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Autore: berlinene    26/08/2009    4 recensioni
… sfuggente… come un sogno, come una breve vacanza. Come Ken…
Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Shun Nitta/Patrick Everett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al solito dopo mesi di agonia nasce l’ennesima pseudo-long di berlinene di cui nessuno sentiva davvero la necessità… Tranne lei stessa che… mah, chissà magari ha finalmente un OTP…

Grazie alle solite pungo latrici – beta ufficiali e ufficiose: Rel, Kits, Kara ed eos.

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Capitolo 1 – Gli esami non finiscono mai


Con un colpo secco chiuse la zip del borsone. Raddrizzò la schiena, poi ruotò lentamente le spalle e la testa per stiracchiarsi i muscoli.
Anche quella era andata.
Che estate del cavolo!
Prima la maturità, poi di corsa al raduno con la Nazionale e, adesso, dopo appena dieci giorni di pseudo-tregua a base di calcio, lo aspettavano di nuovo i libri: l’esame di ammissione all’Università incombeva.
Con un sospiro si gettò il borsone in spalla. Era nervoso, stressato e, per dirla con un pallido eufemismo, gli giravano le palle. Sperava solo che nessuno gli chiedesse…
“Ehilà, Nitta, allora? Dov’è che vai di bello per le vacanze?”
Ecco appunto.
Si voltò di scatto pronto a sputare in faccia al malcapitato curioso una risposta acidissima, ma si trovò davanti il volto di Ken Wakashimazu, che lo guardava esibendo uno dei suoi rari sorrisi.
Il cuore gli fece un tuffo e Shun temette seriamente di arrossire. Magari poteva accampare la scusa del caldo, della doccia…
Era passato un anno eppure quel sogno gli tornava vivido alla mente ogni volta che si trovava con lui da solo a solo. E, infatti, evitava come la peste tali occasioni… ma stavolta non ce l’aveva fatta: in quello spogliatoio c’erano soltanto loro due.

Il dojo di karate degli Wakashimazu: i raggi obliqui del sole pomeridiano entravano dalle finestre disegnando nell’aria trame di linee incorporee e spargendo nella palestra una luce aranciata, che annullava le differenze cromatiche fra il chiaro legno delle pareti e il morbido tappeto colorato che ricopriva il pavimento. A dire il vero il colore del rivestimento, usurato dal tempo, non era mai stato ben definito – rosso, amaranto, marrone, arancio…?
Anche il candido kimono indossato da Ken pareva avere una sfumatura rosata, mentre i capelli nerissimi rimandavano riverberi ramati invece dei soliti riflessi bluastri e la pelle stessa sembrava emanare un lucore dorato.

Shun era in piedi di fronte al portiere, gli occhi fissi sulla sua figura.
“Pronto?” gli sussurrava quello avvicinandosi di qualche passo. Luci e ombre giocavano birichine sul suo volto, impedendo al giovane attaccante di discernerne l’espressione.

Shun attaccava, cercando inutilmente, come sempre, di mandare a segno qualcuno dei suoi colpi inesperti. Ma Ken li parava, uno dopo l’altro. Infine gli bloccava i polsi e, prima che le ombre danzanti rivelassero la sua espressione, lo baciava.

Il sogno era finito così, con quella sensazione maledettamente reale della lingua morbida che gli si insinuava fra le labbra, mentre i lunghi capelli gli sfioravano le clavicole, lasciate scoperte dal kimono che indossava a sua volta. Quella notte si era svegliato madido di sudore, eccitato e incredulo. Si era tirato leggermente su, facendo leva su un gomito per voltarsi a osservare il portiere beatamente addormentato sul futon vicino al suo. Shun era rimasto sveglio per ore: gli occhi spalancati, il respiro affannato e un peso enorme sul petto.
La mattina seguente aveva fatto i bagagli ed era partito in fretta e furia, inventando una scusa qualsiasi. Da allora non si erano più visti, se non ai concentramenti della nazionale e, fra tanta gente, evitarsi era facile.

Ma ora erano soli e le immagini del sogno gli si ripresentarono davanti agli occhi, più prepotenti e vivide che mai, più di quando, a volte, da solo, con la fantasia…

Non ci voleva pensare. Non ci doveva pensare. Non era giusto, non era ammissibile, non era normale.

Cercò di focalizzarsi su quella ragazza con cui era uscito ultimamente… com’è che si chiamava? Ah sì, Ayumi.

“Verrai anche quest’anno ad imparare un po’ di karate?”

 “No” riuscì appena a dire Shun, la bocca arida come il Sahara.

“Peccato” disse Ken imbronciato. “Ci siamo divertiti l’anno scorso… mi faceva piacere avere qualcuno con cui parlare, oltre alle orde di ragazzini vocianti”.

