La rosa d’inverno
“Mi sembra una pessima idea.”
“Uscire dal laboratorio a te sembra
sempre una pessima idea.” La prese in giro Jack, mentre estraeva dal baule del
suo Land Rover un’ascia.
“Non hai mai maneggiato una di
quelle, non voglio passare la giornata al pronto soccorso.” Continuò lei,
infilando le mani nel giaccone e pentendosi di non aver preso un paio di
guanti.
“Lena.” Jack si voltò a guardarla.
“Vivi un po’!” La esortò.
Non aveva tutti i torti, dovette
ammettere tra sé e sé Lena. L’amico aveva dovuto praticamente trascinarla fuori
dal suo laboratorio a Metropolis, metterla su di un
aereo e quella mattina sequestrarle il laptop solo per smettere di farla
lavorare e permetterle di riposarsi e godersi le feste natalizie.
“Va bene, ma rimane vero che decidere
di tagliare un albero da soli è una pessima idea, perché non facciamo ciò che
prevedeva il piano e andiamo al vivaio a sceglierne uno?”
“E dove sarebbe il divertimento?”
Chiese Jack, gli occhi che brillavano.
“Pessima idea…” Mormorò tra i denti,
ma seguì l’uomo che avanzava nel mezzo metro di neve caduto nella notte.
“Dividiamoci, il primo che trova
l’albero perfetto chiama l’altro!” Esclamò entusiasta Jack e Lena sospirò e
decise che era meglio dargli corda, inoltrandosi nell’innevata foresta di pini
e abeti.
Mentre i passi pesanti di Jack si
allontanavano non poté fare a meno di apprezzare l’atmosfera. La neve ovattava
ogni rumore e le fronde cariche di neve filtravano il sole creando un alone
quasi magico. Sorrise all’idea, lei, Lena Luthor,
scienziata fino al midollo si faceva incantare da una foresta. Suo fratello
l’avrebbe presa in giro, se avesse saputo, ma suo fratello non era lì e lei si
concesse, quasi in una forma di silenziosa sfida, di guardarsi attorno e
ammirare quello splendore.
Sentì il fragore di una ramo che si
liberava dalla neve e il gridolino di Jack.
“Tutto bene?” Urlò verso il ragazzo.
“Sì…” Arrivò la risposta strozzata.
“Non sarà un po’ di neve a fermarmi!” Lena non poté fare a meno di sorridere.
Jack non era di certo un rude uomo della montagna, ma sapeva essere
perseverante.
Tornò a muoversi, girando attorno ai
tronchi resinosi, respirando l’aria fresca e profumata della montagna. Sotto le
fronde lo strato di neve era più sottile ed era più facile camminare, persino
l’aria era più calda visto che i tronchi la riparavano dalla fredda brezza.
Un altro rumore proveniente dalla
direzione di Jack la fece fermare.
“Jack?” Chiamò. Non avrebbero dovuto
esserci particolari modi di farsi male, ma con quell’uomo non si poteva mai sapere,
era riuscito a farsi male persino con un microscopio una volta!
“Tutto ok…” Rispose lui, dopo un
attimo. “Temo di essere antipatico agli alberi, continua a cadermi neve sulla
testa.” Il suo tono era quasi lamentoso.
Lena alzò la testa verso le fronde,
osservando la neve, il bel tempo dopo la nevicata aveva portato con sé il gelo
e la neve sembrava assolutamente incapace di cadere dai rami neanche se scossi,
Jack doveva però essere particolarmente sfortunato.
“Vuoi che andiamo al vivaio?” Chiese,
speranzosa. “Potremmo essere a casa in un’ora… bagno caldo, cioccolata…” Provò.
“Ancora dieci minuti.” Dichiarò poi
l’uomo. “Poi mi arrendo.” Doveva aver ricevuto un bel po’ di neve sulla testa
se si stava effettivamente già cambiando idea. Lena rise, poi alzò la testa e
incontrò due occhi azzurri come il cielo in autunno e rimase immobile.
La ragazza davanti a lei, perché si
trattava di una ragazza, la fissò con la bocca aperta e poi, semplicemente
scomparve, come se fosse stato solo un riflesso o un miraggio.
Lena ruotò su se stessa poi tornò a
guardare, fece due passi avanti e tornò a guardarsi attorno.
“C’è qualcuno?” Chiese, confusa.
“Lena?” Chiamò Jack. Lei lo ignorò,
continuando a guardarsi attorno. Aveva visto una ragazza, era sicura… “Lena?”
Chiamò di nuovo Jack. Lo sentiva che si dirigeva verso di lei, sbatté le
palpebre confusa. “Tutto bene?” Chiese l’uomo sbucando da dietro un tronco.
“Sì…” Mormorò, poi si girò a
guardarlo e non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Era bagnato fradicio,
gli abiti erano pieni di aghi di pino e sembrava avesse lottato con un orso,
tanto era arruffato.
“Non pensavo la foresta potesse
essere così combattiva, ma so quando dichiararmi sconfitto: andiamo al vivaio!”
Disse l’uomo, sorridendo, poi le lanciò un’occhiataccia. “Vedo che tu, invece,
alla foresta stai più simpatica.”
Lena sorrise.
“Forse è perché non ho un’ascia in
mano.” Disse distrattamente, la mente che cercava di fissare un ricordo, cosa
aveva visto? Era chiaro che non poteva esserci stata davvero una ragazza lì, in
mezzo alla foresta e se anche ci fosse stata di certo non avrebbe potuto
comparire e scomparire così velocemente…
“Andiamo.” La distolse dai suoi
pensieri Jack.
“Sì.” Lena si voltò ancora una volta
poi scosse la testa e seguì l’amico alla macchina.
Kara, nascosta tra i tronchi, di
nuovo invisibile agli occhi umani, osservò la ragazza andare via assieme al suo
amico portatore di ascia. Era rimasta senza fiato davanti a quegli occhi dai
riflessi verdi e azzurri, come cristalli di neve posati su di una fronda
colpita dal sole, come occhi che non poteva dimenticare.
La donna aveva potuto incrociare i
suoi occhi, aveva potuto vederla!
Il vivaio si estendeva per un lungo
tratto di strada, all’interno Lena poteva sentire e vedere numerosi gruppi
intenti a scegliere l’albero giusto, ridendo e scherzando tra i verdi abeti.
“Buongiorno e benvenuti al vivaio Danvers.” Li salutò una ragazza dall’aria decisa nel
vederli arrivare. Indossava l’uniforme della guardia forestale, ma era lì
chiaramente in un’altra veste. Lanciò a Jack, che era riuscito a fare ben poco
per migliorare il suo aspetto, uno sguardo perplesso, ma non disse nulla.
“Salve, vorremmo comprare un abete.”
Disse l’uomo, apprezzando la discrezione della donna.
“Certo. Potete scegliere quello che
volete, il prezzo varia a seconda della dimensione. Tutti i nostri abeti sono
coltivati, nessuno è stato strappato alla foresta. Alla fine di Natale se
riporterete qua il vostro albero vi sarà rimborsato il 50% del suo prezzo ed
esso verrà piantato nella foresta.”
“Oh…” Esclamò stupito Jack.
“Iniziativa lodevole.” Commentò
invece Lena, lanciando un’occhiata divertita a Jack che chiaramente iniziava a
sentirsi in colpa per il suo tentativo fallito di tagliare un albero.
“Volete altre indicazioni?” Chiese
lei. “Posso chiamare mia madre per farvi da guida o…”
“Ciao.” Una ragazza comparve davanti
a loro, aveva un ampio sorriso, capelli biondi e occhi… Lena rimase
immobilizzata sul posto mentre un deciso senso di déjà-vu la colpiva.
“Buongiorno.” Intervenne Jack
lanciandole un’occhiata perplessa. Lena si riscosse.
“Sì, ehm… salve.”
“Posso aiutarvi? Mi piacerebbe
aiutarvi?” Affermò la ragazza.
