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Autore: Symphonia    04/01/2021    1 recensioni
È tempo del festival della neve a Sapporo e Hikaru è pronto a fare la grande domanda a Yoshiko.
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Genere: Fluff, Romantico | Matsuyama Hikaru x Yoshiko Fujiswa | Parole: 3855 |★★ La storia partecipa all'iniziativa "Calendario dell’Avvento 2020" di Fanwriter.it! (per la data del 4/1/2021)★★
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yuki Agari








    Se c’era un motivo per cui Matsuyama non se la prendeva mai quando aspettava Yoshiko, era il panorama. Rinchiuso in un café al quinto piano della torre est della stazione, seduto ad un bancone in legno che dava sulle enormi finestre, ciò che gli si parava di fronte era uno spettacolo ipnotico.

    L’orizzonte era perennemente grigio. Raramente si riuscivano a intravedere le colline di cui la città certamente non ne era sprovvista. I nuvoloni accatastati l’uno sull’altro, come a minacciare i poveri cittadini di trovare immediatamente rifugio sotto terra.
    Attorniato da grattacieli, era possibile godere di tutte le forme buffe con cui si era vestito il mondo. Neve ovunque, capellini bianchi, soffici e spesso tondi, adornavano i lampioni, gli alberi, i tetti, la piazza. Questa grande e bianca piazza poteva considerarsi al sicuro, in mezzo a quei giganti di cemento, dalle improvvise folate di vento. E si trovava proprio a un passo fuori dalle finestre, qualche decina di metri più in giù.
    Era come essere un gabbiano che scrutava il mare. Un mare pieno di vita.


    Sembrava di vivere un loop temporale. Scattava il verde e una fiumana di persone si riversava sulle strisce bianche, ognuno prendendo una sua direzione. Il marciapiede si svuotava nel giro di secondi. Rosso. Arrivava qualcuno e si fermava; poi qualcun altro s’accodava a questi e così via, finché il semaforo non diventava verde di nuovo. E poi sparivano. Chi veniva inghiottito dai passaggi sotterranei, chi entrava nella stazione, chi spariva in una via al di fuori dal suo campo visivo.
    Anche quella vista dall’alto aveva i suoi limiti.


    Sguardo spento. Osservava l’evento ripetersi ancora e ancora; la testa appoggiata pesantemente sulle mani, ormai diventate un piedistallo senza sensibilità alcuna. Non era particolarmente affascinato dalla scena, anzi; lo annoiava parecchio.
    Sospirò. Buttò un occhio sul telefono.

    Messaggio: “Arriverò con dieci minuti di ritardo. Scusami tanto!” - arrivato 4 minuti fa.

    “Dai, Hikaru, siete stati separati per sei mesi, cosa vuoi che sia aspettare altri sei minuti?” pensò, rimproverando il suo stesso riflesso. Sorseggiò del caffè.

    Sei minuti.
    Erano niente rispetto ai tanti anni passati insieme. “Insieme, eh?”

    Si lasciò sfuggire un sospiro. L’avrebbe finalmente rivista dopo tutti quei mesi di inferno.
    Era cominciato tutto come un breve periodo di studio all’estero, poi è arrivata la pandemia mondiale. E questa gli aveva tolto tutto: confini chiusi, nuove regole per uscire, niente più allenamenti - se non in casa-; passava così tanto tempo al telefono e su internet che gli pareva impossibile che la bolletta non fosse schizzata alle stelle. E aveva finito per passare il tempo facendo delle veloci scappate in libreria quando poteva, comprando un paio di libri e darsi alla lettura. Lui. Aveva un vago ricordo di essersi ripromesso di non leggere mai più un romanzo dopo il liceo e adesso si ritrovava con Souseki, Murakami e qualche altro autore d’oltreoceano in casa.

