di Sophie, la dottoressa
Karen Ipcress) nascondersi
dietro abiti quasi
adolescenziali, ma sapeva farsi davvero carina quando voleva. E poi,
era
intelligente, con un grande cuore e aveva tradito la sua stessa
famiglia per
aiutarli.
Lanciò un’occhiataccia al
barista, sfidandolo a dare un altro drink
all’amica. Becks non aveva bisogno di bere, o di avere un
orrido dopo-sbornia
la mattina seguente. Aveva bisogno di rilassarsi e riposarsi, una bella
dormita, magari una serata tra ragazze – Tara era in
città per un colpo, ed era
l’ora che si trovassero di nuovo tutte e tre (magari tutte e
quattro, se
riuscivano a separare Parker da Hardison per due ore). E poi, magari
era la
volta buona che Becks incontrava qualcuno e si toglieva lui
dalla testa una volta per tutte.
“Tesoro, credo che tu ne abbia
già bevuti a sufficienza…” Sophie
rubò il
drink alla rossa, buttandolo giù senza respirare, in un
colpo solo, onde
evitare che Becks se lo riprendesse. Errore madornale: la vodka le
bruciava la
gola, le faceva lacrimare gli occhi. “Porca miseria, Becks!
Ma come fai ad
essere viva dopo aver bevuto una cosa del genere? È
terribile!” Aggiunse col
suo solito tono melodrammatico, con una mano sul cuore giusto per
enfatizzare
la cosa.
Il cellulare di Becks cinguettò, e la
giovane donna controllò la notifica,
emettendo un suono gutturale che aveva ben poco di femminile.
Gettò l’arnese
infernale sul bacone, a schermo in giù, e rimase a fissare
la cover di silicone
nera con un PI GRECO bianco fosforescente in rilievo, quasi ne avesse
paura.
Incrociando le braccia sul bancone, Becks si voltò
dall’altra parte, ma poi
tornò a fissare l’ammennicolo prima e Sophie poi,
con gli occhi da cucciolo
spaurito e supplichevole. “Sophie, lo so che non è
un comportamento adulto e
ragionevole, davvero, ma quel drink mi serve. Davvero.”
Sophie alzò gli occhi al cielo, gemendo
leggermente stufa, nonostante
capisse che non fosse semplice per Becks appianare le cose con il
padre, visto
il pessimo carattere di lui. “Allora, tesoro, cosa ha
combinato paparino?”
“Perché deve centrare la mia
famiglia?” Becks alzò un sopracciglio con fare
interrogativo, per pentirsene subito dopo- era di Sophie che stava
parlando,
dopotutto. Scosse lievemente il capo, e la frangetta le ricadde sugli
occhi.
“Non rispondermi. E comunque non è
papà. È la mia sorellina adorata. E Danny.
Presente il tizio di cui ero convinta di essere follemente innamorata
quando ci
siamo conosciute? Ecco, proprio lui. Si sposano. Danny e Maddie.
Perché logico
che mentre io ci morivo dietro lei se lo lavorava, no? E adesso
vorrebbe pure
che le facessi da damigella, e domani sera da una dannata festa e lei
si
aspetta che io ci vada e stia lì a guardarli mentre
risplendono di gioia mentre
io sono ancora single? Se lo scorda!”
“Okay, allora, facciamo una cosa: tu
intanto stasera dormi di sopra, perché
io non ti lascio andare in giro in questo stato.” Sophie le
diede un paio di
pacche sulle spalle, sorridente, soddisfatta… e leggermente
diabolica. “E
domani pensiamo a un modo di far pagare alla sorellina
l’essersi messa col il
tuo principe azzurro.”
“Sì!” Becks rispose
tutto d’un fiato, per poi pentirsene subito. “No,
aspetta, non posso. È la mia sorellina, e poi non
l’ha fatto apposta. E poi,
Danny è abbastanza capace a fare il nostro lavoro, e se
dovessi chiedere a
qualcuno di guardarmi le spalle lui sarebbe la seconda persona da cui
andrei,
ma è un tantino… cieco rispetto a tutto il resto,
perciò esiste la concreta
possibilità che il mio pesante flirtare non sia stato
sufficiente a fargli
capire che ero interessata.”
“Un guardaspalle che non fa troppa
attenzione al tuoi sentimenti per lui.
Ma cos’è, hai un tipo?” Sophie le
domandò, mormorando a bassa voce. Non era
neppure certa che Becks l’avesse effettivamente sentita.
Scosse il capo, e posò
il mento sul palmo della mano, il gomito sul tavolo. “Allora,
niente vendetta.
Ma se volessimo farla morire d’invidia? Ti fai tutta carina,
ti presenti con un
bell’uomo al braccio, non vi staccate un attimo
l’un dall’altra, fate gli
innamorati cronici, e poi mi dici se i piccioncini hanno ancora voglia
do
sbatterti in faccia il loro matrimonio felice.”
Becks piagnucolò, con la fronte
attaccata al freddo bancone di marmo del
locale. “E dove me lo trovo un fidanzato in ventiquattro ore?
E non uno
qualsiasi, uno perfetto! Non voglio assumere un accompagnatore solo per
fare
bella figura, è… è da falliti, e poi
Maddie se ne accorgerebbe subito. Lei è
una truffatrice nata, gli imbrogli li annusa a un kilometro di
distanza!”
“Assumere un accompagnatore? Ma quando
mai! Io ho già in mente il piano
perfetto, e prevede di fare una delle cose che mi riesce
meglio… Tesoro, sono
qui!” Sophie sospirò tutta soddisfatta, con due
occhi sognanti degni di un
bambino la mattina di Natale. Poi, la porta del locale di Hardison si
aprì, e
vide in lontananza i “suoi” ragazzi entrare
– serata tra uomini, solo Nate,
Hardison che per una volta non si era appiccicato a Parker ed Eliot, senza una delle sue solite
bellone al braccio
- e fece loro segno di raggiungerla. Becks a malapena alzò
il capo dal bancone
per salutare i colleghi, gli occhi lucidi e giusto una fessura, segno
che aveva
bevuto decisamente troppo. Era ancora abbastanza lucida da alzare un
sopracciglio con fare interrogativo all’arrivo di Nate.
“Sbaglio o non dicevi sempre che la cosa
che ti riusciva meglio era
flirtare con Nate mentre giocavate a guardie e ladri in giro per il
mondo?
Perché, okay, c’è stata la volta in cui
uscivo con quell’agente dell’FBI mentre
mi fingevo una sua collega, e ammetto che Sterling ha un certo qual
fascino, ma
tu ed io abbiamo decisamente gusti differenti. Senza offesa, Nate,
è che non
sono interessata a uomini che mettano in discussione la mia
intelligenza. Ho un
debole per gli idioti, lo sanno tutti. Quindi dovresti sentirti
lusingato,
perché significa che ti considero un uomo decisamente
intelligente.” Becks
ammise candidamente, col sorriso sulle labbra, mentre, seduto vicino a
Sophie,
Nata apriva la bocca per dire qualcosa, bloccato dalla compagna che gli
faceva
segno, nemmeno troppo velatamente, di stare zitto onde evitare futili
discussioni.
“Ma si può sapere che cavolo
hai? Sei messa peggio della volta che abbiamo
fregato tuo padre dopo che lui aveva fregato il nostro
pollo.” Eliot sogghignò
dandole delle pacche sulle spalle, innervosendo ancora di
più Becks, godendosi
la sua birra, senza capire il danno che stava provocando.
Becks lo guardò con aria sognante,
sospirando. C’erano alcuni giorni in cui
detestava Eliot Spencer dal più profondo del cuore, peccato
che accadesse
davvero così di rado.
“Piantala, Eliot. Si è
scolata almeno tre drink alla vodka.” Sophie prese
immediatamente le parti dell’amica, e con una certa
risolutezza, fece smettere
Eliot di dare quelle dannate pacche sulle spalle di Becks- la trattava
neanche
fosse stata uno dei suoi compagni di bevute con l’elmetto
verde. “Madeline si
sposa, e vuole che la nostra Rebecca si unisca ai festeggiamenti.
Peccato che
lei non abbia chissà che voglia di andarci da sola. Cosa
più che comprensibile,
d’altro canto.”
“Quindi, che vuoi fare? Prenderti un
accompagnatore a pagamento sperando di
non essere sgamata da due dei migliori truffatori in
circolazione?” Eliot
ridacchiò, fregandosene beatamente delle occhiate di fuoco
che gli rivolgeva
Sophie. O forse non se ne accorgeva proprio.
“Certo che no. Se assumessimo qualcuno
per fingere di essere il ragazzo di
Rebecca, Madeline e Albert lo scoprirebbero subito. Serve qualcuno di
cui lei
si fidi, qualcuno che la conosca bene, e che non abbia noti legami
sentimentali. Qualcuno come te che la accompagni alla cena di
fidanzamento e al
matrimonio.”
Sentendo questa frase, Eliot non si
limitò a sghignazzare leggermente. No,
lo fece a crepapelle, tanto che fu un miracolo che non si strozzasse
con la
birra. Perché per lui quella battuta era… era il
miglior numero comico della
storia. Sul serio.
Peccato che così non fosse.
“Chiedo scusa?” Con
l’orgoglio ferito, furibonda con se stessa in primis, e
con l’idiota- suo nuovo soprannome per Eliot – poi,
le gote di Becks si
arrossarono, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Ma, si disse, non
avrebbe
pianto. Non avrebbe dato a quell’insensibile idiota che
voleva passare per un
uomo quella soddisfazione. Non quando lui la trattava come…
come… come un
maschiaccio.
Eliot dovette leggere qualcosa nello sguardo di
Becks, perché fece un paio
di passi indietro, cercando di mettere quanta più distanza
possibile tra di
loro, eppure non fece in tempo, perché si prese un sonoro
ceffone e non riuscì
nemmeno a chiedere cosa fosse successo, o perché si stesse
effettivamente
comportando così, perché Becks, tutta indignata,
se ne stava andando decisa su
per le scale.
Sophie scosse il capo, indecisa: meglio dare una
tirata d’orecchie ad
Eliot, o andare a consolare l’amica? Dato che era
già lì, tanto valeva iniziare
con l’idiota. Si limitò a lanciargli
un’occhiataccia, con le mani incrociate
sul petto – cosa che Nate trovò a dir poco
confortante, dato che significava che
non trattava così solo lui. Non che Eliot comprendesse la
gravità della cosa, e
comunque, Sophie non era certo la cosa peggiore che avesse mai
affrontato in
vita sua. E poi, sul serio: Becks l’aveva davvero preso a
schiaffi, così, senza
motivo?
Perciò, alzando gli occhi al cielo,
riprese a sorseggiarsi come niente
fosse la sua birra. “Dai Sophie, credi davvero che qualcuno
penserebbe che
Becks potrebbe essere il mio tipo? Maddie annuserebbe puzza di truffa
lontano
un miglio. Sa che la sua sorellina è troppo una santerellina
per me.”
Santerellina in verità non era stata la prima parola che gli
era venuta in
mente. Eliot avrebbe voluto dire che Becks era troppo banale, troppo
comune,
troppo normale per i suoi gusti, abituato com’era a femme
fatale, assassine e
modelle, ma forse, si disse, santerellina avrebbe fatto meno danni.
Sophie lo guardò come se avesse voluto
strappargli il cuore dal petto,
tanto era furibonda. “Non ci credo che tu ti sia fatto la
sorella di Becks.”
“Senti, se serve a farti stare meglio,
ti dico che non me la sono fatta, ma
diciamoci la verità, sapremmo entrambi che sarebbe una bugia
bella e buona.” Ridacchiò
tra sorsi di birra.
Sophie fu abbastanza gentile da dargli una sberla
sulla guancia che Becks
non aveva toccato. Almeno così adesso erano tutte e due
decorate con delle belle
manate rosse.
Mentre Sophie scompariva e se ne andavo verso il
suo appartamento al piano
di sopra, Eliot guardava confuso i suoi amici, chiedendosi cosa fosse
accaduto
e di quale colpa si fosse macchiato per ricevere un simile trattamento.
“Io non metto il becco in questa storia.
A casa, i pantaloni li porta
Sophie, e poi non voglio mettermela contro. Alla mia età fa
male dormire sul
divano, e lo sai che io non posso prendere antidolorifici e divento
irritabile…”
“irritabile, intrattabile,
stronzo…..” Hardison mormorò verso
Nathan, per
poi guardare Eliot, sconsolato. “E se non hai capito cosa
è successo, sei
davvero un idiota mezzo cieco.”
“Cos’è che sarei
io?” Eliot abbaiò, tentato di afferrare Hardison
per il
bavero.
“Sapete cosa? Mi sono appena ricordato
che Parker mi aveva detto che
tornava dalla riunione di famiglia col paparino verso le dieci. Vado a
vedere
se c’è. Magari devo medicarle delle bruciatura da
laser, fasciarle una caviglia
slogata…”
Una volta che Hardison se la fu data a gambe
levate, Nate continuò a
sorseggiare il suo analcolico, ridacchiando sotto ai baffi alla visione
di
Eliot che mormorava sconsolato tra se e se, massaggiandosi la fronte.
“Non me la faranno passare liscia se non
vado a quella dannata festa,
vero?”
Fu il turno di Nathan di ridacchiare. “A
meno che tu non voglia che quelle
due programmino il tuo omicidio… sì.”
***
“Svegliati tesorino, abbiamo tante cose
da fare e solo una giornata di
tempo!” La testa le faceva male, si sentiva come se le
stessero martellando il
cervello, e l’unica cosa che Becks voleva fare era nascondere
la testa sotto ai
cuscini, perché la luce che veniva dalla finestra era
davvero troppo forte, per
una persona nelle sue condizioni, anche se la cosa peggiore era la voce
acuta e
squillante di Sophie che le rimbombava nei timpani. “Allora,
ti ho fissato un
appuntamento dal mio estetista di fiducia, poi andiamo da un
parrucchiere
favoloso, e per un ultimo, ma molto importante, pensiamo al
guardaroba… via
tutta quella robaccia da maschiaccio! Ho chiamato Victor, il mio
personal
shopper, lui è un genio! L’unico lato negativo
è che dovrai ricordati che io
sono Charlotte
Prentiss, Duchessa di
Hannover.”
