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Autore: Anonimadelirante    01/04/2021    1 recensioni
Alla fine, è stato facile (forse un giorno potrà dirlo). È solo dovuto andare lì a dirle: Ti ho investita. Magari avrebbe potuto anche aggiungere: «Mi dispiace.»
[Missing moment 6x21; LisaxDeanxBen; hint!Destiel, a discrezione del lettore]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Breaden, Castiel, Dean Winchester, Lisa Breaden
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
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Questa fic risale al 2016, vez. Ho recuperato la vecchia memoria del fu MACcone di famiglia e, niente, quanto sono felice, ho 200k di prompt e OS dimenicati * batte le mani * e volevo un po' condividere randomicamente. Non l'ho manco riletta. So però che la me del tempo ne era molto fiera L'ho solo presa e copiancollata qui malamente. Enjoy! :D 




Pairing/Characters:
Dean, Castiel, Lisa e Ben. Lisa/Dean; Dean&Ben; Ben&Lisa; Dean&Sam; Dean&Castiel – o Dean/Castiel. Insomma, come vi pare. Whatever, Dean!Centric. (ma con due paragrafetti POV!Lisa, così, tanto per)
Warnings: fluffangst, introspettivo-malinconico, flussi di coscienza (circa), flashback, flashforward, Barry Allen, molto non e poco sense. Missing moment della 6x21Let it bleed. Questa è una una OS “scoppiata”, anzi, termine tecnico: incasinata (credits per la ricerca scientifica: © Kiri XD) . Lettori avvisati... eh.
Disclaimer: Supernatural non è roba mia, a scriverci non ci cavo un euro. Giù le mani dal mio esaurimento nervoso, però, ché ne sono gelosa.
N/A: voglio che si sappia che una parte di me è un pochino morta, alla fine della 6x21. È che, capite, feels. Neanche li shippavo esageratamente, Lisa e Dean (cioè, anche. Li shippavo anche, ma non erano fra le mie OTP. Eh. Però adoravo la LisaxDeanxBen – cioè, che kawai è Dean che prova a fare il padre e il marito?). Non è questo: è che, insomma, voi capite, la perdita sovrannaturale di memoria di una parte di una ship – che sia BROTP, OTP, VATTELAPESCATP – mi fa sempre stare un sacco male. Sì, David Russell, parlo di te (Moffat, tu non ridere). Così, ecco, eh, ho odiamato un vastosacco chiunque abbia avuto l'idea di far prendere quella decisione a Dean (fra parentesi, NON NE AVEVI IL DIRITTO) – e quindi niente. Ho pianto, sì (non tanto quanto ho pianto per colpa di Russel – NESSUNO DI VOI NE AVEVA –, but okay, I regret nothing): non me ne vergogno (un pochino, ma tanto non ho una dignità da difendere, so, well...).
E questo è quello che succede quando la ggggente mi fa piangere. La Destiel, ehm – la Destiel presente nella OS è un effetto collaterale di quella che invece è la mia OTP nello show – ma nessuno vi impedisce di pensarla come BROTP se ne avete il coraggio
So, bonne lecture (ah-ah-ah)

 

 

 

 

 

 

 

(N)ever

 

mai

non-mai

 

(for ever)

per sempre

s e m p r e s e m p r e s e m a i p i ù

 

 

