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Autore: Greenedera    02/02/2021    0 recensioni
[GreedFall]
[GreedFall] Lady De Sardet narra le proprie vicende, senza nascondere la crescente ossessione per Kurt. Teer Fradee riserverà molte sorprese: le vivremo attraverso gli occhi di De Sardet, Kurt e degli altri compagni di viaggio, esplorando momenti di vita quotidiana lasciati fuori dalla trama del videogioco - e concedendoci qualche momento di autentico fan-service (chi ha parlato di un ballo in maschera?)
Qui c'è un estratto: la serializzazione completa (50 capitoli) è in pubblicazione su Ao3 (link all'interno)
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Jeanne

Jeanne De Sardet pulì la penna, chiuse la boccetta di inchiostro e si appoggiò pesantemente alla parete della cuccetta. La cabina sulla Cavalca-Onde, la nave che la stava conducendo da Sérène alla colonia di Teer Fradee, sembrava un cubicolo buio. Non c’era nemmeno un tavolo: soltanto il letto incassato, due bauli e una lanterna. Una luce magica brillava sopra la sua testa, evocata per la comodità di non dover armeggiare con l’acciarino.

La giovane donna contemplò le pagine raggrinzite del suo diario personale – l’ultimo fortunale aveva dato il colpo di grazia al povero quadernino già strapazzato da mesi di viaggio attraverso l’oceano – e desiderò non aver bisogno di sotterfugi simili per calmare i propri pensieri tempestosi. Tuttavia, era da molti anni che trovava chiarezza nello scrivere quelle pagine segrete, sincere, grazie a cui poteva mettere da parte il mantello di Lady De Sardet ed essere solamente Jeanne.

Certo non Jeannette … detestava profondamente il suo vero nome di battesimo, un nome troppo vezzoso e frivolo che aveva rinnegato a tal punto da farsi sempre e solo chiamare per cognome - oppure Jeanne, per pochi amici.

Il diario era scritto in codice: un dettaglio sciocco ma assolutamente necessario quando si cresceva in un palazzo con una mamma molto affettuosa, tanta servitù e un adorato cugino ficcanaso. Tanto più Jeanne riversava i suoi sentimenti - nudi e crudi, drammatici ed esagerati - nel quaderno, tanto più riusciva a mantenere un atteggiamento freddo e composto nei giorni successivi... come se in qualche modo riuscisse ad estrarre quegli stessi sentimenti dal cuore per riporli nel piccolo diario che portava sempre con sé.

Così poteva presentarsi al mondo con la faccia che doveva: riservata, professionale, altera, lei era lady De Sardet, nipote del Principe d’Orsay. Era in viaggio verso la nuova colonia, Teer Fradee, dove avrebbe assunto l’incarico di Legato per la Congregazione dei Mercanti di Sérène. Suo cugino ed erede al trono, Constantin d’Orsay - il suo migliore amico, il fratello che non aveva mai avuto - viaggiava con lei e sarebbe diventato Governatore di Nuova Sérène. Erano partiti insieme all’avventura, spediti in terra straniera dal padre di Constantin. Sir De Courcillon, consigliere reale e loro istitutore per tanti anni, li accompagnava per vegliare su di loro.

Jeanne chiuse il libriccino con un gesto pesante e lo ripose al suo posto, nella tasca interna della giacca a doppiopetto dai bottoni in ottone.

Si gettò sulle coperte e sospirò.

C’era anche un’altra conoscenza di lunga data, su quella nave: Kurt, brusco maestro d’armi e scanzonata guardia del corpo, era pronto ad affiancare Jeanne e Constantin in quella nuova vita. Durante il lungo viaggio in nave, pensieri di Jeanne erano sempre più spesso tormentati da un viso segnato dalle cicatrici e da due luminosi occhi azzurri.

