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Autore: _Princess_    19/08/2009    24 recensioni
“Bitte, spring nicht!” la pregò Tom, ridendo, senza nemmeno alzarsi a sua volta.
Norja si voltò, le mani appoggiate alla ringhiera, e sollevò un sopracciglio:
“Come sarebbe a dire ‘Spring nicht’? Fino a due minuti fa volevi buttarmi giù tu!”
Tom finalmente si decise a tirarsi su e la raggiunse. In lontananza riuscivano a vedere la Porta di Brandeburgo, illuminata da potenti riflettori.
“È che mi sono appena reso conto che c’è la terrazza della mia suite, da questa parte.” Le rivelò, indicando il grande balcone che sporgeva un qualche metro sotto di loro. “Se cortesemente tu volessi buttarti dall’altro lato, potresti comodamente sfracellarti sulla terrazza della suite di Georg.”
Una folata di vento scompigliò i capelli di Norja mentre lei sollevava le braccia sopra la testa e si stiracchiava.
“Penso che andrò a buttarmi nel mio letto prima che accada l’irreparabile.” Dichiarò.
“Cioè prima che ci finisca io sfracellato sulla terrazza di Georg?” indovinò Tom.
“Prima che io mi innamori della tua brillante prontezza di spirito.” Rispose lei, e lui non capì se fosse seria o meno.
Probabilmente no.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Life & Troubles of a Guitar Hero' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Touch me
Take me to that other place
Reach me
I know I'm not a hopeless case
What you don't have, you don't need it now
What you don't know, you can feel it somehow
What you don't have, you don't need it now
Don't need it now

(Beautiful Day, U2)

 

***

 

Tom era stanchissimo. Il viaggio da Amburgo a Berlino era stato tranquillo e tutto sommato anche abbastanza indolore, ma lo aveva distrutto lo stesso.

Aveva pensato bene di inaugurare l’arrivo nella capitale provocando a Benjamin una bella incazzatura con una sequela di lamentele e imprecazioni non esattamente eleganti, guadagnandosi così una bella strigliata inerente il comportamento da tenere in presenza di persone esterne allo staff e le varie conseguenze. A coronare il tutto, c’era stato anche il pessimo umore di Bill, causato da nessuno sapeva bene cosa, che aveva messo addosso a Tom un’ulteriore dose di stress non richiesto. Si preoccupava sempre quando Bill aveva la luna di traverso.

Passeggiava a vuoto nella propria suite al quinto piano dell’hotel, una lattina di birra in mano e il cellulare nell’altra per ripassare gli appuntamenti che lo aspettavano nei prossimi giorni. Decisamente troppi, per i suoi gusti.

Erano le undici passate e fuori il cielo era di un blu scuro senza stelle, lambito lontano all’orizzonte dalle ultime sfumature schiarite dai raggi del sole ormai tramontato da un pezzo. Nevrotico com’era, Tom sentiva che se non avesse fatto quattro passi all’aria aperta sarebbe impazzito. Uscire era fuori discussione. Non voleva rischiare l’incolumità, e portarsi dietro una guardia del corpo sarebbe stato imbarazzante, visto il suo stato esagitato. Aveva bisogno solo di rilassarsi.

Decise che come compromesso si sarebbe fatto quattro passi dentro all’hotel. Era la prima volta che alloggiavano lì e sembrava un posto carino. Avrebbe fatto un giro di perlustrazione casuale, tanto per sgranchirsi le gambe e fare qualcosa, e poi gli sarebbe toccato tornare in camera e cercare di prendere sonno sopra quell’impossibile materasso marmoreo.

Vuotò la lattina di birra in un sorso e la abbandonò sul tavolino del salotto, poi ne prese un’altra dal frigobar e, risoluto, afferrò la tessera magnetica e uscì.