“Ehm… Kara, tu ti occupi degli
abeti.” La donna lanciò alla ragazza un’occhiataccia. “Kara è solo un
giardiniere, solo sicura che mia madre o Sam si sia liberata e…” La donna si
alzò sulla punta dei piedi alla ricerca di una figura ancora immersa in una
conversazione con dei clienti.
“Posso farlo io, posso accompagnare
io…” Guardò verso di lei con occhi incuriositi.
“Lena.” Si ritrovò a dire.
“Lena.” Ripeté la ragazza, un ampio
sorriso che le illuminava il volto.
“Ok.” Affermò Jack, lanciando uno
sguardo a lei e poi alla giovane.
“Vieni.” Disse allora la giovane.
“Kara…”
“A dopo Alex.” La interruppe lei
senza che il suo sorriso vacillasse.
Pochi istanti dopo Lena stava
seguendo la donna tra il labirinto di piccoli abeti.
“Gli abeti sono alberi molto
simpatici, amano essere decorati, ma bisogna fare attenzione a non spezzare i
rami più piccoli e delicati.” Spiegava la donna, mentre camminava. “Non
necessitano di tanta terra e neanche di tanta acqua, mi assicuro sempre che
stiano super bene prima di darli in affidamento ad una famiglia.”
“Darli in affidamento?” Chiese Lena,
perplessa e la donna si voltò a guardarla.
“Sì!” Esclamò sorridente. “Per
Natale! Un albero vivo in ogni casa! Sono belli sempre, ma decorati sono
bellissimi e loro sono felici. Le querce lo detesterebbero… mai decorare una
quercia, sono così serie… ma gli abeti adorano le palline e le lucette.”
“Capisco…” Lena non poteva dirsi che
meravigliata davanti a tanta esuberanza. Dare una personalità agli alberi era
di certo un po’ folle, ma dopo tutto conosceva più di un uomo che dava
personalità ad un’auto.
“Qual è il tuo albero preferito?” Le
chiese poi la donna voltandosi di nuovo, questa volta fermandosi a guardarla
dritto negli occhi.
“Non saprei…” Rispose lei, sorpresa,
ma nella mente le apparve un faggio, il tronco argenteo e le foglie rosse
d’autunno, come i capelli di sua madre… sbatté le palpebre sorpresa da quella
vivida immagine.
“I faggi sono eleganti e molto belli.
Ti si addicono.” Affermò la giovane e Lena si ritrovò ad arrossire, non aveva
idea di come avesse fatto la ragazza a scegliere proprio l’albero a cui stava
pensando, che fosse una qualche guru della botanica?
“Bene, credo che me ne andrò a vedere
quelle piante lì.” Spezzò il momento Jack. “Mi sento di troppo.” Aggiunse con
ironia.
Lena gli lanciò un’occhiataccia
arrossendo ancora un po’ suo malgrado. Kara invece lo guardò allontanarsi, le
mani suoi fianchi, un cipiglio battagliero sul volto.
“Non mi piacciono le asce.” Dichiarò.
Lena aprì la bocca per chiedere come
facesse a sapere, poi si interruppe: davvero stava per chiedere ad una ragazza
se venti minuti prima era nel bosco ad alcuni chilometri da lì?
La giovane riportò lo sguardo su di
lei e sorrise.
“Dovrei scegliere l’abete e…”
“Oh, è lui a scegliere te.” Le
assicurò la ragazza. “In realtà piaci a molti di loro, ma questo è naturale,
pensano che tu sia gentile, ma ci vuole qualcosa di più per…” Corrugò la
fronte. “Vieni.” Le disse e Lena, per qualche inspiegabile ragione, seguì
quella strana e affascinante ragazza.
Dieci minuti dopo era davanti ad un
sontuoso abete alto due metri e dalle fronde larghe e regolari.
“Lui.” Disse la giovane di nome Kara.
Non aveva smesso di chiacchierare di alberi, radici, aria e neve, ma ora si era
fermata di botto e le indicava sicura un abete.
“È un po’ più grande di quello che
avevamo previsto.” Affermò lei dubbiosa.
“Alex può portarlo a casa tua entro
questa sera.”
Lena si avvicinò all’albero, era
senza dubbio molto bello.
“Dammi la mano.” Le chiese Kara un
sorriso sulle labbra. Lena esitò, poi estrasse la mano dalla giacca e la posò
tra le dita sorprendentemente calde e asciutte della ragazza. “Ora chiudi gli
occhi.”
“Non so quanto sia una buona idea…”
Obbiettò lei.
“Non vuoi conoscere il tuo abete? Lui
vuole conoscere te.” Assicurò la donna e lei si ritrovò a scuotere la testa e a
sorridere allo stesso tempo. Era folle e assurdo, eppure quegli occhi azzurri…
non riuscì a resistere e obbedì.
“Ora dimentica il rumore delle
persone, ascolta solo la leggere brezza che accarezza le fronde, sentì il freddo
pungente sulle tue guance e respira l’odore della resina…”
La voce della donna si era fatta
leggera, quasi etera, immateriale, ma la sua mano era calda e rassicurante.
Lena si lasciò andare e per un istante percepì una serena vitalità, una fresca
forza, un’allegra sicurezza.
Riaprì gli occhi sorpresa.
“L’hai sentito?” Chiese Kara e lei si
ritrovò ad annuire.
“Com’è possibile?”
“Sei speciale, lo sapevo.” Affermò la
donna, felice. “L’ho visto nei tuoi bellissimi occhi verde-azzurri.”
Lena si ritrovò ad arrossire ancora
una volta. Ci mancava solo più questa! Non poteva prendersi una cotta per una
ragazza un po’ folle che lavorava in un vivaio! Tra due settimane sarebbe
tornata a Metropolis, quindi, no, niente cotte
natalizie, no, assolutamente no.
“Penso sia meglio che io vada.”
Ritirò la mano e cercò di sorridere. “Grazie mille per… ehm… l’aiuto.”
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” Le
chiese la donna, sorpresa dalla sua reazione.
“No, no, no, ma devo andare, il mio
amico è bagnato fradicio e non vorrei si ammalasse.”
“Oh… mi dispiace.”
“Non è certo colpa tua.” Assicurò
lei, mentre si camminava all’indietro per allontanarsi dalla tentazione. Un
errore, un altro quel giorno. Inciampò in qualcosa, probabilmente un attrezzo
da giardinaggio e si ritrovò a cadere. Ma non cadde, ovviamente la sua
neo-non-cotta possedeva riflessi eccezionali e la afferrò impedendole di
rovinare tra gli abeti.
“Stai bene?” Le chiese il viso così
vicino al suo da permetterle di sentire quanto fosse fresco il suo respiro e
blu i suoi occhi.
“Disturbo?” Lena si separò dalla
donna in fretta, questa volta decisamente violacea, nel sentire la voce ilare
di Jack.
“Grazie.” Disse a Kara che la
guardava perplessa poi si voltò verso Jack. “No, non disturbi, stavo arrivando.
L’abete mi ha scel… ho scelto quell’abete lì.”
Affermò decisa, maledicendosi per l’errore che fece brillare gli occhi
dell’amico.
“Decisamente più grande di quanto
avevamo pensato.” Commentò lui, ma nel vedere Kara portarsi le mani ai fianchi
annuì deciso. “Mi piace, è perfetto, starà benissimo nel salone principale.”
Pagarono l’albero, il trasporto e
l’installazione poi se ne andarono, Jack provò a punzecchiarla, ma lei non gli
diede ulteriori soddisfazioni e rimase in silenzio fino a quando non
rientrarono a casa e iniziò ad essere in pace con se stessa: aveva incontrato
una ragazza interessante, particolarmente bella e ne era rimasta colpita,
succedeva, non era grave. Comunque non l’avrebbe più rivista, si sarebbe goduta
le vacanze e poi sarebbe tornata al suo laboratorio e al suo lavoro. Non doveva
preoccuparsene.
Nel tardo pomeriggio stava
sorseggiando una tazza di thè mentre leggeva seduta accanto al caminetto quando
una domestica l’avvisò che era arrivato l’albero.