Lisa lo sta fissando e non lo guarda, non lo guarda davvero, neppure come quando lo ha visto la prima volta, gli occhi lucidi di alcool ed un sorriso sfrontato – «Faccio yoga,» gli ha detto, sussurrato contro l'orecchio, quella volta. Faccio yoga, mio Dio- Dean avrebbe dovuto capirlo subito che l'avrebbe fregato.
Non lo guarda come l'ha guardato la prima volta che l'ha visto, in mezzo ad una calca di gente sudaticcia e: «Vuoi che t'insegni?» – Dean aveva riso. Insegnarmi...? Non avrebbe dovuto ridere. Non si guarisce da due occhi del genere.
Non lo guarda come l'ha guardato allora e neppure come l'ha guardato poi, otto anni dopo, un bambino col sorriso sporco di panna che correva da una parte all'altra come una pallina lanciata a velocità supersonica, gli occhi sgranati e la bocca a forma di O. Non gli chiede: «Che ci fai qui?!» non non non- 
(Non può ricordare quel giorno in cui...)
Dean la guarda negli occhi – occhi così, occhi che rimangono sotto pelle, ferite inguaribili, brucianti, occhi che l'hanno guardato, un tempo, e visto e perdonato (amato) e guarito – e non vede più le sue risate, non più, nessuno di quegli impossibili istanti, lunghissimi, lentissimi, battiti di ciglia, nessuna carezza sorriso sospiro, non vede più – non esistono più – le ore passate a baciarsi, i film, la sera, le patatine rovesciate sul divano, i vestiti lanciati lontano, le risatine, Fai piano, fa’ piano, c'è- c'è Ben, ah, Ben, al piano di sopra, il rossore da adolescente e l'ancheggiare totalmente consapevole, nulla, non c'è più nulla, sono solo occhi marroni – banali occhi marroni (che lo trafiggono e lo lasciano immobile a cercare di ricordare come si respira). Non c'è mai stato, il loro non-proprio-primo-appuntamento – nove anni e sette mesi dopo il loro reale primo incontro – né la prima volta che hanno cucinato insieme e poi hanno dovuto chiamare il take away più vicino, perché Ben era arrivato e la cucina era in uno stato pietoso, loro erano in uno stato pietoso, ma Ben è un bambino lungimirante e non aveva chiesto – li aveva fissati, però, con quegli occhi così simili alla madre, adulti, paurosi, e poi aveva inclinato il viso da una parte: «Oggi pizza?» aveva chiesto, sentenziato. E Lisa aveva riso. 
Non ci saranno mai più, ecco, non ci sono mai state, le risate di Lisa. Non ci saranno mai più, non ci sono mai state, le sue mani sui suoi fianchi, Dean non le ha, avrà, mai (mai più), fatto il solletico, non non non-

Non c'è più quel momento dilatato nell'eternità, quello spasimo del cuore

(quando)

non c'è più
non c'è mai stato

non le ha mai detto
mai

(per la prima volta le ha detto)

Ti amo

M a i m a i m a i m a i 

t i a m o m a i

(ti amo)

mai più

 non c'è mai stato.

 

 

Galleggia in un'inconsistenza morbida di cotone, quando Castiel le sfiora le fronte. Castiel – d'improvviso sa, l'ha sempre saputo, ch'è Castiel, Castiel, l'angelo di Dean, l'angelo custode di Dean, o quel che più assomiglia al concettoCastiel. È un soffio appena, più inconsistente d'un fiocco di neve disciolto, un battito d'ali, un ciclone dall'altra parte del mondo. È un attimo, uno solo, e basta a cancellare un anno di vita, un anno ch'è una vita, un anno ed un weekend, un anno, un weekend e mesi passati ad aspettare (e temere che-). Mesi passati a nascondersi, giornate intere passate a chiedersi se avrebbe mai trovato qualcuno (che non fosse Dean. Che la facesse sentire  come Dean) e poche ore, immobilizzata nel proprio corpo, costretta a fare dire pensare cose che non avrebbe fatto detto pensato mai, se- Sono risa e lacrime e litigi e birre e biro consumate, sono capelli tagliati corti, sono smorfie, e occhi alzati al cielo e cuscini tirati. Sono favole raccontate la sera a Ben, sono favole ascoltate di nascosto, appoggiata allo stipite della porta. Sono parole parole parole, ed è sangue sulle mani di Dean, e di tutti loro – sangue d'ovunque e sofferenza ed un infanzia rubata (mai esistita). Sono ore passate a sfiorarsi, a sussurrare, sono foglie che volano spazzate dal vento, un giardino curato, la scatola degli attrezzi. È una foto nuova appesa alla parete, lo sguardo fisso lontano, è Sam, Sammy, sempre Sam, negl'incubi, nelle carezze, nelle notti insonni. È Lucifero, sono gli Angeli, Michele, è un Dio che non c'è. Sono i racconti di Dean.
È Castiel.
Castiel (Dean le ha parlato tanto, così tanto, di lui) che le sussurra piano qualcosa in una lingua antica, sconosciuta, simile all'istinto che ringhia nel fondo dello stomaco. È Castiel che mormora e culla – cancella piano, ogni piega dell'anima.
Non è brutto, è quasi piacevole.
È come un sogno.
È un po' malinconico, tuttalpiù, ecco, ma d'una malinconia bella, quasi dolce, come un groppo in gola che non fa male. È come sarebbe morire se fosse scivolare dall'altra parte della vita – con grazia, una sorta di delicatezza. Quasi quasi è un'armonia. È la nenia antica di ciò che non se ne andrà mai, ma mai neppure ricorderà: è lo spasmo al cuore nel vedere Dean sorriderle, strizzarle l'occhio, scompigliare i capelli a Ben. È il sussurro del vento, sono momenti perduti p e r d u t i – è non avere la chiave del lucchetto d'uno scrigno da sempre conservato. Un po' è persino piacevole: aprirlo, significherebbe non avere più sorprese, rovinare la magia.
C'è un mistero, dietro la carezza lenta della voce di Castiel, ed è un mistero fatto di nuvole e baci e notti bollenti. A Lisa piacerebbe poterlo ricordare per potersi rigirare nella mente ogni secondo o g n i s e c o n d o ogni secondo di quel sogno già perduto. Non fa niente.
Lo risognerà.

