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Autore: suni    26/08/2009    17 recensioni
“Salve, come andiamo questo pomeriggio?”
L’uomo fa spallucce, lo guarda passare distrattamente.
“Come al solito. Stamattina era molto agitato, così l’abbiamo sedato. Ora va meglio, ma è di pessimo umore.”
Naruto ridacchia, beffardo.
“Allora è migliorato,” commenta ironico, e imbocca finalmente la porta.
Sasuke è seduto davanti alla finestra, immerso in uno dei pigiami azzurrini che Naruto ha fatto adattare – c’è su stampato un ventaglio bianco e rosso, adesso. Guarda fuori inespressivo, resta immobile, non fa caso al suo arrivo. Naruto ci è così abituato che ormai non se ne accorge nemmeno più.
“Ciao, teme! Come va? Hai fatto pranzo, era buono?” Inizia a parlare con naturalezza, sorride, si avvicina a guardar fuori anche lui. “Non hai mangiato il dolce nemmeno oggi, ci scommetto! Sei davvero un testardo. C’era il riso?”
Sasuke guarda fuori, gli occhi fissi.

A Mala_Mela.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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L’ospedale è immerso nel tran tran di sempre, come ogni giorno

Ho perso una scommessa con Mela, e le devo una shot di almeno mille parole. Ne fa duemila e rotte, ed è l’unico parametro che ho rispettato: voleva una SasuNaru ambientata durante la battaglia finale, e questa non è l’una né l’altra cosa.

Ma parla di Naruto, di Sasuke, e in qualche contorto modo della cosa che li lega.

Spero che ti piaccia, Clà.

 

 

DOBE

 

 

 

 

 

L’ospedale è immerso nel tran tran di sempre, come ogni giorno. C’è una luce tersa che penetra dalle finestre, illuminandosi con delicatezza i camici candidi delle infermiere, quelli spesso dimenticati dei medici. I membri del personale s’incrociano nel corridoio centrale, chi affannandosi frettoloso, chi discutendo con i colleghi, forse a proposito di un consulto, chi studiando cartelle cliniche, chi spingendo carrelli di medicinali, chi scortando un malato, un ferito, qualche parente un po’ pallido che sembra messo in soggezione dall’ospedale.

Anche a Naruto succedeva, all’inizio: oltrepassava la soglia e si sentiva invadere da quello strano senso d’inquietudine e debolezza, avvolto dall’odore tipico della clinica, il puzzo di malattia e medicinale, di morte incombente. Gli sembrava di camminare su una superficie molto fragile, pronta ad incrinarsi al minimo movimento più marcato, e respirava piano.

Ma poi, col passare dei mesi, venendo lì giorno dopo giorno, ci ha fatto l’abitudine: e ormai quando arriva non percepisce nemmeno la differenza tra il profumo che c’è fuori, quello fresco e ventoso della boschiva Konoha, e quello stantio e penetrante che c’è lì dentro; conosce tutti, dal più tronfio dei ninja medici alla più timida delle donne delle pulizie, e tutti lo salutano con un cenno, un sorriso o una parola incoraggiante, mai sorpresi di vederlo. Ogni pomeriggio, un mese dopo l’altro, sempre con l’aria svagata e un po’ disinteressata di chi è lì solo temporaneamente e ben presto smetterà di farsi vedere da quelle parti. Un visitatore occasionale che percorre il corridoio in cui sono collocate le camere dei lungodegenti per un bizzarro caso che non si ripeterà ancora a lungo.

E ci crede davvero, Naruto, anche se ogni giorno continuare a convincersene gli costa uno sforzo più intenso. Anche se il vago sorriso con cui fa la sua comparsa in ospedale fatica sempre di più a non incrinarsi quando, chiedendo se ci sono stati cambiamenti, gli viene puntualmente risposto che la situazione è stazionara.