Posò il libro e si diresse alla porta
dove l’aspettava Kara, un sorriso luminoso sulle labbra non appena la vide.
“Hai un giardino bellissimo!” Affermò
nel vederla e lei si ritrovò ad arrossire per l’ennesima volta.
“Non è merito mio, ci sono i
giardinieri e mia madre fa sì che sia tutto perfetto qua al maniero malgrado ci
veniamo solo per le vacanze.”
“Kara, siamo qui per consegnare
l’abete, non per disturbare i clienti!” La redarguì la figlia della proprietaria
del vivaio, Alex, se Lena ricordava bene.
“Non mi sta disturbando.” Assicurò e
ricevette un’occhiata dalla ragazza, mentre Kara le sorrideva.
“Te l’ho detto, Alex.”
“Va bene, dove lo mettiamo?” Tagliò
corto la donna.
“Nel salone.” Lena guardò Kara che
sbirciava dentro il maniero in pietra non troppo convinta e corrugò la fronte.
“Se va bene… voglio dire, se non va bene possiamo piantarlo nel giardino, sono
sicura che i giardinieri possano trovare un posto adeguato a…”
“Andrà benissimo.” Assicurò Alex
anticipando la risposta di Kara. “Kara, aiutami.” Esigette poi e con
sorprendente facilità le due donne trasportarono all’interno l’abete ora
avvolto in una rete e con un sacco che copriva le radici.
Mentre sistemavano l’abete in un
grande vaso e lo liberavano con delicatezza, Lena le osservò lavorare, o meglio
osservò Kara. La donna era silenziosa e concentrata, era chiara la cura e la
delicatezza che dedicava ad ogni rametto, ma era altrettanto chiaro il suo
disagio.
Alex le lanciava spesso degli
sguardi, ma non le disse niente.
Quando finirono e uscirono di nuovo
all’aria aperta Kara ispirò l’aria con particolare soddisfazione. Lena avvolta
in uno scialle le seguì.
Alex le strinse la mano poi si
allontanò verso il camioncino su quale giacevano altri abeti pronti alla
consegna.
Kara invece esitò accanto a lei.
“Grazie, per avermi portato l’abete.”
Le disse allora.
“Prenditi cura di lui, è un po’
spaventato nel non essere con le radici connesse agli altri, i vasi sono… non
sono la stessa cosa.”
“Certo, immagino.” Disse, anche se
non riusciva ad immaginare.
“Se ci fosse bisogno di qualcosa,
puoi chiamare Eliza, lei sa come farmi arrivare un
messaggio.”
“Oh, ehm... Non credo che ci sarà
bisogno di…” Iniziò a dire cercando di ricordare le mille buone ragioni per
evitare di rivedere la ragazza.
“Se qualche aghetto cambiasse colore
o se tu sentissi che lui si sente un po’ giù.” Dichiarò Kara. “Oppure se hai
voglia di vedermi.” Aggiunse con un ampio sorriso e Lena arrossì. “A me
piacerebbe vederti ancora.”
“Anche a me piacerebbe.” Si morse la
lingua, ma ormai lo aveva detto e il sorriso di Kara la ricompensò.
“Kara!” La chiamò la donna già al
volante.
“Devo andare.”
“Già.” Lena si strinse nelle spalle.
Kara fece un passo indietro e poi un altro, sempre guardandola, poi sorrise e
si voltò, salendo sul mezzo.
Lena le osservò andare via, poi si
portò una mano alla fronte. Era un caso perso.
“Sei un caso perso!” Le urlò Jack
dalla finestra, lei si voltò e rientrò in casa seguita dalla risata del suo
migliore amico.
Per decorare l’albero lei e Jack ci
misero tutto il seguente pomeriggio, ma il risultato era eccezionale. L’albero
decorato con l’argento, il bianco e il blu era elegante e moderno e brillava
nell’antica sala come un gioiello. Persino sua madre, quando arrivò due giorni
dopo non poté trovare nulla che non andasse e lo premiò di un cenno d’assenso.
Un’intera settimana passò, delle due
che si era concessa o meglio che Jack l’aveva obbligata a concedersi e lei non
aveva ancora chiamato Kara. Più volte si era ritrovata con il numero del vivaio
Danvers digitato sul cellulare, ma poi aveva
rinunciato, il buon senso che aveva la meglio.
“Miss Lena, c’è qualcuno per lei, ha
detto che la aspetta in giardino.” La avvisò la domestica, facendo sollevare un
sopracciglio a sua madre. Guardò Jack che leggeva il giornale con aria così
indifferente da urlare colpevole ed esitò. Poteva solo essere una persona.
“Le dico che siete impegnata?”
Domandò la domestica, abituata a servire i Luthor con
efficienza e discrezione.
“No!” Questa volta Lillian posò il cucchiaino e la fissò decisamente
inquisitoria. “No.” Corresse lei il tono. “La stavo aspettando.” Si alzò
evitando lo sguardo interrogativo della madre e raggiunse l’armadio con i
soprabiti, infilando la prima giacca che trovò e uscendo poi nella fredda
mattina d’inverno.
Come sospettava, poco dietro i
cespugli sempreverdi, nascosti dalla neve, vi era una chioma bionda e, quando
lei si fece avanti, due occhi azzurri si fissarono su di lei, allegri.
“Eliza mi
ha detto che hanno chiamato per dire che dovevo venire immediatamente.”
“Mi dispiace, Jack si è preso la
libertà di chiamarti, non volevo disturbarti!”
Il sorriso sul volto della ragazza
divenne perplesso.
“Non hai chiamato tu?” Chiese,
sorpresa.
Lena sbatté le palpebre,
improvvisamente insicura su quello che voleva o doveva dire. Alla fine scelse
la verità.
“No, ma sono felice tu sia qua.” Ed
era così vero che persino il freddo invernale non riusciva a stemperare il
calore che provò nell’ammettere quella verità.
Un ampio sorriso illuminò il viso
della giovane.
“Bene, voglio farti vedere una cosa.”
Le disse, poi le tese la mano.
“Adesso?” Chiese lei, sorpresa.
“Sì.” Affermò senza esitazione la
donna e Lena si ritrovò di nuovo nell’incapacità di resistere. Strinse la mano
della donna e si lasciò trascinare nel giardino, lo percorse per quasi tutta la
sua lunghezza, poi si fermò ed indicò un punto lontano, oltre il giardino, ai
bordi della foresta.
“Lì.” Disse indicando con il dito.
“La foresta?” Chiese Lena, perplessa.
“Sì.” Kara la guardò poi vedendo che
non capiva aggiunse. “Lì è il posto perfetto per il tuo abete di Natale. Sarà
felice perché potrà stare con i suoi fratelli, ma potrà anche tenere un occhio
su di te.” Rise. “Non che gli alberi abbiano gli occhi, ma hai capito.”
“Credo si possa fare, sono tutti
terreni dei Luthor.” Acconsentì, la mano della
ragazza teneva ancora stretta la sua e Lena ne era piuttosto distratta, Kara
mosse le dita in un’inconscia carezza e lei rabbrividì.
“Stai bene? Hai freddo?” Le chiese
allora la giovane voltandosi verso di lei, preoccupata.
“Sto bene.” Arrossì un poco e affondò
il viso nel collo nella giacca. “Hai già fatto colazione? Posso offriti un thè
o del caffè?” Chiese ricordando la buona educazione e cercando di distrarsi e
distrarre lo sguardo della giovane.
Funzionò, Kara lanciò uno sguardo
alla casa di pietra appena visibile tra gli alberi.
“Non mi piacciono tanto le case.”
Ammise. “La pietra è così sorda e lontana, certe mie sorelle più pazienti sanno
apprezzare la sua compagnia, ma io preferisco la terra e, ovviamente, gli
alberi.” Ancora una volta la donna la sconcertava. “Però mi piacciono molto i
biscotti.”
Lena rise e Kara la guardò
meravigliata.
“Mi piace quando ridi.” Dichiarò
candidamente.
Lena sospirò, non sarebbe riuscita a
respingere quella donna.
“Kara non sono sicura questa sia una
buona idea.” Ammise, piano. La donna corrugò la fronte.