Becks però non ne voleva sapere di
lasciare quel rifugio fatto di morbidi
cuscini di piume. Era molto meglio starsene lì, al sicuro, e
comportarsi come
una bambina petulante e non l’intelligente donna adulta che
si presumeva lei
fosse. “Non voglio. Dirò a Maddie che stiamo
organizzando un colpo fuori città.
O che sono stata arrestata e non posso più contattarla per
non metterla nei
guai. Non voglio andare a quella stupida festa da sola.”
Sophie sospirò, ed andò a
sedersi sul letto, al fianco di Becks. Tolse il
cuscino dalla testa dell’amica, e le massaggiò
dolcemente la schiena. “Rebecca,
tesoro, stai tranquilla. Non dovrai andarci da sola. Eliot
verrà con te, sarai
assolutamente favolosa e tutti moriranno d’invidia.”
Becks si rifiutò di sedersi. Si
limitò a stare coricata, incrociando le
braccia, fissando il soffitto, l’antico e sontuoso lampadario
in ferro battuto
e vetro di Murano – probabilmente di Sophie – ed il
rosone in stile Barocco.
Facevano entrambi a pugni con il moderno appartamento di Nate, molto
maschile e
minimalista come linee e colori, eppure tutto sommato si sposava bene
con il
tutto. Forse perché rappresentava come Sophie e Nate
stessero unendo le loro
vite –mettendo insieme le loro cose, i loro stili e le loro
personalità così
differenti.
“Ma che carino. Secondo te cosa
è peggio, che faccio così pena ad Eliot
esce come me perché gli dispaice per me, o che è
talmente tanto tempo che non ho un
appuntamento che adesso devo fare finta di avere una relazione per
trovarmi un
ragazzo?”
“Beh… una finta
relazione… che parole grosse.”
Sophie diede un colpetto sul naso di Becks
per richiamare la sua attenzione, e alla rossa, lo sguardo malizioso
dell’amica
non piacque per nulla- sperava solo che le avrebbe rivelato cosa avesse
in
mente, per poter correre ai ripari prima che fosse troppo tardi.
“Eliot è più
manipolabile di quello che gli piace ammettere. Con le giuste parole, i
giusti
stimoli visivi e il giusto tocco al momento appropriato,
cadrà ai tuoi piedi.”
Becks arrossì, rendendosi conto,
imbarazzata, tra le altre cose, che si era
addormentata vestita nella camera degli ospiti di Sophie. “E
perché vorrei far
cadere Eliot ai miei piedi, esattamente?”
“Perché,” Sophie
brontolò, dando uno schiaffetto alla rossa. “Perfino
Parker ha capito che ti sei presa una cotta coi fiocchi per Eliot dal
secondo
giorno che lavori con noi- e questo perché il primo giorno
hai incontrato solo
Nathan. L’unico che forse
non se n’è
ancora reso conto è proprio Eliot, che, per inteso, dovrebbe
trovarsi una brava
ragazza con cui sistemarsi. Insomma, ormai c’è
rimasto solo più lui di single,
e voi due stareste davvero bene insieme. Ve lo dovete solo ficcare in
testa.”
“Due cose: tecnicamente, anche io sono
single quindi siamo in due ad esserlo
in squadra, e questo non vuole dire che solo perché
gli altri sono
accoppiati tra di loro lo dobbiamo fare anche noi. Secondo, non so fino
a che
punto una truffatrice di decima generazione possa essere definita una
brava
ragazza.”
Senza dare tempo a Sophie di obbiettare, Becks si
riprese il cuscino e
tornò a nascondersi. Stava da schifo, era stanca, e si
vergognava pure un
po’. Non
riusciva neppure ad avere un
appuntamento galante se non c’era Sophie a darle man forte. E
non che stesse
funzionando troppo bene. Lei, agli uomini, piaceva poco, le preferivano
la
gemella. Lei e Maddie erano gemelle eterozigote, e non potevano essere
più
diverse, in tutto. Maddie era Giselle, il cigno bianco pieno di grazia,
estroversa, con stile, sempre perfetta dalla punta dei capelli alle
unghie
delle dita dei piedi, la protagonista assoluta delle truffe
architettate dal
padre.
Becks… Becks era tutt’altra
storia. Timida, introversa, era un brutto
anatroccolo con vestiti informi, anonimi, una nerd che lavorava dietro
le
quinte dove nessuna la notava. E non era certo solo lo stile a
differenziarle:
Maddie era alta, slanciata, con lungi capelli biondi naturali che
risplendevano
come grano al sole e un corpo da modella, mentre la sorella era
decisamente più
bassa, lottava per tenere una taglia decente e con dei capelli che a
volte
sembravano più un nido che una testa.
Becks non era stupida, tutt’altro.
Sapeva che gli uomini guardavano non
lei, ma la sua sorellina, e sapeva anche che tra Maddie e Eliot
c’era stato
qualcosa tempo addietro, anche se non aveva voluto indagare su quanto
la cosa
fosse stata importante, né quanto fosse esattamente durata,
se una notte o
magari dei mesi.
Sophie le strappò di mano il cuscino, e
onde evitare ulteriori incidenti,
lo gettò dall’altra parte della stanza, poi fece
spostare leggermente Becks e
si mise comoda nel letto. “Secondo me, quello che non capite
è che voi stareste
davvero bene insieme. E poi, guardatevi. Scherzate, passate tanto di quel tempo
insieme.
Fidati, tu ad Eliot piaci. Solo che non ha ancora afferrato il fatto
che tu sia
una donna.”
“Sì, ma non dovrei piacergli
per come sono? Pregi e difetti inclusi?
Insomma, dai, ho già avuto parecchie storie, non
è che sia un mostro o altro,
no? Quindi forse è un segno. Magari non devo nemmeno
perderci tempo e
concentrarmi a trovare qualcuno che sia effettivamente interessato a me.”
“Oh, cara, quanto sei
innocente.” Sophie sospirò, un po’
esasperata. “È
perfino complicato tenersi un uomo quando è molto
interessato. Fidati, lo so,
esperienza personale. Voglio dire, credi che con Nathan sia stato tutto
semplice, rose e fiori dal principio? Nossignore. Ci ho messo anni per
avere la
sua attenzione, altri per farmi baciare, e non parliamo del sesso. Per
farlo
cedere ai miei tentativi di seduzione ho dovuto farlo
ubriacare.”
Becks si mise a sedere di scatto, gettando il
copriletto sul pavimento, e
sospirò. “Ci provo, giusto perché sei
tu. Stavolta ti do retta e seguiamo
questo folle piano. Ma se mi rendo ridicola e non funziona, faccio le
valigie e
alzo le tende, davvero. Mi
nascondo nel
bel mezzo del nulla e faccio la vecchia zitella gattara. O me ne vado
in Cina,
un’americana tra milioni di persone provenienti da tutto il
mondo. Sarei
invisibile. Farò come in quel film di fantascienza con Chris
Evans, quello in
cui lui era un ladruncolo americano che viveva di piccole truffe.
Sarà
divertente. Vieni con me?”
Le sue recriminazioni al alta voce furono zittite
da qualcosa che la colpì
in pieno viso, un asciugamano azzurro cielo. “Vedi di farti
una bella doccia e
prendere un po’ di caffè, intanto. Abbiamo poco
tempo, e alla Cina ci potrai
pensare domani. E adesso datti una mossa!
***
Sei ore. Sei lunghe, estenuanti, ore.
Improvvisamente conscia di ogni singolo muscolo ed
osso del proprio corpo,
Becks beccheggiava neppure avesse corso una maratona. Eppure, durante
quelle
maledette sei ore, non si era spostata di un centimetro.
Controllò per dovizia il grande e
grosso orologio che faceva bella mostra
di sé sul muro. Erano davvero
passate
sei ore.
Le avevano riservato il “trattamento
completo”, su richiesta esplicita di
Sophie – della contessa di Hannover, si corresse- che
includeva ambio uso e
abuso di creme, fanghi, balsami, maschere, alghe e
quant’altro, su tutto il
corpo. L’avevano… impastata nemmeno fosse stata
pasta di pane, massaggiata,
esfoliata, per tutte quelle dannate sei ore. Non poteva crederlo
possibile,
invece era successo, e lei era a dir poco esausta, senza aver fatto
nulla. Al
contrario di Sophie -Lady Hannover. Era ora che si ricordasse
dell’alias della
sua co-cospiratrice)- che aveva ricevuto lo stesso trattamento, ma con
la
sostanziale differenza che lei si
era
goduta tartufi di cioccolato extra-fondente, mentre Becks era stata
paragonata
a un coniglio, con il gambo di sedano e il succo di carota per pranzo,
perché
doveva mantenere intatta la sua pelle per cui tanto avevano faticato, e
perché.
Come Sophie aveva rilevato con invidia, e poco tanto, non tutti avevano
la
fortuna di Parker (e Maddie), che poteva permettersi di trangugiare
tutte le
porcherie che voleva senza mettere su un etto.
E logicamente, tutte quelle belle creme, lozioni,
seri e via di scorrendo
se li doveva pure comprare, perché cos’altro
avrebbe potuto funzionare? Ma
assolutamente nulla! Becks si fece veloce, veloce due conti, per capire
di
quando sarebbe stata in debito con Sophie, e se fosse il caso di
mettere in
cantiere un colpo per conto suo. E poi, dalla sua aveva sempre la
chimica: ci
voleva un niente a far credere a qualche pollo che aveva inventato una
pillola
miracolosa quando magari era solo concentrato di caffè
(magari pure
decaffeinato) e carrube.
Mugugnò, arrendendosi
all’evidenza, e decidendo che avrebbe avuto tempo per
pensarci un altro giorno. Dopotutto, era appena pomeriggio e lei era
già
distrutta. Non capiva come fosse possibile che Sophie sprigionasse
tutta
quell’energia (forse era il cioccolato). Era come un uragano,
eccitata come un
bambino in un negozio di giocattoli, non la smetteva di sorridere, si
stava
divertendo ed era instancabile.
Era felice, Becks si rese conto. Sophie era
felice. Lei e Nate erano
tornati per aiutarli con un colpo, poi i colpi erano diventati due,
tre,
quattro, e alla fine avevano di nuovo messo radici a Portland, e da
allora il
sorriso non era più svanito dalle labbra di Sophie. Era a
casa, faceva quello
che le riusciva meglio, se la godeva e adorava giocare a fare
Pigmalione come nell’opera
di Shakespeare, neanche fosse stata la sua chiamata superiore.
“Viktor dovrebbe arrivare a
momenti,” le disse Sophie quando fu la volta
del cambio dell’armadio. “Lui
è’ il mio personal shopper- quello della
duchessa, in realtà. Ha un ottimo gusto e un occhio a dir
poco imparziale. Tu
fagli avere una vaga idea di quello che ti piace e lui ti
saprà trovare dei
capi che ti staranno alla perfezione.”.
Becks se ne stette buona mentre oltrepassavano i
portoni di Backtalk, una delle
più graziose boutique
di Portland. Non era molto grande, e difatti, dall’esterno ci
si poteva fare
un’idea del genere di abbigliamento che vendevano. Becks
aveva sentito che
trattavano anche capi vintage, e difatti, appena entrata, si
innamorò di uno
stand con capi vintage dai colori delicati, di romantico pizzo e stoffa
delicata. Grazie al cielo, il negozio aveva cose belle e a prezzi
contenuti,
perché Becks non aveva intenzione di farsi pagare il cambio
look da Sophie, e in teoria quasi
tutti i suoi alias
appartenevano a donne comuni che non potevano spendere cifre folli in
abbigliamento. Certo, i soldi li avevano- era una truffatrice,
dopotutto- ma
nel suo campo, meno si spendevano, meno attenzione si riceveva. E poca
attenzione significava stare fuori dalle mura di una cella.
“I miei vestiti posso pagarmeli da sola,
Sophie. E ti darò anche i soldi
del centro estetico. Odio essere indebito.” Becks le disse
all’improvviso,
mentre esaminava tutti i tessuti presenti nel negozio.
“Non dirlo neanche per scherzo,
bambina.” Sophie le rispose, tutta
concentrata su un vestito rosso molto sexy che avrebbe fatto perdere la
testa a
Nate, quando fossero usciti a cena per festeggiare qualcosa, o magari
lo
avrebbe messo per una serata tra donne, con Tara e Becks e Parker.
“Senti, se
mai ti sposerai, questo sarà il mio regalo di matrimonio
anticipato, ok? Non li
voglio i tuoi soldi, e nel caso non te ne fossi accorta, non mi servono
neppure!”
“Questo implica che io creda
nell’istituzione del matrimonio.” Becks
sfiorò
delicatamente la stoffa di una camicetta che aveva attirato la sua
attenzione.
Il tessuto aveva una lavorazione che lo rendeva quasi opalescente.
“lo stare
con qualcuno non ha nulla a che fare col matrimonio. Io neanche ci
credo.
Guarda te e Nate, per esempio: state insieme da quanto, quasi dieci
anni? E
siete fidanzati da otto, eppure non ci pensate nemmeno a sposarvi. Ma
siete
comunque a posto. Tutti quelli che conosco, un paio di ani di
matrimonio e poi,
bang, tutto finito. Io mica voglio l’anello, voglio che
qualcuno mi ami per chi
sono, non per chi fingo di essere o come potrei diventare.”
Becks si morse le labbra, cercando con tutte le
forze di non piangere. Si
ricordava vagamente di come sua madre, dopo pochi anni di matrimonio,
avesse
buttato fuori a calci il marito dalla casa coniugale, dopo aver
scoperto come
portasse il pane a casa. Le gemelle avevano quattro anni
all’epoca, e se Becks
era diventata una brava bambina che non creava problemi, la sorella era
una
peste convinta che la madre fosse la rovina di tutto. Erano quasi
adolescenti
quando avevano rincontrato il padre, dopo la morte della madre,
portandole via
da una casa abitata da lontani parenti che le consideravano solo
seccature.
Certo, Albert le aveva portate via da quel covo di
infelicità, ma avevano
passato la vita a scappare, nascondersi, e senza farsi amici o creare
relazioni
durature (con persone normali, almeno).