    Almeno fosse finita lì.
    Sperava di avere il Natale perfetto.
Una cena al lume di candela con la sua Yoshiko in casa, mentre fuori nevicava. Non chiedeva tanto. E invece la giornata l’aveva passata rinchiuso in casa a sorbirsi le videochiamate a orari assurdi. Senza poterla toccare. Senza poterla vedere chiaramente.
    Nella sua mente, poteva sentire il commento di Hyuga durante l’ultimo meeting online della Nazionale: “HD un par de palle.” Non ne capiva mezzo di quel dialetto italiano, ma concordava.
    Poi, a Capodanno, le famiglie Matsuyama e Fujisawa s’erano organizzate così bene per andare a sciare assieme, che avevano finito per monopolizzarli entrambi: Hikaru era costantemente in mezzo alle occhiatacce del signor Fujisawa e le chiacchiere infinite della sua signora. E d’altro canto, Yoshiko passava il tempo a sopportare i suoi di genitori.
    Sorseggiò un altro po’ di caffè per placare il suo animo — ancora non riusciva a credere a come erano riusciti separarli più dello stramaledetto Oceano Pacifico, tanto ficcavano il naso!

    Le sue dita annegarono nella tasca della giacca e si misero a giocherellare con qualcosa. Tirò fuori una scatolina. Al tatto era morbida - era dovuto al suo rivestimento in velluto rosso. La girò e rigirò, un sorriso che lentamente faceva capolino sul suo volto. La sua mente cancellò quelle orribili immagini e venne riempita da molti pensieri diversi.

    Alcuni erano i ricordi. Spalate a non finire. Sciate. Battaglie a palle di neve. Se non era neve, erano fiori. Lavanda, girasoli, campanule. Corse lunghe, allenamenti sfiancanti. Lunghi percorsi in bici in mezzo ai campi. L’ultima volta che si videro prima di separarsi alle medie.
    Altri erano scenari. Ci aveva pensato a lungo a come chiederglielo e come avrebbe reagito. Avrebbe sorriso? Si sarebbe rimasta a fissare le sue scarpe ingolfate nella neve, piuttosto che guardarlo in faccia? O avrebbe preferito sparire nella sua amata sciarpa rosa? Magari avrebbe nevicato e lei si sarebbe ritrovata dei cristalli tra i capelli, con le ciocche che avrebbero abilmente nascosto, insieme alle lunghe ciglia, i suoi bei occhi scuri. A tradirla solo il rossore delle guance... “Forse dovrei prepararmi a un lungo silenzio.”
    Altri ancora erano dei discorsi. Discorsi che ormai si ripeteva da mesi. Erano sconclusionati. Voleva una sola frase, concisa e che incanalasse perfettamente il suo amore, eppure in tutto quel tempo non aveva trovato le parole adatte per esprimersi.
    Voleva evitare di essere troppo sdolcinato, ma d’altro canto non era mai stato bravo a rigirarsela con le parole in maniera elegante. Era peggio di un corner a tre minuti dalla fine. E di certo, in quei sei minuti non avrebbe trovato la confessione ideale —
    “Matsuyama!”

    Sobbalzò sulla sedia, affondando le mani nelle tasche del giaccone. Si voltò. La vide comparire sulla porta del café: stivaletti scuri che scomparivano sotto l’orlo della gonna, un lungo giaccone viola scuro e la sua immancabile sciarpa rosa.
    Naso arrossato, guance imporporate — aveva corso. Aveva gli occhi lucidi e i capelli un po’ scompigliati - dal vento, probabilmente. “Scusami davvero - disse affannando - la lezione si è prolungata più del dovuto.”
    “Non ti preoccupare... Non ho aspettato tanto. Ti ordino qualcosa da bere?”
    “Un tè.”
    Yoshiko abbandonò un mattone di fogli dal titolo “Roba biologica qualcosa e qualcosa” - non era importante, a Matsuyama preoccupava di più la pesante borsa che stava poggiando nella cesta sotto al tavolo. “Hai bisogno di una mano?”
    La ragazza rifiutò, agitando leggermente la mano. “Lo metterò in un armadietto quando ce ne andremo.”
    E poi rimasero a fissarsi in silenzio per qualche istante.
    Matsuyama aprì la bocca, ma non ne uscì che un respiro. Aveva bisogno di un attimo.


    Sei mesi.