“Non ti piaccio?” Le chiese e lei si
ritrovò a scuotere la testa.
“Oh no, questo non è affatto il
problema.”
“Bene.” Dichiarò Kara. “Perché tu mi
piaci. Vieni, ti faccio vedere un’altra cosa.”
Non le lasciò neanche il tempo di
assimilare il loro dialogo che già la condusse di nuovo tra le siepi e gli
alberi del giardino. “Eccoci qua.” Le indicò un anonimo cespuglietto verde.
“Sai di cosa si tratta?”
“No…” Ammise lei.
“Ottimo, allora sarà una sorpresa.
Torna qua tra…” Inclinò la testa. “Dieci giorni.” Lena esitò, tra dieci giorni
sarebbe stata a Metropolis. Aprì la bocca e poi la
richiuse, esitò ancora un istante, ma Kara aspettava una risposta e lei si
ritrovò ad annuire. “Vedrai, ti piaceranno.” I suoi occhi brillavano come se
quelle anonime foglioline nascondessero un segreto. “Sono speciali.” Aggiunse.
Si salutarono poco dopo, Lena aveva
provato almeno altre due volte a dire a Kara che presto sarebbe andata via, ma
ogni volta che aveva incontrato gli occhi chiari e pieni di vita della ragazza
si era ritrovata incapace di dirlo.
“Dunque, chi era il tuo misterioso
ospite?” Le chiese Lillian quando lei rientrò, mezzo
congelata nella sala da pranzo.
“Nessuno… una ragazza.” La donna alzò
gli occhi su di lei.
“Ma certo che si tratta di una
ragazza.” Affermò. Jack ridacchiò e la donna fece ruotare gli occhi. “Non
dimenticare il pranzo al museo di domani mattina.”
Lena annuì, l’impegno dei Luthor con il museo locale era sempre stato costante negli
anni e il pranzo della Vigilia di Natale era stato obbligatorio ogni volta che
erano venuti al maniero per le vacanze, fin da quando ricordava.
“Molto bene.” Lillian
si alzò, poi guardò Jack. “Ora me ne vado, così potrai farti raccontare tutto.”
L’uomo rise e la donna se ne andò con la solita elegante compostezza, ma lanciò
a lei un sorriso indulgente.
Jack, come sua madre aveva
indovinato, le fece il terzo grado, ma lei gli diede ben poca soddisfazione,
l’uomo però sembrò completamente soddisfatto del rossore che colorava le sue
guance e del sorriso che le sfuggiva ad ogni sua menzione di Kara.
Il museo era di modeste dimensioni,
ma aveva una sua eleganza e a Lena era sempre piaciuto, mentre varcava le porte
assieme alla madre e ad un nutrito gruppo di concittadini parte del comitato
che gestiva il museo, ricordò con affetto le numerose volte che vi era stata
con suo padre, suo fratello e persino Lillian.
“Grazie alla vostra generosità
abbiamo potuto mettere mano agli archivi comunali e abbiamo recuperato
documenti di interesse e valore assolutamente inaspettato. Alcuni antichi
acquarelli, un dipinto ad olio e una ricerca di botanica sono stati trovati
seppelliti tra vecchie cartelle delle tasse. Presto potremmo esporli nella
nuova ala.” Stava spiegando la direttrice, con evidente orgoglio. “Desiderate
ammirarli?” Chiese lei. “La nostra curatrice sarebbe onorata di mostrarveli.” Lillian le sorrise.
“Sono sicura che Lena ne sarà
estasiata.” Assicurò e lei, come era abituata a fare, annuì e sorrise,
liberando la madre dall’incombenza e facendosi guidare verso una sala chiusa al
pubblico.
La curatrice del museo era la stessa
ragazza che aveva visto durante il weekend nel vivaio e si presentò come Samantha
Arias. Le aprì la porta, poi aprì un armadio, indossò
dei guanti bianchi ed estrasse una serie di acquarelli. Lena ne rimase subito
affascinata, vi era in essi un’energia che non riusciva ad identificare, ma che
in qualche modo riconosceva. I soggetti erano tutti simili, si trattava del
bosco, paesaggi pieni di fronde estive, invernali, autunnali. Ve ne era un
ampio numero, ma la donna gliene mostrò solo alcuni.
“Sorprendenti, non credete?” Le
chiese Sam, notando con soddisfazione la sua ammirazione. “Sono stati dipinti a
inizio ‘800.” Spiegò. “Questo dipinto ad olio ha la stessa datazione.” Spiegò
mentre srotolava il dipinto non ancora incorniciato. “Il soggetto è chiaramente
mitologico, una driade o meglio una amadriade che si nasconde nel suo albero.”
Lena sbatté le palpebre. Il mitologico essere sorpreso mentre si fondeva con un
albero era quasi indistinto, solo il suo sguardo era chiaro, uno sguardo di un
limpido e vivo azzurro. Il suo cuore accelerò e lei si sentì sciocca nel
ricordare altri occhi dello stesso sorprendente colore. “Quello che è curioso è
l’evanescenza del disegno, in quell’epoca non era una tecnica adoperata, i
dipinti non erano mai, volutamente, sfocati.”
“Una ninfa dei boschi?” Chiese Lena.
“Sì, conoscete di sicuro la leggenda
locale.”
“No… non credo di conoscerla.”
Ammise. La curatrice sembrava sorvegliare ogni sua espressione e ora sorrise.
“Si narra che la foresta attorno alla
città sia protetta da una amadriade, pochi possono dire di averla vista, ma se
si è in seria difficoltà allora si può ottenere un inaspettato aiuto dalla creatura.
Cacciatori, boscaioli ed escursionisti nei decenni hanno giurato di essere
stati aiutati da qualcosa nel bosco. Persino mia moglie anni fa…” La donna
sorrise e agitò la mano. “Leggende.” Disse, ma i suoi occhi brillavano come se
conoscesse un segreto. “Questo quadro ci assicura che questi racconti sono
antichi almeno quanto la fondazione della nostra città.”
Sam arrotolò il dipinto ed estrasse
l’ultimo pezzo, un libro di botanica arricchito da precise illustrazioni la cui
mano sembrava essere la stessa che aveva dipinto gli acquarelli. Non vi erano
però titoli o dati e il nome dell’autore rimaneva un mistero, spiegò con rammarico
la curatrice del museo. Lena lasciò che la donna le illustrasse i passaggi più
interessanti, scritti in latino, la mente che si rifiutava di ammettere quello
che per un istante aveva pensato: quel mattino nel bosco aveva forse visto
l’amadriade della leggenda?
Quando qualche ora dopo lasciò il
museo, il pensiero assurdo era stato relegato in un angolino della sua mente e
lei non aveva intenzione di aprire di nuovo quella scatolina. Era una donna di
scienza e non aveva intenzione di cadere vittima di una leggenda per bambini e
persona spaventate o ferite.
Mentre lei e sua madre attraversavano
la piazza del paese per raggiungere la macchina che le aspettava Lena si sentì
chiamare per nome, alzò la testa stupita e ritrovò Kara che agitava la mano
felice, sospesa su di una gru.
Lillian lanciò uno sguardo alla ragazza che
stava facendo dei grandi gesti per poter scendere e poi a lei.
“Ti concedo 5 minuti.” Dichiarò e poi
si allontanò verso la macchina. Nel mentre Kara era riuscita a scendere e la
raggiunse raggiante.
“Hai visto? Mi lasciano decorare
l’albero!” Le disse non appena la raggiunse. Lena annuì lanciando un’occhiata
al grande albero che dominava il centro della piazza e che era vivido nella sua
memoria fin da quando era bambina.
“Ricordo di essermi nascosta dietro
al suo tronco una volta, mia madre era furiosa.”
“Anche lui si ricorda di te.”
Assicurò la donna e lei le annuì, ormai iniziava ad abituarsi a quel genere di
affermazione. “Questa sera, accendiamo le lucette che sto mettendo adesso,
credi di poter venire? Sarebbe bello essere assieme quando le accendono.”