“Vostra Grazia, sono così
onorato che abbiate nuovamente scelto per me per
assistervi nei vostri acquisti! Spero che saprò essere
all’altezza della situazione!”
Viktor, col suo arrivo, zittì Sophie prima che potesse dare
una qualsivoglia
risposta a Becks. Aveva circa una quarantina d’anni,
chiaramente attivo, e, se
era lui a comprarsi i capi, doveva avere davvero un gran bel gusto. Ed
era
galante: fece il baciamano a Sophie, mentre riservò un
inchino a Becks. “La sua
amica ha trovato qualcosa di suo gusto?”
Avrà pure stile, ma è un
cafone, ed un lecchino, Becks pensò, decisamente
seccata. Viktor aveva parlato di lei come se non fosse stata presente,
preferendo
focalizzarsi su Sophie. Perciò si schiarì la
voce, e lanciandogli
un’occhiataccia, gli indicò la bella camicetta che
l’aveva conquistata. “Stavo
pensando a dei capi del genere. Non mi piacciono le cose troppo
stravaganti o
troppo… con troppa poca stoffa, ecco.
Cose semplici, e pratiche.”
“Sì, forse ho capito cosa
vuole dire. Posso lavorarci su. Vediamo…” Viktor
mormorava tra se e se, osservando l’amica della Duchessa con
occhio critico. Si
chiedeva come una popolana avesse potuto attirare
l’attenzione della sua ricca
cliente, ma dopotutto, poco importava: adorava le sfide, e trasformare
quel
maschiaccio in una principessa sarebbe stata una vera sfida.
“Sì, non dirmelo,
lo so. Credi che una cosa semplice non possa essere femminile. Beh, ti
sbagli. Magari
un certo tipo di linee potrebbe stare bene sul tuo corpo, ma i capi
vestono
anche l’animo. Se la tua essenza non si sentirà a
proprio agio, si rifletterà
sul tuo fisico, e sull’idea che gli altri si faranno di te.
Devi
sentirti…coccolata, una star per farti vedere dagli altri in
quanto tale. Ora,
Kathy, la titolare, ha messo da parte delle cose. E
la duchessa mi dice che devi partecipare ad una vesta. Penso
di
avere un vestitino che farà al caso
tuo…”
Quando Viktor le lasciò per andare da
Kathy- la titolare- Becks tirò un
sospiro di sollievo. “Odio i vestiti. Le gonne sono poco
pratiche.”
“Beh,
dovrai farci l’abitudine. E
poi mica sei Parker che devi scappare dalla polizia, da guardie di
sicurezza, e
indossare tessuti che non facciano partire i sensori visivi a miglia di
distanza.” Sophie sorrise, e, davanti allo specchio a figura
intera, dette una
gomitata alla compare. “E a proposito, pensavo che dovremmo
fare un salto anche
da Aristelle. È uno dei migliori negozi di intimo della
città e tu hai un bisogno
urgente di lingerie.”
“Guarda che posso benissimo usare le mie
di mutandine, Sophie!” Becks
disse, tentando di mettere le mani avanti.
“In realtà, no, non
puoi.” Sophie, con un sorriso malandrino, le fece segno
di no con un dito. “A te non serve intimo, a te serve della lingerie, che è cosa ben
diversa. E comunque, anche il cosiddetto
“intimo” fa parte dei capi di vestiario, e ti ho
detto o no che devi rifarti tutto l’armadio?
E poi, con i capi che
vendono qui è un peccato indossare mutandine di cotone e
reggiseni sportivi.
Servono seta, pizzi, raso, balconette,
corsetti, tanga, push-up…oh, e adesso che ci
penso! Ieri sera sono
andato sul loro sito internet, e c’era un completino di seta
della La Perla
color cioccolato fondente che ti starebbe benissimo! Davvero, il momento in cui Eliot ti
vedrà con un paio
di Louboutin ai piedi e quel completino, gli farà venire
l’acquolina in bocca!
Anzi, no! Devi trovare il modo di indossare solo biancheria intima e la
sua camicia,
quello sì che fa impazzire gli uomini!”
“Sì, perché di
sicuro Eliot, un uomo che conosco da, tipo, dieci anni e che
non mi ha mai degnata di uno sguardo, sentirà
l’impellente bisogno di
strapparmi i vestiti di dosso solo perché mi metto gonna e
tacchi. Certo, come
no.” Becks prese in mano un altro top e se lo mise davanti,
giusto per vedere
l’effetto che faceva. “Ti ricordo che, per sua
ammissione, Eliot adora le rosse,
eppure stranamente con
me non si è mai fatto avanti. Per non parlare che la sua
idea di fare due
chiacchiere con me è quella di ricapitolarmi le sue
conquiste della settimana.
Quasi lo sento, sai, esco con tante di
quelle modelle, non che i vestiti contino molto però,
perché finiscono sempre
sul pavimento, perché, sai, siamo nudi. Sul
serio, ti pare un discorso da
fare con una donna? Specie se, come tu asserisci, lui sarebbe
interessato? E
comunque, non è che lui sia, tipo, l’amore della
mia vita o roba simile. Esco
con gli uomini. Ho avuto delle relazioni. Mi sono pure quasi sposata,
una
volta!”
“Dolcezza, fidati, gli uomini sono
creature semplici, che però troppe volte
non sanno nemmeno loro cosa vogliono. Se ti fai vedere da Eliot come un
sexy
fiorellino delicato, capirà di essere stato un idiota cieco
e cadrà ai tuoi
piedi. Dai, se io sono riuscita a fargli preparare un pranzo gourmet
con due
tocchi sul polso, immagina cosa potresti fare tu.”
***
“Dico solo che se non voleva andare a
quella dannata festa invece di fare
tanto casino per farmi sentire in colpa aveva solo da dirmelo! Avevo
rimorchiato un’assistente di volo che mi crede il dottor Wes
Abernathy, che ha
abbandonato la lucrosa carriera di chirurgo plastico
nell’assolata California
per dedicarsi, con Medici Senza Frontiere, a curare i bambini nelle
zone più
pericolose del mondo!”
Seduto a uno dei tavoli della
birreria/pub/gastro-pub, Nathan maledisse il
giorno in cui aveva (di nuovo) deciso di smettere di bere. Sentire
Eliot
lamentarsi di ritardi e appuntamenti saltati non era piacevole, specie
da
sobri. E comunque, sì, Becks era in ritardo, ma solo di sei
minuti, ovvero
dello stesso numero di lamentele lanciate da Eliot.
“Sophie l’ha trascinata in
giro per la città a fare compere. E io mi sono
offerta di rubarle qualcosa, magari un braccialetto, o degli orecchini,
ma non
hanno voluto.” Parker sorseggiò rumorosamente,
dalla cannuccia, la sua bibita,
tutta triste. “Sophie ha detto che non voleva che ci fossero
furti, che voleva pagare.”
“Perché, esattamente da dove
crede che vengano i suoi soldi, Sophie? Se li
ha è perché li ha rubati!” Nate
sorrise, sogghignando nascosto dal suo
bicchiere di analcolico.
“Chiedo scusa a tutti, davvero, di tutto
cuore, so che siamo
in ritardo, ma qualcuno qui non
voleva sentirne di uscire!”
Sophie
apparì, come dal nulla, col fiato corto e arrossata come per
lo sforzo. Si
trascinava dietro Becks, che si nascondeva dietro a Sophie come se
fosse uno
scudo dietro cui nascondersi.
“Sì, perché te
l’ho detto che avevi torto marcio! Sono ridicola vestita
così!” occhi fiammeggianti di rabbia, orgoglio
ferito nel profondo, Becks fu
spintonata da Sophie per farla uscire dall’ombra,
cosicché tutti potessero
ammirare i frutti del suo duro lavoro. E se poteva dirlo da
sé, il lavoro le
era davvero, davvero, davvero venuto bene.
“Oh, come sei carina!” Parker
squittì, battendo le mani. Anche Hardison
aveva fatto un cenno col capo di assenso- ma soprattutto, aveva alzato
gli
occhi al cielo, e aveva dovuto dare una bella gomitata nel costato ad
Eliot,
che se ne stava lì imbambolato con la bocca aperta senza
dire una parola.
Idiota cretino ed
ignorante e cieco, pensò Hardison, che era tutto
fuorché
stupido. Perché solo uno stupido (o Eliot e Becks) non
avrebbe capito che quei
due erano perfetti l’uno per l’altra.
Già passavano più tempo del dovuto
insieme, e poi, davvero, solo Eliot poteva non aver capito che quella
buon’anima di Becks si sera presa una cotta coi fiocchi ed i
controfiocchi per
lui. Anche se, forse, era un buon segno quel silenzio stralunato. Eliot
sembrava incantato, nemmeno avesse avuto un’apparizione
divina davanti agli
occhi.
Eliot, in realtà, era
stregato. Rebecca – Eliot
si rifiutava di usare
degli stupidi nomignoli per una tale creatura – era
semplicemente… bellissima.
La linea del vestito di pizzo si sposava alla perfezione con la sua
silhouette,
il colore, un bordò, scuro, metteva in risalto la pelle
chiaro senza farla
apparire troppo pallida, mentre il corpetto smerlato e le sottile
spalline
valorizzavano le curve naturali delle donna. Perché, a
quanto pareva, sotto le
magliette informi e le camicie scozzesi, Rebecca aveva delle curve
niente male.
Ma come ho fatto a non
accorgermi, in dieci anni, che aveva delle gambe da urlo?
Eliot chinò il capo per dargli una
bella occhiata. Quelle sì che erano
delle belle gambe lunghe, quasi stentava a credere che appartenessero a
Rebecca. Quelle erano gambe che non sarebbero mai dovute essere
nascoste da
capi informi, ma valorizzate da gonne e pantaloni fascianti- e da
scarpine come
quelle che indossava quella sera. Aperte sul davanti, di pelle nera, da
gladiatore. Sexy, provocanti, slancianti… in una parola,
perfette.
Beh, a quanto pare non
sprecherò questo venerdì sera, e avrò
comunque il mio appuntamento con una
rossa sexy. Tutto sommato poteva andarmi peggio, pensò,
sorridendo mentalmente, incapace di staccarle gli occhi di dosso,
sperando che
Rebecca non se ne accorgesse e non lo considerasse un uomo di
Neanderthal
incapace di resistere alle tentazioni e ai suoi più bassi
istinti primordiali.
Peccato che poi ebbe la brillante idea di alzare
lo sguardo per guardare
negli occhi Rebecca, e la sua attenzione fu rubata dai quei bei capelli
mossi
rosso fuoco, brillanti e soffici che sembravano ordinargli di farci
scorrere le
dita dentro. Non fecero di meglio gli occhi da cerbiatta, enfatizzati
dal solo
mascara, l’unico trucco che aveva addosso- non aveva neppure
il rossetto,
eppure quelle belle labbra erano improvvisamente una gran brutta
tentazione,
sembrava quasi che lo volessero incantare per farsi baciare a tutti i
costi,
nonostante le avesse viste milioni di volte in dieci anni.
Ma Becks questo non lo capì. Lei vide
solo Eliot che la fissava in
silenzio, pensò a quanto fosse diversa dalla sorella, e si
sentì insicura,
certa che nella sua mente lui le stesse paragonando e lei ne stesse
uscendo
sconfitta.
“Te lo avevo detto io!” Becks
ringhiò all’indirizzo di Sophie. “Tutta
questa storia è stata solo una perdita di tempo. Io adesso
vado sopra e mi
rimetto i miei vestiti, chiamo mia sorella e le dico che sono stata
arrestata,
almeno così ho una scusa per starmene per i cavoli miei per
qualche settimana e
evito di dovermi sorbire quel maledetto matrimonio!”
Addolorata,
girò i tacchi e salì le
scale verso l'appartamento di Sophie e Nate, dimenticandosi di non
avere la
chiave - e del tutto avversa all’idea di forzare la
serratura. Così, si ì sedette
sull'ultimo gradino, aspettando che qualcuno, chiunque, arrivasse e le
aprisse
la maledetta porta: tutto quello che voleva fare era togliersi quel
dannato
vestito, struccarsi
e trovare un
elastico per legarsi i capelli in una delle disordinate code di cavallo
che
faceva di solito. Voleva solo porre fine alla farsa e tornare nella sua
pelle.
Sentì dei passi avvinarsi, e quando
alzò lo sguardo dai suoi piedi,
fu sorpresa di incontrare gli occhi
sorridenti e malandrini di Eliot. Si morse le labbra e voltò
il capo dall’altra
parte, sperando che il compare di mille avventure non si rendesse conto
del
rossore del viso e del suo imbarazzo. Eliot però le si
sedette accanto, così
vicino che le loro ginocchia si sfioravano, e Becks si sentì
quasi in fiamme,
come se stesse andando a fuoco nel punto in cui i loro corpi si
toccavano. Si
chiese se anche lui provasse lo stesso- o se perlomeno, si rendesse
conto
dell’effetto che le faceva, averlo lì, accanto a
lei, tutti e due vestiti al
meglio, pronti a passare la serata insieme in un bel ristorante. Quasi
fossero
stati una coppia… normale.
“Rebecca?” Sussurrò
il suo nome, per esteso, eppure lei non lo sentì,
perciò le prese il mento tra le dita, obbligandola a
guardarlo negli occhi.
“Rebecca, stammi a sentire: sei una bomba stasera. Avrai
tutti gli occhi
puntati addosso, e Maddie creperà d’invidia
perché sarai la donna più bella in
quel ristorante.”
Con le mani giunte in grembo, lei
sospirò, un po’ triste. “Vuoi solo
essere
gentile, Eliot, tanto lo so benissimo che tu…”
Eliot non sapeva esattamente
cosa lei volesse dire, ma immaginò che non gli sarebbe
piaciuto, perciò fece
che zittirla nel modo che più gli piaceva: risoluto, calmo e
tranquillo,
nonostante avesse tra le braccia una bella donna coperta da decisamente
poa
stoffa, le sue labbra si posarono su quelle di lei, prendendo possesso
di
quella bella bocca da baciare.
