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Autore: e m m e    08/11/2020    1 recensioni
[Saga di Paperon De\\\'Paperoni]
Scrooge riceve una lettera. Da vero spilorcio sa bene come dosare le parole nella risposta.
Scrooge McDuck/Goldie O'Gilt
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Pacchetto Drabble – Telegrafo
Fandom: The life and times of Scrooge McDuck
Titolo: STOP
Personaggi: Scrooge McDuck, Goldie O’Gilt
Riassunto: Scrooge riceve una lettera. Da vero spilorcio sa bene come dosare le parole nella risposta.
Rating: Verde
Words: 1608 (W)

Note: Scritta per una Drabble Night delle Musette <3 (Drabble per modo di dire, come sempre accade lol)




 
STOP
 

Scrooge McDuck era un papero di poche parole: alle parole, lui, aveva sempre preferito i fatti.
Nel corso degli anni, poi, tutti coloro che l’avevano conosciuto – e non avevano avuto l’ardire di mettersi contro di lui – avevano anche imparato ad apprezzare questa sua caratteristica.
E comunque, se anche non l’avessero apprezzata, non sarebbe stato affatto un problema suo, ecco!
Per questo, unico, solo, peculiare e singolissimo motivo il giorno in cui arrivò una lettera dal Klondike, Scrooge McDuck reagì alla notizia con un semplice «Oh!». Una sillaba che avrebbe potuto significare tutto o niente, ma che di certo aveva appena risparmiato ad uno dei paperi più ricchi del mondo un inutile spreco di ossigeno.
Era una lettera che aveva fatto parecchia strada, a ben vedere; e quando il giovane maggiordomo – assunto per uno stage non pagato – gliela portò, Scrooge fu molto deluso dal notare che non avrebbe potuto riutilizzare la busta consunta neppure se avesse messo il francobollo sotto vapore, per staccarlo con le pinzette.
Riconobbe la grafia però.
L’avrebbe riconosciuta ovunque, quella grafia.
E il fatto stesso di riconoscerla non lo entusiasmò per niente, no signore! Erano passati troppi anni, troppa acqua sotto i ponti, troppe monetine sonanti nelle sue tasche senza fondo, perché Scrooge McDuck si entusiasmasse per quella sciocca, insulsa, desueta, inutile grafia.
Aveva anche ricevuto un sacco di posta, quella mattina. Posta importante, dai suoi banchieri e industriali, gente che non perdeva tempo a lasciare inutili girigogoli alla fine della “G” di Gold- di nessuno. Gente, insomma, che meritava la sua attenzione molto di più di qualsiasi corrispondente dal Klondike.
Il Klondike, poi.
Ripensò senza volerlo al Fosso dell’Agonia Bianca e lo sguardo dei suoi occhi schiariti dalle intemperie tornò a fissare la lettera ingiallita e incartapecorita. Aveva fatto una lunga strada, non era forse vero?
Con uno sbuffo che gli arruffò le penne Scrooge tornò a consumare la propria colazione, scrutando con attenzione dentro la tazza di infuso alla nocciola. Il sapore era leggermente troppo forte quel giorno: che si fossero azzardati ad usare una bustina nuova prima della fine del mese?
Oh, inutile illudersi, inutile cercare di distrarsi. Voleva aprire quella maledettissima lettera per leggere le maledettissime parole scritte in quella maledettissima grafia.
Aveva già avuto tra le mani una lettera di quel tipo, non era forse vero? E l’altra volta non l’aveva aperta.
Ebbene era stato uno spreco! Uno spreco di carta e inchiostro, prima di tutto. E uno spreco di parole! Fossero pure state parole fredde, dure e spietate com’era stata anche Gol- com’era stata anche lei.
Con uno scatto improvviso della mano prese il tagliacarte e aprì quella diavolo busta che sembrava chiamarlo come un tempo l’aveva chiamato il gelido freddo dello Yukon e l’odore dell’oro nell’aria.
Dispiegò l’unico foglio, ingiallito dalle intemperie e dal tempo, e lesse le poche righe – niente di più che una nota, davvero – strizzando gli occhi al di là dei suoi occhialetti e sentendo distintamente la propria tuba scivolare su di un lato della sua testa, come presa da vita propria.
Si lasciò sfuggire un ghigno che spaventò a morte il suo maggiordomo e appallottolò il messaggio.
