Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Darlene_nattini1    05/01/2021    1 recensioni
Non era una ferita letale, ma faceva un male del diavolo e non era in grado di medicarsi da solo. Così aveva seguito il consiglio di un suo amico cacciatore ed era andato a cercare un medico che viveva in quella zona, tale dott. Robert, che non avrebbe fatto troppe domande se qualcuno si fosse presentato alla sua porta nel mezzo della notte con strani segni di morsi o ferite sospette.
Salì la rampa di scale e batté pesantemente il pugno sull’uscio e tuonò: “Mi chiamo Steve Williams, cacciatore. Mi ha detto Martin Creaser di venire qui”.
Quasi subito vennero ad aprire. Pur ergendosi in tutto il suo metro e sessantacinque dovette alzare il capo di parecchio per incontrare gli occhi di un giovane uomo tra i venti e trent’anni con un viso dolce incorniciato da lunghe ciocche scure.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Steve Williams quasi si catapultò fuori dalla sua auto. Sbatté la portiera con rabbia; pagò lo scotto del gesto di stizza con una fitta alla spalla e strinse i denti per soffocare un’imprecazione. Quei dannati vampiri non potevano limitarsi a usare i loro fottuti denti affilati, nossignore, avevano pensato bene di dotarsi pure di pistole. Per sua fortuna, non avevano una gran mira e, prima di piegare il capo sotto il suo machete, erano riusciti solo a colpirlo nella parte superiore della schiena in corrispondenza della scapola sinistra. Non era una ferita letale, ma faceva un male del diavolo e non era in grado di medicarsi da solo. Così aveva seguito il consiglio di un suo amico cacciatore ed era andato a cercare un medico che viveva in quella zona, tale dott. Robert, che non avrebbe fatto troppe domande se qualcuno si fosse presentato alla sua porta nel mezzo della notte con strani segni di morsi o ferite sospette.
Salì la rampa di scale e batté pesantemente il pugno sull’uscio e tuonò: “Mi chiamo Steve Williams, cacciatore. Mi ha detto Martin Creaser di venire qui”.
Quasi subito vennero ad aprire. Pur ergendosi in tutto il suo metro e sessantacinque dovette alzare il capo di parecchio per incontrare gli occhi di un giovane uomo tra i venti e trent’anni con un viso dolce incorniciato da lunghe ciocche scure. Non perse tempo e lo spinse per riuscire ad entrare (impresa facile quanto sfondare una spessa porta; non era più né abbastanza giovane per queste cose, né nelle condizioni fisiche per farlo). Entrò in quello che sembrava essere un incrocio tra uno studio e un salotto: c’era un bel tavolo di marmo al centro, una vetrina piena di strumenti e un divano addossato a una parete. Un secondo uomo, non molto più vecchio dell’altro, si stava finendo di abbottonare un camice davanti a uno specchio con un’espressione compiaciuta.
Questi si voltò verso di lui e aggrottò le sopracciglia adombrando gli occhi verdi, come se cercasse di concentrarsi su qualcosa. Forse per riflesso anche Steve lo squadrò con attenzione: quel viso punteggiato di lentiggini gli sembrò vagamente familiare. La comunità dei cacciatori non era così immensa, magari si erano incrociati in precedenza; di sicuro non aveva un’aria molto professionale. Purché sapesse il fatto suo a Steve non importava che età o aspetto avesse, ma per la miseria, che non stesse a gingillarsi! Impaziente sbuffò: “Hai intenzione di perdere tempo dottore? Non so se l’hai notato, ma sto sanguinando sul tuo pavimento, mi servirebbe una mano!”.
Ci fu uno scambio di sguardi tra il dottore e l’altro, un dialogo silenzioso da cui Steve era escluso; dovettero aver raggiunto un accordo perché lo spilungone si strinse nelle spalle, il medico spostò una sedia e gli disse succintamente: “Si distenda sul tavolo”.
Steve quasi si strappò la camicia troppo stretta che fasciava i suoi muscoli e si distese a pancia in giù.
Il medico aprì gli armadietti e armeggiò con il contenuto. Sollevò alcuni strumenti mentre il più giovane, che nella sua testa Steve aveva ribattezzato “l’infermiera”, controllava le etichette su un paio di boccette (la prossima volta che avrebbe sentito Martin gli avrebbe fatto le sue rimostranze: quando gli aveva accennato all’aiutante sexy del dottore avrebbe dovuto specificare che si trattava di un maschio, per quanto effettivamente sexy).
Il dottore si avvicinò, ma l’infermiera lo richiamò con un tono di chiara presa in giro: “I guanti! Sai, è una protezione che dovresti ricordare di mettere sempre!”.