Becks si sentì percorsa da una scarica
elettrica mentre la lingua di Eliot
la stuzzicava, allettante. Lo aveva voluto per tanto tempo, e adesso
lui era
lì, che le sorrideva contro le labbra, che le stringeva il
fianco spingendola
verso di se, con i capezzoli ormai turgidi ed eccitati di Becks che
premevano
contro la stoffa dei loro abiti, contro quel petto che sapeva
muscoloso,
abbronzato, perfezione. La donna sussultò, e le labbra si
socchiusero, dando al
suo compagno la possibilità di meglio esplorare quella
tentazione. Lei lo
assecondò, e fece scorrere le dita nei capelli ribelli,
spostando le ciocche
dalla fronte di Eliot a dietro le orecchie.
Quando finalmente si separarono per prendere aria,
lei ansimava
leggermente, e aveva ancora gli occhi chiusi. Eppure, sentiva lo
sguardo di
Eliot su di sé, e poteva ancora sentire quelle labbra, e
quel sorriso che le
sfioravano la pelle. “Beh, adesso sembriamo decisamente una
coppietta incapace
di tenere le mani a posto…nessuno si stupirà che
siamo in ritardo.”
Becks si leccò le labbra, ancora
rigonfie per quei focosi baci rubati.
Avrebbe dovuto sentirsi umiliata all’idea che quella passione
fosse stata sono
una finta, un modo per rendere la recita più credibile,
eppure, era come
stregata, quasi fosse stata lei stessa vittima di un incantesimo. Eliot
appariva sempre stoico, controllato, padrone delle sue emozioni, ogni
suo
movimento, anche, soprattutto quando combatteva, era misurato e
preciso. Ma
era, come Becks aveva sempre immaginato, anche focoso e passionale.
E lei? Lei era una scienziata. Aveva la testa
sulle spalle. Non si sarebbe
dovuta far venire starne idee solo per un bacio. Non quando sapeva che
stavano
solo recitando il ruolo di coppietta affiatata.
Le sorrise, e una volt alzatosi, le porse la mano
per aiutarla. “Vogliamo
andare?” le chiese, dolcemente.
Lei accettò il gesto galante, e
acconsentì. Eliot strinse la delicata
manina nella sua, e la sollevò, quasi non pesasse nulla.
“Sì,”
sussurrò Becks, perdendosi in quegli occhi più
blu del cielo,
maledicendosi per aver acconsentito a quella farsa, di aver permesso a
Sophie
di convincerla. “Sì, sono pronta adesso.”
Mentre faceva le scale al braccio
dell’affascinate e bel ladro, Becks si
chiese se potesse davvero sperare che i sogni, per una volta, si
avverassero- e
cosa sarebbe stata disposta a fare per ottenere quello che voleva,
anche se
solo per una notte. Eliot
l’aveva vista
come un ragazzaccio, come uno dei suoi amici, per troppo
tempo… era ora che
Eliot Spencer si rendesse conto che Rebecca Cummings era una vera donna.
***
Rimasero in silenzio lungo tutto il percorso verso
il pub dove Danny e
Maddie avevano scelto di festeggiare, con amici e aprenti stretti, il
loro
fidanzamento e le prossime nozze da lì a giorni. Su ordine
di Sophie, Eliot era
stato obbligato a chiedere in prestito a Nathan la Mercedes,
perché, a detta
della truffatrice, il pick-up o la Dodge non erano il massimo se ci si
apprestava
a presentarsi alla famiglia della propria ragazza (nonostante Becks se
ne
intendesse di motori e fosse un’estimatrice della Dodge- Donna intelligente).
Eliot faticava a tenere gli occhi sulla strada.
Non era solo il fatto che,
con quel vestitino (e quei tacchi vertiginosi), le gambe di Becks
fossero
spettacolari e una vera tentazione: Eliot sentiva il bisogno
di… di
rassicurarla. Era preoccupata, nervosa, faceva fatica a stare ferma. In
parte
perché sapeva non essere troppo entusiasta
all’idea di fingere di avere una
relazione per fare bella figura, ed in parte perché (ed
Eliot ci era passato
lui stesso) tra fratelli le cose potevano spesso essere più
complicate di
quanto non sembrassero – Becks e Maddie si adoravano, ma il
caro Albert era
riuscito a portare a nuove vette l’espressione
“rivalità tra sorelle”.
Giunti nei pressi della loro destinazione, Eliot
trovò, dopo aver girato un
po’, un posto libero, e posteggiò, borbottando e
prendendo profondi respiri,
avendo cura di non procurare alla creatura di Nathan nemmeno un
graffietto superficiale-
Nathan le sue auto le amava
come e più di Sophie. Fece il tutto con fare drammatico, con
la speranza che
tornasse il sorriso su quelle graziose labbra tutte da baciare.
Niente- non aveva funzionata. Becks teneva le mani
talmente strette che la
pelle delle nocche era divenuta bianca, ed il suo sguardo era fisso
sulla porta
del locale, neanche stesse guardando la porta dell’inferno.
Eliot perciò posò
la mano destra sulla mano di Becks, e la strinse, ottenendo finalmente
una
reazione. Becks arrossì, di un carminio che ricordava molto
la tonalità di
smalto che aveva scelto per le sue unghie curate. La guardò,
quasi stesse
annaspando, e una sola parola gli venne in mente.
Piccola- una parola che non aveva mai usato per
descrivere Becks,
nonostante la sua altezza. Era intelligente, astuta, aveva una
parlantina che
poteva convincerti a fare qualsiasi cosa, e che ti faceva venir voglia
di stare
ad ascoltarla, anche quando blaterava di cose scientifiche, ed era
coraggiosa.
E quella sera, con quel vestito, e la luna che le accarezzava la pelle
d’avorio, era bellissima, e non aveva alcun motivo di
sentirsi inferiore a sua
sorella.
“Ehi, non siamo ancora entrati. Se non
te la senti possiamo benissimo
trovare una scusa…” le sussurrò a bassa
voce, così vicino che Becks poteva
sentire il respiro di Eliot sulla pelle.
“No, Maddie è mia sorella.
Devo andare. Tu sei ancora in tempo se te la
vuoi dare a gambe levate.” Sorrise, ma non fino agli occhi,
velati di tristezza
e preoccupazione. “Davvero, Eliot. Scappa fino a che sei in
tempo.”
“Scordatelo, baby. Ti ho detto che sarei
andato fino in fondo a questa
cosa, e lo farò.” Le si avvicinò ancora
di più, e le solleticò i capelli col
naso, inalando il profumo della donna- fiori e miele nei capelli, una
nota
ancora più dolce sulla pelle, delicata, che lo rapiva e che
Eliot sapeva
avrebbe fatto fatica a dimenticare. Perché profumava
come… come Becks, e come
nessun’altra donna avesse tenuto tra le braccia.
“Su, è ora di andare in
scena.”
Acconsentì, mordendosi le labbra, e
prima che potesse scendere dall’auto,
Eliot le stava già aprendo la porta, dandole la mano da vero
gentiluomo. Mentre
camminavano verso l’ingresso, Eliot
le
cinse la vita con un braccio, e la tenne stretta, così tanto
che mentre
camminavano continuavano a sfiorarsi, facendo bruciare di desiderio
Becks.
Quando entrarono nel locale, Becks prese un
profondo respiro, ed Eliot si
guardò intorno, un po’ disorientato, and
improvvisamente, si sentì pervaso
dallo stesso senso di preoccupazione della sua accompagnatrice;
nonostante
conoscesse- alcuni di fama, altri di persona- buona parte dei presenti,
nonostante avesse messo il suo completo migliore e Becks stesse
indossando quel
delizioso vestitino, i presenti erano decisamente molto, molto
eleganti- non da
cena di gala, ma quasi. Sembrava quasi una passerella. Gettò
lo sguardo sul
completo, e scrollò il capo, chiedendosi se un uomo come lui
– cresciuto
cowboy, divenuto e rimasto soldato- potesse sentirsi a proprio agio tra
quella bella
gente. Poi però indossò una delle sue tante
maschere, ripensò a tutte le volte
che aveva interpretato il ruolo del dottor Wes Abernathy –
lui sì che si
sarebbe sentito al suo posto. Aveva solo da recitare, decise mentre
stringeva
ancora più forte a sé Becks- pensare a quella
festa come l’ennesimo colpo,
diventare qualcuno che fosse un po’ il caro dottore e un
po’ Eliot.
“Becks! Sei arrivata! Avevo paura te la
fossi data a gambe levate!” La
bellezza che teneva tra le braccia gli fu letteralmente portata via,
quando
vennero investiti- non c’era altro modo per definire
l’accaduto – da un tornado
vestito di blu che strinse in un soffocante abbraccio Becks. Madeline,
la
sorella maggiore (di due minuti) di Becks, fasciata in vestito aderente
che
faceva risaltare le sue curve (artificiali, come Eliot aveva una volta
constatato di persona) non sembrava volerne sapere di lasciare andare
la
sorellina, neanche fossero passati anni dall’ultima volta che
si erano viste.
“Lo so che a volte ho un caratteraccio, ma tu sei la mia
gemella, e io ti
adoro, e detesto quando litighiamo, e avevo paura che te le fossi presa
che…”
“In realtà la colpa mia.
Rebecca non ha mai pensato di non venire, Maddie,
sono io che l’ho….” Eliot si
schiarì la gola, facendo l’occhiolino alla sua
accompagnatrice.
“Sono io che l’ho trattenuta.”
Madeline lasciò andare la sorella, e
fece un sorrisetto malizioso ad Eliot,
a braccia incrociate, studiandolo per bene, e quando Becks
arrossì, fece un
espressione che sembrava gridare che si era bevuta quella colossale
frottola
che con solo uno sguardo e qualche carezza a dovere Eliot le aveva
raccontato:
secondo quella narrativa, Eliot e la cara, dolce Rebecca erano stati
trattenuti
da un focoso momento condiviso nella camera da letto.
“Allora, Eliot, finalmente
hai deciso di mettere la testa a posto e trovarti una vera donna invece
che le
solite svampite che ti fai di solito?”
Lui rise. “Sai di esseri appena data
della svampita, vero?”
“Andiamo, lo sappiamo tutti che la
gemella intelligente è Becks. Io sono la
civettuola carina che attira i polli.” Ammise senza troppi
problemi con una
scrollata di spalle. “Ho sempre pensato che la mia sorellina
facesse molto più
al caso tuo. Però, ti avverto, se le spezzi il cuore, un
modo per vendicarmi lo
trovo.”
Eliot rise, di gusto, perché sapeva che
Maddie stava scherzando- di certo
non lo stava sul serio minacciando di assassinarlo, erano le classiche
cose che
si dicevano tra amici, e poi, apprezzava profondamente quel senso di
cameratismo tra le due sorelle; nonostante sapesse che in molte cose
fossero in
competizione, c’erano l’una per l’altra.
Difatti, in men che non si dica
stavano ridendo, scherzando, chiacchierando – tra di loro e
gli altri ospiti -
con un’insolita Madeline che arrossiva parlando dei
preparativi del matrimonio,
che diceva a Becks quanto felice fosse felice per lei, quanto fosse
bella con
quel vestito, che il colore le donava… a quanto pareva,
innamorarsi aveva
davvero cambiato la bella sventola smaliziata con cui, anni addietro,
Eliot
aveva avuto una fugace avventura.
“Bimba, la wedding planner ti sta
cercando, per parlanti non si do cosa.”
Danny- Daniel, un brillante truffatore di origini inglese, un
po’ avventato, ma
con in compenso un ego grande quanto la Statua della Libertà, non si sprecò
in tante formalità, e fece che
interrompere la conversazione della fidanzata come se niente fosse,
appiccicandosi addosso a Maddie e praticamente strusciandosi addosso
alla
donna. Becks alzò un sopracciglio, chiedendosi per la prima
volta cosa
esattamente ci avesse visto in Danny da ragazza- Eliot era decisamente
una
scelta migliore, se si trattava di sbavare segretamente dietro ad un
uomo-
mentre il suo accompagnatore tossì rumorosamente per
attirare l’attenzione del
futuro sposo, nella speranza che la piantasse di ispezionare le
tonsille di
Maddie con la sua lingua davanti a loro. “Oh, chiedo scusa,
perdo sempre il
controllo quando mi ritrovo la mia piccola tra le braccia. Eliot
Spencer,
giusto? Ti avevamo invitato?”
“In realtà, no.”
Becks si schiarì la gola. “Lui sta con me. A
proposito,
sto bene, grazie, e tu?”
Danny sbettè le palpebre, stordito,
lasciando scorrere lo sguardo dalla
punta dei capelli fino giù ai piedini nelle scarpe firmate.
Gli occhi quasi gli
uscivano dalle orbite, e quando Madeline ebbe da dargli una gomitata
per
riportarlo alla realtà, Becks si godette
quell’attimo di trionfo, sollevando le
labbra con un sorriso ironico. “Wow, Becks, non ti avevo
riconosciuta subito.
Stai davvero alla grande!”
Evidentemente, Sophie aveva avuto ragione. La
trasformazione aveva
funzionato, aveva gli sguardi ammirati di tutti puntati addosso, eppure
c’era
qualcosa che la disturbava nel profondo, che le impediva di godersi la
serata-
ed il trionfo – come avrebbe dovuto. Si voltò a
cercare lo sguardo di Eliot, e quasi
sobbalzò, con il cuore che le batteva a mille e le
rimbombava nelle orecchie,
quando si perse in quelle profonde iridi blu ardenti di desiderio.
Era causa sua, quella sensazione indescrivibile
che la metteva a disagio-
la presenza dell’ex militare brontolone a farla sentire
così, il ricordo di
quel bacio scambiato sulle scale, del tocco delle sue dita lungo il
corpo di
Becks. Era troppo, aveva bisogno di aria, di riflettere.
“Chiedo scusa un
attimo, devo incipriarmi il naso,” si inventò.
Si diresse verso il bagno, e fu lieta di trovarlo
vuoto. Respirò, cercando
di controllarsi, e aprì il rubinetto dell’acqua
fredda, spruzzandola sui polsi,
sperando che l’aiutasse a calmare i nervi a mille.
Alzò lo sguardo e vide il
proprio riflesso nello specchio, stupita di vedere quella donna che
tutti
ammiravano, con cui chiacchieravano come nulla fosse, una donna che
aveva
risvegliato il desiderio e l’interesse di Eliot.