    Non era cambiata molto. Le sue guance s’erano fatte un po’ più tonde, ma rendevano il suo sorriso ancor più dolce. Aveva tagliato leggermente i capelli. E i suoi occhi, timidamente, ancora parlavano per lei. Aveva le sopracciglia leggermente aggrottate, il sorriso un po’ sghembo, come se fosse — “Preoccupata?”
    Prim’ancora che potesse aprire bocca, la ragazza iniziò a ridere. E lui venne magicamente coinvolto nella sua risata.
    “Sembra la copia del nostro primo appuntamento quando tornai dall’America!”
    “È certamente il nostro primo appuntamento come si deve dopo un sacco di tempo... No?”
    Yoshiko annuì. In un battito di ciglia, sfoderò quello sguardo comprensivo che usava tutte le volte che credeva ci fosse qualcosa che non andava.
    “Sei arrabbiato?”
    Matsuayama sobbalzò. “Con te? Mai. Pensavo a come avrei voluto passare un Capodanno più... tranquillo, ecco.”
    “Mi dispiace molto.”
    “Non è colpa tua.”
    Yoshiko continuò a ridere. Sapeva perfettamente cosa intendesse ed era mortificata dal comportamento dei suoi genitori. Il ragazzo fece una smorfia.
    “Hai intenzione di ridere della mia sfortuna ancora per molto?”
    “Scusa, scusa. Allora... come stai?”
    “Eh? Ah..” La sua mente stava vagando altrove. C’era qualcosa che lo stava incantando. Strabuzzò gli occhi. “Bene! Ma dimmi, hai dato quell’esame di biologia alla fine? Ricordo che eri molto nervosa...”
    Yoshiko sgranò gli occhi. Poi abbozzò un sorriso.
    “Oh, beh...” Iniziò a parlare delle lezioni online, della tesi, del suo ultimo esame, riuscì anche a infilarci dentro alcune telefonate fatte a Machiko. Era veramente strano sentirle fare un discorso così lungo. Hikaru adorava vedere come il suo viso si illuminava mentre parlava di qualcosa che la appassionava così tanto. Per quanto lui non fosse un tipo da scienze, l’avrebbe ascoltata per ore. La sua voce aveva sempre avuto un tono soffice e sereno, che tramite LINE non traspariva mai abbastanza.
    L’argomento si esaurì naturalmente. In un attimo di silenzio, il ragazzo le prese la mano. Era come se un pezzo mancante della sua anima fosse tornato al suo posto.
    “Mi era mancato parlare con te — di persona, intendo.”
    “Anche a me... Hai ripreso gli allenamenti?”
    “No. E dovrò aspettare almeno un’altra settimana prima di rimettere piede in campo... Ah, però Oda si lamenta del gatto che gli molla i peli sulla divisa.”
    “Si è portato Miso dietro?? Credevo che la madre non gliel’avrebbe permesso. Ricordo che gli era molto affezionata.”
    “No, infatti. Ne ha adottato un altro. Questo si chiama... - aggrottò le sopracciglia. Era certo avesse un nome buffo, ma non gli sovveniva. “Dammi un attimo. - tirò fuori il telefono e iniziò a scrollare - Intasa il suo profilo Twitter solo con quello, credevo l’avessi visto.”
    “Mi sono staccata dai social nell’ultimo periodo.”
    “E hai fatto bene — Nori, si chiama Nori.”
    Le lasciò il telefono per sfogliare le foto del gattino nero. “È adorabile!”
    “Vorrei capire perché continua a dare nomi di cibo ai suoi animali...”
    “Non è ho idea.” rispose Yoshiko, ridendo. “Allora, quali progetti abbiamo per la serata?”
    “Andiamo al parco di Nakajima. Ti porto a vedere lo yuki agari.”



***


    Uscirono dalla stazione e iniziarono a girare per la distesa bianca. I grossi alberi segnavano ancora il viale del parco, di cui i confini erano perduti sotto quella fredda coperta. Bambù tagliati e piantati nei cumuli di neve, con al loro interno lunghe candele, segnavano il percorso da seguire. E lungo questa via, i due ragazzi avevano già adocchiato un paio di buffe sculture a forma di gufo, alcuni funghi porta-candela in mezzo allo spiazzo del ricreatorio, navi, draghi, fortini... Qualsiasi cosa fosse passata in testa ai bambini della città, questi avevano cercato di ricostruirla con sculture di neve e ghiaccio.
    Yoshiko cercava di parlare di tanto in tanto, ma per lo più giocava con la neve e si godeva lo spettacolo attorno a sé. Matsuyama invece continuò a tormentare la scatolina nella tasca.
    Smise non appena sentì una leggera presa sul mignolo. L’indice di Yoshiko lo aveva catturato, in una tenera supplica di prendersi per mano. Non che il ragazzo ci mise molto a capire: l’avvolse volentieri nella sua mano inguantata, notando che quella della ragazza era nuda.