(Chi è Dean?)

 

 

 

Ed è vero, che non ci sono più i baci (i baci lenti e i baci a schiocco, i baci lasciati di fretta da sopra il bancone di cucina. I baci stanchi, la sera, e i baci languidi di quand'è stata una buona giornata – non ci sarà più quell'intera vita fatta di baci, baci e normalità rosicchiata, una quotidianità tanto anelata che quasi gli andava stretta, alla fine: ma la salvavano i baci; i baci. Oh, Lisa è sempre stata brava a baciare – e Ben. Ben e i suoi sorrisi, le sue fossette, le sue gambette corte lanciate per la strada del quartiere. Ben che rideva ed ascoltava ed imparava in fretta; e sarebbe stato un'ottimo guidatore, un giorno, un ottimo padrone d'Impala. La tragedia, la tragedia sta nei verbi al passato). Non ci saranno, però, (non più) neanche, (mai state) le urla. Il dolore, il demone, e la paura – la paura totalizzante e la fiducia con cui l'ha fissato (con cui Lisa l'ha guardato, con cui Ben l'ha chiamato), l'esorcismo, gli attimi minuti ore che è stata a cavallo fra vita e morte, più morte, per colpa sua, sua, sua e solo sua (sua sua sua suasuasuas- sua. S o l o s u a).
Non ci saranno (non esistono più) le lacrime che Lisa ha versato al posto suo, quando le ha raccontato di Sam (Sam, oh, Sammy, e Lucifero, il suo grande e coraggioso Sammy – ch'era nella Gabbia, è stato nella Gabbia – Sai, Lisa, è nella Gabbia, e c'è Lucifero, con lui, l'ho lasciato solo, è solo, con Lucifero, e Michele, cazzo, che forse è pure peggio, perché gli Angeli sono dei maledetti figli di puttana, non hai un'idea, no, grazie a Dio- o forse non grazie Lui, non so, non è questo il punto) e non esistono più quegl'infiniti dieci giorni di silenzio, in cui arrivava e lo abbracciava, di notte e (in silenzio)

ascoltava.

 

Non esisteranno più, le giornate in cui Dean e il suo tacere l'hanno ferita, non sono mai esistite quelle in cui Dean e le sue parole l'hanno annientata. Non è mai stato assente, non c'è mai stato, no no no-
Non c'è mai stato dolore, non per colpa sua – Dean non esiste.

Chi è Dean?

 

 

 

È facile: deve solo andare lì e dirle: «Ti ho investita.»


