Il forte rumore
di qualcuno che bussava alla porta dell’appartamento con
forza ed insistenza
destò Ryo dal suo giusto sonno; ancora rimbambito dalle
poche ore passate a
letto, e soprattutto dalle troppe bevute fatte con il compare Mick la
notte precedente,
mentre se la spassavano per localini equivoci, lo sweeper scese dal
letto col
piede sbagliato, solo in boxer, furibondo con chiunque avesse avuto la
malsana
idea di andarlo a disturbare a quell’ora, Python in mano
pronta a servire la
sua vendetta.
“SI
PUÒ SAPERE CHE CAVOLO VOLETE A
QUEST’ORA!?” Tuonò appena
aprì la porta, senza troppi indugi; non avvertiva pericoli,
tuttavia sentiva
chiaramente la presenza di Saeko, e che la poliziotta era…
preoccupata? Sì,
però c’era chiaramente qualcos’altro -
era nervosa,
più che altro.
“Saeko. A cosa debbo questo
onore?” le
domandò, incrociando le braccia e lasciando che la sua amata
Magnum, compare di
tante avventure, rimanesse in bella vista. Squadrando la donna
dall’alto in
basso con un’espressione interrogativa,
solo allora lo sweeper si rese conto che la bella
poliziotta non era
sola. Con lei c’era un ometto, piccolo, mezzo pelato,
così magro da sembrare
patito e con una pessima cera, talmente pallido che probabilmente non
aveva mai
visto il sole in tutta la sua vita. Aveva inoltre un paio di occhiali
così
piccoli che davano al suo viso la conformazione della testa di un topo.
Lo sweeper non disse nulla; si limitò a
lanciare un’occhiata molto eloquente alla donna, come a dirle
che lo aveva
capito che la sua visita avrebbe nuovamente significato rogne per la
premiata
ditta City Hunter… con lei erano sempre
problemi, ma quando riusciva ad appioppargli clienti maschi le cose
andavano
ancora peggio, perché se le donne si lasciavano incantare
dalla sua aria da bel
tenebroso, gli uomini finivano per innamorarsi, tutti, di Kaori.
Unico lato positivo di tutta quella
faccenda che certamente avrebbe portato guai: il tipo era orrendo,
quindi,
fosse ben finito a correre
dietro a
Kaori come tutti gli altri, la bella rossa ci avrebbe pensato due volte
prima
di accettare le avances di un tipo del genere.
Aveva gusto, lei, in fatto di uomini,
come dimostrato dal fatto che fossero anni che era pazza di lui.
“Ehm, Ryo, sono qui per
lavoro… cioè,
non solo!” la donna ammise, entrando forzatamente nello
spazioso appartamento,
seguita dall’ometto che continuava a sistemarsi gli occhiali
su quegli
occhietti malefici, squadrandolo con un’aria a dir poco
rancorosa. Senza
aspettare che lui dicesse o facesse qualcosa, Saeko prese Ryo a
braccetto, e lo
trascinò verso la zona cucina, lasciando l’ometto
a sedere sul divano da solo,
la ventiquattr’ore di logora pelle tenuta compostamente sulle
ginocchia quasi
fosse un trofeo o un prolungamento di quell’essere.
Una volta trovatasi faccia
a faccia con Ryo, Saeko prese a controllare
che l’ometto non li stesse guardando né stesse
origliando la loro
conversazione, dopodiché, prese a sbattere i suoi grandi
occhi con fare
sensuale, nella speranza di addolcire qualunque pillola stesse per
lanciargli. Ryo,
che aveva capito che tirava male e che sentiva la puzza di rogne
lontano un
miglio, la guardava risentito e nervoso, talmente seccato che non ci
aveva
nemmeno provato con lei.
Non tirava aria, ed era decisamente
meglio che la donna lo capisse.
Continuarono a guardarsi, ma Ryo
sentiva che Saeko faceva fatica a mantenere il contatto visivo;
inoltre, non
aveva ancora spiaccicato mezza parola, tutte chiare indicazioni che la
donna
non aveva il coraggio di dirgli qualcosa
di a dir poco fondamentale. Cosa
aveva
combinato stavolta? In che guai li aveva cacciati? Per un attimo il
cuore dello
sweeper fu attanagliato dal panico più profondo….
Dov’era Kaori? La sera prima
lei, a cena, gli aveva detto qualcosa, ma dopo le parole Ryo,
ricordati che domani lui aveva solo finto
di prestare attenzione, preferendo concentrarsi
(nascostamente)
sulla porzione di pelle lasciata in bella vista dalla scollatura. Cosa
gli
aveva detto? Era importante? Dov’era finita? Le era forse
capitato qualcosa?