    “Non ti sei portata i guanti?” chiese, massaggiando delicatamente il dorso.
    “Li ho dimenticati a casa.” ammise lei innocentemente, lasciando dondolare leggermente le mani. Hikaru rise, intrecciò le loro dita e mise le loro mani nella sua tasca.
    “Credo che l’altra mano dovrà soffrire un po’.”
    “È un freddo tutto sommato sopportabile. - fece una leggera pausa - Hai detto che questa cosa di chiama yuki agari... immagino accenderanno le candele nelle sculture?”
    “Sì, sarà divertente, vedrai.”
    “Ma poi le sculture finiranno per sciogliersi...”
    “Non preoccuparti, alla fine sono lì per quello... Ah, però dobbiamo prendere delle candele. Di qua.”

    Camminarono fino al baracchino delle candele e ne chiesero un paio. Il ragazzino che le distribuiva restò di sasso.
    “C’è qualcosa che non va?” chiese Matsuyama.
    Yoshiko invece a stento tratteneva una risata. Quel povero ragazzino rimase a boccheggiare per un po’, con l’indice per aria. “Ah! Lei è Matsuyama Hikaru! Scusi, posso chiederle un autografo?”
    Il calciatore sobbalzò:
“Sì... Ma certo.”
    “Aspetti un attimo, per favore!”
    Yoshiko aspettò che il ragazzino fosse abbastanza lontano prima di scoppiare a ridere.
    “Ma che c’è?”
    “Non sei ancora abituato ad essere diventato famoso?”
    “Eh... no! Perché dovrei...”
    “Mah, meglio così.”
    “Che intendi dire?”
    “Che sei un buon modello da seguire.” rispose, accarezzandogli leggermente la testa. Matsuyama la fissò perplesso.
    Tempo un attimo che si ritrovò accerchiato da un marasma di ragazzini.

    Fujisawa guardava quello spettacolo a qualche metro di distanza. Lo sapeva. Hikaru faceva passi da gigante di anno in anno e lei lo ammirava esattamente come tutti quei ragazzi. Oltre ad essere il suo fidanzato, era anche un esempio di costanza.
    Ogni tanto provava un po’ di orgoglio a vedere i suoi sforzi riconosciuti. Nonostante conoscesse il suo animo umile, credeva che avrebbe avuto il diritto di crogiolarsi un po’ nella sua fama. Tuttavia, sapeva che nel profondo aveva una piccola ombra che poteva oscurare il suo orgoglioso sorriso - la preoccupazione che un giorno questa fama l’avrebbe allontanata da lui. Ogni tanto le faceva male.
    “Qual è il tuo nome?”
    “Isamu!”
    “A te, Isamu. Cerca di fare del tuo meglio d’accordo?”
    Speranza. Sollievo.
    Vederlo trattare i suoi ammiratori con gentilezza, le portava un’immensa tranquillità.
    Segretamente, parlando al suo cuore, aveva deciso che avrebbe continuato ad amarlo così. Sostenendolo direttamente, scacciando le paure e continuando ad impegnarsi per se stessa ed aspettando che sarebbe tornato da lei.

    Un altro ragazzino arrivò con una candela accesa e gliela porse.
    “Scusi signorina, stiamo per iniziare. Cerchi di non farsela spegnere dal vento, mi raccomando.” La ragazza annuì prontamente.
    Quello poi se ne andò e iniziò a rimproverare la massa di ragazzini che aveva accerchiato Matsuyama. Aveva detto qualcosa tra le righe che dovevano fare il loro lavoro, perché avevano lavorato sodo per organizzare e altre cose che le ricordavano troppo il suo fidanzato durante le medie.
    “Scusami tanto...” mormorò lui grattandosi il capo. “Ah, vedo che ti hanno già dato una candela accesa.”
    “Sì...” la ragazza passò la fiamma all’altro mozzicone spento.
    Iniziarono a camminare in giro e arrivarono a una statua a forma di dragone. “Cosa dobbiamo fare di preciso?”
    “Possiamo accendere qualsiasi candela in giro per il percorso. Però...” Matsuyama si avvicinò all’orecchio e le sussurrò dolcemente: “La prima volta cerca di esprimere un desiderio, mi raccomando.” e le abbandonò un leggero bacio tra i capelli.
    La ragazza sentì le guance andarle a fuoco e nascose il viso tra le piaghe della sciarpa. Prese la sua candela e, con un’eleganza degna di una fata, condivise la sua fiamma con quella sulla punta del naso del dragone. Era buffo. Poi chiuse gli occhi ed espirò.
    “Cos’hai desiderato?”chiese il ragazzo con un sorriso sornione.
    “Se te lo dico non si avvera!”
    Rise. “D’accordo! D’accordo!” E prese la mano libera della ragazza e se la infilò nuovamente in tasca. “Andiamo al labirinto, allora.”



