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Autore: Mannu    22/08/2009    0 recensioni
Giovane, eppure semina il terrore nel cyberspazio. Scappata di casa, qualcosa deve pur fare per vivere. Con la testa cablata, la cosa più facile è l'espediente, la scommessa, il crimine informatico.Nota importante: questa storia è nata come uno studio sul personaggio e inizialmente non è stata pensata per la pubblicazione. Ilah non è un personaggio interamente mio, ma realizzato in collaborazione con Cassiana. Questa mini-storiella è stata scritta per darle la mia idea del personaggio. Sentiti ringraziamenti a Cassiana per tutte le idee buone che ha messo sul tavolo per creare Ilah.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Ilah
All'interno della matrice del cyberspazio come lui aveva scelto di visualizzarla tutto sembrava un ricamo digitale su un tessuto di un nero assoluto, un acquerello di colori fluorescenti sbavati e linee inseguite da fantasmi di se stesse, ectoplasmi digitali sfuocati e in eterna dissolvenza. Su questo sfondo si muovevano figure tridimensionali che lui stesso non sempre riconosceva: rappresentazioni di entità informatiche, presenze disincarnate, installazioni ostili. Una folla di vettori premuti dentro la sua interfaccia ottica che, se non avesse avuto la possibilità di utilizzare dei filtri, sarebbe stata perennemente satura e inutilizzabile.
Si accinse ad avvicinarsi alla sua preda designata. Non era più certo che fosse ignara della sua presenza, poiché i due tentativi precedenti di sniffare i suoi pacchetti di dati erano stati interrotti in modo troppo originale per essere casuale. Dapprima uno stupido spider aveva cercato di indicizzarlo come se lui fosse stato una semplice pagina statica, poi aveva subito un vero e proprio attacco preliminare, una scansione delle porte della sua connessione.
Con una strisciante paura, sottile e indefinita, che gli serpeggiava dentro si preparò a creare un fantasma di se stesso da usare come falso bersaglio. La prudenza non era mai troppa. Ma qualcosa ancora andò storto durante il fork e improvvisamente l'intera zona fu accecata da un bagliore spaventoso, come se qualcuno avesse usato una password. Ma la luce accecante non si dissolse immediatamente: la matrice rimase abbagliata a lungo, quasi cancellata da tutta quella energia improvvisa. Lui lanciò immediatamente dei nuovi filtri, ma si rese ben presto conto che era successo qualcosa di drastico. I suoi strumenti indicarono che il livello energetico di quella porzione di cyberspazio si era improvvisamente elevato e proprio mentre cercava di ottenere maggiori informazioni, essi si ammutolirono. Chiunque potesse fare una cosa del genere cavalcava da parecchio ed evidentemente ci sapeva fare. Non solo: doveva avere una interfaccia da professionista, come la sua.
Prima che il nuovo livello energetico della matrice lo buttasse fuori disconnettendolo dolorosamente, adeguò la sua interfaccia e tutto ritornò nella normalità. Si accorse con rabbia che aveva perso tempo prezioso: il suo bersaglio non c'era più. Era stato allontanato, schermato o, ipotesi peggiore tra tutte, era stato raggiunto e accecato dalla fazione avversaria. Fino a un minuto prima era certo di averli eliminati tutti. Invece doveva essercene ancora uno, abbastanza bravo da combinargli quello scherzetto. Dette una fuggevole occhiata ai suoi termometri di sistema: il suo deck si stava scaldando.
Sguinzagliò un paio di spider scaricati illegalmente dal server di un'agenzia di sicurezza: era roba tosta, avrebbero trovato qualunque cosa in pochi istanti. Li guardò partire: il primo, grosso, rumoroso e pericoloso, aveva il compito di attirare l'attenzione su di sé. Era corazzato fino all'inverosimile, non temeva per lui. Ma nella sua scia nuotava il secondo spider: leggero ma cattivissimo, difficile da scoprire e quindi duro da uccidere. In lui riponeva tutte le sue speranze.
Il primo infatti tornò con le zampe stracariche di false tracce, indirizzi sbagliati e in un caso addirittura un puntamento a una pagina statica colma di virus, una trappola tesa pronta a scattare in modo micidiale. Il secondo restituì un solo indirizzo, la traccia che stava cercando. Di nuovo, colmo d'ansia, iniziò a creare un fantasma di se stesso. Aveva perso tanto di quel tempo che ormai non aveva più importanza quanto ci impiegava. Ma non accadde nulla. Usò il fantasma per cercare di comunicare con i due sopravvissuti della sua squadra, ma nessuno rispose. Eppure i protocolli concordati non erano stati violati: se ne sarebbe accorto.