Stupita di sapere che quel riflesso apparteneva a
lei.
“Va tutto bene?” si
voltò appena udì la voce di lui, presa alla
sprovvista,
stupita che nel momento stesso in cui il suo pensiero era andato a lui,
Eliot
fosse apparso davanti a
lei.
“Eliot! Questo è il bagno
delle signore! Non dovresti essere qui!”
Gli sibilò, lanciandogli un’occhiata
di fuoco.
“Non arrivavi più e io mi
sono preoccupato! Pensavo avessi bisogno
d’aiuto!” le
disse, come se fosse stata
la cosa più logica del mondo. Becks alzò gli
occhi al cielo, chiedendosi se
fosse il caso di ammettere qualcosa, e se ci fossero cose che era
meglio
tralasciare- tutti le stavano facendo i complimenti, per il look e
perché
faceva davvero una bella coppia con il suo accompagnatore, e come si
vedeva che
lui era un devoto fidanzato e così via. “Qualcuno
ha detto qualcosa che non
avrebbe dovuto?”
Becks si appoggiò con la schiena contro
il lavandino di marmo chiaro, e
sospirò pensierosa, ma con un piccolo sorriso sulle labbra
che rincuorò Eliot.
Era chiaro che si sentisse meglio, più a suo agio di quando
avevano iniziato la
serata. Soprattutto, si sentiva ben accetta, per la prima volta da
tempo. Per
anni molti l’avevano considerata figlia di, sorella di, e si
erano chiesti se
fosse davvero tagliata per quel lavoro o se facesse solo parte della
ditta di
famiglia. Ma ora- grazie a Nathan che le aveva offerto
un’opportunità, a Sophie
ed Eliot che le stavano mostrando che le stavano mostrando che poteva
essere la
scienziata nerd e avere anche stile, sembrava che finalmente tutti si
stessero
accorgendo di lei.
Le cose erano cambiate. E forse era ora che
facesse cambiare le cose anche
con Eliot. Forse poteva essere qualcosa di più anche per
lui.
“Sai, è diverso da come mi
aspettavo. Forse è solo l’incantesimo del
vestito, ma… avevo scordato che qui c’è
gente che mi vuole bene e che mi
apprezza.”
“Non mi meraviglio che avessi dei dubbi.
Albert non mi è mai sembrato
troppo paterno. Lui è molto…” Eliot
ammise, grattandosi la base del collo distrattamente,
cercando un termine adeguato per descrivere il padre di Becks senza
offendere
nessuno. Dalla sua, aveva una cosa sola: non aver permesso che le
figlie, alla
scomparsa della madre, venissero separate. Non era certo un esempio
lampante di
moralità, né aveva mai provato a fare altro nella
vita che rubare. Ma Eliot era
certo che sotto, sotto amasse le sue ragazze. Semplicemente, non era
molto
bravo a dimostrare quell’affetto.
Becks abbassò lo sguardo sul pavimento,
mordendosi le labbra, quando Eliot
diminuì la distanza tra di loro, i loro volti quasi si
sfioravano, e lui prese
la mano di lei nella sua, accarezzandola con lenti e languidi movimenti
circolari. Aveva appoggiato la spalla al muro, e non riusciva a
smettere di
osservare Becks, come lei non riusciva a distogliere lo sguardo dagli
ipnotici
movimenti di Eliot sulla sua mano.
“Rebecca… sei venuta, hai
parlato con chi di dovere, sei stata carina e
gentile. Ma che ne dici se ti accompagno a casa? Hai l’aria
esausta…”
“Sì…
c’è stato parecchio da fare
ultimamente… tra il matrimonio e il
colpo…” mentì, dando la colpa della sua
stanchezza al lavoro piuttosto che al
nervosismo per quella serata da passare in compagnia
dell’uomo che da tempo le
aveva rubato il cuore.
Senza ulteriori indugi - senza altre parole
– senza mai lasciare andare la
mano di lei, la accompagnò fuori dal bagno. Becks
incontrò lo sguardo di
Madeline, e l'espressione maliziosa di sua sorella mentre uscivano dal
bagno
dopo quasi quindici minuti passati chiusi da soli dietro quelle porte,
le disse
che sì, tutti credevano che lei ed Eliot fossero una coppia
- o almeno, amici
di letto - e che sì, la gente pensava che avessero passato
tutto il tempo
chiusi nel bagno a darsi da fare, e che si stessero dirigendo in fretta
e furia
a casa per terminare quello che avevano iniziato.
Francamente, per una volta, a lei non importava:
ogni tocco di Eliot, per
quanto delicato e casuale, la accendeva, era come essere attraversati
da
corrente elettrica, era fuoco che le scorreva dentro, che la accendeva
di
desiderio, che la spingeva a chiedersi cosa quelle mani avrebbero
potuto farle,
se i loro corpi non fossero stati nascosti da stoffa, se fosse stata
nuda e compiacente
tra le sue braccia tra fresche lenzuola di seta.
Arrossendo, lei gli strinse la mano con
gratitudine perché, se era
sopravvissuta alla serata, era soprattutto grazie a lui - e
camminò dietro di
lui, fermandosi giusto per salutare vecchi
amici, i conoscenti e la sua famiglia. Di nuovo le cinse la vita mentre
camminavano verso la macchina di Nate, e di nuovo stettero in silenzio
lungo
tutto il percorso- ma adesso era tutto diverso. L’imbarazzo e
l’ansia erano
scomparsi, lasciando spazio solo ad un caldo desiderio lussurioso e ad
una
maliziosa attesa. Becks si sentì molto più
consapevole della solida presenza di
Eliot di quanto non fosse mai stata prima, e dallo sguardo affamato di
lui sulle
sue gambe scoperte, Becks percepì per la prima volta che
nemmeno lui le era
così indifferente, ora.
Arrivarono all’appartamento di lei, e
prima di aprire la portiera, Becks si
bloccò, congelandosi sul posto, gli occhi fissi sulla strada
dinanzi a lei,
pitturata in un chiaroscuro danzante dalle fioche luci dei lampioni.
“Ti andrebbe di salire da me e provare
il mio Panache?” Eliot alzò un sopracciglio,
curioso. Aveva fatto un paio di lavoretti (alcuni dei quali di cui non
andava
troppo fiero e di cui non amava particolarmente parlare) nel sud
Europa, e
sapeva che si trattava di un cocktail a base di birra. Ma,
era di un cocktail che Rebecca stava parlando? Per quel che
ne
sapeva, Panache poteva essere una parola in codice per
“sesso” – come quando
lui invitava le ragazze da lui per vedere una collezione di farfalle
che
entrambi sapevano essere inesistente.
“Tranquillo, posso farlo anche
analcolico. O leggero. Perché abbiamo visto
tutti due che io l’alcol lo reggo davvero molto, molto male.
E comunque tu devi
guidare, e la macchina non è nemmeno tua ma di Nathan e
sappiamo entrambi che
lui la adora, quasi quanto Sophie. Preferisci un caffè? Ho
la macchina per
l’espresso, praticamente nuova, mai usata. Anche
perché io a casa non ci sono
mai e…” Becks si morse le labbra quando si rese
conto che stava blaterando.
Quasi quasi sarebbe stata felice se lui l’avesse zittita di
nuovo, come quando
erano usciti. Con un bel bacio sulla bocca.
Ma non la baciò. Eliot
scoppiò invece in una sonora risata cristallina, di
quelle che riempivano il cuore, e si massaggiò la mascella,
non sapendo
esattamente se essere deluso o meno che non ci fossero piani di
seduzione
all’orizzonte- se fosse stata lei a fare la prima mossa,
nessuno avrebbe
trovato da ridire se lui non avesse resistito, no?
“Sì, ci sto. Una birra è
quello che mi serve. Se ce l’hai qualcosa di
leggero.”
“Forte e chiaro.” Sorrise, e
uscì dall’auto, precedendolo su piedi leggeri
e danzanti lungo le scale. Eliot la seguiva, incapace di staccarle gli
occhi di
dosso, su quella arrapante schiena nuda su cui spiccava, tra le
scapole, un
tatuaggio – non aveva mai avuto la più pallida
idea che lei ne avesse uno- due
soffici ali piumate aperte come in volo.
Gli tenne aperta la porta e accese le luci,
spalancandogli le finestre su
un mondo fino ad allora a lui sconosciuto. La casa era a mattoni a
vista,
piccola, confortevole, quasi spartana.
Non era un posto in cui vivere, ma una tana, come per
molti altri
artisti della truffa e ladri. C’era giusto
l’essenziale, qualche mobile
dell’Ikea, niente cose stravaganti, niente foto, niente
paccottiglia a prendere
polvere.
Però, una cosa fuori posto che lo
stupì piacevolmente c’era: un bel mobile
bar, accanto al divano, di cui Rebecca stava prendendo possesso.
Riusciva a
stento a credere che lei avesse una cosa simile, sembrava
così lontana dal suo
personaggio. “Quindi quando Hardison ti ha creato almeno
mezza dozzina di alias
che fanno cameriera o barista ci aveva azzeccato.” Le disse
sedendosi sullo
sgabello davanti al mobiletto, e appoggiando il gomito sul banco come
fosse un
cliente di un vero bar. Rebecca gli sorrideva, rilassata, e gli
preparava il
drink con movimenti misurati, studiati eppure naturali, come se li
avesse fatti
milioni di volte.
“Non proprio, però, mi piace
fare cocktail. La mixologia è un po’ come la
chimica. Bisogna sapere quali elementi stanno bene insieme, e cosa fare
per
ottenere una bella esplosione- che sia per distruggere, o far esplodere
i
fuochi d’artificio.” Mescolò
delicatamente il cocktail, ed offrì all’ospite il
semplice bicchiere. “Eccoti servito un Panache. Birra a bassa
gradazione
alcolica, succo di limone, acqua ed il mio tocco personale, due gocce
di stevia
al posto dello zucchero.”
“Mi piacciono le cose
rinfrescanti.” Assaporò il drink, godendoselo,
leccandosi le labbra, facendo sospirare dietro a occhi semichiusi la
donna che
gli stava innanzi. “Mi ci voleva proprio.”
“Oh, per così poco.
È, tipo, il drink più banale che si possa
preparare.”
Lei minimizzò la cosa con un gesto un po’
distaccato, tuttavia, arrossì, ed il
rossore le arrivava fino alla valle fra i seni pieni, dove un ciondolo
a forma
di stella si appoggiava, focalizzando su di sé
l’attenzione di Eliot ed
accendendolo di desiderio. “Se una di queste sere mi prepari
uno di quei tuoi
manicaretti da chef stellato, io ti faccio sentire
cos’è un vero Russian Mule.”
“Oh, sarò ben felice di
cucinare per te, dolcezza.” Le sorrise, poi, resosi
conto di cosa aveva detto- e del tono malizioso che aveva usato, si
schiarì la
gola, e batté il bicchiere sul tavolo, delicato.
“Uh, forse dovrei andare. Si è
fatto tardi e domani ho tanto da fare. Abbiamo tanto da fare tutti e
due. Sai,
gente da picchiare. Piatti da cucinare. Cose da fare esplodere. Ok.
Ciao.”
Becks stava per andare ad aprirgli e accendergli l
luce lungo le scale,
quando Eliot, dinanzi a lei, si bloccò, fissando la porta
chiusa. Era teso, e
dalla sua postura si capiva quanto si sentisse combattuto.
Improvvisamente,
Eliot si voltò verso di lei con un solo fluido movimento, e
prima che lei si
rendesse conto di ciò che stava accadendo, l’aveva
afferrata per i fianchi con
le sue ruvide mani callose, sollevandola a sedere sul mobile bar.
Sgranò gli
occhi, ricolma di sorpresa, e quando cercò lo sguardo di
Eliot per comprendere
a pieno cosa stesse accadendo, fu incapace di proferire parola,
paralizzata da
quello sguardo cupo ricolmo di determinata lussuria.
“Ho provato a fare il bravo, davvero, ma
non posso andarmene senza sapere…
prima di…” Nascose il capo nel collo di lei,
addentando, divorando le delicata
pelle d’avorio. “Devo fare l’amore con
te.”
Quella frase ricolma di desiderio le fece perdere
ogni controllo, ogni
inibizione, e quando Eliot si staccò dal suo collo per
impossessarsi nuovamente
delle sue labbra, il mondo le crossò addosso, e Becks smise
di pensare del
tutto- aveva solo lui per la testa, ed il frenetico bisogno di
possedersi, in
quel momento, lì. Le mordicchiò le labbra,
facendola sussultare, la esplorava,
le sue possenti mani che prendevano possesso dei seni, riempendosi
della
soffice rosea carne. Era pazzo, frenetico, non riusciva a smettere di
toccarla,
era come un affamato a cui fosse stato dato cibo dopo mesi e mesi. Non
sapeva
cosa toccare prima, cosa scoprire….fianchi seni gambe vita
schiena…
Becks sorrise, e riuscì a scappare alla
sua presa. Lo afferrò per la
cravatta, trascinandolo di nuovo a sé per un altro
interminabile bacio. E
intanto, camminava all’indietro verso la camera da letto.
***
“Ti perdono per avermi mollato da solo
in quel grande e freddo letto solo
perché, a guardarti con la mia camicia e quel tanga, mi
viene voglia di
mangiarti. Sul serio Rebecca, dovresti saperlo che ci sono poche cose
che un uomo
trova più sexy che vedere la propria amante con addosso solo
uno striminzito
paio di mutandine e una sua camicia.” Eliot le sorrise,
lascivo. “mi rimangio
quello che appena detto: se ti togliessi le mutandine e ti sbottonassi
la
camicia, allora sì che saresti la cosa più sexy
del pianeta.”
“La tua amante? Sul serio?”
Becks arrossì, sentendo gli occhi affamati di
Eliot piantati addosso. Se la stava mangiando neanche fosse stato il
più
delizioso piatta che avesse mai cucinato in tutta la sua vita. Era
notte fonda,
le luci erano tutte spente salvo una piccola lampada nella cucina e la
luce
fioca che entrava dalle finestre. Becks aveva involontariamente seguito
il
consiglio di Sophie, gettandosi addosso la prima cosa che ava trovato
in
camera- la camicia grigio scuro di Eliot- e si era messa a
scribacchiare si un
bloc-notes mentre sorseggiava una tazza di caffè.