***



    Ogni loro passo era accompagnato dal sordo crepitio della neve.
    Camminavano lentamente, godendosi le piccole luci, che una a una iniziavano a risplendere nelle sculture. Magico.
    Nel giro di mezz’ora tutte le sculture di neve in giro per il parco presero a splendere di luce propria. La neve perse il suo tipico colore bianco e inizio a tingersi di varie tinte arancione, rosa, viola e infine blu. Le tiepide fiammelle intrappolate dietro vetri di acqua cristallizzata, davano una sensazione di torpore e di pace. Era come passeggiare in un cielo dai colori del tramonto. E più calava la notte, più sembrava di aver messo piede su un cielo stellato.
    Gli occhi di Yoshiko brillavano dalla meraviglia. E — se non fosse stata troppo presa da quel meraviglioso spettacolo — avrebbe probabilmente notato come gli occhi di Matsuyama brillavano solo per lei.

    Finalmente arrivarono al dedalo. Non era altro che un intreccio di alti muri bianchi adornati da foglie e fiori secchi incastonati nel ghiaccio, accompagnato dalla fioca luce delle lanterne, che pigramente penzolavano dai rami degli alberi. Era comune girovagare e perdersi nello splendore generale — o restare intasati in mezzo al fiume di persone. Un brusio assordante e che decisamente non aiutava a sentire chi avevi vicino.
    “E ti pareva... Sono tutti qui...”
    Non aveva notato, Matsuyama, che la sua ragazza stava cercando di trascinarlo in un vicolo secondario.




    Fu un attimo.



    Un gruppetto di persone passò tra loro e il ragazzo notò che Fujisawa non era più lì con lui. “Fujisawa?”

    Facendosi largo tra la folla, arrivò alla fine di groviglio di persone. Si guardò nervosamente attorno. Faceva caldo. Il parco era tinto di giallo, pieno di bambini, adulti, candele. Onde e onde di persone e pure della sua Yoshiko non c’era traccia.   
    Decise di rifare il giro del labirinto daccapo. Non poteva averla persa in una maniera così stupida!

    E mentre correva da un vicolo all’altro, aveva la sensazione di essere tornato in quel inferno che era l’aeroporto di Narita. Un casino di voci che si sovrapponevono, con centinaia di percorsi di cui non conosceva l'uscita.

    Sarebbe sparita.


    Non l’avrebbe rivista più.


    Si fermò un attimo in mezzo alla gente. Non importava che la gente lo spintonasse o fissasse o ignorasse. Non sentiva più niente. Solo il suo respiro che diventava affannoso senza motivo. Affondò di nuovo le mani nelle tasche del giaccone. Era lì.
    Tirò fuori la scatolina. Erano lì. Tutti i suoi sentimenti.
    Prese un bel respiro e riprese a cercare. Stavolta urlando il suo nome.

    “Yoshiko!!”

    Tutti i momenti in cui aveva cercato di parlarle in tranquillità erano come la neve; scivolavano e volavano via dalle sua dita come fiocchi al vento. E - nel fortuito caso ne catturasse uno - questo si scioglieva troppo velocemente nel palmo della sua mano.
    Yoshiko era diventata esattamente così — inafferrabile.
    E per questo, ogni momento passato con lei in spensieratezza diventava, di giorno in giorno, sempre più prezioso. Ormai erano adulti e gli adulti, si sa, corrono dietro a un sacco di responsabilità.
    Erano finiti i tempi dei giochi, dei pomeriggi passati a studiare, ad allenarsi o spalare la neve insieme. Erano finite le lunghe biciclettate in mezzo a onde di girasoli e lavanda. Ed era paradossalmente finito anche il tempo dell’università. Era il tempo di parlare di quella cosa seria come promessole durante le Olimpiadi.