Lena sorrise a quell’invito. La
franchezza della ragazza era stata sconvolgente all’inizio, ma ora era
semplicemente riposante. Ben diversa da quello a cui era abituata.
“Mi piacerebbe, sì.”
“Ottimo! Vedrai, riuscirò a sistemarle
come si deve, anche se Winn si agita e dice che le
metto storte. Quando io seguo quello che mi dice lui!”
Indicò l’albero e non il ragazzo con
il naso all’insù, ma Lena non ci fece caso.
“Sono sicura che sarà perfetto.”
Mormorò e lo sguardo della giovane tornò su di lei. I suoi occhi brillarono
mentre la guardava. Mio dio quanto era bella.
“Ora devo andare.” Ammise a
malincuore.
“Ma ci vediamo stasera.” Sembrò
rassicurarsi e rassicurarla Kara.
“Sì.”
“Bene.” Sorrise di nuovo, poi si tese
in avanti e, rapida, le lasciò un bacio sulla guancia. “A stasera.” Disse,
agitò la mano e tornò al suo albero.
Lena riuscì a riscuotersi prima che
sua madre obbligasse l’autista a venirla a cercare.
La piazza era piena di persone, era
la sera del 24 dicembre e l’accensione dell’albero era sempre un evento alla
quale la cittadina partecipava numerosa. Lena, un paio di guanti e una calda
giacca, si guardava attorno alla ricerca di Kara.
“Ecco lì la tua spasimante.” Mormorò
Jack indicando un punto tra la folla. Lena seguì la sua indicazione e trovò
Alex al braccio della curatrice del museo, Sam, accanto a loro una bambina
saltellava felice. Poco dietro una donna più anziana stava parlando con Kara.
Il suo cuore accelerò e Kara ruotò lo sguardo incrociando il suo. Il sorriso
che comparve sulle sue labbra valse più di mille saluti.
Prima che potesse muoversi la ragazza
stava già fendendo la folla per raggiungerla.
“Sei qua!” Le disse, chiaramente
sovraeccitata, prendendole le mani e stringendole.
“Avevate un appuntamento, no?” Chiese
Jack, ma la sua ironia andò sprecato, perché nessuna delle due ragazze gli
prestò attenzione. “Ricevuto, evaporo.” Affermò, divertito, e si diresse verso
il pub che dava sulla piazza e che prometteva calore e bevande alcoliche.
“Alex dice sempre a me e Ruby di non
mangiare troppo zucchero, ma stasera era distratta e ho mangiato un sacco di
caramelle. Te lo dico, così se mi trovi strana sai perché.”
“Sei sempre strana, Kara.”
“Oh…”
“È un complimento, sei strana in un
modo affasciante.” Lena arrossì.
“Allora va bene!” Affermò però Kara
sorridendo. “Vieni, presto accenderanno le lucine.” Le prese la mano e la
condusse in fondo alla piazza, dove vi erano meno persone e l’albero poteva
osservarsi in tutta la sua altezza.
Iniziò il conto alla rovescia e il
sorriso di Kara si ampliò mentre trepidante aspettava il momento atteso. Le luci
si accesero, ma gli occhi di Lena non si separarono dal volto di lei. Ok, la
sua non-cotta era diventata una cotta.
Kara ruotò lo sguardo e incontrò i
suoi occhi. Il suo sorriso si addolcì poi le tese la mano.
Lena la prese, il cuore che batteva
veloce. La donna sorrise ancora, felice, poi la portò via. Corsero per le vie
della cittadina, ridendo, lanciandosi palle di neve, prendendosi per mano,
lasciandosi andare per poi riprendersi ancora. Puoi furono nella foresta, Kara
la guidò lungo un sentiero, poi verso una casa. Vi erano addobbi natalizia e
davanti parcheggiata la macchina di un agente forestale.
La casa era tutta in legno e Kara
tolse le scarpe ancora prima di aprire la porta, entrando poi a piedi nudi,
attirandola dentro la porta, poi contro di sé. Per la prima volta da quando la
conosceva Lena la vide esitare. Il suo cuore batteva veloce, poteva sentirlo
nel petto della giovane correre assieme al suo.
“Va tutto bene.” Mormorò piano, poi
si spinse in avanti e sfiorò le labbra della giovane. Quando si tirò indietro
negli occhi di lei vi era una profonda emozione, Lena si ritrovò a sorridere.
Poi le loro labbra furono di nuovo unite.
Si baciarono ancora, mentre Kara la
conduceva verso una porta. Lena si separò dalla giovane quando a differenza di
ritrovarsi in una camera, come aveva immaginato, si ritrovò in una serra
chiaramente posta dietro la casa. La struttura era fatta interamente di vetro e
per terra vi era del morbido terriccio.
Kara si separò da lei e la guardò
timida.
“È il mio posto speciale.” Ammise. “Qua
mi sento al sicuro come quando sono nella foresta.” Lena guardò le piante
rigogliose e verdi che crescevano un po’ ovunque, l’ambiente era umido, ma non
in modo sgradevole e vi era un intenso profumo di terra ed erba.
Kara aspettava la sua reazione e Lena
non la fece attendere, con delicatezza la attirò a sé, poi le sorrise.
“È importante questo posto per te?”
“Sì.”
“E mi hai portato qua.”
“Sì, perché sei importante.” Lena si
morse il labbro, il cuore che riprendeva a battere veloce. Kara sembrò cogliere
quel cambiamento in lei, perché le si avvicinò. Un istante e si stavano di
nuovo baciando.
Lena sfilò i guanti per poi infilare
le mani sotto la maglia e la maglietta, sull’addome della donna che sussultò
appena, ma non si separò da lei.
“Ho le mani fredde?” Le chiese Lena,
ridendo.
“No, ma non mi capita spesso di
essere toccata in quel modo.” Kara arrossì un poco nel dirlo e Lena le
accarezzò con delicatezza i fianchi, un dubbio che sorgeva nella sua mente.
“Kara… hai già fatto… questo, vero?”
“Baciare? Certo, bacio persone tutti
i giorni! Sempre, da anni!” Allo sguardo di Kara arrossì ancora di più.
“Tutti i giorni?” La chiese lei e
Kara sgranò gli occhi poi li scosse.
“No!” Assicurò e Lena rise. La
ragazza si rilassò e sorrise, mentre le baciava il naso.
“Non abbiamo bisogno di andare di
fretta.” Mormorò lei, trattenendo il suo desiderio.
“Ok.”
Lena passò la mano sul viso della
giovane poi la baciò delicatamente.
“C’è tempo…” Mormorò piano sulle
labbra della giovane, ma una piccola parte di lei le ricordò che non c’era
tempo. Il suo posto era a Metropolis e quello di
Kara… non ci voleva un genio per capire che amava troppo la foresta per cedere
e seguirla in un posto di cemento. Scosse la testa, andiamo! Era sola una cotta
natalizia, niente di più, o forse persino di meno, di una cotta estiva.
“Lena?” La chiamò Kara e lei si rese
conto di come si fosse irrigidita. “Va tutto bene.” Annuì alla giovane che la
baciò dolcemente.
“Domani vorrei portarti in un posto,
vorrei che tu sappia tutto di me.”
“Va bene.”
“Allora?” Jack, mezzo ubriaco la
guardava sorridente.
“Allora cosa?”
“Il tuo rossetto è sparito, hai le
guance particolarmente rosse e dal modo in cui sorridi non credo ci sia molto
spazio ai dubbi. Quello che ti chiedo è… allora??”
“Smettila!” Lena rise, al suo tono
allusivo.
“È Natale da almeno due ore.” Disse
guardando l’orologio. “Mi devi un regalo.” Insistette.
“Ci siamo baciate.” Ammise Lena e lui
annuì soddisfatto. “Domani mi porta in un posto.”
“Oh, è così che si dice?” La prese in
giro lui e lei gli lanciò un guanto per poi salire in macchina e rifiutarsi di
rispondere ad altre sue domande.