“Volevo mettere giù due
formule finché erano fresche nella mia testa. A volte mi
viene un’idea, non me
la segno, e mi passa di mente.”
“Perché, ti viene in mente in
mente un’altra parola per quello che abbiamo
fatto?” Eliot le sorrise e la raggiunse. Si mise alle sue
spalle, e le
accarezzò il collo, baciò la pelle lasciata
scoperta dal per lei ampio colletto
delle spalle, mentre la sfiorava, delicato, con la punta delle dita,
riscoprendo quel corpo che sole poche ore prima aveva mappato,
centimetro per
caldo centimetro.
“Cos’è, mi rivuoi
tutta nuda nel letto per giocare la lupo cattivo, Eliot?”
“Di certo non mi lamenterei se
capitasse.” Smise di baciarla e guardò il
blocco, pieno zeppo di formule e appunti, scritto con una calligrafia
che
ricordava i geroglifici – non un codice, solo una davvero
pessima calligrafia.
“Quindi è questo che fa il noto Chimico del
sottobosco criminale di Portland?”
“Più o meno. Sto cercando di
sintetizzare un agente chimico che permetta di
prendere il controllo del soggetto inoculato senza che ci siano troppi
effetti
collaterali negativi.” Gli rispose con un’alzata di
spalle.
“Come il profumo di Sophie?”
“In realtà, no.”
Becks arricciò il naso e richiuse il blocco. “Il
profumo
che ho dato a Sophie aveva una forte componente emotiva, lavorava
più sulla
psiche della nostra vittima che sul tessuto neurologico. Non aveva
nulla a che
fare con neurotrasmettitori o una vera e propria alterazione dello
stato di
coscienza. Olfatto e gusto sono i due sensi maggiormente legati al
costrutto
emotivo e mnemonico di un soggetto. Quindi, io mi sono letta tutto
quello che
ho trovato sul nostro pollo, spulciato ogni intervista, fino a che ho
trovato
un articolo che parlava della casa dove aveva passato la sua infanzia.
Ho fatto
qualche ricerca, trovato informazioni sulla flora locale
all’epoca in cui lui
era piccolo, e ho sintetizzato un profumo attraverso
l’infusione di
micro-particelle adatte, ed il gioco è fatto. Tutte le volte
che Sophie gli era
accanto, lui inconsciamente tornava indietro con la memoria ad
un’epoca in cui
era innocente e pieno di fiducia, e questo l’ha reso
più suscettibile ai
consigli di Sophie. Certo, non è stata l’unica
cosa che l’ha fatto cedere, ma
tutto aiuta. È una rottura, perché è
un giochetto che deve essere studiato per
ogni singolo soggetto ed è specifico, ma a quel tipo piaceva
davvero quella casa in
campagna.”
Eliot rise. La corta barba le solleticava e
pizzicava la pelle, eccitandola
in un modo che Becks non credeva possibile. Quando parlò,
lei sentì la voce di
lui risuonare sul suo corpo, ed il desiderio si riaccese,
più forte che mai.
“Sai, non so il perché, ma quando Hardison usa
paroloni, voglio strozzarlo, quando
lo fai tu, invece, mi eccito da morire e pendo dalle tue
labbra.”
Becks si allontanò da quel solido corpo
caldo, e si voltò, guardando Eliot
negli occhi. Mise un po’ di distanza tra di loro, senza mai
abbassare lo
sguardo, dopodiché, con un solo fluido movimento, fece
scivolare la camicia sul
pavimento. “Forse perché non si veste
così quando lo fa?”
Eliot non si degnò di darle risposta.
Si limitò a caricarsela in spalle come
un cavernicolo e la trascinò di
nuovo a letto.
***
Era ormai quasi l’ora di pranzo quando
Becks si svegliò. Sapeva di dover
lasciare il letto- c’era un mucchio di lavoro da fare, e poi,
dalla cucina
proveniva un delizioso profumino che avrebbe messo appetito anche ad un
morto,
figurarsi lei che la sera prima alla cena di Maddie aveva a malapena
toccato
cibo, e che aveva passato la nottata a bruciare calorie in modo
peccaminoso. E
poi, che senso aveva starsene tutta sola in quel grande letto? Senza
Eliot, era
così freddo… una sola notte di passione, e
già sapeva che non avrebbe più
potuto stare senza di lui accanto.
E poi, Eliot era bravo a letto e
in
cucina. Forse non un uomo da sposare, ma decisamente da tenersi bello
stretto…
Si guardò intorno e notò che
si era rivestito, e si sentì pervasa da uno
strano stato di preoccupazione. Aveva immaginato più volte-
specie all’inizio
della loro collaborazione, con la cotta per lui una novità
–di svegliarsi dopo
aver passato una notte infuocata (ma incredibilmente dolce) con lui, e
se l’era
immaginato camminare per casa a piedi nudi con un vecchio paio di jeans
tutti
sgualciti. La notte prima, Eliot si era concesso un completo scuro
visto
l’evento – alta sartoria che gli calzava a pennello
– ma nella sua testa, c’era
questa strana fissazione dei piedi nudi, e Becks non sapeva il
perché, ma saperlo
di là vestito di tutto punto… c’era
qualcosa che la disturbava in
quell’immagine.
Mentre entrava quieta in cucina, sentiva che,
diversamente da quanto
accaduto durante la notte, non sarebbe stata in grado di sorprendere
Eliot. Era
come se sapesse che Eliot non sarebbe stato troppo felice di vederla, e
questa
certezza fu confermata appena lo scorse occupato ai fornelli, intento a
mettere
insieme un pasto decente con quelle quattro cavolate che Becks teneva
in casa.
Non era ciò che stava facendo, ma il come,
la sua postura. Eliot sembrava come distante. Non stava semplicemente
mettendo
in discussione quello che avevano fatto la notte precedente, convinto
di aver
fatto un errore madornale, ma aveva un’aria come colpevole,
era chiaro che
rimpiangeva l’accaduto e che, se fosse potuto tornare
indietro, avrebbe
compiuto scelte ben diverse, dall’accettare di andare a
quella maledetta festa
fino al momento in cui l’aveva fatta sua sul mobile bar del
salottino.
“Quindi, è così
che funziona? Per alzare il morale della bella di turno
prepari una bella colazione? Oppure lo hai fatto giusto questa volta
perché
lavoriamo insieme e vuoi tenermi buona?” Gli chiese,
appoggiata al muro a
braccia conserte, con addosso solo una vestaglietta rosa, i capelli
ribelli e
scapestrati come suo solito- un po’ la femme fatale della
notte prima, un po’
la solita se stessa.
“Becks, ascolta…”
Sussurrò. Eliot la fissava frustrato, seccato, come se
lei fosse una bambina capricciosa che non volesse accettare la
realtà, e la
cosa la rendeva ancora più furiosa, la feriva ancora di
più. La donna si fece
forza e coraggio, controllando il respiro, e strinse i denti senza mai
distogliere lo sguardo da quell’uomo che non riconosceva
più.
“Non ti azzardare,”
sibilò a denti stretti, rendendosi amaramente conto che
era tornato a chiamarla Becks, e non Rebecca, come aveva fatto la notte
precedente.. “Non trattarmi con accondiscendenza, Eliot.
Merito molto più
rispetto.”
Eliot emise
un sospiro di
frustrazione, e abbassò il capo, decidendo che fosse meglio
concentrarsi sui
lacci delle proprie
scarpe piuttosto che
intavolare quella conversazione. Incrociò le braccia con
fare risoluto, la
schiena puntata contro il tavolo da pranzo, determinato a non guardarla
negli
occhi nemmeno per un istante. “Senti, non peggioriamo le
cose. Non c’è motivo
di crearci dei problemi. Lavoriamo insieme, e, quando si passa tanto
tempo
insieme certe cose possono capitare. E poi, non
c’è motivo di rovinare qualcosa
che funziona, no? Andiamo tutti e due per la nostra strada, ci
comportiamo da
adulti e vediamo di rimanere amici.”
“Okay, ho afferrato.”
Acconsentì, nonostante il suo sguardo dicesse
l’esatto opposto, e la sua voce fosse intrisa di malcelato
sarcasmo. “Giusto
per capire, adesso decidi che
abbiamo
fatto una cazzata, anche se abbiamo passato dodici
ore in quel letto? Quando sei stato tu
a saltarmi addosso e dirmi che dovevi fare l’amore
con me perché altrimenti
saresti impazzito? Ho capito bene?”
Eliot si stropicciò il mento e
osservò Becks provando quasi pietà, pena per
lei- sentimenti che la donna avvertì e che la mandarono in
bestia, riempendola
di rabbia, indignazione e vergogna. Si era fatta controllarle dalle sue
emozioni, si era fatta cullare dall’illusione che i sogni
potessero avverarsi,
che a volte, alcune volte, le cose potevano cambiare in meglio. Come
sua madre,
era stata vittima del proprio amore per un uomo, aveva dimenticato che
il cuore
aveva delle regole, che lei era sempre andata bene a ragionare
piuttosto che a
sentire, e che forse, la felicità assoluta non faceva per
lei. Forse lei era
destinata semplicemente ad esistere e sopravvivere. Era una ladra, una
truffatrice, aveva cambiato nomi ed identità da quando era
una ragazzina. Non
aveva mai avuto un legame duraturo, e avrebbe dovuto sapere che non
avrebbe
dovuto tentare di cambiare le cose.
“So che pensate che io non me ne renda
conto, ma non sono cieco, Becks. So
che ti sei presa una sbandata, e va bene, capita. Ma è solo
questo, una
semplice sbandata, sei tu che ti stai facendo dei film strani per il
matrimonio
di tua sorella.” Scandiva le parole, parlava tranquillo quasi
lei fosse un
bambino o un animale.
“Un uomo che mi dice cosa provo e cosa
devo pensare. Meraviglioso, Eliot,
grande. Giusto quello che mi mancava.” Gli rispose
sarcastica, seccata.
“Ma che diavolo vuoi che ti dica,
Becks?” Quasi urlò, spalancando le
braccia. “Vuoi che ti dica che sono l’amore della
tua vita? Va bene, come vuoi!
Ma io non sono interessato, va bene? Mi sono innamorato una volta e mi
è
bastato, e non lo farò più, perché non
sono il tipo da fare promesse che non
può mantenere. Se vuoi un maritino che torni a casa da te
alla sera dovrai
andartelo a cercare da un’altra parte, perché io
non posso e non voglio essere
quell’uomo, va bene? Perché io ho già
persone da difendere, per cui lottare.”
“Non ho capito, mi stai dicendo che mi
rispetti troppo per farmi una
promessa che sai non poter mantenere? È questa la tua
scusa?” Le scappò una
risata tanto la cosa le suonava insensata.
“Lo so che sembra non avere senso, ma
per me ne ha.” Le rispose, la sua
voce bassa e roca, mentre si massaggiava il collo per alleviare la
tensione.
“Sai cosa non sopporto? Che si insulti
la mia intelligenza, o che mi si
tratti come se fossi un’oca giuliva. Ho trentacinque anni,
Eliot. Contrariamente
all’idea che ti sei fatto, ho avuto le mie storie, e non sono
certo la
verginella spaurita che sembri immaginarti. Quindi, sii sincero e
piantala di
prendermi per il culo.” La sua voce era bassa, quasi un
sibilo, e Becks si
ergeva dinnanzi a lui fiera, distaccata, con uno sguardo gelido che
spezzava il
cuore ad Eliot. “Cos’è, volevi una
sveltina senza tanti problemi e adesso hai
paura che io non sappia gestire la cosa e diventi una piattola? O ti
sei
limitato a notare che dopotutto ho soltanto cambiato vestito, e sotto,
sotto
sono sempre la stessa, una donna che non è decisamente il
tuo tipo, diversa
dalla mia sorellina, diversa dalla perfetta Aimee – non
assomiglio all’amore
della tua vita, a nessuna delle ragazze con cui te la fai di solito,
sono solo una
nerd nevrotica nel migliore dei casi, uno dei ragazzi in quello
peggiore.”
“Beh, di certo ti stai comportando come
una ragazzina adesso.” Le ripose,
secco, a labbra serrate.
“Io? Tu non mi consideri per anni, poi
decidi che ti faccio pena e che
quindi mi concedi l’enorme privilegio di sperimentare le tue
abilità nella
camera da letto, e io sarei la ragazzina immatura? Sul serio,
Eliot?”
“Senti, Becks, sul
serio….” Fece alcuni passi verso di lei, nel vano
tentativo di avvicinarsi. Per quanto fosse certo di essere nella
ragione, Eliot
non riusciva a sopportare quello sguardo glaciale, né quella
pacata e risoluta
furia. Non voleva peggiorare le cose, spezzarle il cuore. Voleva solo
che lei
capisse che non si poteva fare altrimenti. Doveva capirlo, dargli
ragione,
ammettere di essere nel torto. “Dico davvero, ti stai
comportando come una
ragazzina. Adesso siediti, beviti questo dannato caffè e
stammi a sentire per
bene. Vedrai che una volta che ti sarai data una calmata mi darai
ragione.”
“L’unica cosa che voglio fare
ora, Eliot, è vederti uscire da quella porta
e rimanermene qui da sola in santa pace.” Rifiutando la
pietà di Eliot, e
quella compassione che gli leggeva nello sguardo, Becks si
allontanò ancora di
più, e alzò lo sguardo come per frapporre una
barriera protettiva tra di loro.
Il respiro era affannoso quando aggiunse una sola parola,
l’ultima. “Vattene!”
Senza aggiungere altro, Eliot gettò
rancoroso lo strofinaccio da cucina che
aveva in mano per terra, e se ne andò, sbattendo la porta,
mentre lei lo
fissava andarsene fiera, impassibile, quasi regale, rifiutandosi di
voltare lo
sguardo, di cedere alla tentazione di supplicarlo di cambiare idea.
Solo quando fu certa che se ne fosse andato e che
non sarebbe tornato la
donna si lasciò scivolare sul pavimento,
concedendosi il lusso di piangere lacrime amare per un
cuore spezzato.