§

Diario di Jeanne De Sardet

A bordo della Cavalca-onde

45° giorno di viaggio_pomeriggio

Sul Continente, a Sérène, era tutto diverso. Avevamo i nostri ruoli, le nostre routine; Kurt era la mia guardia del corpo, certo, ma era anche il fastidioso guastafeste pronto a mettere i bastoni tra le ruote a me e Constantin nei momenti meno appropriati della nostra scapestrata gioventù. Lui era il rude capitano mercenario, il soldato che non era risposto a scendere a compromessi di fronte alla ribellione dei due rampolli reali.

Credo di non averlo mai davvero considerato un... un uomo vero, all’inizio: era solo un altro insegnante - dodici anni di differenza di età sembrano tanti quando sei adolescente, poi crescendo le cose cambiano. D’altronde, io avevo la mia famiglia, i miei amici, e lui aveva i suoi colleghi della guardia. In realtà, dall'essere solo un maestro d’armi è diventato anche un amico. Kurt è un tipo franco e compagnone, si è sempre comportato in maniera estremamente appropriata, ha sempre trattato me e Constantin esattamente allo stesso modo. Poi, negli ultimi tempi, qualcosa è lentamente cambiato.

Qui sulla nave non passiamo molto tempo insieme. Su una imbarcazione, per quanto grande, è difficile avere della privacy, ma Constantin ha una bella cabina - sarà il triplo della mia: di giorno la usiamo entrambi per trascorrere il tempo, quando non siamo in compagnia del Capitano Vasco. Kurt invece dorme di sotto, assieme alla ciurma: è con loro e i pochi altri passeggeri che lui passa la maggior parte del giorno.

Ci vediamo alle sessioni di allenamento di scherma, e poco più... Non che Kurt sia un gran parlatore: non lo è mai stato. Parla poco, ma quando lo fa, si fa notare a causa del suo tono di voce alto e il suo accento di provincia: riesce a dire cose estremamente sensate, o divertenti, e qualche volta invece è terribilmente fuori luogo.

Ma soprattutto, ho cominciato a rendermi conto che mi guarda in modo diverso...? No, non lo so. Non sono sicura che ne fossi così consapevole durante i primi mesi in nave. Dopotutto, la mia mente era occupata con pensieri relativi all’isola, alla malicore, alle famiglie che ci siamo lasciati alle spalle, alle alleanze che dovrò aiutare a forgiare. Di certo, me ne sono accorta adesso.

Le cose non sono più come prima. E sono parecchio interessanti.

§

Kurt

La barca – no, la stupida nave - rollò, si inarcò, dondolò. Fece tutto questo lentamente, peggiorando la situazione e il senso di nausea di Kurt.

La lanterna appesa al soffitto di legno dello stanzone pieno di amache e cuccette ondeggiò, creando giochi di ombre e accentuando la sensazione di soffocamento. L'uomo trattenne un rigurgito acido: la cena si stava ribellando. Negli ultimi mesi gli era capitato diverse volte di avere un lieve mal di mare… Non che avesse mai vomitato – per fortuna, sarebbe stato umiliante – ma passare ore ed ore sentendosi sul punto di farlo forse era peggio.

Fin dal primo giorno, il sedicente capitano Vasco - l'autorità indiscussa a bordo - era stato chiaro su un punto: “Questa è una nave merci, soldato. Noi non portiamo passeggeri. Facciamo un’eccezione per le nobili eccellenze, ma non posso avere persone non necessarie sul ponte. Ti invito a restare sottocoperta.”

Fuori dai piedi. E sottocoperta sia. Il guerriero non ne era stato sorpreso – altri commilitoni che avevano già fatto viaggi in nave lo avevano avvisato che sarebbe finito a fare la muffa in qualche stanzone puzzolente e buio. I suoi nobili protetti, Constantin e Jeanne, non avevano davvero bisogno di lui, e anzi per la maggior parte del tempo sembravano essersi dimenticati della sua esistenza: consumavano i loro pasti nella cabina del capitano, non certo in cambusa, e trascorrevano il tempo o nell’ampia cabina di Constantin oppure sul ponte di poppa.