Poi si rese conto di aver appena appallottolato un pezzo di carta ancora decente – almeno da un lato – e si affrettò a lisciarlo con il dorso della mano, senza peraltro frenarsi dal rileggere con la coda dell’occhio le parole vergate in fretta da una mano squisitamente femminile.
«E così, eh?» disse a voce alta, parlando con nessuno. O forse con un se stesso più giovane, prima dell’oro, prima di Duckburg, prima di tutto.
Si alzò dalla tavola su cui stava facendo colazione e si avviò alla finestra, riflettendo. Fuori dal deposito in costruzione Duckburg iniziava appena ad affacciarsi alla vita: poche case, sparute, di legno friabile. Le sue sorelle avrebbero dovuto essere laggiù, da qualche parte, a fare qualcosa di assolutamente inutile.
Prese una subitanea decisione e si apprestò ad uscire.
«Signor McDuck, faccio chiamare una carrozza?»
I giovani d’oggi, pensò Scrooge, meditando se licenziare il ragazzetto che aspirava a fare il maggiordomo per aver anche solo avuto l’idea di fargli spendere soldi in una carrozza, quando Scrooge possedeva due gambe perfettamente funzionanti.
«Assolutamente no. E non osare gettare via quell’avanzo di infuso di nocciola!»
«Nossignore, signor McDuck!»
Rincuorato, Scrooge si diresse all’esterno con in mente un posto preciso: l’ufficio del telegrafo.
Quella lettera meritava una risposta immediata, no, ancora meglio: immantinente. E per fortuna l’ufficio del telegrafo era stato costruito qualche mese prima ed era adesso completamente attrezzato.
Il posto non era niente più che una baracca di legno con i fili dell’alta tensione che sbucavano dal tetto e se ne andavano chissà dove. Il telegrafista, un giovanotto sui vent’anni, parve estremamente lieto di veder entrare un cliente. Quando poi lo riconobbe, il sorriso con cui l’aveva accolto gli morì sul becco.
Eh, sì. Tendeva a fare quell’effetto alla gioventù. Non che lui fosse poi così vecchio, intendiamoci, ma aveva vissuto talmente tante avventure da contare come vite intere.
«Buongiorno, signor McDuck. Telegramma?»
«No, caffè» replicò lui, sarcastico.
Il ragazzo fece un passo indietro quasi che fosse stato colpito da una bastonata e si affrettò a recuperare carta e penna perché Scrooge potesse scrivere il messaggio e l’intestatario.
Scrooge lo fece, quanto più brevemente possibile, contando mentalmente le lettere una dopo l’altra. Il messaggio era composto da tre, stringatissime parole.
Il giovane lesse il biglietto e poi lo guardò, poi lesse di nuovo il biglietto e di nuovo lo guardò, gli occhi leggermente sgranati, la bocca un poco aperta.
«Ebbene? La smettiamo con quella faccia ebete?»
L’altro esitò appena. «Non- non vorreste mettere un- una virgola, magari?»
Scrooge lo fulminò con lo sguardo. «Sei impazzito? Mi costerà un patrimonio già stringato com’è!»
«Ma il dest- la destinataria potrebbe fraintendere...»
McDuck assottigliò gli occhi, affilando il proprio sguardo. «Non c’è assolutamente nulla da fraintendere!»
Visto che però il telegrafista se ne rimase immobile, come pietrificato, con il suo bigliettino tra le mani, Scrooge emise un sospiro e se lo riprese. «Facciamo così» disse. «Digita solo la prima parola. Dimentica le altre due.» E detto questo le cancellò con la punta ancora umida del pennino.
Il telegrafista obbedì senza nemmeno disturbarsi a recuperare il biglietto: dopotutto si trattava di una sola parola, e non una parola particolarmente facile da dimenticare.
Il papero più ricco del mondo osservò per un attimo i due vocaboli che aveva cancellato e strinse la lingua nel becco.
Le dita del telegrafista ticchettavano allegramente. Tamburellavano. Punto linea, due punti, linea, che nervi!
«Ecco fatto!» Esclamò il ragazzo tutto soddisfatto, tornando a guardarlo con un sorriso enorme. Un sorriso enorme che di nuovo gli morì sul volto non appena si accorse dell’espressione cupa di Scrooge.
Con evidente sforzo verso se stesso e il proprio portafogli il signor McDuck ordinò cupamente: «Manda anche le ultime due parole»
L’altro rimase interdetto. «Ma signore, il messaggio è già partito...»
«Mandalo e non discutere!»
E c’era poco da discutere con Scrooge McDuck.
 