Prese a guardarsi intorno alla ricerca di indizi, ma nulla,
cercò di ricordare
cosa gli avesse detto ma nella sua mente c’era solo un grosso
buco nero.
Saeko, quasi avesse compreso lo stato
d’animo del vecchio amico, mise le mani avanti per
tranquillizzarlo,
assicurandolo, con un tenero sorriso quasi materno, che la sua visita
non
riguardava la sua socia.
“Tranquillo Ryo, non sono qui per
Kaori. La questione è un po’ delicata ma riguarda
te. Vedi, il fatto è che
ultimamente mi hai aiutata parecchio nelle indagini, ed inoltre il
contributo
di City Hunter è stato cruciale nel risolvere la delicata
questione dell’Union
Teope ma anche per quel che riguarda il tentato colpo di stato nella
Ratuania.”
La donna sospirò. Incrociando le braccia, si
poggiò a uno dei mobili della
cucina, guardando, risoluta e determinata, Ryo: era lampante come il
suo comportamento
di poco prima fosse stato messo in atto a beneficio del piccolo
burocrate da
strapazzo che occupava il salotto. “Purtroppo però
in questo modo il tuo
operato non ha più potuto passare inosservato come faceva un
tempo, e mio padre
per primo si stava insospettendo per
le tue intromissioni nei casi della
polizia, in più ricordati che adesso lui ti conosce
direttamente, dopo quello
che è successo con Yuka. Per questo, con l’aiuto
del Professore, abbiamo creato
una vera identità ufficiale a Ryo Saeba, inserendolo nel
libro paga della
questura di Tokyo in qualità di consulente
investigativo.”
“Ufficiale o no,” Ryo le si
avvicinò,
mettendole il broncio nemmeno fosse stato un bimbo di tre anni, il suo
comportamento l’opposto di quello serio di Saeko.
“Io pretendo i pagamenti in
natura! Con arretrati! Ed interessi! Chiaro?” Le
sibilò contro. Saeko sospirò,
scuotendo lieve il capo: Ryo non sarebbe mai cambiato, forse aveva un
po’
affievolito i bollenti spiriti dopo il matrimonio di Miki e Falcon di
poco più
di un mese prima, ma Saeko immaginava che ci fossero alcune cattive
abitudini
ormai così radicate nello sweeper che sarebbe stato davvero
difficile fargliele
perdere. Inutile dire che considerava Kaori a dir poco una santa, e che
ogni martellata
che l’uomo si prendeva era più che meritata.
“Ma vuoi smetterla sì o no e
farmi
finire il discorso?!” La donna gli coprì la bocca
con le mani, spingendolo letteralmente
in un angolo mentre
continuava lanciare
occhiate furtive
all’omino, che si era messo a controllare
l’orologio e muovere ritmicamente il
piede, in preda al nervoso e probabilmente stufo di starsene in
disparte ad
aspettare i porci comodi dei due. “Ryo, ascolta, hai litigato
col Professore?
Gli hai fatto qualche torto?”
Lo sweeper ci pensò su. Lui ed il
professore in linea di massima andavano d’amore e
d’accordo, il buffo ometto
era stato, dopotutto, un mentore ed una sorta di padre putativo, e se
Shin gli
aveva insegnato a sparare, il vecchietto gli aveva insegnato tutto il
resto. Ma,
effettivamente, alcune settimane prima c’era stato un piccolo
inghippo, subito dopo il matrimonio
di
Umi e Miki. Ryo aveva insistito perché Kaori si facesse dare
una controllata, e
casualmente, mentre il vecchio
stava
provando a palparla, a lui era partito un colpo dalla Python, che aveva
portato
via una delle poche ciocche di capelli ingrigiti dagli anni che il
satiro aveva
ancora in testa.
Effettivamente, quella volta gli aveva
promesso che se la sarebbe legata al dito.
“Ehm…
perché?” Aveva paura a chiederlo.
Sudava freddo e dentro si sentiva tremare, avvertiva i guai che era
certo si
stessero avvicinando pericolosamente con ogni parola della donna,
pronti a
travolgerlo e sconvolgere la sua esistenza.