Riprovò. Nulla: era isolato. Solo. Dei suoi compagni nemmeno tracce labili. Forse si erano disconnessi, certi della vittoria. O forse erano stati eliminati? Un sottile guizzo argenteo lo colse alla sprovvista, proveniente dalle sue spalle. Un lunghissimo filo infinito, brillante di luce ghiacciata, frattale. Riconobbe immediatamente la minaccia e seppe che fine avevano fatto gli ultimi due della sua squadra. Disconnessi a viva forza: probabilmente stavano già impasticcandosi per vincere la micidiale emicrania.
La sua interfaccia, piena di plug-in realizzati da lui stesso e ispirati a codice militare e governativo, ovviamente rubato, gli permise di sventare la minaccia immediata: il filo argenteo, sottile e sinuoso si ridusse a una lunghissima fila di pixel tremolanti e scomparve. Ma solo allora capì la gravità dell'attacco: era finito esattamente dove il suo abile avversario lo voleva. Ai margini della matrice, resi frastagliati dal recentissimo innalzamento del livello energetico. Il suo fantasma si dissolse in un battito di ciglia e un istante dopo, con uno schiocco il tessuto della matrice intorno a lui si fratturò a opera di un semplice, banale attacco flood. La sua interfaccia inondata di pacchetti di dati senza senso cercò di difendersi droppandoli tutti ma in meno di un secondo dovette arrendersi: non era stata programmata per difendersi efficacemente nella instabile terra di nessuno della matrice fratturata. Era disconnesso.
Aveva perso.

Uscì dalla ROM del suo deck stanco e abbattuto, con il cervello che gli sembrava pulsare con dolore dentro le pareti della scatola cranica. Sentiva che avrebbe dovuto essere furioso per la sconfitta, ma riusciva solo a pensare che aveva perso. Non capitava da molto.
Si sfilò gli aghi dalla testa da solo, anche se le mani gli tremavano. Era sudato, provato, la vista gli si era indebolita al punto che ai margini del suo campo visivo gli pareva di vedere ancora brandelli di matrice alterata. Fece fatica a mettere a fuoco il tipo che gli puntava contro la telecamera amatoriale, i visi ansiosi dei suoi quattro compagni di squadra. Non c'erano monitor di osservazione per loro né arbitri quindi non potevano sapere com'era finito l'ultimo duello.
- Allora? - si decise a dire uno di loro. Lui stava stropicciandosi gli occhi per cancellare i frammenti di matrice dalle retine e per prendere tempo. Dalla voce doveva essere Drew.
- Allora niente - rispose lui, mesto - mi ha fraggato.
- Cazzo! Tremila che sfumano così... - Drew aveva fatto conto d'avere già i soldi del premio in tasca. Se lo conosceva, li aveva anche già sperperati.
- Rassegnati, se li ciucciano loro i tremila – guardò sconsolato l'ago che tradiva il tremore della sua mano.
I suoi compagni di squadra si lasciarono andare a qualche secondo di commenti pesanti, poi si aprì la porta della stanzetta. Lui alzò malvolentieri gli occhi dagli aghi sporchi del suo deck. Era la tipa del locale, quella che aveva organizzato il match. La maglietta tagliata per mostrare l'ombelico, i pantaloncini corti sostenuti da bretelle rosse, lo sguardo a metà fra l'annoiato e lo strafottente affogato in mezzo a trucco scuro, livido.
- Di là hanno quasi finito. Sarebbe carino che voi andaste a stringere qualche mano, almeno per le telecamere.
I suoi, colmi di rancore per la sconfitta, si opposero con veemenza. Ma lui, stando aggrappato al tavolo per sicurezza, si alzò in piedi.
- Ci vado io - disse accorgendosi con spavento che gli tremavano le ginocchia.
- Bella lì - le disse la ragazza masticando a bocca aperta - dài, muoviti.
Si mise in tasca il suo deck caldo, girò intorno al tavolo e seguì le deliziose natiche ondeggianti della organizzatrice fino alla stanza adiacente. Così vicino, così lontano, pensò lui entrando tallonato dalla telecamera.