I corridoi dell’albergo erano letteralmente deserti. Scendere nella hall sarebbe stata un’idea poco intelligente: avrebbe potuto trovare Benjamin e qualcun altro al piano bar e proprio non gli andava di rischiare qualche altra ramanzina. Senza un perché, prese l’ascensore e selezionò l’ultimo piano. Quando le due porte si spalancarono davanti a lui, Tom si ritrovò in un piano meno sontuoso degli altri, con i pavimenti coperti di piastrelle anziché di moquette e le pareti prive di quadri, ma in compenso dotate di anonima lampade al neon, di quelle che restavano accese anche in assenza di corrente.

In fondo al corridoio, stretto e corto, Tom notò che c’era una porta blindata con un maniglione antipanico, con sopra affisso un cartello che diceva ‘Divieto d’accesso’. Lo fissò per qualche secondo, indeciso sul da farsi, poi, infilandosi le mani nelle tasche della felpa, si avvicinò.

Un ragazzo qualunque dotato di un minimo di buonsenso ci avrebbe pensato due volte prima di aprire una porta che era vietato usare, salvo in condizioni di emergenza, ma Tom si disse che non c’era niente di male a sfruttarla per una buona causa. In fondo la sua era in qualche modo un’emergenza.

Senza togliere le mani di tasca, sollevò un ginocchio e spinse contro la barra, accorgendosi che in realtà la porta era già aperta; la spalancò e si ritrovò di fronte a un vasto spiazzo di cemento recintato da una ringhiera in ferro battuto piuttosto spartana. Uscì, lasciando la provvidenziale lattina ancora chiusa a terra, per impedire che la porta si chiudesse. Avrebbe dovuto rinunciare alla seconda razione di alcol, ma se non altro non se ne sarebbe rimasto chiuso fuori all’addiaccio tutta la notte.

Respirò volentieri e a pieni polmoni l’aria frizzante della notte. Era quello che gli ci voleva per il senso di spossatezza che non gli dava tregua. Si accese una sigaretta e si stiracchiò un po’, guardandosi intorno. L’ingresso al tetto era una specie di cubo situato nel mezzo di un enorme quadrato che correva tutto intorno. Aveva appena girato sui tacchi per andare a vedere cosa c’era sull’altro lato, quando collise con qualcosa di morbido, che si lasciò sfuggire un’imprecazione che lui non comprese.

Dopo il primo attimo di smarrimento, arretrò di un passo, mettendo a fuoco una figura alla luce della luna piena: si trattava di una ragazza, o così sembrava. Era alta una spanna buona meno di lui, con una folta chioma di ondulati capelli di un innaturale rosso vermiglio. Portava una strana gonna viola a balze e un’assurda felpa rosa fluorescente, ma Tom non riusciva a vederle il viso, perché era china sui propri piedi, apparentemente paralizzata.

Tom guardò in giù e capì cosa non andava: su uno dei due anfibi che lei portava era finito un mucchietto di ceneri incandescenti che non poteva che provenire dalla sigaretta che lui stava fumando. Sotto alla cenere, la pelle nera era visibilmente bruciacchiata.

“Oh, scheisse!” esclamò, dispiaciuto. Non si era proprio aspettato che ci fosse qualcun altro, anche se, pensandoci, la porta aperta avrebbe dovuto dirgli qualcosa. “Entschuldigung!” (“Oh, merda! Scusami!”)

“Maledizione!” imprecò lei, con una voce da ragazzina. Parlava inglese. Forse non era tedesca. Tom si adeguò, pregando di non fare figuracce con la transizione linguistica:

“Scusa, non ti avevo proprio vista!”

“Oh, grandioso!” brontolò la sconosciuta, sfregando febbrilmente la bruciatura. Tom notò che aveva una scritta disegnata a caratteri svolazzanti sul polso destro. “Due settimane di attesa, ordine diretto dagli Stati Uniti, l’ultimo paio del mio numero, centodieci euro! Li avevo da solo una settimana, e sono rovinati!” Si tirò su e piantò due fiammeggianti occhi scuri su di lui. “Ma che cos’hai in quel maledetto cervello bacato?!”