Tuttavia, doveva
sapere: era una questione di professionalità, era imperativo
che uno sweeper fosse sempre al corrente di ogni minaccia, di ogni
pericolo
alla sua persona, poco importava se, per l’ennesima volta,
l’attacco proveniva
da qualcuno a lui vicino- a lui caro. Socchiudendo gli occhi, Ryo prese
un
profondo respiro, pronto ad affrontare il tradimento. Sarebbe stato
difficile,
più doloroso forse della sofferenza inferta da Kaibara, ma
avrebbe fatto in
modo di farsela passare. Come tutte le altre volte.
“Quando ha creato il tuo file, il
Professore
ha insistito perché la tua nazionalità non fosse solo Giapponese, secondo lui non era
plausibile. Secondo i dati che
ha falsificato, sei nato in Colombia da madre Colombiana e padre
Giapponese, ma
dato che non hai risieduto a Tokyo fino all’età
adulta non hai mai chiesto la
doppia cittadinanza, limitandoti
ad
ottenere un permesso di soggiorno temporaneo.”
Ryo ingoiò a vuoto, sudando
copiosamente, dopo aver udito quella parola. Temeva dove Saeko stesse
andando a
parare, e non era certo che gli piacesse – per nulla- e se
l’aria affranta
della donna significava qualcosa, voleva dire che lo stesso valeva
anche per
lei.
“Ryo, io non so cosa tu abbia fatto al
Professore per farlo arrabbiare così, ma quel vecchio babbeo
ti ha messo alle
calcagna l’immigrazione, e se non ti inventi qualcosa
subito…” La donna gli
sbraitò contro a bassa voce, afferrandolo per il collo e
dandogli una bella
scrollata perché capisse la gravità della
situazione.
“ISPETTORE
NOGAMI, ADESSO BASTA!” L’ometto saltò
in piedi, ringhiando, rosso in
volto che quasi pareva fosse un palloncino che si apprestava ad
esplodere;
sbatté i piedi a terra, quasi a voler sottolineare la sua
impazienza, e di quanto
fosse stufo di quel comportamento che
lui vedeva come a dir poco infantile ed al limite della
legalità. “Vorrei
ricordarle che è estremamente poco professionale appartarsi
con il signor Saeba
per discutere i particolari del suo caso!”
“Ma, ma no signor Shinsato, cosa
dice,”
la donna impallidì, e ridacchiando mise le mani avanti.
“Il signor Saeba ed io
stavamo discutendo di un vecchissimo caso, sa, tanto lavoro, a volte la
memoria
fa cilecca, eh, eh…”
“Ancora peggio! Senza un permesso di
soggiorno valido se il Signor Saeba lavora per lei dietro compenso
economico si
tratta di un crimine punibile con fino a sette mesi di reclusione ed
una
sanzione pecuniaria per il datore di lavoro!”
“Compenso? Questa sono anni che non
salda nemmeno mezzo conto, ha un debito arretrato lungo un chilometro,
altro
che lavorare dietro compenso, ma non scherziamo!”
Sbuffò Ryo, grattandosi la
testa. “Allora, si può sapere cosa devo fare per
rinnovare il mio… permesso di
soggiorno? Dove devo firmare?”
“Signor Saeba!”
L’ometto sibilò,
avvicinandosi allo sweeper con espressione minacciosa e decisa, quasi
letale,
la valigetta che aveva in mano un’arma forse più
pericolosa delle automatiche
che Ryo si era
trovato ad affrontare nel
corso della sua tumultuosa vita.
La burocrazia, il vero nemico
dell’umanità.
“La sua situazione non è
così semplice.
In questi mesi, mentre era sprovvisto di un permesso di soggiorno
valido, mi
risulta che lei abbia anche lasciato il paese in almeno due
occasioni, ed inoltre, c’è anche la
questione dei documenti non
presentati. Mi vedo quindi costretto a chiederle di fare immediatamente
i
bagagli cosicché la possa imbarcare sul prossimo volo e
deportarla nel suo
paese natale.”
Ryo sbatté le palpebre mentre un vento
gelido attanagliava il suo intero essere: non aveva la
benché minima intenzione
di tornarsene in Sud America, lì era dove tutto era
iniziato, dove la sua vita
aveva cominciato ad andare a rotoli ed era stato privato della
possibilità di
vivere un’esistenza simile a quella di tutti gli altri
bambini. E comunque, da
quelle parti c’era ancora parecchia gente che ce
l’aveva con lui per il suo
irruento passato da guerrigliero: andare in Colombia significava
gettarsi nella
fossa del leone con la piena intenzione di farsi divorare.
