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Autore: uchihagirl    29/08/2009    5 recensioni
“Cosa ci fai qui, Hyuga? Non sei troppo giovane, troppo responsabile, troppo perfetta, troppo Hyuga, per bere?”
[…]“Evidentemente no, Inuzuka. E non mi pare di averti detto che puoi unirti a me.”
“Credi che invece a me faccia piacere? Sei davvero così dannatamente arrogante e sbronza per non accorgerti che è l’unico cazzo di sgabello libero? Brava, Hyuga, hai vinto il premio Boria dell’anno.”
Kiba Inuzuka e Hanabi Hyuga. Un bicchiere di sakè - tanti bicchieri – per non rimanere soli, il 27 dicembre.
Prima classificata al contest indetto da sasusakuxxx "La strana coppia"
A Hipatya e Kaho_chan, per aver pensato per prime la coppia.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Kiba Inuzuka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Hipatya e Kaho_chan, per aver pensato per prime la coppia.
A mio padre, perché l’ha letta e gli è piaciuta.




27 Dicembre – alla tua salute.




Rifiuto.
Atto deciso di negazione di qualcosa.




“Cosa ci fai qui, Hyuga? Non sei troppo giovane, troppo responsabile, troppo perfetta, troppo Hyuga, per bere?”
Senza troppo sforzo – sei brilla, non ottusa - riconosci la voce dura che ti ha distratto dalla contemplazione del fondo del bicchiere per quella di Kiba Inuzuka, da circa qualche mese costante indesiderata nella tua vita e tua croce.
Quel cane ha avuto infatti solo a ventuno anni suonati l’ottima idea di entrare a far parte della squadra ANBU, per poi trovarsi suo malgrado sotto il tuo comando – sei stata nominata da poco Capitano; quell’idiota che non è altro ti ha costretto con questa sua mossa brillante a costringerti a combattere con lui, a collaborare.
Bah.
Meno male che sei tu il Capitano, tra i due, almeno hai la soddisfazione di dargli ordini e di pretendere che ti obbedisca. Non avresti mai sopportato di dover chinare il capo davanti al suo ghigno strafottente.
Cane.
Si siede accanto a te e tu lo fulmini con un’occhiata – sei ancora abbastanza sobria da tenerlo in riga.
“Evidentemente no, Inuzuka. E non mi pare di averti detto che puoi unirti a me.”
“Credi che invece a me faccia piacere? Sei davvero così dannatamente arrogante e sbronza per non accorgerti che è l’unico cazzo di sgabello libero? Brava, Hyuga, hai vinto il premio Boria dell’anno.” ridacchia senza allegria e ordina.
Rimani in silenzio, una mano stringe il bicchiere e l’altra ti sostiene la fronte: non avevi calcolato che i tuoi neuroni - solitamente dalla risposta pronta e dalla lingua tagliente - facessero molta più fatica a connettere, sotto effetto dell’alcol.
Quando ti decidi finalmente a ribattere, Inuzuka accanto a te ha già ricevuto il suo sakè e lo sorseggia con calma.
“Tu sei abbonato a quello di Idiota dell’anno, invece, Inuzuka?” è la sagace risposta; ma hai la voce impastata e la frecciata non è efficace quanto speravi.
Ride, sguaiato come suo solito, di fronte ai tuoi occhi lucidi e al commento stentato.
“Cazzo, che tempismo. Cosa c’è, Hyuga, il sakè ti confonde le idee? Prendine un altro po’, magari riesce a farti abbassare quella merda di cresta che ti ritrovi. A proposito, quanti ne hai bevuti, prima di cedere del tutto?”
Schiocchi la lingua, infastidita: non lo ricordavi così insolente.
