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Autore: Helmwige    02/05/2021    0 recensioni
[The Mandalorian S2x05]
Uno scorcio sui pensieri del Mandaloriano dopo lo scontro ccon il Magistrato Morgan Elsbeth, quando Din si reca alla Razor Crest per recuperare Grogu e consegnarlo nelle mani di Ahsoka.
"Il viaggio di ritorno verso la Razor Crest è il più lungo della sua vita. I passi di Din sono lenti, insicuri, quasi scoordinati. La sua andatura vacilla, come quella di un animale ferito, e forse lo è; è così che si sente, mentre gli stivali lasciano impronte confuse sull’arida terra di Corvus."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Din Djarin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio di ritorno verso la Razor Crest è il più lungo della sua vita. I passi di Din sono lenti, insicuri, quasi scoordinati. La sua andatura vacilla, come quella di un animale ferito, e forse lo è; è così che si sente, mentre gli stivali lasciano impronte confuse sull’arida terra di Corvus.
È esausto, ma non per lo scontro con il mercenario di Morgan Elsbeth e i suoi droidi da combattimento. Una misera, sgradevole sensazione di vuoto gli riempie il petto, spingendo contro le costole e schiacciandogli i polmoni, e quasi lo lacera dall’interno. Ogni passo equivale a una stilettata di puro, gelido dolore, mentre si addentra sempre più tra i neri alberi ricurvi, simili a scheletri scomposti.
Vorrebbe non arrivare mai.
Sa che non dovrebbe sentirsi così. Sa che non è questa, la Via.
Eppure, non riesce a controllarsi… almeno, non ora. I pensieri vorticano dentro l’elmo, simili a serpenti di fumo che gli fanno bruciare gli occhi, e l’unico ragionamento concreto che riesce a modellare nella sua mente è che suo figlio – Grogu – ha trovato una casa, qualcuno che si prenderà cura di lui al posto suo.
La sua missione è conclusa, e forse dovrebbe sentirsi sollevato e soddisfatto per aver portato a termine quell’arduo compito che l’ha trascinato da una parte all’altra della Galassia. Dovrebbe sentirsi così.
Ma non ci riesce, perché l’affetto che nutre per il piccolo si è trasformato in un macigno che gli grava sui polmoni, rendendo ogni respiro un’impresa. La gabbia toracica si allarga a fatica, mentre le costole tentano di seguire un ritmo vecchio come l’universo. Din si concentra sul proprio respiro, sul sibilo rauco che esce dalle labbra riarse e rimbomba nel casco. Non è abbastanza regolare da infondergli sollievo, ma è comunque sufficiente per mantenerlo lucido quel tanto che basta per mettere un piede davanti all’altro.
L’amarezza gli artiglia la gola quando sale sulla nave. Gli stivali si avviano rigidi verso la stiva, dove il trovatello dorme. Le gambe di Din sono pesanti e legnose; i tendini sembrano essersi trasformati in cavi d’acciaio, i muscoli hanno l’elasticità della pietra. Le labbra gli si stringono in un sorriso aspro, quasi sgradevole, quando realizza che si sente più simile a un droide che a un essere umano.
Il piccolo è immerso in un sonno profondo, con la testa abbandonata sul bordo dell’amaca.
Din allunga una mano verso di lui, scuotendolo appena; non riconosce nemmeno la propria voce quando sussurra: «Svegliati, amico. È… ora di salutarci.»
Le palpebre di Grogu si sollevano piano, rivelando gli occhi lucidi e assonnati, per poi richiudersi di nuovo.
Din non ha il coraggio di insistere. Un’ondata di calore lo avvolge, soppiantando l’angoscia e  riempiendo ogni anfratto tra il suo corpo e l’armatura, e finalmente realizza che ha una scusa perfetta per prolungare quel momento.
I guanti del Mandaloriano avvolgono il corpicino del piccolo, sollevandolo dalla culla improvvisata. In un attimo si ritrova seduto sulla cassa delle munizioni, con la schiena premuta contro l’ossatura della nave e il figlio tra le braccia. Ne sente il calore attraverso la stoffa dei guanti. Vorrebbe toglierseli e sfiorargli la testa con la punta delle dita, o sollevare l’elmo quel tanto che basta per annusarne l’odore…
Ma non si muove – non osa – per  paura di svegliarlo: non interromperebbe quel momento per nulla al mondo. Si ritrova a desiderare di rimanere così per sempre, lì, in quella fredda stiva immersa nella penombra, tra blaster ed esplosivi, con il piccolo rannicchiato contro l’incavo del braccio e ogni pezzo della propria vita al posto giusto.
E per qualche ora, o forse solo per una manciata di minuti, ciò che è al di fuori della Razor Crest scompare. Dimentica tutto: Ahsoka Tano, Moff Gideon, la Gilda e perfino il Credo.
Niente esiste, tranne il cuore di Din Djarin e quello di suo figlio che battono all’unisono.
  
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