“De… deportarmi?”
Balbettò, gli occhi
sgranati.
“Per almeno un anno, sì.
Passati dodici
mesi sia lei che il suo attuale datore di lavoro, ovvero il
Dipartimento di
Polizia di Tokyo, potrete appellarvi alla mia decisione, ma, come le ho
detto,
è imperativo che lei lasci il paese al più presto
se non desidera peggiorare ulteriormente
la sua situazione.”
L’ometto si sistemò gli
occhialini sul
viso, e guardò Ryo con un’espressione di trionfo,
che lo rendeva alquanto
sinistro e minaccioso, e che rese ancora più consapevole lo
sweeper di come il
vero nemico dell’umanità fosse la burocrazia ed i
suoi ufficiali, e non folli
generali governativi che tentavano golpe a destra e manca e poi
rapivano
manesche donzelle dai capelli rossi nel giorno del matrimonio della
loro
migliore amica, quando si presupponeva che suddetta donzella afferrasse
il
bouquet, per poterla prendere in giro prima e chiederle scusa poi,
rubandole
magari anche un bacio o due.
Ed intanto, mentre l’ometto sghignazzava
sotto ai baffi che non aveva, una miriade di domande presero piede
nella mente
di Ryo, mentre sentiva risuonare nel cervello, come un martello
pneumatico, la
vocina stridula di quel burocrate da quattro soldi pieno di complessi:
cosa ne
sarebbe stato di City Hunter? E chi avrebbe vegliato sugli abitanti di
Shinjuku? I vecchi nemici sarebbero corsi a fare la pelle ai suoi
alleati, ai
suoi amici – la sua famiglia-
per
fargliela pagare? E Kaori… cosa sarebbe successo a Kaori?
Tutti quelli che
credevano fosse la sua donna, o che comunque sapevano quanto lui
tenesse a lei,
che lei era l’altra metà di City Hunter, sarebbero
accorsi per prendersela con
la giovane, colpendola per distruggere il grande Ryo Saeba?
E lui, con tutti i nemici che ancora
aveva in Sud America, quanto sarebbe durato? Sarebbe sopravvissuto,
senza
nessuno a guardargli le spalle, senza una vera ragione per svegliarsi
la
mattina?
No. Doveva inventarsi qualcosa. Trovare
un modo di rimanere in Giappone, ma come?
Lui e l’ometto si stavano
fronteggiando, in una lotta fatta di letali sguardi silenziosi, quando,
lentamente, la porta d’ingresso si aprì, con un
sinistro cigolio che sembrava
preannunciare la fine del mondo, e fu esattamente così che
Ryo si sentì quando
intravide i disordinati capelli rossi fare capolino nella stanza.
“Ryo, mentre tornavo
dall’aeroporto
sono passata da Marie a prendere i croissant che ti piacciono tanto, e
ho preso
un po’ della miscela di caffè che preferisci
e…” Vedendo
la scena davanti a lei, Kaori si
impietrì, ed arrossì lievemente- vedere Ryo a
petto nudo, nonostante ormai si
conoscessero da una decina d’anni, le faceva sempre e
comunque un certo
effetto, provocandole un rimescolio nel basso addome. Era
così concentrata su
quei muscoli ben delineati e scolpiti che ci mise un attimo a vedere
che c’era
anche Saeko nella stanza, e con lei un buffo ometto- in una parola,
guai. “Oh,
vedo che abbiamo ospiti! Ehm… ho preso un paio di brioches
in più… desiderate
favorire?” domandò, ridacchiando imbarazzata.
Ryo la guardò per bene, lanciandole
un’occhiata quasi imbarazzata, e l’uomo, forse per
la prima volta da quando lo
conosceva, arrossì; lentamente le si avvicinò,
senza mai distogliere gli occhi
dal viso di Kaori, che sosteneva, le gote arrossate, lo sguardo del
partner.
Ryo prese le mani di lei nelle sue, stringendole con delicatezza, e,
lentamente, si voltò verso la polizotta e l’agente
governativo.
“Signor Shinsato, sono consapevole
della sgradevole situazione in cui io stesso mi sono cacciato, ma,
tuttavia,
credo che ci sia qualcosa che lei debba sapere prima di prendere una
decisione
definitiva…” Ryo parlò in tono serio,
deciso, mentre Kaori sgranava gli occhi e
sbatteva le palpebre, non comprendendo pienamente cosa stesse
accadendo.
