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Autore: asthma    02/12/2020    2 recensioni
La sera ti avevo vista, eri proprio lì, seduta in camera, la schiena contro la testata del letto, le gambe sotto le coperte, gli occhiali sul naso. E la mattina non c'eri più. C'eri. Ma non c'eri. Eppure ti avevo vista, mi avevi parlato. La sera prima.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Madison Square Park
16 settembre 2020
57°F


Trovo davvero sterile e improduttivo il dover riversare tutti i miei pensieri su un foglio di carta. Qui, seduto su una panchina, nel tuo parco preferito, l'odore di fritto e carne alla brace nell'aria, accerchiato da turisti in preda a continui crampi per il mantenimento prolungato della corretta posizione per catturare il perfetto scatto del Flatiron, ignorando forse il fatto che lo ritroveranno domani, ancora lì, immobile, nella medesima posizione.
O forse no. Una mattina potremmo anche alzarci e trovare un buco nel punto esatto dove la sera prima avevamo giurato di veder eretto quell'enorme edificio in tutta la sua magnificenza.
Un po' come è successo a me. La sera ti avevo vista, eri proprio lì, seduta in camera, la schiena contro la testata del letto, le gambe sotto le coperte, gli occhiali sul naso. «Sherlock» mi avevi detto facendomi segno di sedermi accanto a te «sono arrivati i referti dell'anatomopatologo. La ferita inferta alla signora Pochowskji è di una precisione oserei dire chirurgica». Ti eri tolta gli occhiali per guardarmi. «Sherlock. Mi stai ascoltando?». E la mattina non c'eri più. C'eri. Ma non c'eri. Eppure ti avevo vista, mi avevi parlato. La sera prima.
Mi ci sono voluti cinque lunghi mesi, ventidue riunioni con il centro di supporto ex tossico-dipendenti, tredici casi di omicidio risolti, quattro stupratori incarcerati, sei nuove sedie e tre scrivanie date alle fiamme, prima di reputarmi pronto a scriverti.
Alfredo mi ha detto che la scrittura è curativa. Non ci credo. Non lo è per me, almeno. Ho le mani fredde, le dita rigide e spezzerei volentieri la penna che sto usando per scriverti se non fossi certo di macchiarmi il cappotto che ho ritirato ieri pomeriggio dalla lavanderia a gestione familiare sulla ventitreesima.

Come è possibile che io mi ritrovi qui, senza di te. Tu, che sei sopravvissuta a un'intossicazione da tetraidruro di carbonio, dopo che l'intelligence britannica ti aveva sequestrata, in un vano tentativo di nuocere alla mia persona; tu, che sei stata la sola in grado di rimanere al mio fianco per otto estenuanti anni, decidi di abbandonarmi a me stesso per colpa di un gruppo impazzito di cellule che da un giorno all'altro ha deciso di formare noduli qua e là all'interno dei tuoi organi? Mi hai davvero lasciato per questo, Watson? Mi avevi detto di non preoccuparmi. Ci saremmo visti ancora. Ho cercato di adeguarmi alle tue esigenze, al tuo voler celare le apparenze, al tuo indossare sempre un sorriso nonostante il serpente che ti stava divorando dall'interno. Ti ho accudita, ti ho accompagnata a ogni controllo medico, sono persino andato a Chinatown a comprare quelle erbe per quegli infusi nauseabondi che tanto ti piacevano. Mi hai detto che saresti tornata ad essere la mia Watson. Le sedute di chemioterapia erano quasi finite, perché te ne sei andata allora?

Maledetto il giorno in cui ti è stato assegnato il mio caso. Maledetto il giorno in cui sei entrata nella mia vita. Maledetto il giorno in cui mi hai permesso di affezionarmi a te.
Forse dovrei darmi un freno ora.

S.H.

 


 

   
 
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