In realtà non le dice così: le dice Sono quello che vi è venuto addosso. No, prima si presenta, Io sono Dean, quello che vi è venuto addosso, perché una parte di lui si odia a morte per ciò che ha appena fatto e l'altra parte si odia per non avere avuto il coraggio di farlo prima. Aggiunge, anche: Mi sono distratto un momento, ma quello che vorrebbe dir loro è: Mi sono illuso che potesse funzionare. Fa un sorriso-smorfia di quelli che procurano una cervicale solo a guardarli e Sono molto felice che stiate bene (e questo è esattamente ciò che voleva dire. Esattamente nel modo in cui voleva dirlo) e sono contento che la vostra vita possa tornare alla normalità (anche questa parte è riuscito a sputarla come l'aveva pensata. Solo che, nella sua testa, era meno fuori luogo)
(non ricorderà nulla, non esisterà più nulla, non ci saranno più le colazioni e i sorrisi, e le risate e le birre, la sera, sul divano. Non ci sono mai state: mai mai, mai)
senza di me. Questo ovviamente non può dirlo. Ma il punto è questo: senza di me.  Senza di me andrà molto meglio, vedrai, Lisa. Lei gli sorride, ed è un po' stordita, e molto gentile, perché non dovrebbe sorridere a chi (le ha rovinato la vita) l'ha investita: L'importante che stiamo bene, no? bisbiglia. (Stai bene, gli ha sussurrato una notte, fra i capelli, una volta che s'è svegliato di colpo ansante ed ha portato di scatto la mano sotto il cuscino per stringere una pistola che non c'era. Stiamo bene, stiamo tutti bene, stiamo bene stiamo bene stiamo bene). Dean è fiero di poter dire, a questo punto, che la voce gli è uscita solo un po' strozzata, nel dire Già. (Starete bene senza di me.)


Alla fine, è stato facile (forse un giorno potrà dirlo). È solo dovuto andare lì a dirle Ti ho investita. Magari avrebbe potuto anche aggiungere: «Mi dispiace.»


È Mi dispiace per ogni lacrima che ha versato per colpa sua, per ogni stretta al cuore, per ogni speranza infranta, per ogni istante in cui ha rischiato inutilmente la vita – la vita sua e di Ben – pur di curare ferite inguaribili. Ferite che non erano né sue, né di Ben, non di sua competenza, solo pura bontà – amore. Ed è Mi dispiace per ogni cosa che non hanno fatto, Mi dispiace per ogni cosa che avevano progettato di fare e non faranno mai. È Mi dispiace per le serate che passerà da sola, per i momenti in cui non avere una spalla nel crescere Ben le peserà tanto da schiacciarla. Mi dispiace vale per tutte le partite che si perderà, per la cerimonia di diploma a cui lei accompagnerà il figlio da sola. 
È Mi dispiace – però, soprattutto – per non essere stato all'altezza. Per averli coinvolti in quel film dell'orrore ch'è la sua vita.
Davvero, pensa. (Ha sempre saputo che sarebbe arrivato il momento in cui Mi dispiace sarebbe stato il massimo, e sarebbe stato inutile comunque): Mi dispiace.
Se solo servisse a qualcosa.

 

Amare qualcuno non dovrebbe rendergli la vita un'Inferno.

 

 

(Ti ho amato così tanto, perdonami, perdonami se non sono stato in grado di andarmene prima che-
Ma non è qualcosa che si possa perdonare, e allora Mi dispiace
Mi dispiace è okay, rende l'idea, vagamente, di quando male faccia saper di aver ferito – ed è così profonda la cicatrice, così enorme. Cas è davvero in grado di lenire le ferite di Lisa come ha fatto infinite volte con le sue?  
Mi dispiace. È stata una bella notte, otto anni fa niente di più.


T i a m o  t i h o a m a t o  t i a mai


mai più


Non è successo niente di più.

 


La tragedia sta nel verbo al passato.)

 

 

 

Lisa guarda questo tipo – l'ha investita. Ha rischiato di far male a Ben. Dovrebbe essere arrabbiata.
Lisa lo guarda andare via e sente una malinconia strana, dolce e straziante, stringerle il petto, mentre fissa le sue spalle e la nuca, e il lembo della giacca che sparisce nel corridoio e vorrebbe piangere – ma dev'essere per il mal di testa – e vorrebbe dirgli Aspetta, aspetta un attimo – ma dev'essere la morfina che le annebbia la mente – e vorrebbe dormire – c'è un sogno, un sogno, un sogno che le pare d'aver fatto e non lo ricorda, ma c'è qualcosa, uno sbuffo setoso, una sensazione che- Un attimo e poi niente, no, nulla, la sensazione è già scomparsa (ma era un bel sogno, un bel sogno sì).
«Vieni, Ben,» gracchia e le fa male tutto, t u t t o. (Vieni, Ben, sente un'altra voce, ad eco, Vieni, andiamo a dormire, ché la mamma è stanca.) Ben si arrampica sul letto e la stringe forte – forte. Il suo bambino – e Lisa chiude gli occhi.
È qualcosa che le scalda le viscere, in fondo allo stomaco. È lo strascico di un sogno che
(Un sogno strano. Bello, sì. Bello, ma triste, anche, a tratti, triste di quella bellezza struggente, annientante, caldissima, bello come lo è la vita).
ma si è svegliata. Sul più bello (proprio sul più bello) si è svegliata. 