Due: erano solo in due. Il primo che notò fu lui. Capelli bianchi e pelle grigia, una volpe della Rete. Non c'era dubbio: c'erano voluti quattro dei suoi per tirare giù quel tipo. Questo nel mondo digitale del cyberspazio non sarebbe stato certo fonte di disonore. Intravide la possibilità di uscire a testa alta da quella faccenda in cui s'era ficcato semplicemente per dimostrare la sua mascolinità di cavaliere della Rete. Fu proprio il suo orgoglio a subire un duro colpo un istante dopo. Una massa di lunghi dread tinti di viola ondeggiava sopra il tavolo; dai polsi sbottonati e logori di una casacca militare spuntavano due braccia troppo sottili, la pelle liscia e dolcemente olivastra; le mani, appena visibili dietro la nuca, trafficavano con dei fazzoletti di cellulosa sintetica; l'odore nell'aria era quello pungente e asettico del gel superconduttore. Un rapido sguardo al tavolo e le piccole piastre a contatto apparvero evidenti, collegate a un modulo di interfaccia Bolonov. Un equipaggiamento da professionisti, esattamente come aveva immaginato. Finalmente quel viso che era abbassato verso il ripiano del tavolo si sollevò e il sipario della pettinatura rasta si fece da parte.
Fu tentato di fare un passo indietro. Era giovane, carina. Aveva lontani antenati orientali a giudicare dal colore della pelle e dalla forma degli occhi, deliziosamente obliqui. Le iridi chiare e gelide circondavano pupille del tutto normali e non dilatate come ci si sarebbe aspettato dopo una cavalcata del genere nel cyberspazio. L'espressione di quel viso dal mento appuntito era indecifrabile: il nasino con la punta all'insù; una borchia ossea a forma di cono sovrastava il sopracciglio sinistro e sporgeva lucida e orgogliosa in avanti, una cicatrice tonda perfettamente simmetrica a destra rivelava dove probabilmente c'era stata una borchia analoga; le sopracciglia stesse, lunghe, strette e inclinate. Era un viso aggressivo e femminile, determinato e dolce contemporaneamente. Una ragazzina impertinente, una randagia scappata di casa, una ribelle per natura.
- Credevo fosse vietato usare spider altrui - gli puntò contro un dito dall'unghia nera, opaca e affusolata in modo inquietante. Ci fece caso: tutte le unghie di lei erano nere, opache e avevano la stessa forma della punta di un coltello. E quanto erano affilate le sue parole! L'accusa fatta con tono secco e deciso, uscita da quelle labbra sottili e rosee, formulata da quella voce piacevole anche se un po' nasale lo colsero quasi alla sprovvista. Forse avrebbe fatto bene a spararsi subito qualcosa per il mal di testa; forse aveva ancora un po' di gialla in circolo e in un modo o nell'altro riuscì a reagire.
- Credevo che fosse proibito pompare tutta quell'energia nel cyberspazio - ribatté con mezzo secondo di esitazione. Esitazione che poteva costargli cara: quella che aveva davanti, ancora seduta al tavolo e che continuava ad appallottolare fazzoletti di cellulosa umidi di gel superconduttore sembrava una gracile ragazzina e invece era una belva sanguinaria e pericolosa. Lui il suo deck lo teneva in tasca, batterie cariche e aghi sterili, sempre pronto all'uso. Lei se l'era fatto cablare dentro il cranio. Contento di averla zittita, spostò il suo peso su una gamba nel tentativo di non dare a vedere che le ginocchia gli tremavano ancora.
La ragazza si alzò decisa dalla sedia e con un gesto della mano che sapeva di studiato afferrò i dread viola e li gettò dietro la schiena. Le perline che le ornavano i capelli scrosciarono tra di loro brevemente.
- Se becco ancora una volta te e i tuoi spider di merda non te la caverai così bene. Questo era un gioco, la prossima volta faccio sul serio.
Non aspettò la sua risposta. Fece il giro del tavolo camminando decisa, alta e snella. Puntò dritta verso l'uscita ignorando tutti i presenti, anche la tipa che aveva organizzato la partita. Ebbe la tentazione di afferrarle un braccio mentre gli passava vicino, ma il suo istinto gli disse di non provarci nemmeno.
- Sai dove trovarmi - le disse in tono di sfida. Ma lei non si voltò.
   
 
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