Due braccia forti, ad un tratto, circondarono le spalle di Bek. Il giovane alzò la testa e fissò i suoi occhi ambrati, rossi di pianto, in quelli zaffirini di Horus. La mano del dio del Sole, leggera, si posò tra i riccioli castani del ladro. Si era ben accorto della pena del suo amico e si sentiva colpevole. Avrebbe voluto riunire lui e la sua amata, ma tale suo desiderio si era infranto, davanti ai limiti dei poteri divini. Nemmeno Ra aveva potuto resuscitare due persone. Il suo affetto aveva condannato il suo amico ad una lenta e amara agonia. Aveva sbagliato? Ormai, non riusciva a vedere una risposta netta a quella domanda. Era stato guidato da un impulso impetuoso, che non era riuscito a governare, malgrado la sua mente acuta. La lontananza da Bek era per lui crudele e dolorosa. Malgrado un inizio turbamento, si era affezionato a quell’umano irriverente e gentile. E gli dispiaceva vedere tanto dolore in quelle iridi solitamente ridenti. – Mi dispiace. – mormorò Horus. Bek gli lanciò uno sguardo ambrato confuso. – Sono un dio. Controllo un potere immenso, ma non sono riuscito a ridare a lei e ad Hathor la possibiliità di tornare a vivere. – confessò, amaro. I doveri di sovrano gli avevano permesso di non pensare all’irrimediabilità della sorte della sua amata. Ma non aveva veduto la pena del suo compagno di lotta. I suoi occhi non erano stati in grado di scorgere lo strazio di Bek. Il ladro si appoggiò ancora di più al petto dell’amico e chiuse gli occhi, lasciando scorrere le lacrime sulle sue guance. Anche Horus, malgrado la sua condizione, soffriva l’assenza della sua amata. Malgrado la fine della guerra contro Seth, nemmeno lui era felice. Entrambi condividevano la nostalgia delle loro amate.
– Non sono arrabbiato con te. – mormorò il ladro. Horus non rispose e le sue lunghe dita continuarono ad accarezzare i capelli di Bek. Le parole del suo amico erano sincere, lo sentiva. Eppure, vi avvertiva anche un dolore sordo e corrosivo. – Io so che tu avresti voluto ridare loro la vita. So che il tuo cuore desiderava che la vita ricominciasse da dove si era fermata,. Hai tanti difetti e mancanze, Horus, ma non sei un ingrato. Ma non è stato possibile. Perfino i poteri di Ra hanno un limite nelle leggi naturali. Non si può rompere l’armonia del creato per il proprio pur comprensibile egoismo. E tu non hai nessuna colpa di questo. – affermò Bek. Il calore del corpo di Horus donava al suo spirito una malinconica serenità. Pur essendo le loro nature differenti, in quella pena comune erano riusciti a trovare un prezioso punto di contatto. Quella guerra era stata devastante per entrambi. Horus, sentendo quelle parole, fece per parlare, ma si trattenne. Bek non aveva finito di schiudergli i segreti del suo cuore. Ed era suo dovere ascoltare quelle parole, che per tre anni lui aveva chiuso nella sua anima, come un tesoro prezioso. – So tutto questo, ma il cuore umano ha delle ragioni oscure, che sfuggono alle menti dei sapienti. E, spesso, non basta la consapevolezza per allontanare il dolore di un amore perduto. – concluse. Uno stormo di ibis attraversò il cielo, come una fugace nube, in un rumoroso frullio d’ali. Le labbra di Horus si sollevarono in un sorriso e le sue dita presero il mento di Horus, sollevandogli il viso. – Hai detto delle cose molto belle, ma c’è una falla nel tuo discorso. – mormorò il dio, la voce roca. Lo sguardo di Bek, velato di confusione, si rifletté nelle iridi di Horus. –Non sei solo. Non sei condannato a sopportare le tue pene, senza il supporto di un amico. – mormorò la divinità. Bek, confortato da quelle parole, sorrise a sua volta e appoggiò le sue mani sulle spalle dell’altro. Horus gli stava tendendo una mano salvatrice. Inoltre, pur in modo implicito, lo aveva definito suo amico. Poteva contare sul suo appoggio e questo lo rasserenava. – Grazie, Horus. –
*) I campi Iaru sono i campi di giunchi destinati ai giusti nella religione egizia.