 

Non importa

se chiude gli occhi 

lo rifarà.

 

 

(Vieni dice una voce, ed è calda, un po' roca, e proviene dal lavello. Vieni, Ben, ché la mamma è stanca e deve riposare. Ben mugugna qualcosa e se non chiede E la mia storia?, lo fa solo perché è grande ed a otto anni i bambini non hanno bisogno della favola della buona notte. Ma — Vieni, dai, ti ho mai raccontato di quella volta che...?, fa la voce, ed è una voce familiare e bellissima – Lisa la conosce, sa a chi appartiene, l o s a, ma chi- – affettuosa: Ti ho mai raccontato di quella volta che il capitano Sam salvò il mondo da Lucifero grazie ad una porta magica fatta da anelli? Andiamo a dormire che te ne parlo, su!)

 

 

 

 

 

Coi bambini, dice Castiel, coi bambini è diverso. Con Ben sarà diverso. È che i bambini sono come spugne, non scordano mai nulla, assorbono tutto, proprio qualunque dannata cosa, hanno miliardi e miliardi di neuroni specchio. Ben non potrà dimenticare (la prima volta che è andato allo stadio, e i pomeriggi, gl'infiniti pomeriggi, passati a lanciare e prendere e ricevere un pallone e ridere e a sporcarsi i vestiti d'erba, gli hot dog con la senape nel parco e le corse sfrenate per arrivare a casa per l'ora di cena), non ricorderà, ecco, non ricorderà chi gli ha regalato il suo primo pallone da football e chi l'ha accompagnato a giocare a dogeball, o chi gli ha insegnato a montare e smontare un motore a tempo record. Non ricorderà – mai, questo no, mai più – chi rallentava all'ultimo nelle gare di corsa per farlo vincere e fingeva di non vederlo scivolare in cortile prima di aver finito i compiti, non ricorderà con chi ha passato ore ed ore alla playstation, non saprà chi è stato a insegnargli a lanciare e ricevere, non saprà che viso aveva quella voce tranquilla, che raccontava storie incredibili e lunghissime, quando la mamma arrivava tardi dal lavoro e si addormentava sul divano. Ma- Non avrà idea, no no, non ce l'avrà, che è stato Dean, Dean, Dean chi?, ma saprà che qualcuno è stato – non potrà dimenticare come si ride in compagnia di un padre. 
Sono cose che
(sono cose che Dean non ha idea, neppure lui può saperlo, quanto rimangano intrappolate nel cervello, un solletichìo incessante alla memoria inconscia, la mano grande e calda e amica che l'ha aiutato a fare i primi passi, il sorriso accecante alla sua prima parola – lui però ricorda, ricorda della mano che gli ha messo in braccio il suo primo fucile e della pacca sulla spalla al suo primo centro perfetto.
Ben no.
Non lo ricorda.
Ma lo sa. Lo sa anche lui, anche se non sa di sapere che-)
— Sono cose che, Dean, mormora Castiel e quasi si sta scusando, ma no, no, forse lo sta consolando: Sono cose che non posso cancellare.

Nessuno può.


(Forse.

Forse solo Dio-)

 

Ci sono state.
Sono ancora lì, perse da qualche parte nell'universo mondo dei ricordi assopiti dei bambini che
imparano e imparano e non ricordano ma
sanno.

 

 

 

Quindi, Dean. Quindi
Le giornate con Lisa non esistono più, ma una volta – una fiaba lontana, un'avventura incredibile, con pirati (il capitano, Sam, era un tipo un po' strano, troppo alto e scrupoloso) e sirene cattive, (Serotonina, ossitocina, sai, Ben, come quando mangi troppo cioccolato, come quando ti piace tirare le trecce alla tua compagna di banco) – una volta, forse in un c'era una volta, un passato remoto, lontanissimo, impossibile – insomma, una volta: ci sono state. E non sarà Lisa, non sarà lei (per lei resterà solo un calore inspiegabile, un'attimo prima di addormentarsi, qualcosa d'intangibile e profondo, solo quello, una malinconia opaca – forse, forse...) a sentire una morsa alle viscere quando passa Dottor Sexy MD in tv, non sarà lei, è vero, non sarà lei a mordere con foga panini alla Nutella pensando che, che- 

Papà?