Per fortuna lo convocavano quasi ogni giorno per tirare di scherma - più per noia che per altro, probabilmente - così almeno Kurt poteva passare un po’ di tempo all’aria aperta senza ricevere occhiate in tralice dai Nauti. Loro e le loro stupide facce tatuate a strisce. Kurt provava una cupa soddisfazione nel vedere con quanto disagio i marinai guardassero i suoi allievi menare incautamente le spade a poche spanne dalle loro delicate attrezzature navali e lucide ringhiere verniciate. Il mercenario viveva alla giornata, cercava di godersi i momenti di libertà quando poteva - e il resto del tempo si impegnava a non rigettare i pasti.

Un giorno - chissà quale, si assomigliavano tutti – il nobile Constantin si ritirò in cabina dopo pochi minuti di allenamento adducendo come scusa un colpo di calore. Kurt lo guardò andar via pensando già alla sottocoperta puzzolente, e girò la testa alla ricerca di Jeanne. La individuò sul ponte di prua, intenta a combattere contro il capitano Vasco in persona. Li raggiunse lentamente, osservando con apprezzamento le forme della scherma.

Il capitano dei Nauti era molto più abile, questo era evidente - oltre ad essere palesemente abituato a combattere negli spazi ristretti e in perenne movimento di una nave. Kurt decise che alla sua allieva avrebbe fatto bene allenarsi con qualcuno di diverso al solito insegnante, ma non voleva andarsene. Che diavolo, era sovraccoperta da meno di dieci minuti!

Il Nauto era alto e slanciato; senza giacca e cappello e sembrava più giovane - o meglio, rivelava la sua giovane età. Kurt aveva sentito dire, parlando con la ciurma, che Vasco era una specie di prodigio: a soli venticinque anni si era guadagnato il titolo di capitano, oltre a quel fitto intrico di tatuaggi sul volto a dimostrazione del suo valore. I capelli lunghi, castano chiaro, erano acconciati in una pettinatura semiraccolta che, a parere del mercenario, lo faceva sembrare piuttosto vanitoso.

Per contro, i capelli rossi di Jeanne erano legati in un sobrio codino che iniziava ad allentarsi, e diverse ciocche le si erano incollate alle tempie sudate. Combatteva in braghe e camicia, come un uomo, anche se nessuno l'avrebbe mai scambiata per tale.

Naturalmente il Nauto credeva di essere in vantaggio, visto che la ragazza – no, era una giovane donna ormai – non era del tutto a suo agio con la spada: il suo asso nella manica era il raro talento magico, ma lei non avrebbe certo sprecato l’effetto sorpresa per un semplice allenamento. Kurt sapeva bene quanto potesse essere destabilizzante combattere contro un incantatore, i suoi fulmini e i suoi incantesimi paralizzanti – specialmente quando non te li aspettavi.

In un confronto vero uno contro uno – o persino tre contro uno – la giovane De Sardet avrebbe potuto mormorare un incantesimo, immobilizzare i propri nemici e poi finirli uno alla volta: Kurt si era assicurato di affinare al massimo le sue potenzialità.

La magia era un’arte insolita a Sérène - era tipica della lontana Thélème - e così Kurt, sebbene non potesse certo spiegarle come evocarla, aveva fatto in modo da abituarla a combattere sia con essa che senza, proprio per sfruttare al meglio il drammatico vantaggio di un’arma segreta. Le aveva già fatto fare il battesimo del sangue, anche se le mancava ancora la crudezza d’animo del guerriero stagionato.

Il capitano Vasco stava giocando con lei. Passava dall’attacco alla difesa con facilità; sbilanciando, punzecchiando e fintando, stava costringendo la sua avversaria a schivare e parare in posizioni sempre più scomode e in spazi sempre più limitati. Avrebbe potuto terminare il combattimento in fretta, e invece sembrava che si stesse divertendo a vederla sudare e arretrare, finché non la bloccò, semisdraiata, contro un enorme rotolo di corde. La tenne lì, la spada alla gola, mentre entrambi respiravano affannosamente.