Tom si strinse nelle spalle, intimidito. Che caratterino che aveva, quella…

“Scusami. Stavo –”

“La vuoi piantare di scusarti?” sbottò lei, scalciando a vuoto con il piede per eliminare gli ultimi residui di cenere. “Fino a due volte va bene, a tre diventa irritante.”

“Scu– Ehm… D’accordo.”

“Si può sapere cosa ci fai quassù?” lo interrogò la tizia. A guardarla meglio, Tom notò che doveva essere poco più grande di lui. “C’è scritto ‘Divieto d’accesso’.”

“Potrei fare a te la stessa domanda.”

Lei scrollò semplicemente le spalle.

“Riflettevo.”

“Riflettevi tipo ‘Mi butto o non mi butto?’ o tipo ‘Cosa mangio stasera?’”

“Una via di mezzo.” Rispose lei, sedendosi a terra, la schiena contro il muro. “E tu?”

Tom la imitò.

“Una via di mezzo tendente alla prima opzione.” Rispose, sistemandosi accanto a lei, una volta appurato che non lo avrebbe squartato vivo per via dell’incidente. Sembrava essersi calmata.

“Ma non mi dire. Perché ti dovresti buttare?”

“Ma tu lo sai chi sono io?”

Lei inarcò un sopracciglio in modo irritante, imbronciando leggermente le labbra, coperte da un vistoso velo di rossetto scarlatto.

“Volevo evitare la parte in cui io strillo il tuo nome stramazzandoti adorante ai piedi e tu scappi a gambe levate,” gli confidò in tono annoiato. “Ma visto che ci tieni… Ciao, Tom Kaulitz.”

Tom era sinceramente perplesso e quella ragazza era decisamente strana. Strana non solo nel modo di vestirsi e di porsi. Era proprio strana. Strana e basta.

“Ciao… ehm…?”

“Ah, giusto,” sbuffò lei. “Suppongo che tu non sappia chi sono io.”

A dire la verità non era proprio così. Sebbene fosse assurdo, Tom aveva la sensazione di conoscerla.

“Non vorrei dire cazzate, ma hai un’aria inspiegabilmente familiare. Sono sicuro di averti già vista.”

“Vediamo se con questa mi riconosci.” Disse la ragazza. Tirò fuori una mascherina di pizzo nero – dal nulla, o così parve a Tom – e se la mise davanti agli occhi.

Improvvisamente Tom ricordò dove l’aveva già vista: su dei cartelloni pubblicitari che promuovevano una saga di libri fantasy che stava spopolando da un paio d’anni a quella parte. Aveva anche sentito parlare di lei, da qualche parte.

“Sei la scrittrice! Quella tizia belga che ha scritto quei libri sui vampiri!”

“Sono olandese, veramente,” lo corresse lei, asciutta. “E non scrivo di vampiri, ma di lupi mannari.”

“Mi sfugge il tuo nome.”

“Norja Schwartz.” Gli porse la mano senza troppa convinzione. “Incantata.”

Tom si trattenne a stento dal ridere. Nome bizzarro. Probabilmente era un nome d’arte.

“Quella te la puoi togliere, adesso.” Le disse, accennando alla maschera.

“Sì, scusami.” Norja si tolse la maschera e se la mise in tasca. “Sono talmente abituata a portarla che non ci faccio più caso.”

Era carina, tutto sommato. Non possedeva quella che si poteva definire una bellezza convenzionale, ma era attraente. I suoi lineamenti avevano un che di orientale – occhi allungati e neri, naso piccolo e poco sporgente, labbra fini, viso triangolare – e nonostante la scarsa statura, sembrava piacevolmente proporzionata.

Rimasero in silenzio per lunghi secondi, entrambi guardando la città che brillava nel buio.

Tom trovava la situazione ai limiti del surreale: era sul tetto di un hotel, di notte, seduto per terra con un’alquanto estrosa scrittrice di fama che a quanto pareva aveva un’idea abbastanza precisa di chi lui fosse e che tuttavia non dava segni di isteria o collassi imminenti. Tutto sommato la cosa poteva avere qualche suo potenziale positivo.