Chi è Dean?

 

Non sarà Lisa, non lei, ma non sarai solo tu a sorridere nell'ascoltare take a sad song and make it better. Remember to let her into your heart, then you can start to make it better. Don’t carry the world upon your shoulders for well you know that it’s a fool who plays it cool, by making his world a little colder.

Non sarai il solo.

 

Non sarai il solo, dice Castiel – o forse non lo dice e lo pensa soltanto, coi pensieri di Dean. China la testa da un lato e prima che possa scostarsi gli stringe per un attimo la spalla (lì, proprio lì, sulla pelle bruciata, proprio dove ha lasciato l'orma come un bambino sulla sabbia – lì dove l'ha afferrato e stretto fortissimo per tirarlo fuori dalle fiamme dell'Inferno). Poi, scompare. Dean non dice niente – lo sente, però. Non c'è bisogno d'altro.


Non sei solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il delì-rio di Delì: giuro che questa volta le note a qualcosa servono. Più o meno.
Prima di tutto, uhm. No, non ho preso una botta in testa e non ho deciso ad cazzum di spaziare tutto d'un colpo le parole fra una lettera e l'altra per rendere più delirante il testo – è una cosa voluta, non un litigio con l'HTLM (cioè, sì, l'idea è comunque quella di rendere più ©Delirante il testo, tonikakù). Pure lo sbarrato, che ad un certo punto (nel paragrafo del Mi dispiace, tanto per capirci) appare è una cosa voluta, anche se è un esperimento e di solito non lo faccio perché sbarrare le cazzate che nessuno legge nelle note è una cosa, ma sbarrare il testo serio mi ha sempre messo una certa ansia (prego notare la compitezza di Delì nel definire una propria fic seria). Ad una certa, per dire, ho pure mancato una virgola prima del ma – […] da qualche parte nell'universo mondo dei ricordi assopiti dei bambini che imparano e imparano e non ricordano ma sanno – e GIURO CHE NON LO FACCIO MAI. La virgola prima del ma è una specie di undicesimo comandamento, è sacra, e io la amo con l'intensità di mille soli, ma questa volta (ah-ah, visto? La v i r g o l a) è un'altra cosa voluta. Cioè, è proprio che sta a far capire che non bisogna riprendere fiato fra “ricordano” e ”sanno”. Tutte le altre virgole mancate e tutte quelle ripetute ad oltranza, pure, non è che è demenza senile in anticipo: è tutto calcolato seh, seh, dicono tutti così, ma chi vuoi pijà per il culo? Pure le frasi interrotte da questo trattino “-” o da questo trattone “—”: ripeto, gente, niente panico, fa parte del piano per conquistare il mondo.
Allineato a destra sta il POV!Lisa, tutto il resto del testo sparso è Dean!Centric.
Tutti gli altri orr- errori siete giustificatissimi ad urlarmeli contro con astio.
“La tragedia sta nel verbo al passato”, che viene ripetuto due volte, è una citazione da Il re e il suo giullare, di Margaret George («Nessuno aveva mai amato come io avevo amato Anna. La tragedia stava nel verbo al passato» – Enrico VIII su Anna Bolena)
— “Amare qualcuno non dovrebbe rendergli la vita un'Inferno” e 'n'artra semi-citazione di SPN (lo dice Dean a Ben, ad una certa, anche se in termini meno tragggicih.)
— “Non sarà Lisa, non lei, ma non sarai solo tu a sorridere nell'ascoltare take a sad song and make it better. Remember to let her into your heart, then you can start to make it better. Don’t carry the world upon your shoulders for well you know that it’s a fool who plays it cool, by making his world a little colder”, mi riferisco ovviamente ad Ehy Jude, dei Beatles, che, ci viene detto nonmiricordoquando ch'era la canzone che cantava Mary a Dean per farlo dormire – ho immaginato che Dean avesse automaticamente uploadato la canzone anche nella testa di Ben. (I due versi sono rispettivamente della prima strofa e della terza, ma li ho uniti perché sono quelli che, secondo me, fanno più Dean).
— Sì, mi divertono i giochi di parole stupidi quali: Ti amai, mai; ever, never, for ever; etc. Lo so, lo so, mi accontento di poco.

 
  
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