“Ho l’esame d’ammissione all’Università” continuò Nitta, ostentando nonchalance.

“Università? Davvero? Cosa?”

“Architettura” rispose, lieto di parlare di qualcosa che sapeva. “Mio padre ha uno studio e… sai com’è, il calcio non dura per sempre… mi preparo al dopo”.

“Cavolo! E chi l’avrebbe detto che Shun Nitta fosse un tipo tanto assennato? Ti facevo uno che vive alla giornata! E invece, a quanto pare, ormai anche il piccoletto è diventato grande”.

“Tu cosa farai?” incalzò Nitta per tornare sul terreno sicuro degli argomenti futili.

“Starò un mesetto al dojo ad aiutare mio padre coi corsi estivi, poi spererei di farmi un po’ di mare… a dire il vero Kojiro e Maki mi avrebbero invitato a casa di lei a Okinawa. Non che mi esalti l’idea di andare a fare il terzo incomodo, ma una vacanzina low cost non si butta mai via…”

Nitta sorrise e annuì. Poi il portiere si congedò e uscì dallo spogliatoio.

Shun si buttò sulla panca con un sospiro.

Tutto sommato se l’era cavata egregiamente.

Col sorriso sulle labbra e nello sguardo, Shun consegnò il compito: quel test di ammissione gli era costato un mese a di sudore sui libri (nel vero senso della parola dato il caldo), ma ne era valsa la pena: aveva saputo rispondere a tutte le domande ed era completamente soddisfatto.
L’euforia non lo abbandonò per tutto il giorno e nei suoi occhi, alla sera, brillava ancora il sorriso, mentre, disteso sul letto,  impegnato nella tipica nullafacenza di scarico post-esame, fantasticava su come avrebbe trascorso i giorni di vacanza che lo separavano dall’inizio dei corsi. Dopo mesi in cui c’era sempre stato qualcosa da fare, tutta quella libertà, quelle possibilità infinite facevano quasi, in un certo senso, paura.

Tali pensieri, oziosi e casuali, furono interrotti dallo squillo del cellulare. Shun lo afferrò e strabuzzò gli occhi vedendo lampeggiare insistente sul display la scritta “Wakashimazu 17”.

“Novità dalla Nazionale, di sicuro” si ripeteva, appoggiando tremante il pollice sul tasto verde. Anche se di solito era “Ishizaki 14” a chiamarlo.

“Pronto?”

“Ciao Shun, sono Ken. Ti disturbo? Ho visto su internet che l’esame era oggi… com’è andata?”

“Cre… credo bene,” rispose meccanicamente, poi, in un guizzo di buona educazione aggiunse: “Grazie del pensiero”.

“Figurati, un puro caso,” si schernì l’altro. “Ieri sono finiti i corsi estivi e oggi ho cazzeggiato online tutto il giorno” continuò. Poi fece una pausa. “ A dire il vero” riprese, “mi chiedevo se ti andava di venire con me a Okinawa”.

Nitta rimase a bocca aperta e per poco il cellulare non gli cadde di mano. Non sentendo risposte, Ken ricominciò: “Capisco che è una cosa un po’ improvvisa, ma non so… andare là con Kojiro e Maki mi mette un po’ di tristezza, Sawada è in vacanza dai suoi, poi ci sono le amiche di Maki che non mi mollano un attimo e infine… boh… l’anno scorso c’eravamo divertiti qui al dojo, mi sei mancato quest’anno… magari possiamo recuperare… senza contare che ti meriti anche tu un po’ di vacanza dopo l’estate di fuoco che hai passato…”

“Devo pensarci” riuscì infine ad articolare l’altro.
“Ok, tanto io vado fra tre giorni”.

“Ma per Maki va bene?”

“Eh, figurati, Kojiro dorme con lei e tu dormirai con me, come quando eri qui a casa mia”.

“Ti faccio sapere” rispose, cercando di non far trapelare il sussulto provocatogli da quell’ultima affermazione.

Proprio quello che ci voleva. Aveva avuto la mente sgombra dai problemi per quasi dieci ore… qualcosa doveva pur succedere. Ma il buonumore della giornata pareva non essersene andato del tutto, perché cominciò a pensare che Ken aveva detto una serie di cose giuste: al dojo erano stati bene, lui si meritava una vacanza… Wakashimazu era un bravo ragazzo, l’aveva sempre trattato con rispetto e persino difeso. Quel sogno era solo un sogno in fondo, forse una proiezione del legame fraterno che li univa, argomentò, nonostante Freud non fosse stato nel programma d’esame.

Fatto sta, che il giorno dopo chiamò Wakashimazu e accettò la sua offerta.

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Mah… Come sempre mi capita con le mie FF la trovo… manchevole, mi dà sempre l’idea che potrei fare di più… ma mi sa che ve la prendete così^^

   
 
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