***
“Sophie, ho trovato un tuo orecchino in
macchina- e se non è tuo giuro che
non ho la più pallida idea di come sia finito
lì.” Sophie, da brava ladra,
afferrò al volo l’orecchino lanciatole da Nathan.
Quando lo ebbe fra le mani lo
guardò, e riconoscendolo, sospirò, sentendosi
leggermente in colpa per
l’impasse in cui si trovavano i suoi amici. Certo, non era solo colpa sua, ma sapeva di aver avuto
un certo qual ruolo in quello
che era successo tra Eliot e Becks.
Eliot, poi, stava molto, molto male –
per usare un eufemismo – ed erano
ormai un paio di settimane che nessuno riusciva a tollerare la sua
compagnia
per più di cinque minuti, tanto era diventato scorbutico e
insofferente (per la
precisione, sedici giorni e quattordici ore, non che lui contasse i
minuti da
quando aveva visto Becks per l’ultima volta). Si
voltò verso Sophie, mugugnando
qualcosa di poco
intelligibile in quella
che doveva essere stata la lingua usato dall’uomo di
Neanderthal. Lo sfidò a
ripetere qualsiasi cosa avesse detto col solo sguardo, alzando un
elegante
sopracciglio con fare interrogativo.
L’intera stanza si era scordata che
Eliot avesse parlato minuti prima
quando lui si decise di degnarsi di ripetersi. “È
di Becks. Lo aveva la sera
che l’ho accompagnata a quella stupida cena di
fidanzamento.”
“Ah,” Nathan si morse la
lingua prima di dire o chiedere cose che avrebbero
potuto essergli rinfacciate o, conoscendo Eliot e la sua propensione ad
alzare
le mani, nuocere alla sua integrità psico-fisica. Si
grattò il naso, mugugnando
qualcosa tra sé e sé, poi si schiarì
la voce e si rivolse alla propria squadra.
“A proposito di Becks… mi è stato
proposto un caso per cui potrei avere bisogno
della sua peculiare esperienza in campo della chimica…
qualcuno ha una vaga
idea di se e quando ci degnerà di nuovo della sua
presenza?”
Sophie soffiò, seccata, chiedendosi se
il suo fidanzato davvero non si
fosse reso conto di quello che probabilmente era accaduto tra i
compagni di
squadra, o se stesse solo fingendo di non sapere per studiare la
reazione di
Eliot- aveva raccontato bugie peggiori in passato, dopotutto. Lei si
limitò ad
indicare il picchiatore con la testa, come per dire che se voleva delle
risposte, era a lui che doveva fare le domande, e che avrebbe fatto
meglio ad
essere diretto per una volta, invece che criptico come suo solito.
“Sentite, io a mettere le cose a posto
ci ho provato, ok?” Eliot grugnì,
sbattendo il pugno chiuso sul tavolo, con tale forza che la lattina di
Hardison
barcollò fino a rovesciarsi. “Ma quando Becks vedo
che sono io a chiamarla non
risponde, e se provo a chiamarla da un numero diverso, appena sente che
sono io
mi sbatte il telefono in faccia senza dirmi una parola o sentire cosa
potrei
averle da dire.”
Sophie non lasciò il suo posto a
sedere; non disse nulla, non volendo
ferire nessuno, tuttavia, la tentazione era tanta, perciò si
limitò a sospirare
rumorosamente, ancora e ancora e ancora, mentre giocherellava con una
ciocca di
capelli.
“Stai forse cercando di dirmi qualcosa,
Sophie? Vuoi forse dire che mi devo
sentire colpevole? Che dovrei sentirmi da schifo per come mi sono
comportato?”
Eliot le chiese, arrabbiato, furibondo. Sophie lo fissò,
quasi incredula, col
cuore che le saltava nel petto. Non riconosceva quell’uomo- o
meglio, forse, lo
conosceva troppo bene, ma credeva di averlo dimenticato, quello era
l’Eliot di
un tempo, quello
che lavorava da solo,
che accettava qualsiasi lavoro senza farsi troppi problemi su chi
restava ferito
alla fine dei giochi.
Sophie deglutì, e una fiamma di
orgoglio le arse nel petto. Decise che era
giunto il momento di far valere le proprie ragioni, di dire chiaramente
ad
Eliot che lo riteneva un idiota e che sapeva che lui stava solamente
cercando
di sviare il discorso: voleva dimenticare il dolore che provava, molto
meglio
tentare di far stare male gli altri. Ma Sophie lo compativa- e lo
capiva. Erano
i suoi amici, la sua famiglia. Lui li aveva sempre protetti, aiutati e
supportati, e adesso era giunto il momento di fargli accettare che
anche lui
poteva avere bisogno di aiuto a volte. E se aveva il cuore
spezzato… gli
avrebbero dato una mano a riconquistare la sua bella.
“Senti Eliot, capisco che tu voglia
sistemare le cose, ma, sul serio, hai
davvero qualcos’altro da aggiungere? Perché Becks
mi ha riportato il tuo bel
discorso parola per parola, e, sinceramente, detto cose che avrei vissuto bene anche
senza sapere, e,
davvero, non pensi di essere già stato abbastanza chiaro?
Non vuoi una relazione,
non vuoi sistemarti, lei vorrebbe cose diverse. Okay, va bene, lo ha
capito.”
Fece un piccolo sorriso, chinando leggermente il capo di lato.
“Eliot, Becks ha
solo bisogno di tempo. Deve leccarsi le sue ferite, farsi passare
questa
sbandata per te, e vedrai che tornerà come e meglio di
prima.”
“Sai, Sophie, tu sei tanto brava a
parlare, ma giusto per curiosità,” Eliot
sibilò a denti stretti, chinato leggermente verso Sophie,
invadendo il suo
spazio personale, trasudando mascolinità da tutti i pori,
determinazione e
focosa rabbia indomabile. “To ha detto esattamente
perché so che non potrà mai
funzionare tra di noi?”
Le gote di Sophie si gonfiarono, rosse, tanto
furibonda era a sentire
quelle parole. Dopo tutto quello che era successo, Eliot sembrava voler
recitare la parte della vittima, voleva che la cattiva fosse Becks, la
cretina
che non voleva sentire ragioni. Beh, non aveva alcuna intenzione di
lasciarlo
fare. Perciò si alzò in piedi e gli
lanciò contro l’orecchino.
“Eliot, lei sta male! Tu… tu
le hai spezzato il cuore! Non le serve che tu
ripeta il perché e il percome non potete avere una
relazione! Se non hai altro
da dire lasciala stare!”
Per un lunghissimo tempo, stettero in un
imbarazzati silenzio carico di
tensione. Eliot fissava l’orecchino che teneva in mano,
passandoselo
distrattamente tra le dita. Ricordava le delicate perle di vetro
sfiorargli le
dita mentre le accarezzava i capelli quella fatidica sera, e si chiesa
se non
fosse causalmente finito nella sua giacca mentre la baciava, mentre si
permetteva di lasciarsi completamente andare, per la prima volta dopo
tanto
tempo, e selvaggiamente venerava quel lussurioso corpo femminile sul
mobile
bar.
Sospirò. Ricordava ogni istante di
quella notte. Forse, non li avrebbe mai
scordati- sarebbero sempre stati impressi in lui a fuoco.
“Le direi che volevo rimangiarmi ogni
maledetta parola appena ho aperto
bocca. Che appena sono salito in macchina, mi sono sentito in colpa-
che mi
manca come nessuno prima d’ora.” Respirò
profondamente, incapace di guardare
oltre il delicato orecchino nelle sue mani. “Ma hai ragione,
Sophie. Perché le
dire tutto questo, e poi dovrei ripeterle che non abbiamo futuro, e
allora, a
cosa sarebbe servito?”
“Solo una domanda: ti senti in colpa per
averle detto quelle cose, o rimpiangi di
avergliele dette?” Gli
chiese Nathan. Stava appoggiato contro la parte dei monitor, guardando
Eliot in
volto. “Perché c’è una
distinta differenza. Se ti senti in colpa è
perché ti
dispiace di averla fatta star male, ma se rimpiangi quello che hai
detto, è
perché dentro di te sai che erano solo un mucchio di idiozie
e che hai fatto
una colossale stronzata- perdonami il francesismo.”
Eliot scrollò il calmò,
respirando profondamente. Si morse il labbro, e
sfuggì allo sguardo dei compagni di ventura. “E
anche se fosse? Le cose non
cambiano. Non posso promettere di esserci sempre per
voi ed esserci sempre per
lei, qualcuno rimarrà deluso e io non voglio
smettere di fare questo. Mi piace
essere uno dei bravi,
e… mi serve. Ho fatto cose di cui non vado fiero, e se
questa è la mia ammenda,
beh, così sia. Ma non voglio mentirle, o illuderla. Questo mi ucciderebbe.”
“Ah, peccato, perché mi era
appena venuto in mente un brillante piano per
rubare una damigella. Sicuro di non volerlo sentire?”
***
“Avevi parlato di un brillante piano,
Nate.” Due settimane dopo il party di
Madeline, Eliot aveva rispolverato il completo scuro. Arrabbiato e
colmo di
astio e risentimento, Eliot si scrutava intorno, cauto, abbaiando
contro il suo
capo/collega/amico che se la stava godendo, fresco come una rosa, che
dispensava sorrisi, chiacchere casuali mentre faceva finta di bere
coppa dopo
coppa di champagne. “Intrufolarsi ad un matrimonio non
è un piano!”
A disagio in quel completo che gli ricordava
troppo la… débâcle, Eliot
continuava a guardarsi intorno col cuore a mille. Cosa avrebbe fatto
quando
l’avesse vista? E l’avrebbe vista? Non sapeva se
fosse già arrivata, né se
avesse alcuna intenzione di presentarsi. Per quel che ne sapeva,
l’aveva ferita
a tal punto da farla scappare dalla città…
Si passò una mano tra i capelli,
spettinandoli, nervoso come non mai. Era
un idiota. Quella sera, era stato un vero cretino. Ma adesso aveva la
consapevolezza di essere un cretino innamorato. Erano amici da anni, e
la
compagnia di lei gli era sempre piaciuta. Avevano condiviso drink, lei
lo aveva
ascoltato quando il padre si era rifiutato di aprigli la porta, come
lui era
stato a sentire quando lei aveva parlato di come il padre avesse
tentato di
fregarla per soldi. Aveva creduto che si trattasse di amicizia, di
rispetto, ma
era stato sempre qualcosa di più, ma lo aveva capito solo
ora, che Sophie gli
aveva sbattuto in faccia chi e come fosse realmente la bella rossa.
“Nate, non posso interrompere il
matrimonio di Madeline. Se questo
carrozzone da circo va a farsi fottere, Becks non mi parlerà
mai più insieme.
Ed in tutta onestà, credo che conosca almeno mezza dozzina
di modi per uccidere
una persona, far sparire il cadavere, e passarla franca senza che
nessuno si
accorga mai di nulla o la consideri minimamente un sospetto.”
Nathan
sghignazzò, facendo innervosire ancora di più
Eliot. “E poi non credo che
stavolta Albert ce le farebbe fare franca. L’altra volta non
ha detto a nessuno
che noi siamo una specie di Robin Hood, ma non credo che terrebbe
ancora a
lungo il becco chiuso se lo facessimo incazzare di brutto.”
Nathan fece un sorrisino sornione, neanche
prendere per i fondelli Eliot
fosse la sua attività preferita, e strinse al più
giovane uomo la spalla, con
fare cospiratorio, facendolo allontanare dalle ombre delle chiome dove
avevano
trovato rifugio, al sicuro da occhi e orecchie indiscreti, spingendolo
verso le
delicatamente decorate sedie, file e file di sedie bianche ricolme di
delicati
fiorellini e nastri di pizzo, raso e seta e tulle e organza.
“Beh, a dirla tutta, non ho proprio un
paino. Ne ho mezzo, diciamo.” Nathan
gli spiegò a voce bassa mentre si sedevano verso le ultime
file, in una zona
centrale, dove difficilmente le damigelle o la sposa (e suo padre) li
avrebbero
notati nella loro camminata verso l’altare. “Si
potrebbe dire che io ho un
abbozzo di piano. Ho, un’idea.”
“Quindi, da quello che ho
capito,” Eliot si lamentò, con una voce colma di
sarcasmo. “ti aspetti che una volta finita questa buffonata
io vada a parlare
con Becks. Questo è il tuo piano? Che io le parli a cuore
aperto? Sul serio?
Hai anche scoperto l’acqua calda, di recente?”
Eliot scosse il capo, seccato,
mormorando, non riesco a credere che
metto la mia vita nelle tue mani su base giornaliera. Uno di questi
giorni ci rimarrò
secco, tu ed i tuoi piani.
“Se ci pensi bene, in realtà,
questo è un piano a dir poco brillante.
Questo è il matrimonio di sua sorella, quindi ci deve essere
per forza. Non ti
potrà scappare, non potrà fingere di non
esserci… sarà costretta ad ascoltarti.
Ogni tua singola parola. Fino alla fine. Poi farete pace, vi bacerete e
tu
cavalcherai verso il tramonto in sella al tuo bolide con lei.”
Eliot aprì la bocca per rispondere, ma
l’aria fu invasa dalle note di una
classica marcia nuziale, e tre damigelle iniziarono ad avvicinarsi
all’altare,
avvolte da delicati abiti floreali, ognuno diverso
dall’altro, le fantasie che
ricordavano i mazzi di fiori selvatici che stringevano tra le loro mani.
Era in rosso, Becks. Non era la stessa
tonalità del vestito della festa, ma
non c’era dubbio che il rosso fosse il suo colore. Il colore
si sposava con
quello dei suoi capelli, sciolti in delicate onde che le ricadevano
sulle
spalle, e la sua pelle sembrava ancora più chiara e radiosa,
quasi opalescente.
Ma non fu questa visione a spezzare in frantumi il
cuore di Eliot,
facendogli desiderare di bruciare agli inferi per ciò che le
aveva detto. Era
il suo sorriso forzato, il fatto che, nonostante la forza e la
caparbietà del
suo passo, i suoi occhi, stanchi, spenti, vuoti, dimostrassero
ciò che provava
davvero: che soffriva- a causa sua- e non c’era evento
gioioso che potesse
farla sentire nuovamente viva. Eppure, anche così lei gli
faceva mancare il
fiato in gola.