“Te l’avevo detto, Sangue Verde, non devi lasciarti incastrare,” esclamò Kurt cercando di essere gioviale e trattenendo una irragionevole irritazione. Si avvicinò a grandi passi, le braccia sui fianchi, fino a che il capitano Vasco dovette spostarsi o venire travolto. “Dopo una parata di quarta devi muoverti in un punto a te favorevole; potevi fare una capriola in questo caso! E non dimenticare la ginocchiata nelle palle, ti avrebbe tolto dall’impiccio alla perfezione!”

Diede una piccola pacca sul braccio della donna, la tirò su di peso e la sostenne mentre lei recuperava l’equilibrio. Jeanne aveva le guance rosse, il fiato corto e i capelli in disordine che le sfioravano le spalle. Il marchio di nascita sulla guancia - una bizzarra e inusuale voglia, ruvida e verde - spiccava, sotto i raggi del sole, simile a un intricato disegno di rampicanti.

“Ah,” ansimò lei, senza fiato, “la capriola; hai ragione, Kurt. È che avevo paura di cadere in mare.”

“E non scordarti il calcio nelle palle!” Il maestro d’armi sorrise con entusiasmo.

“Ti sono grato, lady De Sardet, per avermi risparmiato l’esperienza,” interloquì il capitano Vasco con il suo tono compito. Aveva rinfoderato la spada e si era perfettamente sistemato camicia, fazzoletto da collo e capelli, neanche fosse appena uscito dal guardaroba. Fece un inchino cortese a Jeanne, un sorriso in tralice che deformava le linee blu sul suo volto, gli occhi grigio chiaro che parevano quelli di un rapace.

Lei batté le palpebre, perplessa, e per un attimo sbirciò Kurt, il quale non capì l’occhiata. Stava cercando la sua approvazione per qualcosa? Si vergognava per la sconfitta? Voleva restare da sola col damerino? Che cazzo, vai a capire le donne. Kurt rimase lì, corrugó la fronte e incrociò le braccia.

“Capitano Vasco, ti ringrazio molto per avermi concesso il tuo tempo, ma non ti sottrarrò ulteriormente dai tuoi doveri,” proclamò lei in tono cortese e formale, inchinandosi – un inchino da nobiluomo, non una riverenza, qualcosa che sbalordiva sempre chi non era abituato a lady De Sardet - “proseguirò la mia sessione di allenamento con il mio maestro d’armi.”

Fuori dai piedi a te, questa volta , non poté fare a meno di pensare il mercenario. Vasco salutò, si inchinò di nuovo, recuperò giacca e cappello e si allontanò a grandi passi, dedicando tutta la sua attenzione alle attività in corso sul ponte e sugli alberi della nave. Kurt improvvisamente si chiese perché si fosse impicciato in quel combattimento. In fondo, la sua allieva non aveva davvero bisogno di lui, no?

“Dammi cinque minuti e poi sono pronta,” disse Jeanne, asciugandosi la fronte. Con gesti efficienti sciolse la coda e la rifece, poi si aggiustò fazzoletto da collo e camicia fino ad essere di nuovo in ordine. Kurt distolse lo sguardo quando si rese conto che aveva notato come la camicia sudata le fasciasse la vita sottile. Si concentrò sul mare, corrugando le sopracciglia.

“Va tutto bene, Kurt?”

Lui si voltò. Era sempre stata così alta? Sì, certo che lo è, dannazione. Jeanne ha ventitré anni ormai, è un bel po’ che ha smesso di crescere. Era colpa di Kurt se ogni tanto pensava ancora a lei come a un'adolescente tutta spigoli e poi si voltava per trovarsi di fronte una bella donna. “Sì, certo, Sangue Verde. Mi godevo il panorama.”

“Non sei stufo di vedere il mare?” rispose lei con un lieve cipiglio. Raggiunse Kurt al parapetto e scosse la testa. "Non vediamo altro da mesi!"