Il mattino dopo era il giorno di
Natale. Come da tradizione al maniero il mattino fu speso ad aprire i regali,
poi ci fu il pranzo a cui riuscì a partecipare persino Lex,
arrivato in elicottero.
Lena però era distratta, sapeva che
nel primo pomeriggio Kara sarebbe arrivata e l’avrebbe portata da qualche
parte. Le indicazioni erano solo abiti comodi e caldi e scarpe adatte a
camminare. La cosa non era molto confortante, ma se Kara ci teneva Lena avrebbe
ottemperato.
Aveva appena finito di cambiarsi
quando sopraggiunse Kara. Lena non aveva idea di come si spostasse visto che
non arrivava mai in macchina quando era da sola, ma era un dettaglio su cui non
rifletté troppo a lungo visto che la ragazza la baciò con trasporto non appena
la vide.
“Sei pronta?” Le chiese poi, era
agitata e Lena si chiese cosa mai volesse mostrarle.
“Sì.” Assicurò e la donna si morse il
labbro, la baciò, la guardò a lungo negli occhi poi annuì.
“Ok.” Disse.
“Ok.” Confermò divertita Lena.
Due ore dopo stavano ancora
camminando nella foresta e Lena iniziò a chiedersi se fosse stata una buona
idea.
“Kara…”
“Siamo quasi arrivate.” Assicurò la
donna che sembrava più vivace e frizzante che mai. Era come se la camminata le
desse energie, mentre lei stava morendo nel camminare tra la neve e gli alberi.
“Eccoci!” Disse finalmente Kara e
Lena tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi cadere a terra per poi guardarsi
attorno. Non vi era nulla di speciale in quel posto, non ai suoi occhi almeno.
Era una radura, come decine che avevano attraversato, al cui centro vi era un
albero, un abete, che a giudicare dal tronco doveva essere molto vecchio.
“Devo dirti una cosa.” Affermò allora
Kara, sedendosi di fronte a lei. “Io non sono… umana.”
Lena sorrise.
“L’ho notato, hai camminato per due
ore senza nessuno sforzo.”
“No, Lena, sono seria.” Sorrise alla
giovane chiedendosi dove volesse arrivare con quello scherzo. “Nella foresta.”
Prese però a dire lei. “Mi hai visto nella foresta e io ho visto te.”
Lena si raddrizzò, il sorriso che
scompariva dal suo volto.
“Cosa stai dicendo, non…”
“Mi hai visto, nel bosco, mentre
proteggevo gli alberi dall’ascia del tuo amico.”
“No…”
“Sì, Lena.”
“E cosa saresti, l’amadriade della
leggenda?” Rise, ma Kara non la imitò.
“Ogni tanto dò una mano a coloro che
sono in difficoltà nella mia foresta. Non voglio che nessuno si faccia del
male.”
“Se questo è uno scherzo allora è un
pessimo scherzo.” Il suo tono si era fatto duro e Kara annuì seria.
“Sapevo che avresti detto così, per
questo ho dovuto portarti qua.”
“Non c’è nulla qua!”
“Qua è dove sono nata.” Il tono di
Kara era calmo, in risposta a quello sempre più agitato di Lena.
“Andiamo, non…”
“Molti secoli or sono, portata
dall’uomo bianco, assieme ai suoi credi e a suoi miti.”
Lena rimase in silenzio, gli occhi di
Kara erano seri, e dentro di lei Lena sentiva che le sue parole erano vere, ma
si rifiutò di cedere.
“Non può essere vero.” Mormorò.
Kara sorrise dolcemente.
“Puoi darmi la tua mano?” Chiese e
stava chiedendo molto di più che la mano che aveva stretto molte volte in quei
giorni, stava chiedendo la sua fiducia e il suo permesso.
Lena esitò, ma poi cedette e strinse
le sue dita. Kara chiuse gli occhi e la radura davanti a lei cambiò. Ora
l’albero era attorniato da fiori ed erbe verde. Lena si alzò in piedi, seguendo
la donna all’interno della radura, improvvisamente l’aria attorno a lei fu
calda, il profumo inebriante e Kara appariva eterea, completamente nuda, i
capelli biondi che vibravano di energia e gli occhi azzurri che vivi sembravano
brillare come zaffiri.
Era bellissima e decisamente non
umana. Il dipinto che aveva visto nel museo le appariva ora una perfetta
rappresentazione e una parte di lei fu gelosa: chi aveva potuto dipingere Kara
in quel modo?
“Com… com’è
possibile?” Chiese e Kara sorrise.
“Puoi vedermi?” Domandò a sua volta,
una lacrima che scivolava lungo la sua guancia. “Vedermi per davvero?”
“Tu sei… sei…”
“Sì.” Acconsentì Kara. “E tu puoi
vedermi. Sono passati tanti anni, così tanti… pensavo di aver perso la possibilità
di averti ancora con me, poi quel giorno nella foresta… eri lei ed eri tu e i
nostri occhi si sono incontrati di nuovo.”
“Kara, non capisco cosa stai
dicendo.” Ammise. Kara rise e Lena si ritrovò a perdersi in quel suono. Si
avvicinò alla giovane e passò una mano sulle sue guance, eliminando le lacrime.
“Baciami.” Chiese, cercando di ancorarsi alla realtà. Kara si piegò su di lei e
fu di nuovo solo Kara, poi la baciò con sereno abbandono, con il riso sulle
labbra e la gioia nel cuore.
Attorno a loro vi era la primavera e
Lena si ritrovò distesa tra i fiori, nell’erba profumata, mentre Kara la
spogliava lentamente dei suoi abiti, baciando la sua pelle chiara con delicata
attenzione, togliendole il respiro quando finalmente i loro corpi si
ritrovarono nudi uno contro l’altro.
Lena si lasciò andare e Kara la amò
con tutta la sincerità e la passione di cui era capace.
Lena la mano sotto al mento guardava
fuori dalla finestra mentre grandi fiocchi di neve cadevano dal cielo.
Il ricordo di quello che aveva provato
nella radura solo il giorno prima era impresso indelebile nel suo cuore, nella
sua mente e sul suo corpo, eppure faticava ancora a crederci. Aveva fatto
l’amore con un essere centenario e fatato nel centro di una radura magica nel
giorno di Natale?
Andiamo… era assurdo anche solo
formulare il pensiero nella propria mente, figurarsi quanto sarebbe apparso
ridicolo dirlo ad alta voce.
“Lena?” Chiese sua madre e lei si
voltò a guardare Lillian quasi sorpresa di vederla lì,
tanto lontano era la sua mente. “Stai bene?” Sua madre non chiedeva mai una
cosa simile, Lena doveva davvero apparirle strana.
“Sì.” Si riscosse. “Pensavo a… non
importa.”
La donna annuì. Un’altra persona
avrebbe indagato oltre, ma Lillian non era un’altra
persona. Il loro rapporto era stato difficile e teso per moltissimi anni, ma
Lena sapeva che la donna nel suo modo molto particolare le voleva bene.
“Sto bene.” Assicurò. “Stavo solo
pensando se non fosse il caso di rimanere qualche giorno in più…” La donna
annuì piano. “Magari ancora una settimana.”
“Magari.” Acconsentì la donna. Non le
ricordò i suoi doveri e per questo Lena le fu grata, ma sapeva che stava solo
ingannando se stessa. Si era allontanata dal lavoro per quindici giorni e già
erano troppi, aveva progetti, meeting, personale, mille cose da gestire, mille
attività di cui rispondere. Da lei e dal suo lavoro dipendevano centinaia di
persone e centinaia di progetti. Avrebbe potuto rubare una settimana per se
stessa, ma cosa sarebbe cambiato?
Era di nuovo persa nei suoi pensieri
e non sentì Lillian uscire dalla stanza.
La sera incontrò di nuovo Kara. La
ragazza incarnava la gioia, fece l’amore con lei sfidando persino il suo
fastidio per il maniero in pietra. Dormendo poi nel suo letto, una calda forma
di calore che riusciva a scaldarle il cuore con un solo sorriso. Avrebbe dovuto
dirle che partiva, che avevano solo tre giorni, ma non ci riuscì e non ci
riuscì neanche il giorno dopo o quello dopo ancora, poi fu troppo tardi.