“Me la togli una curiosità?” le chiese a un tratto.

“No.”

“Perché ti nascondi dietro a una maschera?”

Norja gli appioppò un’occhiata omicida:

“Sbaglio o avevo detto di no?”

“Ero solo curioso.” Si difese Tom. “A dirti la verità, penso che sia una mossa astuta. Potendo tornare indietro, lo farei anch’io.”

“Nasconderti dietro a una maschera?”

“E cambiare nome.”

Norja batté interrogativamente le ciglia.

“Dai, è ovvio che non può essere il tuo vero nome.” Disse Tom. “Ha un significato particolare?”

Lei parve soppesare la domanda, come se stesse decidendo se degnalo o meno di una risposta.

“Schwartz come nero, il mio colore preferito,” disse infine. “Ma dubito ti servano delucidazioni in merito. Norja significa Norvegia in finlandese, un paese e una lingua che adoro.”

“Sei proprio fantasiosa.” Commentò Tom, increspando la fronte.

“Ti concedi un po’ troppo sarcasmo per conoscermi da solo due minuti, ragazzino.”

“Ragazzino a chi?”

“Vedi qualcun altro qui a cui io mi possa rivolgere?”

“Perché, quanti anni hai tu?”

“Più di te.”

“Quanti?” insisté Tom. A occhio e croce gliene dava ventitré, massimo ventiquattro. Non poteva avere più di un paio d’anni più di lui.

“Sei un bel cafone!” si indignò lei. “Non ti hanno mai detto che non si chiede l’età ad una signora?”

“Vestita così mi sembri tutto fuorché una signora. E comunque hai cominciato tu.”

Norja sostenne il suo sguardo di sfida, ma alla fine cedette:

“Venticinque anni da compiere in autunno. Contento?”

“Allora non sei vecchia come sembri.”

“Riporto alla tua attenzione il commento sugli eccessi di sarcasmo.”

“Hai Tom Kaulitz qui con te, non puoi soprassedere sul sarcasmo?”

“Cosa ti fa pensare che avere qui Tom Kaulitz sia tanto diverso da avere qui Pinco Pallino?”

“Non farmi ridere!” ribatté lui. “Hai una french manicure nera alle unghie, la scritta Heilig tatuata sul polso e….” Tom finse di scrutare attentamente il suo sguardo. “Oh, guarda! Nei tuoi occhi c’è scritto ‘I love Tokio Hotel’!”

Un impercettibile  fremito solleticò che labbra di Norja, ma lei non si lasciò scappare il sorriso che Tom aveva già intuito.

“Continuo a sostenere che ti stai prendendo un po’ troppa confidenza.” Lo rimproverò, ma questa volta c’era un inconfondibile nota di vivacità nel suo tono.

“Guarda che non ho mica intenzione di saltarti addosso e violentarti.” La rassicurò. “Non sei nemmeno il mio tipo.”

“Ti mette a disagio parlare con ragazze che riescono a dialogare con te anziché sbavarti addosso?”

“Come siamo acide… Prova a fare sesso, ogni tanto, aiuta molto contro lo stress.”

Norja si avvolse le ginocchia con le braccia e lo fissò con un’espressione inquisitoria

“Sei esattamente come ho sempre immaginato che fossi.”

Tom sfoderò un sorriso seducente.

“Bellissimo e irresistibile?”

“Un impostore.”

Tom si sentì personalmente offeso. Forse non era un campione di spontaneità, in pubblico, ma non poteva accettare di farsi dare dell’impostore.

“Tu mi odi.” La accusò, mettendo il muso.

“Cosa te lo fa pensare?” domandò lei con assoluta innocenza, ma c’era una vaga sfumatura di rosa sulle sue guance candide che diceva a Tom che la sua non era un’ipotesi poi così campata per aria.

“Perché?”

“Perché cosa?”

“Perché mi odi?”

Il rossore sulle guance di Norja si intensificò.

“Non è vero che ti odio. Non ti conosco nemmeno”

“Vuoi farmi credere che sei così scontrosa con tutte le celebrità che incontri?”