“Non c’è granché da vedere a sottocoperta, eccellenza.”

Lei gli diede un piccolo pugno sulla spalla, a malapena percepibile attraverso la casacca imbottita. “Non chiamarmi ‘eccellenza’ quando siamo soli! Chiamami Jeanne."

"Nah, ‘Sangue Verde’ ti sta meglio," borbottò lui.

Lei sospirò. "E poi, scusa, se sei stufo di stare sottocoperta... perché non sali più spesso? Mi sei mancato, sai?”

Kurt batté le palpebre. Come poteva lei dire qualcosa del genere in maniera così casuale? Dannazione, non si rendeva davvero conto di quanto fosse ingiusto trattarlo in maniera così... così disinvolta, quando la differenza di rango fra loro era un abisso incommensurabile? Si accigliò e incrociò le braccia. “Ho ricevuto ordini specifici dal capitano. I Nauti non vogliono gente comune in mezzo ai piedi.”

Gli occhi di Jeanne si spalancarono leggermente, offesi. “Ah. Capisco. Fammi indovinare, questo vale per tutto il seguito tranne che per me, Constantine e de Courcillon, vero?”

Kurt fece spallucce. Sì, ovvio, neanche bisogno di dirlo. Non se ne era accorta? C'erano altre quattro guardie, due mercanti, un maestro ingegnere e due domestici con loro, che avevano visto la sovraccoperta ancora meno del mercenario.

Jeanne sospirò e si passò una mano sul viso, sfiorando sovrappensiero il marchio verde. “Parlerò con il capitano Vasco. Di certo non può opporsi a lasciar uscire le persone almeno la sera, magari a rotazione, no? In fondo, io e Constantin siamo quasi sempre in cabina, non ha senso tenere tutti di sotto solo perché noi potremmo voler uscire.”

Kurt scosse la testa. “Non lo so, non puoi correggere tutte le ingiustizie di questo mondo, Sangue Verde. È noioso star di sotto, ma nessuno di noi ne sta avendo danno. Sono le regole dei Nauti, non serve a niente cercare di opporti. ‘Scegli quali battaglie combattere,’ ricordi?”

Senza pensarci, Kurt allungò una mano e corresse l’angolazione del fodero alla cintura della sua allieva con uno strattone, come aveva fatto mille altre volte - cioè ogni volta che lei si distraeva e lasciava che la spada scivolasse troppo avanti. Forse fu più rude del necessario, o forse la colse alla sprovvista – Kurt improvvisamente si ritrovò la giovane donna caduta di peso contro il petto che lo guardava con occhi enormi. Occhi un po’ verdi, un po’ marroni, ogni volta era impossibile dire di che colore fossero, ma di certo avevano uno sguardo stupito. Jeanne si puntellò sulla sua casacca e si raddrizzò, le guance imporporate.

Kurt grugnì. “Scusa.”

“Figurati, scusami te,” si affrettò a rispondere lei. Si sistemò il cinturone della spada e posizionò i piedi in una posa più bilanciata, da combattente. Il suo viso era di nuovo calmo, l’espressione da lady De Sardet nuovamente scesa a coprire qualsiasi cosa ci fosse stato prima. “Come vuoi procedere?”

Giusto. Animale sciagurato, datti una regolata. Concentrati. “Allora, facciamo una sequenza semplice. Userò uno stocco, e quando saremo in quell’angolo tu cerca di usare la parata di quarta. Mi aspetto che riesca a cavartela meglio rispetto a prima.” Kurt posò a terra lo spadone, la mazza, lo stiletto e la pistola scarica che usava per mimare un combattimento misto.

Lei inarcò un sopracciglio. “Calcio nelle palle incluso?”

Il guerriero scrollò le spalle: durante gli allenamenti indossava il necessario per non subire danni. “Fai del tuo meglio, ragazzaccia.”