Ha cessato di porre la domanda a Sakura proprio perché dargli tutte le volte quella risposta le faceva del male, e lui se ne accorgeva: vedeva lo smeraldo dei suoi occhi farsi più brillante, lucido, e si sentiva colpevole. Dopo tutto la responsabilità è davvero sua, anche se Shizune e Kakashi dicono che Kyuubi, che Sasuke era debilitato già prima di quella notte, che il Mangekyou è come una malattia, che corrode tutto. Così quando incontra Sakura fa finta di niente, ridacchia, sbruffoneggia.

“Buon pomeriggio, Sakura-chaaan!”

“Oh, Naruto, di nuovo qui a disturbare!” gli risponde la dottoressa, quasi ogni volta. Recita anche lei, Naruto lo sa. E del resto non resta altro da fare che recitare quella commedia e comportarsi come se non fosse cambiato niente, così da convincersi almeno per un attimo che sono ancora gli stessi tutti e tre.

“Hai un po’ di tempo dopo, Sakura?”

“No, Naruto, ho già fatto la pausa.”

“Ma solo un momento, Sakura! Ti offro un ramen.”

“Che buffone, Naruto,” sospira lei, con quel fare materno, quell’intimità altezzosa.

“E dai, esci con me!”

“Ho detto no, zuccone!”

Ceneranno insieme, forse, perché sono amici, o andranno presto in missione insieme, ogni volta, e sanno tutt’e due che la risposta all’invito galante sarà sempre negativa e anche che Naruto continuerà a ribadirlo all’infinito. Semplicemente perché è sempre stato così. Poi lui la lascia lavorare, passa oltre, sale le scale verso la stanza in fondo al corridoio del terzo piano, su quel tragitto che conosce così bene. Ha mandato a mente ogni imperfezione del pavimento piastrellato, ogni crepa delle pareti, ogni gioco di luce disegnato attraverso i vetri delle finestre.

E quando chiede al ninja medico di guardia se ci sono cambiamenti, quello sembra ogni giorno più perplesso, e lo è anche oggi: come se si chiedesse chi diamine glielo fa fare, di continuare imperterrito a porre quel quesito di cui conosce perfettamente la risposta. Non capisce che Naruto ha bisogno di credere, che l’unica cosa che lo spinge avanti è quella speranza caparbia e infantile.

“Salve, come andiamo questo pomeriggio?”

L’uomo fa spallucce, lo guarda passare distrattamente.

“Come al solito. Stamattina era molto agitato, così l’abbiamo sedato. Ora va meglio, ma è di pessimo umore.”

Naruto ridacchia, beffardo.

“Allora è migliorato,” commenta ironico, e imbocca finalmente la porta.

Sasuke è seduto davanti alla finestra, immerso in uno dei pigiami azzurrini che Naruto ha fatto adattare – c’è su stampato un ventaglio bianco e rosso, adesso. Guarda fuori inespressivo, resta immobile, non fa caso al suo arrivo. Naruto ci è così abituato che ormai non se ne accorge nemmeno più.

“Ciao, teme! Come va? Hai fatto pranzo, era buono?” Inizia a parlare con naturalezza, sorride, si avvicina a guardar fuori anche lui. “Non hai mangiato il dolce nemmeno oggi, ci scommetto! Sei davvero un testardo. C’era il riso?”

Sasuke guarda fuori, gli occhi fissi.

“Ho visto Sakura, mi ha di nuovo fatto correre. Ti è venuta a trovare stamattina, vero? Sakura, dico.” Alza un po’ la voce, e Sasuke si volta lentamente, lo guarda con quegli occhi stralunati che per tutti gli altri sono così strani, così sinistri, e che per Naruto sono semplicemente gli occhi di Sasuke, come lo erano prima quando freddamente osservavano il mondo con alterigia e lontano sarcasmo.

“Correre,” ripete, atono.

“Sì, lo sai com’è fatta. Preferisce te, anche se sei uno stronzo,” risponde Naruto con una smorfia, prima di sbuffare. “Chi la capisce è bravo, te lo dico io.”

“Dico. Dico, dico.”