“Kara.” Disse, alla ragazza che le
stava baciando con particolare fervore il collo.
“Mmm…”
Mugugnò Kara, senza smettere.
“Kara, devo dirti una cosa.”
“Ti amo.” Affermò allora Kara,
alzando il volto e guardandola, un ampio sorriso sulle labbra. “Lo so, avrei
dovuto aspettare, Alex mi ha detto di aspettare, mi ha detto di stare con i
piedi per terra, eccetera, eccetera, ma io lo so, l’ho capito dal momento in
cui ho incontrato i tuoi occhi.”
Il cuore di Lena aveva perso diversi
colpi, ma ora stava sprofondando.
“Tra poche ore me ne vado. Torno a
casa. A Metropolis.”
Kara la guardò per un lungo istante,
poi annuì piano.
“Va bene… è giusto, è la tua vita,
io…”
“Kara. Questo, noi… non posso, non
possiamo stare assieme e vederci quelle due volte all’anno che potrò rubare per
venire qua.”
Kara ora la guardava seria, quasi
immobile nella luce del mattino.
“Posso venire con te.” Affermò con
una serietà poco consona al suo carattere.
“No, tu appartieni a questo posto.”
“Posso, se tu lo vorrai io posso.”
“Vuoi vivere in un vaso? Vuoi
rimanere prigioniera in una serra? Vuoi che costruisca per te un terrario?” Il
suo tono era amaro, quasi arrabbiato. Kara si allontanò da lei.
“Perché sei arrabbiata con me?”
Chiese.
“Perché!” Esclamò lei. Sì, aveva
ragione, per qualche ragione ora era furiosa. Si alzò in piedi. “Non c’è futuro
per noi. Non vi era un futuro quando credevo fossi solo una ragazza speciale,
figurati ora che so che sei un essere immortale! Non ci sono possibilità.
Questo è tutto.”
“No.” Kara la seguì, alzandosi anche
lei. “Ho fatto questo errore una volta, non lo farò di nuovo.”
“Non so di cosa tu stia parlando.” Le
rispose lei, senza quasi ascoltarla.
“Dimmi che non mi ami.” Le chiese
però Kara, svuotandole la mente e accelerando il suo cuore. “Dimmi che non mi
ami.” Chiese con severa fermezza. “Dimmi che non provi ciò che provo io.”
“Mi conosci appena, siamo appena più
che… sono quanti giorni?”
“So tutto di te.”
“Non è vero.”
“So che ti amo, so che ti amerò per
sempre, perché è già stato così e nessuno, mai, è riuscito…”
“La tua prova è che posso vedere cosa
sei? A quanti ti sei mostrata? La leggenda esiste, no? Forse ti sbagli, forse…”
“Dimmi che non mi ami!”
“Non ti amo!” Urlò e Kara fece un
passo indietro quasi come se lei l’avesse colpita fisicamente.
La giovane non disse niente, invece
recuperò i suoi abiti e uscì dalla stanza, lasciandola sola.
Pochi istanti e piangeva. Sciocca,
era stata così sciocca.
Fuori la neve cadeva, mentre il
mattino lento cercava di farsi strada nel bianco mondo innevato.
Avrebbe festeggiato il capodanno a Metropolis, come da programma, Lillian
e Jack, accanto a lei, chiacchieravano lanciandole solo qualche sguardo e
dandole lo spazio di cui chiaramente aveva bisogno. Mentre attraversava la
cittadina in macchina Lena lasciò la mente vagare cercando di concentrarsi su
quello che avrebbe trovato a casa e non su quello che stava lasciando.
All’improvviso la macchina si fermò. Lillian chiese
cosa stesse succedendo, ma prima che l’autista potesse rispondere la portiera
dal lato di Lena si spalancò e un’Alex furente la fissò.
“Va tutto bene.” Dichiarò lei
all’autista che aveva già impugnato l’arma, poi uscì dall’auto e chiuse la
porta alle sue spalle. “Qualsiasi cosa tu voglia dirmi: non sono affari tuoi.”
“Oh, lo sono eccome! Sono io che mi
sono ritrovata con una driade in lacrime davanti alla porta! Sai cosa
significa?”
“Amadriade.” La corresse lei,
fingendo indifferenza, mentre il suo cuore si stringeva all’idea di una Kara
piangente.
“Non fare la saputella con me! Kara
ti ama! E quella sciocca ragazza dal cuore d’oro non ama a metà! Quando si dona
è con tutta se stessa! Era pronta a…”
“A rinunciare a quello che è? A cedere la sua
natura per… me? Per una cotta di qualche giorno?”
Alex la fissò come se fosse
completamente pazza.
“Rinunciare?” Le domandò.
“All’immortalità?” Questa volta bisbigliò la parola, ma la sua furia non ne
risultò sopita. “Non capisci? Non era una rinuncia, era una liberazione! Ha
finalmente ritrovato la donna che cerca da secoli! L’amore della sua vita a
portata di mano, con te potrebbe andare anche sulla Luna, su Marte e non
sarebbe una rinuncia! Sarebbe un’avventura, una nuova vita!”
“Diventare mortale per…”
“Morire accanto alla donna che ama!
Sì, sì! Tonta di una Luthor, il desiderio di ogni
mortale e anche di questa particolare immortale. E tu stupida le spezzi il cuore
solo perché credi, perché pensi di sapere cosa è giusto e bene non solo per te,
ma anche per lei.”
“La conosco appena, come…”
“La conosci da ben prima di questo
Natale!” Alex scosse la testa. “Mi dicevano che eri un genio, ormai ne dubito
fortemente. Oddio, che cosa stai per farmi dire…” Scosse la testa ancora, le
mani suoi fianchi, poi alzò la testa e puntò il dito contro. “Cosa ti dice quel
dannato piccolo cuore che ti ritrovi nel petto?” Lena strinse le labbra. Il suo
cuore non era affidabile in quella faccenda. “Molto bene, allora credi al tuo
cervello. Vai al museo e chiedi a Sam di dirti cosa contiene il libro. Cosa non
ti ha mostrato l’altro giorno.”
La donna la guardò per un lungo
istante, poi si voltò e tornò in macchina, andando via. Lena risalì sulla sua
auto e si sedette accanto a sua madre.
Doveva andarsene via di lì, al più
presto. Eppure l’auto non si muoveva.
“Cosa stiamo aspettando?” Chiese
ruotando lo sguardo su Lillian e Jack.
“Che tu vada al museo. Mi sembra
ovvio.” Le disse la donna, sistemandosi meglio sul sedile dell’auto. “Ti
concedo… 10 minuti.” Aggiunse poi e Jack la guardò annuendo, un sorriso sulle
labbra.
Un istante dopo Lena stava correndo
attraverso la piazza e poi dentro il museo.
“Devo…” Disse, ansando leggermente dopo
la corsa.
“Vedere il libro. Sì. Ho sentito mia
moglie urlare fin da qua.” Affermò Sam, un sorriso compassionevole sulle
labbra. “Vieni.” Aggiunse e la condusse alla stanza in cui erano custoditi gli
acquarelli, il dipinto e il libro. Sam le consegnò un paio di guanti, poi le
chiese di trattare con cura il reperto e la lasciò sola. Sulla porta si voltò e
le disse semplicemente di andare sulla lettera H.
Lena rimasta sola guardò il libro con
un misto di paura e desiderio. Cosa poteva mai cambiare un testo di più di
duecento anni prima? Che tipo di epifania si aspettavano da lei?
Lentamente sfogliò le pagine, gli
acquarelli erano davvero belli, l’artista, chiunque fosse, era stato molto
abile ed era stato un attento osservatore oltre che un capace esecutore. Mentre
sfogliava si ritrovò alle erbe e piante sotto la lettera H. Erano solo cinque.
L’ortensia, una pianta esotica, l’elleboro, l’ibisco… Lena si fermò e tornò
indietro. L’elleboro.