“Sì.”

“Chissà che toccasana per la tua immagine pubblica!”

“Sempre meglio che andare in giro a raccontare patetiche balle monumentali sulla propria vita sessuale.”

Tom emise un debole rantolo frustrato. Ma perché le donne volevano a tutti costi disintegrare la sua autostima?

“Questa si chiama offesa gratuita.” Si lamentò, incrociando capricciosamente braccia e gambe.

“Te la sei cercata.” Sostenne Norja. Aveva lo sguardo perso nel vuoto davanti a loro, pensoso.

“Stai ancora riflettendo sul ‘mi butto o non mi butto?’, per caso?”

“No, perché?”

“Ti avrei volentieri dato una mano a scavalcare la ringhiera.”

Norja si lasciò finalmente andare in una risata divertita.

“Suppongo di doverlo considerare un gesto di premura.”

“Certo!” Tom era soddisfatto di essere finalmente riuscito a smuoverla da quel suo fastidioso atteggiamento distaccato. “Io odio quando nei film c’è sempre qualche idiota con manie di eroismo che tenta di far cambiare idea all’aspirante suicida. ‘Avanti, va tutto bene, dammi la mano!’… Insomma, lasciatelo in pace! Ci sarà qualche valido motivo se quel poveretto vuole saltare, no?”

Norja rise di nuovo, con più discrezione. Aveva una risata buffa, ma gradevole. Se non altro non sembrava una gallina su di giri.

Era stata una buona idea, in fin dei conti, optare per una passeggiatina notturna. E poi, doveva riconoscerlo, era rilassante dialogare con quella ragazza.

“Cosa c’è giù ad aspettarti?”

Tom cascò dalle nuvole.

“Come, scusa?”

“Giù di sotto.” Specificò Norja. “Cosa ti aspetta, uscito di qui? Sei qui da un quarto d’ora a scambiare carinerie con una che è ovvio che non sopporti, o sopporti a stento… Da cos’è che stai scappando?”

Tom spense il mozzicone di sigaretta contro il cemento del suolo, lasciandolo poi cadere.

“Da un manager incazzato nero, un letto scomodo e un fratello con la sindrome premestruale.”

“Ah, brutta, quella!” esclamò Norja, comprensiva. “Te lo dice una che ce l’ha trecentosessantacinque giorni all’anno.”

Tom rise.

“Immagino che vita facile avrà il tuo ragazzo.”

“Non ce l’ho.” Ammise Norja, sollevando le spalle.

“Ah no?” Tom era stupito. Per qualche motivo aveva dato per scontato che fosse impegnata. “Come mai?”

“Che c’è?” fece lei, sulla difensiva. “È obbligatorio essere accoppiati? Da quando serve una scusa per essere single?”

“Come sei permalosa! Ero semplicemente sorpreso, tutto qui.”

“Il mio ultimo, delizioso ragazzo mi ha lasciata un anno fa per una bionda del suo corso di dottorato.” Gli raccontò lei, atona.

“Simpatico.”

“Bene,” Norja si alzò in piedi, si tirò su le maniche della felpa con un gesto sgraziato e si avvicinò al parapetto, guardando in giù. “Ora che mi hai fatto rivangare questi bellissimi ricordi, credo di non avere più bisogno di riflettere sul ‘mi butto o non mi butto?’.”

“Bitte, spring nicht!” la pregò Tom, ridendo, senza nemmeno alzarsi a sua volta.

Norja si voltò, le mani appoggiate alla ringhiera, e sollevò un sopracciglio:

“Come sarebbe a dire ‘Spring nicht’? Fino a due minuti fa volevi buttarmi giù tu!”

Tom finalmente si decise a tirarsi su e la raggiunse. In lontananza riuscivano a vedere la Porta di Brandeburgo, illuminata da potenti riflettori.