Concentrato sulla donna che gli camminava innanzi,
Eliot si chiese, non per
la prima volta da quando era salito sull’auto di nate, se
stesse facendo al
cosa giusta- se tentare di riconquistare Becks fosse una buona idea.
Non era
nemmeno certo di poterla convincere a dargli un’altra
possibilità. Non era certo,
soprattutto, di meritarla, un’altra possibilità.
Eliot seguì Becks con lo sguardo per
tutto il tempo, vedeva solo lei, e non
si rese nemmeno conto di quanto la cerimonia fosse effettivamente
durata, o che
il tempo stesse trascorrendo. Ebbe solo un attimo di esitazione quando
il
giudice di pace chiese se tra i presenti qualcuno avesse motivo di
parlare, ed
Eliot fu quasi tentato di alzarsi in piede e chiedere così
perdono alla sua
amata, ma Nathan lo aveva afferrato per la giacca, forzandolo a
risedersi prima
che potesse fare un’idiozia, che tutti i presenti gli si
rivoltassero contro
per aver rovinato il matrimonio.
Quando tutto fu finito, Nathan ed Eliot attesero
nel loro poto, unendosi
poi alla marea di ospiti che si spostarono in un’altra zone
del giardino
botanico per partecipare al rinfresco. Gli sposi e le loro famiglie
attendevano
i presenti davanti al gazebo, dando un caloroso benvenuto a chi era
venuto a
partecipare alla loro gioia in quella assolata giornata, e fu proprio
all’entrata del gazebo che Eliot si trovò
finalmente davanti a Becks.
“Rebecca…” Sussurro
con la luce negli occhi il suo nome.
“Eliot. Nathan. Tutto bene?”
Si limitò a dire, seccata e distante. Era
difficile dire cosa le stesse passando per il cervello, ma da quello
che Eliot
percepiva, non era nulla di buono- per lui. Infatti, senza aspettare
che le
rispondesse, sorrise, poi volse lo sguardo verso la persona dietro di
lui in
fila, sorridendo e ringraziando per la loro presenza.
L’aveva decisamente rifiutato.
Elio sbuffò, facendo alzare gli occhi
al cielo a Nathan. Becks non era di
buon’umore, né sembrava avere alcuna intenzione di
dimenticare cosa era
successo o perdonarlo.
“Senti, vedrai che mi verrà
in mente qualcosa. Non dobbiamo demordere. Non
è ancora detta l’ultima parola.” Nathan
tentò di consolare Eliot mentre
sorseggiavano un drink ciascuno.
“Questo era il piano F,
giusto?” Eliot si voltò verso il compare,
sorseggiando il suo whisky molto, troppo velocemente. “Tu
dici sempre che parti
col piano F, poi torni al piano A. quindi, qual è il piano
A?”
Nathan fece una faccia che ad Eliot non piacque,
per nulla, e si grattò il
capo. “Ah, ecco, veramente, io avevo solo questo paino. Ero
convinto che vi
sareste parlati e vi sareste chiariti. Ecco, insomma, Becks ha avuto
praticamente
un colpo di fulmine per te, quindi ero convinta che non avrebbe demorso
tanto
facilmente. Che sarebbe stata, insomma, più
arrendevole.”
“Siete degli idioti. Io affido ogni
giorno la mia vita a una banda idioti.”
Eliot sibilò a denti stretti, gettando giù tutto
d’un fiato il suo drink e
chiedendone immediatamente un altro. Nathan desiderava parlargli,
tentare di
dargli speranza, consolazione, cosa esattamente non lo sapeva nemmeno
lui, ma
tutte le volte che apriva bocca per tentare di proferire parola, Eliot
gli
lanciava un molto eloquente sguardo che lo zittiva. Il picchiatore non
voleva
sentire ragioni- voleva solo bersi il suo drink e seguire Becks con lo
sguardo,
sperando che lei volgesse gli occhi verso di lui, e che sorridesse di
nuovo, dolce
e solare come la mattina in cui l’aveva trovata a bere
caffè in cucina e
scarabocchiare formule e appunti. Non ascoltò nemmeno i
discorsi dei testimoni
che brindavano alla felice unione. A malapena si rendeva conto che la
gente
intorno a lui ballava, chiacchierava e si divertiva, l’unica
cosa che fece fu
mandare a quel paese una donna che aveva avuto il coraggio di
chiedergli se gli
andasse di ballare invece di trangugiare alcol per annegare le sue
sofferenze.
E poi, arrivò il fatidico momento: il
lancio della giarrettiera. Eliot
aveva deciso di starsene bene alla larga- perché diavolo
avrebbe dovuto
partecipare, in fondo?- soprattutto perché il whisky era
davvero molto, molto
buono, e molto più interessante di Daniel che spogliava la
mogliettina. Eppure,
non seppe come, non seppe il perché, ad un certo punto Eliot
si rese conto che
qualcosa lo aveva colpito, qualcosa come una soffice brezza. Si
guardò sulle
ginocchia, e sollevò con due dita le
“cosa”…. Una giarrettiera da sposa,
bianca
e blu.
Si guardò intorno, come incerto di dove
fosse arrivata, e di come avesse
fatto- forse che le leggi della fisica avessero smesso di funzionare?-
ma poi
incrociò lo sguardo di Madeline, e lei gli fece
l’occhiolino, e capì che
qualcuno aveva tramato qualcosa, e ne fu assolutamente certo quando
sentì il
sospiro soddisfatto di Nathan- lo stesso suono che faceva quando un
piano
funzionava nonostante avesse avuto profondi dubbi al riguardo.
“Ma come diavolo…”
“Hardison, sei
assolutamente certo che funzionerà?” Nathan
guardò Hardison colmo di dubbi, non
del tutto certo che le cose sarebbero andate come previsto. Dopotutto,
come
potevano quei due dischetti avere l’effetto promesso?
“L’ultima volta che hai
costruito dei magneti mi hai distrutto l’orologio!”
Con le mani sui fianchi,
Hardison faceva l’offeso. “Guarda che questa
è la nuova e migliorata versione!
Ci ho messo anni per arrivare a questo risultato, ok? Questi due
magneti sono
polarizzati in modo da attirarsi solo l’un con
l’altro. Che significa che se
metti una di questi piccolini nella tasca della giacca di Eliot, e
l’altro lo
attacchi alla giarrettiera della sposa, nel momento in cui il caro
Danny lancia
la giarrettiera lei finisce dritta, dritta tra le braccia di
Eliot!”
“Hardison, guarda che il
piano l’ho studiato io, non mi serve che me lo spieghi! Tu
dimmi solo se
funzionerà o no.”
“Ma certo che funzionerà!
Ma per chi mi hai preso?”
“Non una parola, Eliot, fidati di
me…” Nathan si morse la lingua,
sorseggiando il suo analcolico. “Maddie sta per lanciare il
bouquet, e credimi,
quella è una scena che non ti vuoi
perdere…”
Una piccola orda di giovani donne si mise in riga,
nella speranza di
afferrare il bouquet e convolare a giuste nozze nell’anno
successivo- e
desiderose di condividere un ballo con l’affascinante
sconosciuto che aveva
afferrato la giarrettiera. Eliot cercò con lo sguardo Becks,
e la vide, che
fingeva di non aver prestato attenzione allo spettacolo, e volgeva
forzatamente
lo sguardo altrove, come se fosse stata una bambina trovata con le mani
nel barattolo
dei biscotti, e gli scappò un sorriso mentre giocherellava
con il frivolo
articolo di intimo.
Il ladro si voltò, e guardò
verso la sposa; Madeline, col velo che le
svolazzava intorno come una soffice nube, dava la schiena alla altre
donne, ma
di quanto in quanto controllava oltre le proprie spalle la situazione
con fare
severo. Eliot strinse gli occhi, tentando di capire cosa stesse
accadendo- o
per meglio dire, cosa stesse tramando Madeline insieme a Nathan and
company.
La sposa lanciò il bouquet, facendolo
roteare in alto, e in lungo, verso il
fondo della fila. Nessuna delle ragazze lo afferrò; anzi,
sembrava che ognuna
di loro lo sfiorasse con la punta delle dita, come se lo passassero
lieve l’una
con l’altra, fino a che non cadde nelle braccia
dell’unica donna che si era
defilata, desiderosa di tenersi alla larga da quello spettacolo e
dall’uomo che
aveva afferrato la giarrettiera.
Era finito dritto nelle braccia di Becks.
“Sophie, sei certa di
riuscire a convincere Madeline ad aiutarci? Lei ed Albert non sono
esattamente
le persone più tolleranti del mondo, e, non so, credo che ce
l’abbiano ancora
con noi…”
Sophie sghignazzò alla
domanda di Nathan, che, francamente, riteneva stupida. “Non
credo che
convincere Madeline a darci una mano a far mettere la sorellina con
Eliot sarà
un problema, tesoro. Quello che mi preoccupa è
quell’orda di pazze inviperite
che si azzufferanno come galline per prendere il bouquet.”
“Le pazze inviperite
single sono tutte amiche della sposa. Sono positivo che Madeline
saprò come
convincerle a collaborare. E poi, quel matrimonio sarà un
covo di ladri e
truffatori. Se qualcuno farò sapere che è la
figlioletta di Albert Cummings che
DEVE prendere il bouquet, vedrai come collaboreranno tutti! Mai capito
perché
la gente abbia paura di quel vecchietto. Noi l’abbiamo
fregato un mucchio di
volte e ce l’ha sempre lasciata passare
liscia…”
“A volte mi chiedo come
sia possibile che tu sia un tale genio del crimine, ma così
ingenuo su altre
cose…” Sophie sorrise, scuotendo il capo, e diede
un leggero pizzicotto alla
guancia di Nathan. “Amore mio, non cambiare mai.”
Il cuore di Eliot gli martellava nel petto,
incantato dalla visione di
Becks che se ne stava in piedi con il bouquet di fiori bianchi e tulle,
ed
Eliot fece un profondo respiro, dirigendosi con pacata risolutezza e un
lieve
sorriso verso di lei, che nascondeva il volto e un timido rossore
dietro ai
fiori. I suoi occhi erano timidi, sinceri, ma sembravano graziati da un
velo di
speranza, che fece sperare ad Eliot che le cose sarebbero potute
cambiare- in
meglio.
“E così, l’hai
presa tu…” Becks sussurrò, guardando il
pizzo e tulle nelle
mani dell’uomo, che sorrise e fece cenno di sì col
capo.
“Non è semplice volere un
futuro, delle cose diverse per me.” Le sussurrò
mentre delicatamente sfiorava la gonna di tulle rosse che danzava nella
brezza
del pomeriggio. “ma se dovessi lasciarti andare, se non ci
dessi una
possibilità, so che lo rimpiangerei per il resto dei miei
giorni.”
Il cuore gli batteva all’impazzata,
Eliot sentiva solo quello ed il sangue
che gli scorreva in corpo. “Becks, non sai quanto io tenga a
te- quanto io ti
ami.” Ammise, disperato, desideroso, bramoso di avere una
qualsiasi risposta.
“Eliot, io non voglio la
tua pietà.” Gli rispose secca. Fece un paio di
passi all’indietro, tentando di
mettere più spazio possibile tra lei ed Eliot.
“Dolcezza, la pietà non mi
passa nemmeno per l’anticamera del cervello
quando ti guardo.” Come quella sera, Eliot alzò il
mento con due dita,
costringendola a guardarlo negli occhi. “Non pensavo di poter
fare la stessa
promessa a due persone, ma mi sono chiesto, e se lei fosse sempre
lì? Se
non la lasciassi andare, mai?”
“Oh, Eliot…”
Ingoiò lacrime amare, mentre i fiori venivano schiacciati
dai
loro corpi, sempre più vicini.
“Se sarai sempre con me, con noi,
non mi dovrò preoccupare. Saprò che ci
sarà la nostra famiglia, i nostri amici,
ad aspettarmi con te. E che se dovesse capitare qualcosa, tu non
saresti sola, perché
avresti loro al tuo fianco, sempre e comunque… Nate, Sophie,
Hardison, Parker…
si prenderebbero cura di te per me.” Sorridendo lieve, Eliot
alzò una mano,
come per accarezzarla, le dita leggere sfiorarono quasi impalpabili la
delicata
e soffice pelle di Rebecca. “Ella
splendida incede, come notte di limpido immenso e cieli di stelle, e
tutto il
meglio di oscuro e di luce negli occhi e nell’aspetto
rifulge: dolce in quel
tenero chiarore che il cielo nega allo sfarzo del giorno.”
“Stai davvero citando Byron per portarmi
a letto, Eliot?” Becks lo fisso in
quegli occhi blu come il cielo, e allacciò le braccia alle
spalle di Eliot, i
suoi palmi che accarezzavano i capelli ribelli. Lo fece abbassare verso
di se,
fino a che le loro labbra non si incontrarono di nuovo per un
brevissimo e
casto bacio, mentre gli invitati applaudivano e fischiavano, eccitati-
alcuni
avevano vista la coppia alla cena di fidanzamento e facevano loro i
complimenti, altri imbarazzanti commenti sulla tradizione del lancio
della
giarrettiera, altri erano semplicemente commessi per la pittoresca e
dolce
immagine trasmessa dalla coppia di innamorati.
“Sono molto più intelligente
e profondo di quanto la gente non pensi,
baby.” Eliot la avvertì sorridendole malizioso,
mentre le accarezzava il collo
e lasciava baci leggeri come carezze sulla pelle. “Quindi,
devo desumere dal
tuo comportamento che ci stai? Vuoi provare a fare sul serio anche se
non
metteremo mai del tutto a posto la testa?”
“Ricordati solo, saldatino,”
disse mettendosi sulle punte e lasciando sul
collo abbronzato un bacio. “che se mi spezzi di nuovo il
cuore non troveranno
il tuo cadavere.”
“Tranquilla, Becks, non
succederà.” La prese tra le braccia,
baciò le gote,
sussurrando che l’avrebbe amata per sempre, che
l’aveva amata a lungo, che non
avrebbe mai lasciato andare quello che c’era tra di loro, e
poi, sfiorò le sue
labbra. “Non succederà.”