“Vede, Kaori… ehm, la signorina Makimura ed io ci stiamo
per sposare!” Lui affermò,
con voce tonante e portamento fiero, quasi avesse appena fatto
giuramento.
“Che… ma… ma Ryo,
si può sapere cosa
diavolo stai dicendo?” Sibilò la rossa, la voce
stridula indice di quanto fosse
furibonda. Poco più di un mese dal matrimonio dei loro
migliori amici, da
quando lui le aveva dichiarato il suo amore, ed era già
tanto se Ryo era stato un po’
più gentile con lei, un
po’ meno cretino con tutte le altre
donne, ma non era ancora mai successo nulla,
non si erano nemmeno mai scambiati un vero bacio. E adesso…
lui la voleva
sposare? Com’era possibile? Gelide stalattiti, come spilli,
trafissero il cuore
della donna, che temette di essere nuovamente vittima dei giochi
sciocchi ed
immaturi, delle prese in giro, dell’amato partner.
Ryo si voltò verso di lei, e la
guardò
facendole intendere con uno sguardo che aveva bisogno che lei stesse al
gioco-
e che si trattava di una cosa seria. Kaori arrossì, e,
facendo cenno di sì col
capo, emise un flebile sospiro dalle labbra socchiuse, a cui Ryo
rispose con un
tenero sorriso dolce, carico di affetto e stima.
“Eravamo reticenti ad ammettere davanti
ai nostri amici questa relazione perché sappiamo
di essere molto diversi, e temevamo
che le cose potessero andare male tra di noi. Tuttavia, col tempo
abbiamo
capito che queste differenze invece di allontanarci ci aiutavano a
compensarci
a vicenda. Sappiamo che la vita è dura ed il nostro un
mestiere pericoloso.” Il
burocrate alzò un sopracciglio, scettico, chiedendosi cosa
del lavoro di consulente comportasse
un simile
pericolo. “…E che per tipi come noi
l’amore è un lusso, ma siamo arrivati ad un
punto in cui non ci è più stato possibile
nascondere i nostri sentimenti, ed
abbiamo dovuto affrontare la realtà: non esistiamo
l’uno senza l’altra. PER
QUESTO ABBIAMO DECISO DI SPOSARCI!”
Saeko quasi volle battergli le mani e
fare i complimenti- Ryo era davvero bravo in quanto ad improvvisazione.
Certo,
si disse con un sorrisetto, buona parte di quello che l’amico
stava dicendo
doveva essere effettivamente quello che lui provava per Kaori, ma la
donna
sapeva che, non avesse potuto fingere che fosse tutto una finta, non
avesse
avuto un muro di scuse dietro cui trincerarsi, lo sweeper non avrebbe
mai fatto
una simile ammissione.
L’ometto sospirò, e si
avvicinò a
Kaori, guardandola dal basso verso l’alto con quegli
occhietti da topo, che
dietro alle spesse lenti sembravano brillare rossi quasi inumani. La
donna fece
un mezzo passo all’indietro, e se non ci fosse stato Ryo a
sorreggerla, sarebbe
di certo caduta.
Quell’ometto le metteva i brividi.
“Vedo che ha anche l’anello di
fidanzamento, uhm… certo che il suo fidanzato si
è sprecato, paccottiglia… non
fatico a credere che la Polizia non paghi mai il suo onorario se alla
donna che
ama regala roba del genere…”
Kaori si guardò, stupita, la mano
sinistra, pronta a dare del cretino cieco all’ometto, quando
però vide che sì,
effettivamente aveva un anello all’anulare sinistro: giallo,
una pietra rossa,
era l’anello regalatole dalla madre alla sua nascita,
identico a quello di
Sayuri, che la donna aveva sperato di veder loro indossare alle
rispettive
nozze. Kaori lo aveva indossato quella mattina prima di andare in
aeroporto a
prendere la sorella ed il fidanzato Peter. Lo aveva messo, come sempre,
alla
mano destra, ma Ryo doveva aver fatto uno dei suoi giochetti di
prestigio
quando le aveva preso le mani, rendendo così la loro pagliacciata più credibile.
E comunque, come osava quel tipo
definire il suo anello paccottiglia? Aveva idea di quanti sacrifici
fosse
costato, quante rinunce? Mica erano tutti così fortunati da
starsene seduti
dietro a una scrivania tutto il giorno e ricevere tutti i mesi, ogni
mese, lo
stipendio, indipendentemente da quanto si fosse fatto!