Il medico riservò all’altro uno sguardo di puro veleno che ottenne solo l’effetto di far allargare ulteriormente il suo ghigno, ma gli diede retta. Versò un bel po’ di quello che era certamente disinfettante sulla schiena di Steve e poi gli fece un’iniezione. Si muoveva a disagio, spostando il peso da una gamba all’altra, con una certa irritazione. Steve pensò che dopotutto era parecchio tardi e dover aspettare senza far nulla poteva essere una seccatura, ma se c’era qualcuno che aveva il diritto di lamentarsi era quello che stava disteso sul marmo freddo con un proiettile nella spalla, cioè lui. Dopo poco una sensazione di formicolio e successivo intorpidimento gli fece capire che l’anestetico stava facendo effetto.
Il medico armeggiò con un paio di pinze per cercare il proiettile, mentre l’altro gli faceva luce direttamente sulla ferita con una pila.
“Vedi il proiettile, dottore?” chiese l’infermiera sempre con quel suo tono beffardo.
Il medico fece cenno di sì: “L’ho quasi preso. Tu pensa a tenere ferma la luce lì!”.
Steve sentì premere forte, di sicuro non aveva un tocco delicato, ma l’importante era che trovasse la pallottola. Non ci mise molto e poi richiuse la ferita con qualche punto dato con estrema cautela e ricoprì con una garza tenuta ferma da una striscia di cerotto per lato.
Mentre Steve si rivestiva con la stessa camicia insanguinata, il dottore si sbottonò il camice e lo appese a un gancio al muro.
L’infermiera gli lanciò un barattolo con delle pastiglie (antibiotici). In cambio lasciò un paio di banconote e si accomiatò con un “grazie” detto a denti stretti e un cenno della mano.
Mentre si chiudeva la porta alle spalle rivolse un’ultima occhiata alla strana coppia: stavano vicini, gravitando l’uno nello spazio dell’altro. Per un momento gli cadde l’occhio sulla collana che portava il medico e che prima era rimasta nascosta sotto il camice. Un amuleto particolare, una specie di maschera. Scese precipitosamente le scale, su cui incrociò un tizio che non si disturbò a guardare due volte. Non vedeva l’ora di sgommare via e buttarsi a dormire su un letto del motel più vicino.
Solo quando si sedette in macchina si ricordò di averlo già visto una quindicina di anni prima al collo del figlio di John Winchester; come si chiamava quel ragazzo? Derek? No, Dean! E aveva un fratellino più piccolo, Sammy se ricordava bene. La prima reazione fu di tornare indietro e chiedere spiegazioni, poi cambiò idea: dopotutto lo avevano medicato e se volevano giocare al dottore, chi era lui per impedirglielo?
 
“Con quei lunghi capelli sei un’infermiera molto sexy” scherzò con tono volutamente provocatorio. Lo spilungone finse un profondo interesse per un poster di anatomia, senza però riuscire a nascondere un sorriso che non passò inosservato.
“Non montarti la testa, Samantha, sono un professionista, non faccio le capriole sul lettino delle visite con le mie assistenti”.
Ogni possibile replica venne stroncata sul nascere dall’arrivo di un ometto dall’aria trascurabile con un paio di occhialetti dalla montatura sottile posati sul naso. Domandò loro chi fosse lo sconosciuto incontrato sulle scale e non gli sfuggì l’occhiata complice che si scambiarono prima di rispondere accennando ad un indirizzo errato. Il nuovo venuto decise di non indagare oltre ed afferrò il camice dall’appendiabiti. Notò immediatamente una macchia di sangue che sicuramente non era presente quando era uscito dallo studio, ma finse di non accorgersene. “Sono riuscito a reperire la sigmacillina. Si tratta di un medicinale da somministrare tramite iniezione, ma per tua fortuna il trattamento non deve essere ripetuto”. Mentre parlava aveva scartato la confezione e stava rovistando nei cassetti alla ricerca di una siringa.
“Forse potremmo rimandare, non sento quasi più fastidio, sono sicuro che tra poco starò benissimo”. Era visibilmente impallidito e le lentiggini spiccavano più del solito. Lo spilungone si avvicinò posandogli una mano rassicurante sulla spalla. “Il dottor Robert è un esperto, sono sicuro che te ne accorgerai nemmeno”. Quindi si rivolse al medico mettendolo a conoscenza del timore del fratello nei confronti degli aghi.
“Non ho paura degli aghi!” Sbottò l’altro irritato. “Semplicemente non mi piacciono”.
Il medico si sistemò pazientemente gli occhiali. “Non preoccuparti, Dean, ti ho riportato dal regno dei morti, cosa vuoi che sia un’iniezione?”.