“Sono a quota quattro. E non ho ceduto: mi sono presa una pausa.” No, non mollerai il colpo, non gli permetterai di batterti - non è mai successo che riuscisse a zittirti: oggi dovrebbe forse essere diverso?
Ride di nuovo.
L’eco della sua risata risuona nello spazio angusto del chiosco ed è già sfumato, quando, dopo una breve riflessione, ti chiede: “Perché sei qui?”
E con quella domanda semplice, diretta, Kiba ti spiazza. Perché sei lì, Hanabi?
Inaspettatamente confusa, lo ignori; rimani in silenzio e ordini un altro bicchiere, poi un altro, e un altro ancora. Fino a che la mano grande di lui non ti blocca il polso.
“Dacci un taglio. Perderai il tuo famoso autocontrollo Hyuga, se continui così.” Rabbrividisci per quell’improvviso contatto – è così caldo.
Stupita, alzi lo sguardo: è serio, preoccupato quasi. Le tue labbra si schiudono, come se stessero per farsi sfuggire un piccolo sospiro, quando scorgi qualcos’altro, negli occhi ambrati di Kiba.
Pietà.
Dolore, rimpianto.
Amore – o il ricordo di un sentimento che è stato?
E capisci.
E ghigni, lo – ti - commiseri.
Lo smonti, pezzo per pezzo, resa loquace dal sakè - l’alcol può intorpidire, in un primo momento, ma alla lunga affina i sensi e affila la lingua.
“Piantala, Inuzuka, di usare tutta questa premura con me. E smettila anche di cercare mia sorella in me. È un inutile tentativo. Non credere che io non sappia che vuoi risparmiarmi un’umiliazione solo per risparmiarla a lei. Non sono stupida.”
Fai una pausa. Poi riprendi, più beffarda.
“Sarebbe arrossita, vedendomi così, si sarebbe dispiaciuta per me, vero? Avrebbe cercato di fermarmi: la sua sorellina. Prevedibile: tutto il tuo penoso sentimentalismo represso viene fuori dopo anni quando si tratta di preservare la memoria di un morto o di fare la sua volontà.”
Gorgheggi una parodia di risata, aspra.
Lo puoi sentire, è un rigido pezzo di legno, al tuo fianco. Stringe i pugni e ringhia – cerca di controllarsi. Ma per te non è abbastanza: rincari la dose.
Almeno il giorno del suo compleanno. È questo il pensiero che ti ha spinto a sederti accanto a me, oppure è stato il ricordo del tuo primo amore a spingerti alla disperata ricerca di qualcosa di lei in me? Quale di queste due opzioni, Inuzuka?” un sorriso amaro ti increspa le labbra, quando lui allenta la presa e il sakè trova ancora una volta la via della tua gola.
Lo guardi: l’odio trabocca dai suoi occhi e i suoi pugni sono serrati, ma non si muove – potrai portarlo all’esasperazione, oggi, lui non ti toccherà neanche con un dito.
“In entrambi i casi, sei patetico, Inuzuka.”
 Hai passato di proposito il limite, provocandolo come non avevi mai fatto prima.
“’Fanculo. Tu.” Freme, Kiba, fuori di se. “Tu…brutta…” respira profondamente, alla ricerca di un minimo di autocontrollo. “Tu sei la peggiore stronza che io abbia mai incontrato. Compreso tuo padre. Non ti meriti affetto, non lo hai mai meritato; solo…” sospira. “solo Hinata ti amava. Ora… e mai… nessuno ti amerà più.”
E ti ferisce, ti ferisce fino nel profondo, come neppure tuo padre è riuscito a fare: ti lascia senza fiato, agonizzante, piegata sul bancone, colta di sorpresa – non sapevi facesse così male.
Poi gira le spalle e se ne va, abbandonandoti lì, scossa, sola e piena d’angoscia, a festeggiare il compleanno di un morto con i tuoi fantasmi.



Ammissione.
Accettazione, concessione, talvolta di una o più circostanze sfavorevoli al soggetto.