Alla fine, lei non ricorse a calci sleali, ma eseguì una perfetta capriola per sfuggire all’angolo tra la ringhiera e il rotolo di corde. Provato quello, ripeterono l’esercizio in punti diversi del ponte, sempre più velocemente e con sequenze sempre più complesse, finché Kurt vide che la sua allieva iniziava a commettere errori dovuti alla stanchezza. Come sempre, arrivati a quel punto lui non si fermò, ma la spinse fino al limite, senza farle male ma facendola stringere i denti per riuscire a cavarsela nonostante i muscoli tremanti e il fiatone.

Quando dichiarò l’allenamento finito, Jeanne fece un inchino e poi rinfoderò la spada, ansimando. Si sedettero spalla a spalla per riposare alcuni minuti, poi lei si voltò e gli fece un mezzo sorriso. “Hai combattuto con lo stocco oggi. Vuoi che la tua allieva non faccia brutta figura col capitano della nave?”

“Beh, non mi interessa quello che pensa lui, ma non mi è piaciuto vederti lì incastrata. In un combattimento vero, avresti potuto perdere la vita.”

Le delicate sopracciglia rosse della giovane donna si corrugarono. “Ma non saremmo mai arrivati a quel punto. L’avrei bloccato con...”

Kurt si sporse in avanti e abbassò la voce. “ Smettila di pensare di potertela cavare con la magia, Sangue Verde. Le circostanze ti potrebbero impedire di volerla usare, come oggi, oppure potresti essere in grave svantaggio numerico." Scosse la testa e continuò: "Sai, sono contento che damerino ti abbia sconfitto, poco fa, perché sei troppo abituata a pensare di potertela cavare, che ogni combattimento sia un allenamento. Stiamo andando nelle terre selvagge: devi cambiare atteggiamento se vuoi restare viva.”

Lo sguardo della donna si fece serio, i suoi occhi un po’ tristi. I loro volti erano vicini, perché lei non si era ritratta quando il maestro d’armi si era avvicinato per sussurrare. Kurt vide i piccoli movimenti degli occhi di Jeanne mentre osservavano, una dopo l’altra, le cicatrici che gli deturpavano il volto. Lei lo faceva spesso, e anche oggi lui poté quasi tracciare la sequenza: il naso sfregiato, il sopracciglio tagliato, il segno sulla guancia, quello sul mento, quello sull’angolo del labbro.

Lui la lasciò fare, perché ogni volta la sua allieva sembrava trarre insegnamento da quella dimostrazione di quanto il mondo là fuori potesse essere spietato, dall’evidenza di cosa potesse succedere persino a un guerriero stagionato come lui. Alla fine, lei annuì gravemente. “Lo farò.”

Si alzarono in piedi e la guardia andò a recuperare le armi scartate per portarle di sotto.

“Kurt,” chiamò la voce cortese di lady De Sardet. “Alla luce della lezione di oggi, credo che dovremmo intensificare il mio allenamento. Cercherò di convincere anche Constantin a partecipare. Sei convocato per oggi al tramonto. Porta sovraccoperta anche Mastro Girbert, dopo l’allenamento vorrei parlare con lui dei suoi progetti di innovazione per le fogne di Nuova Sérène.”

Il mercenario trattenne un sorriso. Invece corrugò le sopracciglia e diede un tirone alla falda del suo cappello a mo' di saluto. “Sì, capo.”

Lei gli lanciò un’occhiataccia socchiudendo gli occhi, poi chinò lievemente la testa in un cenno di commiato. Raccolse la giacca e si voltò a guardare l’oceano.

Kurt rimase fermo a contemplarla per alcuni secondi, poi abbassò rapidamente lo sguardo quando si rese conto di cosa stesse guardando. Dannato caprone, smettila! Appena arriviamo sull’isola, spero che ci sia modo di distrarmi o mi esploderà il cervello – e non solo.

§

Questa fanfiction è solo un estratto: la serializzazione completa (circa 50 capitoli) continua sul mio account AO3: Archiveofourown[punto]org - Nome utente: Greenedera

   
 
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