I fratelli Winchester si scambiarono una serie di sguardi, quindi il maggiore alzò le mani in segno di resa.
“Dovrò iniettarti il farmaco sul gluteo, perciò abbassa pantaloni e boxer e poggia i palmi sul lettino, con la schiena in avanti”.
Il paziente inghiottì un grumo di saliva guardando con odio il tavolo di marmo. Sam gli diede una pacca sulla spalla domandandogli se avesse bisogno di aiuto. Si scostò da lui stizzito, abbassando malvolentieri la zip dei jeans. Il risucchio della siringa gli causò un brivido freddo lungo la schiena e strinse così forte la lastra di marmo da far sbiancare le nocche. “È proprio sicuro che non esista uno sciroppo?” domandò flebilmente già immaginando la risposta. Come un avvoltoio in attesa della preda, suo fratello planò accanto a lui. “Nemmeno i bambini fanno tutte queste storie per una puntura”. Il suo intento era quello di distrarlo, ma non appena i polpastrelli freddi di Robert gli solleticarono le natiche, Dean si irrigidì. “Secondo te mi comporto come un moccioso?” si rivolse al fratello, ma tenne lo sguardo inchiodato a ciò che poteva vedere del dottore alle sue spalle.
“Solo in certi casi. Di sicuro un bambino non contrarrebbe una malattia sessualmente trasmissibile andando a letto con una sconosciuta!”.
A quel punto il giovane cacciatore fu costretto a voltarsi per fissare con occhi infuocati quelli del fratello: “Vogliamo parlare della volta in cui tu” piantò l’indice sulla camicia quadrettata di Sam “ti sei preso la sifilide?”.
Il minore dei Winchester si passò una mano tra i capelli sistemando una ciocca ribelle: “Sì, ma nel mio caso si tratta del maleficio di…”
“Ahia!” gridò Dean quando l’ago penetrò nella carne.
Senza scomporsi minimamente, Robert premette leggermente lo stantuffo. “Ve lo ha mai detto nessuno che litigate come una vecchia coppia sposata?”.
I fratelli si guardarono in cagnesco mentre il dottore, scuotendo la testa, fece uscire l’ago dalla pelle. Prima che il paziente avesse il tempo di rivestirsi lo esortò ad attendere, spiegando che doveva praticare un’altra iniezione con un ago di maggiori dimensioni.
“Perché?” la sua voce lasciò trasparire una venatura di terrore. Fu suo fratello, il solito secchione saccente, a spiegargli che la soluzione, per la sua particolare composizione chimica, spesso non riusciva a filtrare tramite un ago di dimensioni normali.
“Quanto grande? Non permetterò a nessuno di avvicinare un trapano alle mie chiappe!”. Con i pantaloni ancora avvolti attorno alle caviglie cercò di allontanarsi dal tavolo. Ovviamente quel guastafeste di Sam si mise in mezzo costringendolo a restare fermo. Cercò di corromperlo con uno sguardo da cucciolo, ma senza i lunghi capelli ad incorniciagli il viso l’effetto risultò solo una vaga imitazione del minore. Il fratello gli prese il viso tra le mani. “Va tutto bene Dean, concentrati su di me, sulla mia voce e non pensare ad altro, chiaro?”.
Annuì debolmente. Fissò quegli occhi verdissimi che da sempre rappresentavano casa. Pensò a tutte le volte in cui si erano persi, eppure sempre ritrovati. Non stava realmente ascoltando ciò che Sam sussurrava, ma il suo tono rassicurante ebbe un effetto calmante. Si aggrappò a lui inspirando il profumo di dopobarba muschiato misto a polvere da sparo. Perso nei ricordi non si rese quasi conto dell’iniezione e rimase stupito quanto Robert dichiarò di avere terminato.
Erano già entrambi sulla porta quando il medico li fermò. “Mi auguro che l’operazione sia andata a buon fine, dottori. Non riuscirei a perdonarvi se in mia assenza aveste guastato la mia reputazione”. Non aggiunse altro, ma sorrise ancora una volta prima di chiuderli fuori.
 
 


Note delle autrici
 
Questa fic è nata da uno scambio di idee in un tardo pomeriggio partendo dal prompt "casa del dottore" per l'Advent calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO (https://www.facebook.com/groups/337102974212033). Ci siamo messe a discutere e si è scritta da sola! Steven Williams è un personaggio originale, ma è pesentamente ispirato a una coppia di un'altra serie tv!
Speriamo che la fic vi sia piaciuta! Ogni commento è gradito!
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Darlene_nattini1