“Che minchia vuoi?” ti ringhia contro – come d’altronde fa il suo cane, dietro di lui – e puzza di alcol.
Non potrebbe essere più evidente il fatto che non gli faccia piacere vederti, ma almeno non ti ha sbattuto la porta in faccia.
Non è passata neanche un’ora da quando ti ha lasciata davanti al tuo bicchiere, a riflettere sulle tue – sue – parole. Nel frattempo hai bevuto ancora – una sana sbornia era l’unica attenuante possibile – e ti sei presentata a casa sua, consapevole di non essere benvenuta.
Nonostante questo, lo guardi negli occhi – devi alzare la testa: è alto almeno venti centimetri in più di te – e gli dici, atona: “Riformula la domanda in un altro modo.”
Ti ride in faccia – Dio, è così irritante. “Perché dovrei?”
Lo costringi a ricambiare il tuo sguardo – sai che non può resistere, a quegli occhi bianchi – così simili.
Lui ringhia di nuovo, combattuto e frustrato.
“Cosa vuoi?”
Fai un cenno di diniego e lui, infastidito, – è ormai alla tua mercé, ne è consapevole – riprova.
“Perché sei qui?”
“Perché non so dove andare.”
In un soffio – non troppo forte: non volevi sentirlo tu stessa – l’hai detto. I suoi occhi sono ancora fissi nei tuoi, ma non stillano più disprezzo – sono confusi. Ti squadra, indeciso se crederti oppure no; nota che la tua divisa da ANBU ha sostituito l’abituale kimono bianco, segno di appartenenza alla Casata Principale degli Hyuga, e capisce. E ti compatisce, probabilmente – i disegni rossi sulle sue guance non se ne andranno mai – sarà sempre un Inuzuka.
Non lo da a vedere, però - nasconde il viso, quando apre di più la porta e ti fa entrare, scansando Akamaru.




Espiazione.
Liberazione, purificazione da una colpa mediante un sacrificio.




La sua voce – inaspettatamente roca – ti risveglia dallo stato di torpore nel quale sei caduta – è a causa di tutto l’alcol bevuto: siete seduti lì, fianco a fianco, da non sai più bene quanto, in silenzio, con la bottiglia di sakè invecchiato che parla per voi, e la sonnolenza è inevitabile.
“Ci pensi mai, a lei?” chiede.
Inuzuka ti disorienta sempre, con la sua capacità di andare subito dritto al punto – non usa giri di parole come i vecchi Hyuga, lui -, ma non adesso: ti aspettavi da lui questa domanda, prima o poi.
“Continuamente.”
Silenzio.
“Prima, al chiosco, avevi ragione. Cercavo lei. Cerco sempre lei. Dappertutto.”
Ancora silenzio.
“Ma non posso continuare così. Devo passare oltre.”
Aspetta una tua reazione, che non arriva; quindi ti prende il bicchiere e ci versa altro vino di riso.
“Un ultimo.” Propone – bugiardo: ne farete sicuramente altri, di brindisi.
Alzi lo sguardo.
“Alla tua salute.” Dice, rivolto allo spirito che – ne sei sicura – è lì con voi in questo momento.
Annuisci. “Alla tua.”
Poggiate il bicchiere, con l’intenzione di riempirlo nuovamente – come volevasi dimostrare, l’alcol non è mai abbastanza; ma, improvvisamente, le vostre dita si sfiorano. Alzate lo sguardo. Insieme.
È un attimo: la sua bocca è sulle tue labbra, affamata; le sue mani ti prendono la vita – ruvide, contro la pelle bianca. Tu, contro ogni previsione, ricambi: le braccia gli avvolgono il collo con forza, stingendolo più a te.
Ti spoglia, strappandoti quasi la divisa di dosso; ti morde, gusta il tuo sapore.
È irruente, grezzo, non ti riserva delicatezze – così sai che è con te, che sta facendo l’amore, non con lei.
E mentre affonda in te, capisci che è tutto finito: state passando oltre. Insieme.
Lui non cercherà più Hinata; non vivrà più con l’ossessione di un sentimento passato che amore non è stato.
E tu… tu sai che ieri, affrontando Hiashi, sfidando le regole della Casata, hai finalmente pagato il debito che gravava sulle tue spalle - hai pagato gli insulti, la freddezza e l’odio nei suoi confronti. Hai pagato la devozione a tuo padre. L’invidia.
Tutto.
Da questo momento tua sorella non sarà più un ostacolo né un ricordo ingombrante, né tanto meno una colpa – veglierà su di te, ti camminerà accanto. Siete pari.
Non è più a causa dell’alcol se sussurri il nome del tuo amante, nascosta nell’incavo della spalla muscolosa.
Non è più a causa dell’alcol, se, dopo l’amplesso, rimani sveglia, sudata, i capelli sparsi sul cuscino, e gli stringi la mano.
Non è a causa dell’alcol, se, nella penombra della stanza, ti sembra di intravedere il sorriso di Hinata. Pieghi le labbra di rimando.
“Auguri.”