A molte, molte, molte miglia di distanza, molti, molti giorni dopo, all’ufficio del telegrafista di Whitehorse giunse un messaggio per Goldie O’Gilt che ne fu prontamente informata.
Non accadde proprio che Goldie si precipitasse all’ufficio del telegrafo, accadde piuttosto che Goldie si mise a camminare parecchio rapidamente, ecco. E soltanto perché le faceva molto freddo, non certo per altro.
«Signora, un messaggio da Duckburk, in America» la accolse il panzone che lavorava al di là della panca di legno.
Goldie fece un enorme sorriso e poi si fece scappare qualcosa a metà tra uno sbuffo e un singhiozzo dal becco. «Ma davvero?» domandò dopo un attimo.
Afferrò il bigliettino spiegazzato che il telegrafista le porgeva e lo lesse, ignorando il proprio cuore ballerino, che aveva messo a tacere così tanti anni prima. O meglio, aveva cercato di metterlo a tacere.
Sul foglietto c’era trascritta soltanto una parola e per di più in perfetto stile Scrooge McDuck: Scordatelo.
Nemmeno uno STOP alla fine! Spilorcio fino in fondo. Avrebbe potuto sprecarsi un poco di più, non era forse vero? Dopotutto lei si era presa il disturbo di mandargli un’informazione che avrebbe potuto interessarlo, no?
Ma non c’era altro da fare. Con un lieve sospiro Goldie si voltò per tornare nel suo saloon già stracolmo, quando il telegrafista la richiamò.
«Signora, aspetti un attimo, sembra che stia arrivando qualcos’altro!»
Goldie si voltò, e con quel movimento il suo il suo bel vestito di lustrini parve quasi danzare. «Sicuro che sia per me?»
«Non molta gente riceve messaggi, quassù, lo sa.»
Attese che il messaggio venisse attentamente decifrato – una questione di meno di un minuto che le fece comunque battere la zampa a terra dall’impazienza – e finalmente il panzone gli porse il resto delle parole di Scrooge. E gliele porse con quello che a Goldie parve un sorrisetto divertito, anche se non poteva esserne del tutto sicura visti i baffoni che coprivano metà faccia del telegrafista.
La papera lanciò uno sguardo stranito prima a lui e poi al biglietto.
«Grazie mille» disse infine con estrema gentilezza, senza lasciar trasparire niente di niente, nemmeno l’ombra di un sorriso o un principio di pianto: entrambe le cose sarebbe state esageratamente melodrammatiche, per una come lei.
Si mise il biglietto nel reggicalze, però. Ve lo avrebbe tenuto per i successivi trent’anni, finché non fosse diventato giallo e friabile, e anche allora avrebbe avuto difficoltà a trovargli un posto adatto che non fosse a stretto contatto con le sue piume.
Dopotutto, se nessuno avesse saputo di quelle tre parole, nessuno avrebbe potuto accusarla di essere una sciocca sentimentale, no?
Sorrise e si diresse a fare il lavoro che sapeva fare meglio: fregare la gente. Compresa se stessa.
 
Scordatelo, adorabile bastarda

 

  
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