Sasuke parla con gli occhi puntati sulla parete, la voce grave assolutamente piana.

“Mi hanno detto che stamattina non stavi bene,” azzarda Naruto, appoggiandosi al davanzale. “Come mai? Hai fatto un sogno?”

Sasuke sposta di nuovo la testa, lo osserva fisso, sgrana gli occhi in modo quasi spiritato.

“Sogno,” ripete, assorto. “Nove. Nove, nove, nove, nove. Nove, nove,” inizia a cantilenare, sempre più febbrilmente. È la parola che dice più spesso di tutte e Naruto sa che a volte finisce per agitarsi.

“Sì,” afferma bonario, appoggiando affettuosamente la mano sul suo braccio per calmarlo. Sorride amaro, con uno sforzo su se stesso che sa di violenza. “Sì, teme, le code sono nove.”

“Nove. Nove, nove.”

“Certo, nove code. Ma non ci sono, adesso, vedi?” continua Naruto, e spalanca le braccia, si mostra, sorride. Sasuke lo guarda senza farci caso, si smarrisce, fissa tutto e niente. Chissà in quale strano posto si è persa la sua mente, e cosa sta vedendo, chissà se è stato Kyuubi o il suo stesso potere a mangiargli il cervello. È così che Naruto lo vede, come se il bijuu avesse divorato a morsi il suo raziocinio. E vorrebbe farglielo sputare fuori a suon di calci.

“Hai visto, che le code non ci sono?” insiste piano, chinandosi un po’ verso il genio. Sasuke sbatte le palpebre, sembra fare uno sforzo di concentrazione per dargli retta, lo guarda. Ha le labbra serrate, le guance scavate e la pelle più bianca di un tempo, malsana. Le palpebre sono perennemente troppo aperte, lo fanno sembrare uno strano gufo, ma Naruto capisce – ed è l’unico a farlo – come Sakura riesca ancora a trovarlo bello. È Sasuke, sempre lui. Con quel naso all’aria, quel viso nobile e, nonostante la follia, quel suo invariato, amato carattere di merda. Quando ha le crisi diventa di una violenza bestiale. “Ti uccido,” ha annunciato una volta all’infermiera che lo tratteneva. “Peggio per te, ti uccido,” ha ribadito, e quando lei, facendogli l’iniezione, gli ha domandato perché, lui non ha fatto una piega. “Perché sì, perché sì, perché sì. Mi va.”

E oggi, per un capriccio...

“Nove,” dice per un’ultima volta, placato. Naruto cerca di sorridere, ma fa pena pure a se stesso. Sasuke lo guarda ancora, solleva la mano. “Gialli,” dice, e questa volta a Naruto scappa un riso vero.

“Sì, ho i capelli gialli,” ridacchia, intanto che le dita leggere del genio s’infilano tra le sue chiome bionde ed arruffate. “Giallissimi, eh?”

“Capelli… Tetto?”

Il sorriso di Naruto si amplia.

“Vuoi prendere il sole, mh, teme?” commenta sornione, prima di poggiare le mani sulle impugnature dello schienale della sedia a rotelle.”Hai ragione, è una bellissima giornata.”

“Frega,” commenta  Sasuke noncurante, mentre lui lo spinge fuori dalla stanza di lena. Effettivamente, al genio del bel tempo non ha mai importato granché.

Il ninja medico non bada nemmeno al loro passaggio, perché seguono quello stesso iter tutti i giorni. A Naruto piace portare Sasuke sopra il tetto, fare lo slalom tra le lenzuola stese e fermarsi ansimante accanto alla due cisterne dell’acqua. Una volta, un paio di settimane fa, è riuscito a far produrre al suo migliore amico un piccolissimo Katon. Hanno incendiato delle federe, e Sasuke ha riso.

“Pronto?” esclama ilare, giungendo in cima alla rampa, sulla soglia. “Via! Vroaaam, vroam!” esclama, lanciando la sedia di corsa tra i tessuti. Sembra di oltrepassare decine di tende tese verso il cielo.