“È che mi sono appena reso conto che c’è la terrazza della mia suite, da questa parte.” Le rivelò, indicando il grande balcone che sporgeva un qualche metro sotto di loro. “Se cortesemente tu volessi buttarti dall’altro lato, potresti comodamente sfracellarti sulla terrazza della suite di Georg.”

Una folata di vento scompigliò i capelli di Norja mentre lei sollevava le braccia sopra la testa e si stiracchiava.

“Penso che andrò a buttarmi nel mio letto prima che accada l’irreparabile.” Dichiarò.

“Cioè prima che ci finisca io sfracellato sulla terrazza di Georg?” indovinò Tom.

“Prima che io mi innamori della tua brillante prontezza di spirito.” Rispose lei, e lui non capì se fosse seria o meno. Probabilmente no. “Ti facevo meno sveglio, lo ammetto.”

“E te ne vai così?” protestò lui, mentre lei già gli dava le spalle per dirigersi alla porta. La vide fermarsi a metà strada e girarsi:

“Volevi un bacio della buonanotte?”

Tom sollevò entrambe le mani e scosse la testa.

“Oh, no, grazie. Il tuo rossetto si intona male con questa maglietta.” Azzardò una fugace ammiccata, che lei accolse volgendo pazientemente gli occhi al cielo. “Magari la prossima volta, con un rossetto diverso o una maglietta diversa.”

“O senza rossetto.” Suggerì lei.

“O senza maglietta.” Le fece eco lui, soave.

Norja rimase ferma dov’era per un po’, la gonna e i capelli che ondeggiavano ad ogni alito di vento. Lo scrutava in modo insolito, a metà strada tra il sospetto e il compiacimento. Forse non le stava poi così antipatico come credeva lui.

“Buonanotte, Tom Kaulitz.” gli augurò alla fine, avvolgendosi con le sue stesse braccia, poi raggiunse la porta.

“Buonanotte, Norvegia Nera.” Le disse Tom, appena prima che lei entrasse. Norja si voltò di nuovo, gli mostrò la lingua e poi sparì oltre la sua visuale.

Tom rimase lì, appoggiato con i gomiti alla ringhiera, faticando a capacitarsi di quanto era appena successo.

Aveva davvero passato mezzora a chiacchierare di insensatezze con una perfetta sconosciuta? Ed era possibile che quella stessa chiacchierata, durante il quale era stato maltrattato come raramente in vita sua gli era capitato, gli fosse piaciuta?

Scosse la testa, incredulo. Non le aveva nemmeno chiesto quanto a lungo sarebbe rimasta lì.

Ridacchiando fra sé, andò a recuperare la lattina di birra e rimase a bersela lì sulla soglia. Se non altro il malumore gli era passato.

 

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Note: so che per voi questa storia sarà una sorpresa, ma in realtà lo è stata anche per me! XD

Qualche giorno fa Lady Vibeke mi ha parlato di quest’idea che aveva per una storia in stile commedia, e mi è piaciuta subito, ma siccome lei sostiene di non avere tempo e ispirazione per scriverla, le ho chiesto se potevo “adottarla” e scriverla io. Dato che ho gentilmente avuto il permesso, eccomi qui!

Come sempre, il capitolo introduttivo è un po’ breve, ma gli altri saranno più lunghi. Vi devo premettere che si tratta di una storia molto, molto diversa da Lullaby For Emily e The Truth Beneath The Rose. È una ff completamente a sé stante, da leggere senza gli impegni profondi e psicologici delle altre mie creature. È una commedia scritta per sorridere e ridere, senza impegni, scritta anche in modo molto più leggero, diverso dal mio solito stile. Spero comunque che potrete apprezzarla lo stesso. ^^ Non sarà lunghissima, cinque o sei capitoli al massimo, quindi non aspettatevi chissà che. ;)

Per ora spero che abbiate gradito la lettura e che la troviate meritevole di un commento. ^^

Alla prossima!

P.S. grazie di cuore a Lady Vibeke per avermi fatto l'immagine di presentazione della storia e a Irina_89 per avermi aiutata a spulciare la rete alla ricerca di innagini che somigliassero a Norja! ;)

   
 
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