Riconciliazione.
Ristabilimento di un rapporto normale affettivo, temporaneamente deteriorato.




È scuro, il cimitero, e incredibilmente silenzioso – i morti non hanno bisogno di parlare, Hanabi, per far sentire la loro voce -, ma quelle caratteristiche non lo rendono inquietante né triste, anzi: ogni frammento di quel luogo sussurra “pace”, e nulla potrebbe incrinarla.
Ha da poco cominciato a nevicare e il vento soffia, piano, abbassando in modo sensibile la temperatura – fa freddo e la divisa da ANBU non ti ripara abbastanza, ma tu non te ne curi: rimani lì, ferma, con i capelli sciolti e scompigliati che ti arrivano sul viso e le spalle scoperte, dopo tanto tempo libera di respirare.
Tra le dita screpolate dall’inverno e dagli allenamenti, hai un fiorellino bianco – lo tieni stretto: non deve volarti via.
È passata qualche ora, da quando hai aperto il cancelletto e ti sei presentata al cospetto della tua stirpe, la stessa che hai ripudiato non più di due giorni fa.
Sai che saresti dovuta venire prima, da tua sorella. Saresti dovuta venire non appena hai varcato la soglia di Villa Hyuga, non appena hai pronunciato quel “No.” fatale, non appena hai preso coscienza di non voler più essere l’erede di Hiashi.
Settimane prima.
Anni prima.
Lo sai, Hanabi, di avere un conto in sospeso con lei.
Ma volevi poter stare dritta, davanti alla tomba di Hinata, e poterle dire che ce l’avevi fatta, che eravate pari; volevi non essere costretta a chinare la testa, vergognosa e colpevole di non aver ancora pagato il debito. Per questo solo ora sei qui, di fronte a lei.
Ora non sei più l’erede di Hiashi Hyuga.
Non sei più il futuro Capoclan della Casata Principale.
Non sei più il riflesso di suo padre.
Ora sei Hanabi – prima di tutto –, e poi Hyuga – in secondo luogo.
Ora sei Hanabi Hyuga, il capo della squadra ANBU di Konoha.
Ora sei Hanabi Hyuga, la sorella minore di Hinata.
E tu, Hanabi, con i polpastrelli tocchi lieve la semplice iscrizione – Hyuga Hinata –, accarezzi la guancia di tua sorella. I tuoi occhi bianchi fissano quella scritta e si riconciliano con un ricordo: quel debito – di solitudine, di dolore, di lacrime trattenute e di piaghe sulle mani – è stato pagato – con uguale solitudine e dolore, con altrettante lacrime e piaghe. Con gemiti, morsi e baci. Con tanto, tanto sakè.
Il vento comincia a fischiare di più, la neve scende più fitta; e tu respiri a pieni polmoni l’aria gelida. Ti congedi con un cenno del capo ed esci, a passi misurati.
“Fatto?” ti chiede lui, staccandosi dal muro con un colpo di reni – il cuore salta un battito: è rimasto lì, ti ha aspettato tutto quel tempo.
Annuisci, piena di gratitudine che – però – non fai trasparire.
Kiba ti guarda negli occhi e annuisce, di rimando – non sai come lui abbia fatto, ma ha capito che lo ringrazi.
Fianco a fianco, con Akamaru tra voi due, vi allontanate.
Un fiore bianco rimane lì, nel freddo e nel silenzio del cimitero, a sancire la vostra riconciliazione.