“Vi aspetto domani mattina nel mio
ufficio, per chiarire le vostre posizioni rispetto a questa…
faccenda.” L’ometto
sibilò, chiaramente
sospettoso riguardo a quell’inatteso sviluppo che sembrava
non piacergli per
nulla. Aprì leggermente la valigetta, e come per magia
produsse due plichi di
documenti tenuti insieme da piccole graffette argentate. “Li
voglio vedere
compilati.”
L’ometto si voltò verso Saeko
prima, e
Kaori poi, facendo loro piccoli inchini, e poi, scusandosi,
alzò le tende; non
appena la porta si chiuse alle sue spalle, un rombo di tuono
risuonò nelle mura
del palazzo, che tremarono per l’inaudita potenza della
scossa tettonica,
facendo alzare dai palazzi circostanti stormi di uccelli grigi che
decisero che
migrare era meglio di rischiare la pelle in quella che temevano potesse
essere
una zona di guerra.
Ed invece, era stato solo un martello,
da cento tonnellate, che aveva fatto piantare saldamente Ryo nel muro
dell’appartamento.
“Si può sapere che diavolo
vai
blaterando, brutto idiota maniaco che non sei altro?” gli
ringhiò contro Kaori,
pronta a colpirlo nuovamente una volta che si fosse alzato, brandendo
il suo
fedele martello. Le mani sudate, stringeva il manico tra le mani con
tale forza
che le nocche erano divenute bianche, e le braccia le tremavano per lo
sforzo,
ma tuttavia il suo animo non avvertiva quella sensazione di spossatezza
che
seguiva ai suoi attacchi, sovrastata sopra ogni cosa da una rabbia
cieca.
Un mese. Una dichiarazione d’amore. E
niente corte, baci, coccole, sesso manco a morire… e lui
adesso aveva il
coraggio di uscirsene con quella ridicola storia per… per
cosa, uscire ancora
una volta dai guai? Come osava giocare con i suoi sentimenti in quel
modo così
freddo e razionale? Non capiva quanto questa cosa la facesse star male-
quanto
lei lo odiasse quasi, l’essere consapevole che lui la voleva
solo quando gli
tornava utile?
No, stavolta non ci stava, questa era
la classica goccia che faceva traboccare il vaso.
“Ascoltami bene, Ryo Saeba, io non ho
la benché minima intenzione di sposarti solo per farti
rimanere in Giappone!
Non ho intenzione di aggiungere un altro crimine alla lunga lista di
reati che
abbiamo già commesso!” Gli urlò contro,
il martello appoggiato alla fronte
dell’uomo, che aveva provato a rialzarsi. “Il
matrimonio è una cosa seria, e io
non insozzerò un’istituzione sacra per unirmi ad
uomo che di donne e di me non
ne capisce nulla!”
“Unirsi a te? E che si vuole unire a
te! Tu sei l’unica donna che non riesce ad eccitarmi, io non
la voglio una
virago mezza uomo come moglie!” Le sbraitò contro,
sputacchiando, senza
rendersi conto di cosa avesse detto e del tono usato, bisbetico,
petulante ed
infantile e cattivello, ormai troppo abituato a dire quelle parole,
usarle ad
oltranza nella speranza di ingannare tutti, sé stesso in
primis.
Mentre l’ennesima martellata lo
scaraventava al piano di sotto, Saeko sospirava, coprendosi il volto
per non
vedere quella scena patetica: quei due non sarebbero mai cambiati, ma
se Ryo
non voleva rischiare di essere deportato e finire nella lista nera
dell’immigrazione, avrebbero fatto meglio a darsi una bella
regolata ed
imparare a convivere e comportarsi non solo in modo civile, ma come due
perfetti innamorati.
Sconsolata, scavalcò la voragine con
una falcata sui suoi svettanti tacchi a spillo. Ryo e Kaori i
sentimenti li
avevano, il problema era che avevano bisogno di imparare a seguirli, a
viverli,
ed avevano solo ventiquattro ore di tempo per trasformarsi da coppia in
affari
in coppia in amore. Ne sarebbero stati capaci? Su questo non aveva
alcun
dubbio. Quello che la preoccupava era Ryo: per l’amore verso
il suo lavoro, la
sua città, i suoi amici- e soprattutto Kaori- sarebbe stato
in grado di
resistere agli allettanti corpi femminili che lo circondavano in
continuazione,
alle avances delle fanciulle che chiedevano, disperate, di essere
soccorse dal
grande City Hunter?
Diede una scrollata di spalle, con un
sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe
di certo stata uno spettacolo!