Sasuke non parla, ma ha lo sguardo di un bambino che si diverte. Quando si fermano, gira la testa a guardare le lenzuola ancora ciondolanti con quella che al jinchuuriki pare soddisfazione. Ed è in questo momento, mentre ride scioccamente tanto per farlo, che Naruto indietreggia per darsi equilibrio, il suo piede si scontra con l’inghippo di un dislivello nel pavimento sconnesso del tetto, il suo corpo si sbilancia in avanti e mentre Naruto cade per terra spinge via la sedia a rotelle. Sasuke emette un’esclamazione soffocata – realisticamente un insulto emerso dalla nebbia della sua mente menomata – e caracolla con la sedia, sbatte contro un palo da stendere e la ruota fa perno, facendolo girare velocemente.

“Scusa, teme!” esclama Naruto, tirandosi in piedi e facendo per avvicinarsi. Il genio borbotta qualcosa, mentre la sedia rallenta il suo moto, quindi prende fiato. Naruto si ferma davanti a lui, ridacchia a mo’ di scusa, si gratta la testa.

Dobe! Dobe, dobe!”

E Naruto sgrana gli occhi azzurri, con un sussulto brutale che scaturisce dal suo profondo io. Non sentiva quella parola da tanto, troppo tempo, dai mesi intercorsi da quella sera maledetta in cui l’ultima battaglia ha avuto luogo. Cerca di prendere fiato ma l’aria resta incastrata nella sua gola e gli occhi gli pizzicano.

Dobe,” borbotta ancora Sasuke, oltraggiato. Ha le guance che hanno preso colore per l’affanno, gli occhi che scintillano d’indignazione. È Sasuke, ed è straordinario.

“Sì, sono un dobe,” mormora lui a denti stretti. “Te ne ricordi, eh? Bene,” mormora poi, con le orecchie che ronzano piano.

Si sente molto stanco e molto agitato d’improvviso, una specie di ansiosa, confusa catalessi. Di botto ha bisogno di congedarsi da Sasuke, di allontanare la sua presenza da sé, digerire la novità. Lo riporta in camera, gli porge il braccio quando il genio debolmente si alza e cammina fino al letto, gli sistema addosso le lenzuola. È sottile, Sasuke, più che da bambino. Gli sorride un’ultima volta.

“A domani, teme.”

“Domani.”

Naruto inspira finalmente a fondo, marcia di fretta e senza nemmeno pensare a dove va, semplicemente per allontanarsi. Ha il cuore che martella in petto sempre più forte fino a diventare una grancassa impazzita che scorta il suo camminare, così rapido da sembrare una corsa. Si ferma di scatto, piega il busto in avanti puntando le mani sulle proprie ginocchia. Tenta di prendere fiato, strizza gli occhi, le labbra gli tremano. Si trascina fino alla prima delle sedie che, in fila, adornano il lato del corridoio, e ha la guancia bagnata di qualcosa come una lacrima nel momento in cui si abbandona a sedere, la vista offuscata.

“Naruto?”

Vorrebbe gridare, staffilato dal fatto che Sakura lo veda proprio ora. Invece stringe i denti e ricompone il viso in qualcosa che non sembri una smorfia, però non sa dominarsi abbastanza da tacere.

“Mi ha chiamato dobe, come una volta. Mi ha chiamato dobe,” esclama di slancio, con affanno, e lo ripete anche per sentirne meglio il suono, intanto che chiude gli occhi per non far uscire altre lacrime.

Avverte il fruscio del corpo di Sakura che si lascia andare accanto a lui e, dopo pochi secondi, sente anche il suono soffocato dei suoi singhiozzi sovrapposto a quello del proprio respiro spezzato. Ma se il loro pianto sia dovuto al sollievo per quel debole miglioramento o all’amarezza per quel nuovo, piccolo passo che alimenta la loro masochistica speranza, questo Naruto non lo sa.

Però, lo stesso, spera.

 

 

   
 
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