Fine






NdA: Solo qualche piccola nota.
1)    Il fiore che Hanabi appoggia sulla tomba di sua sorella si chiama Star Of Bethlem ed è, nella nostra cultura, simbolo di riconciliazione.
2)    Le definizioni usate come titoli per ogni parte della storia sono tratte dal dizionario di lingua italiana Devoto – Oli; ho trascritto solo la parte di definizione attinente al contesto.
Ho scelto di inserire queste parole per mostrare al meglio l’ordine degli avvenimenti: infatti, sono a mio parere i quattro steps che Hanabi deve percorrere per chiudersi alle spalle i fantasmi che la sua Casata le ha lasciato e quindi per cominciare a vivere la sua vita – una sorta di percorso di espiazione.
A proposito: nella definizione di espiazione il termine “sacrificio” è inteso come rituale particolare, non come penitenza.
3)    Questa storia è uno spin off dell’altra mia Hanabi Centric, ovvero [She’s been] Caught in the undertow, per cui è meglio comprensibile con la lettura qui -->( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=364615&i=1) di quest’ultima ^^








O_O
Owa.
Non riuscendo a crederci neppure io, pubblico la storia che si è classificata prima al contest indetto da sasusakuxxx “La strana coppia” e che ha vinto il premio “Trattazione della coppia”.
Devo dire che sono soddisfatta della fic - risultato di circa due giorni passati a martoriarmi le dita, sottoposta a più di dieci revisioni ^^ e avente una quantità improponibile di bozze.
È una fic che sento mia, perché tratta della mia coppia preferita e perché contiene una buona dose di me stessa^^ Per di più a ricevuto un giudizio che sinceramente non mi aspettavo (cosa sono tutti quei voti alti? O.O) da parte di una giudice molto meticolosa – senza contare il premio aggiuntivo, che mi fa gongolare un sacco xD
Ringrazio quindi sasusakuxxx, velocissima e molto seria nel suo ruolo, e la mitica bannerista, Laly. Complimentoni alle mie compagne di podio e in generale a tutte le partecipanti!

Che ne pensate? Fatemi sapere!

Elena *emozionata^^*


Ps: Ho modificato una parte microscopica, riguardante il fiore: è quello, non il bucaneve, che significa riconciliazione.

Riporto il giudizio della giudice e i mitici banner qui sotto!





I classificata: uchihagirl, con la fic “27 Dicembre – alla tua salute”
Narrativa: 8,9/10

Trama 8,8/10
La tua fic è scorrevole, intrigante e dosa il giusto l’introspezione dei personaggi: Kiba, Hanabi. Ci mostra il loro risentimento nei confronti della vita, delle aspettative riposte nei loro confronti, del loro rifiuto ad accettare la realtà per quella che è. La trama è ben delineata, si riesce a seguire senza difficoltà l’evolversi della situazione, il percorso di “formazione” di Hanabi; forse questo 8,8 ti farà storcere un po’ il naso ma ho voluto “penalizzare” leggermente la fic, poiché in alcuni punti necessitava la lettura dell’altra, per essere ancora più chiara. Comunque, sappi che non ho mai dato un 10, e che il 9, per me, è sinonimo di una completa e perfetta trama. E alla tua ci manca pochissimo, tranquilla^^


Personaggi (alias IC): 9/10
I personaggi sono loro, indubbiamente. Kiba, rozzo, ruvido ma alla fine spietatamente sincero; Hanabi, che fatica a “scendere” dal suo piedistallo, che si sente trascinata in una realtà che non le piace, ma che comunque preferisce a quella che sennò le sarebbe stata imposta dal clan. Entrambi sono molto “vividi”, e aumentano il valore di questa fic.

Originalità: 9/10
Originale, senza dubbio; mi è molto piaciuta l’idea di “dividere” il percorso di Hanabi in steps, e ho apprezzato anche molto, pur trattandosi di un “piccolo” particolare, l’interpretazione della parola “sacrificio”.

Competenza lessicale e morfo-sintattica: 9/10
Praticamente impeccabile: solo un paio di virgole fuori posto, ma nulla di grave. Il lessico che hai utilizzato è buono, e adatto alla storia; il liguaggio colorito non appesantisce, e non cade mai nel volgare.

Impressioni personali: 4.8/5
Beh, la storia di per sé mi è piaciuta molto; non ti ho dato il punteggio pieno solo per un motivo: a lettura ultimata mi ha lasciato una sensazione di freddezza, che non è diminuita dopo la seconda rilettura. Nonostante questo fatto puramente personale, rimane una delle fic meglio scritte che ho avuto il piacere di leggere!

Totale: 49.5/55



                       

Belli, eh?

   
 
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