    “YOSHIKO!!”


    Una mano sbucò dal vicoletto alla sua destra. Poi vide il volto.
    “Matsuyama!”
    Il ragazzo la tirò a sé, la strinse forte tra le braccia. “Credevo di averti persa.”
    “Scusami sono finita in questo vicolo cieco cercando un’uscita.
Si lasciò coccolare in quel dolce abbraccio per un po’. Però guarda!”
    Si staccò e prese a volteggiare in quella stanza. Era una sorta di igloo senza tetto. Il pavimento era circondato da ceri affondati nella neve che lo rendevano brillante come il sole dietro una nuvola, i muri un ammasso di vetri brillanti. E infine la figura di Yoshiko, che si vedeva riflettere tutte quelle dolci ombre colorate sul suo volto. Era in controluce. I suoi occhi splendevano di gioia.
    “Non è bellissimo?”
    Poteva sentirsi il cuore sciogliersi e sgorgare dal petto. Era una sensazione strana. Era completamente ammaliato dal suo sorriso. Dalla sua felicità.
    “Dovremmo farci una foto! Vorrei poter immortalare tutti i momenti che passiamo insieme...”
    “Non è un po’ inutile, se tanto passeremo il resto delle nostre vite insieme?”
    “Eh...?”
    Non sa da quale angolo recondito della sua mente fosse uscita quella frase. Non sa nemmeno se l’avesse mai pensata. Naturale. Sembrava naturale pensarlo.
    “Intendo dire...!” Matsuyama affondò per l’ennesima volta le mani in tasca. Era sempre rimasta lì. La scatolina.
    Il brusio che aveva riempito l’aria fu inghiottito dal silenzio.
    Alzò lievemente lo sguardo sulla sua Yoshiko. Era sempre rimasta lì. Aveva smesso di danzare. Aveva l’aria un po’ confusa, ma sapeva che lo stava ascoltando.
    Era tranquillo. Il suo cuore non batteva troppo velocemente. Per qualche strana ragione era calmo. Credeva che dovesse essere il momento più emozionante della sua vita e invece, parlare a Yoshiko era la cosa più naturale al mondo.
    Si schiarì la voce.
    “Da bambino ho sempre pensato che il mio unico desiderio fosse diventare un giocatore abbastanza bravo da poter ambire alla coppa del mondo e, non mi fraintendere, è ancora il mio sogno. Ma... crescendo ho iniziato ad avere un altro sogno. Come dire...” Troppo lungo. La guardò direttamente negli occhi. “Yoshiko, ti amo. E non riesco ad immaginare la mia vita senza di te.”
    Yoshiko sospirò. Era come se avesse rotto qualcosa. In un battito di ciglia i suoi occhi passarono dall’essere confusi all’essere lucidi. E nella corte delle luci, vide un leggero luccichio, sfiorarle il viso.
    Aveva iniziato a nevicare.

    Si avvicinò un po’, ma la ragazza non rispose. Continuava a fissarlo.
    Le prese le mani con delicatezza e lasciò la piccola scatola rossa tra le sua dita. Le stava lasciando tutti i suoi incommensurabili sentimenti tra le sue mani: la stima, la fiducia, l’amicizia, l’amore. Fu allora che vide un effettiva lacrima solcarle il viso.
    Era lo stesso sguardo che aveva quel giorno, quando credeva che non si sarebbero visti più.
    “Accidenti... Stai piangendo proprio come quel giorno all’aeroporto...”
    Aveva iniziato ad asciugarle le guance con le dita, poi passò direttamente con le labbra.
    “Perché tu continui a fare queste uscite dal nulla!” Yoshiko affondò il viso nel suo petto. Singhiozzò. “Sì... un milione di volte sì...!”
    “Non te l’ho ancora chiesto.”
    “Non ce n’è bisogno...” Alzò lo sguardo ma — e forse erano le candele — aveva un nuovo sorriso che risplendeva di luce propria. “Lo sai che resterò accanto a te per sempre!”
    Matsuyama unì le loro fronti. Sapeva che ormai voleva solo lasciarsi andare alla tenerezza del momento. Non poteva resistere più.
    “E lo stesso vale per me.”



    E la baciò.
   
 
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