Il disegno che lo rappresentava era
preciso come gli altri e lei lo riconobbe, era la pianta che Kara le aveva
chiesto di osservare, che le aveva indicato come speciale.
La scrittura era minuta, ma per
qualche ragione era estremamente leggibile agli occhi di Lena, come se fosse la
sua. Era un poco arrugginita con il latino, ma non così tanto da non capire
cosa vi era scritto.
L’elleboro è noto anche come rosa di Natale o d’inverno
riesce a fiorire tra la neve in pieno dicembre,
per questo è simbolo di coraggio, forza e speranza.
Emblema del mio amore per lei che mai verrà meno.
Il suo cuore prese a battere veloce,
mentre quella promessa risuonava dentro di lei, facendo eco al suo stesso
sentimento. Posò il libro e afferrò gli acquarelli, Sam gliene aveva mostrati
solo alcuni, ma erano molti di più. Li sfogliò con trepidazione, perché per
qualche assurda ragione sapeva che tra di essi vi era la risposta… ed eccola.
Lasciò cadere i fogli mentre i suoi occhi si specchiava nel volto di una donna,
diversa da lei eppure così simile da togliere il respiro. L’autore, Kara, ormai
era chiaro, aveva disegnato la donna che amava e la donna che amava due secoli
dopo si stava guardando in quello stesso disegno.
Lena si portò la mano alla bocca
incredula.
Era lei.
Erano i suoi occhi.
Quando uscì dalla stanza erano
passati ben più di dieci minuti. Sam la guardò.
“Tua madre ha lasciato qua le tue
valigie e mi ha chiesto di riferirti che il mondo può aspettare qualche giorno,
persino per Lena Luthor.”
Le annuì, era ancora troppo sconvolta
per parlare.
“Lena…” Le disse allora la ragazza
con voce dolce. “Lo so che quello che hai scoperto è sconvolgente, ma Kara sta
andando via.”
Quello la riscosse.
“Via?” Chiese.
“Sta andando alla sua radura,
potrebbe non tornare per anni, forse per sempre.”
“No…” Si rifiutò di crede lei.
“Lena, ascoltami attentamente. Io non
sono Alex, non ti spingerò a fare qualcosa che non vuoi o di cui non sei
convinta. Se non sei pronta ad amare Kara nel modo totalizzante in cui lei ama
te allora lasciala andare. Ha diritto al suo riposo, ha diritto all’oblio.”
Lena scosse la testa incapace di
pensare, Sam sospirò, poi la lasciò andare via senza aggiungere altro.
Attraversò la strada e si fermò
davanti al grande albero addobbato al centro della piazza.
“Oh, al diavolo!”
Lasciò cadere la valigia e si
avvicinò al tronco, poi chiuse gli occhi e respirò profondamente. Solo la
brezza tra le fronde, solo il profumo della resina, solo la possente e antica
presenza davanti a lei.
E vide: secoli di vita, un solo
istante, due donne che si guardavano, senza toccarsi, all’ora, ma con le mani
intrecciate adesso, un istante prima. Annaspò mentre l’albero la lasciava
andare, la mente confusa mentre il cuore le batteva veloce nel petto.
Quando poté camminare di nuovo stava
correndo. Arrivò da Alex con il fiatone e bussò alla porta con violenza.
“Lena?” Chiese una voce alle sue
spalle ed era una donna di una certa età, la stessa donna che aveva visto
parlare con Kara la vigilia di Natale. Eliza Danvers.
“Devo trovare Kara.” Le disse tutto
d’un fiato.
“Va bene.” Rispose semplicemente lei.
Poi afferrò le chiavi di un pick-up e le fece cenno di salire. Guidò per almeno
mezz’ora su una strada asfaltata, poi svoltò in un sentiero sterrato che si
fece sempre più stretto e impervio. Alla fine si fermò.
“Non posso andare oltre. Lei ti ha
portato al suo albero, dovresti saperci arrivare di nuovo… se lei ti vuole lì.
Altrimenti potresti girare a vuoto per anni senza arrivarci mai.”
“Va bene.” La sua tensione doveva
essere palese perché la donna le sorrise con dolcezza.
“La troverai.” La rassicurò. “Ora
vai.”
Lena scese e iniziò a camminare. Il
paesaggio le appariva famigliare, ma non era mai stata brava
nell’escursionismo.
Camminò fino a quando il sole non
iniziò a tramontare e infine lo vide, l’abete al centro della radura.
Sopraffatta dal sollievo si lanciò verso di esso e si inginocchiò ai suoi
piedi. Ma le sue ginocchia affondarono nella neve, non vi era nessuna magia in
atto in quel luogo, era… silente, si rese conto con un sussulto. Kara era forse
già addormentata?
“Kara…” Chiamò piano, ma la ragazza
non si mostrò a lei. Lena pianse fino a quando il buio tra le fronde era oramai
quasi totale. L’aveva persa, era stata così stupida e per questo l’aveva persa.
“Kara!” Urlò alla notte. “Maledizione
Kara! Ti amo, va bene? Ti amo! E non so se è vero che ti ho amato in un’altra
vita, non so neanche se esistono altre vite, ma so che ti amo ora e adesso! Ti
prego esci da questo dannato albero o vado a prendere un’ascia!”
“Lena?” La voce giunse dalle sue
spalle e Lena si alzò sorpresa.
“Kara?” Disse cercando di vedere la
giovane nel fitto buio della notte.
“Non è gentile minacciare in quel
modo il mio abete.”
Lena sbatté le palpebre, senza
capire.
“Sei qua?” Le chiese.
“In realtà sono andata all’aeroporto
e poi a casa tua, ma non c’eri. Eliza alla fine mi ha
detto che ti aveva accompagnata fino a qua.”
“Perché non sei…” Le indicò l’albero,
confusa.
“Ecco… volevo solo dormire dopo
quello che mi hai detto.” Ammise la donna. “Volevo dimenticare e quando sono
nell’albero, beh… è strano, buio, a volte freddo, ma posso dormire e
dimenticare.”
“Ma…”
“Ero qua, pronta, quando ho ricordato
il modo in cui ridi. Mi piace il modo in cui ridi e… non volevo dimenticarlo e
poi la tua pelle, i tuoi capelli e… e il tuo respiro, l tuo sapore, il modo in
cui la tua voce cambia quando…” Lena arrossì e alzò le mani intimandole di
fermarsi. Kara arrossì a sua volta. “Non volevo dimenticarti.” Sintetizzò.
“Quindi non sei entrata nell’albero.”
“No, ho fatto quello che avrei dovuto
fare due secoli fa. Ho rinunciato alla mia immortalità.”
“Hai… hai rinunciato per me?”
“No.” Kara scosse la testa. “No, ho
pensato e ripensato e… l’ho fatto per me. Voglio una vita diversa, voglio
vedere l’oceano, gli albero mi parlano dell’oceano, ma non l’ho mai visto,
voglio vedere una grande città e volare, mi piacerebbe volare.”
Lena la fissò senza parole, poi sorrise
e poco dopo rideva di cuore altre lacrime che scendevano lungo le sue guance.
Kara dapprima la guardò perplessa,
poi sorrise lasciandosi contagiare dalla sua improvvisa ilarità.
“Ti amo.” Le disse, tra i singhiozzi
Lena. “E se mai vorrai di me nella tua vita sono tua.”
Sul viso della giovane si aprì un
ampio sorriso.
“Mi sembrava di averti sentito mentre
lo urlavi a quel povero abete.”
“Sì?” Le chiese lei. Ora erano
vicine, sopra le loro teste le stelle brillavano, riflettendosi sulla bianca
neve.
“Prima però vorrò vedere un sacco di
cose…” L’avvisò.
“Oh, lo immagino.” Lena sorrise,
mentre le loro labbra si avvicinavano. Poi il suo sguardo si fece serio.
“Potrai amare una semplice e sciocca umana?” Chiese.
“Potrò amare te, in ogni mia vita,
con ogni mio respiro.” Assicurò Kara e poi la baciò.
Nel giardino dei Luthor
un bocciolo di rosa d’inverno scelse quel momento per sbocciare.