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Autore: EllyPi    14/05/2021    1 recensioni
Tratto dalla serie Tv Castlevania di Netflix, qui si parla della storia d’amore tra Trevor e Sypha, anche in vista della stagione 4 (warning: spoilers!)
Alcuni momenti mancanti, altri aggiunti dopo il finale, per raccontare la loro storia d’amore, che per me è una delle più belle di qualsiasi opera di finzione.
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sdraiati nel comodo letto nella stanza nel sottotetto che avevano affittato, Sypha e Trevor guardavano il cielo attraverso l’enorme apertura nella copertura dell’edificio.
La Parlatrice strofinò il capo sul petto largo dell’uomo, facendogli emettere un basso ringhio dal petto, che solo Trevor Belmont era capace - in tutto il genere umano - di produrre. Non era arrabbiato, anzi, era più rilassato che mai, nell’afterglow del sesso. Ringhiare, grugnire o produrre altri suoni animaleschi era il suo principale mezzo di comunicazione, che non comprendeva la verbalità. Caratteristica ironica, per un uomo che si era innamorato di una Parlatrice. Dall’inizio del loro viaggio, e in particolare da quando il trio di era stretto a un duo, Sypha era riuscita a fargli esprimere un po’ di più ciò che gli turbinava nella mente. Sì, perché anche se si beffava costantemente di lui, scherzando sul dubbio che fosse menomato cerebralmente, in fondo lei rispettava l’infinita conoscenza che il poco loquace Trevor serbava di mostri e creature della notte, in quantità e livello di dettaglio che lei poteva solamente sperare di ottenere, se mai fosse riuscita a completare la lettura di tutti i volumi della biblioteca dei Belmont prima di spirare. Sin da bambino lui era stato educato ampliamente dai suoi genitori, che gli avevano tramandato la conoscenza secolare in ambito di cacciatori di mostri unica della famiglia, così come tutte le altre nozioni utili alla vita di un lord. Quando lo aveva incontrato, Sypha non aveva visto in lui nobiltà, ma dal momento del ritorno alla casa natale, qualcosa in Trevor Belmont si era risvegliato, così da fargli ritrovare una ragione di vita. E, casualmente, il combattimento era ciò che univa i due amanti in quel momento sotto le coperte. Sypha sapeva di aver sviluppato un debole per il senza speranze Belmont, assieme a una grave sindrome della salvatrice, ma poco le importava. Le infatuazioni erano la cosa più incomprensibile che esistessero al mondo, dopo l’amore.

 

Amore.

 

Quanto sapeva che il loro rapporto si era evoluto velocemente da compagni di avventure ad amanti! Entrambi non avevano mai affrontato apertamente la questione, né si erano mai riferiti a loro stessi come una ‘coppia’ di tipo amoroso. Dicevano sempre di essere amici, compagni di avventure, una coppia di combattenti. Eppure, dalla notte in cui avevano condiviso un mantello sul pavimento della biblioteca della famiglia di Treffy, non si erano più separati. Avevano condiviso il retro del carro senza imbarazzo, i bagni nei fiumi, le ore dei pasti, e ora anche una stanza da letto vera e propria, la prima che Sypha avesse mai avuto. Quando si erano fermati con la sua comunità di Parlatori nelle città, magari in edifici abbandonati, lei non era mai rimasta sola con una persona, per giunta dell’altro sesso. Non che avrebbe trovato la cosa strana, se non ci fosse stata attrazione tra lei e l’altro Parlatore, come invece c’era con Trevor Belmont. Non erano tuttavia saltati da tenersi la mano a dormire assieme nello stesso letto: c’erano stati dei timidi baci lasciati nel silenzio dei viaggi, o alla luce dei falò accesi con la magia della ragazza. Così come stringersi la mano era giunto naturale, e nessuno dei due era arrossito o aveva ingigantito la cosa per colpa dell’imbarazzo, quando uno dei due ne aveva sentita la necessità, così anche i baci avevano iniziato ad accadere naturalmente. Per i due erano quotidianità tanto quanto il contatto fisico. Anche nel carro, quando era accaduto per la prima volta che il loro stare bene insieme si fosse incendiato con un fuoco ardente di amore, non era sembrato loro nulla di importanza particolare, ma solo qualcosa di estremamente naturale. Ovviamente Trevor ci aveva riso su, la mattina seguente, essendo per lui un’esperienza già vissuta, e anche grazie alla sua predisposizione a rimanere sempre con i piedi per terra, ma Sypha - che stava ancora cercando di conciliare che quanto avesse imparato oralmente sul sesso fosse totalmente diverso da ciò che si era rivelata l’esperienza nella realtà, e il fatto che fosse arrivato per lei il momento di superare anche questa pietra miliare nel divenire una donna a tutti gli effetti - non lo aveva trovato meno perfetto. Parlare con Trevor - nonostante le difficoltà a ricevere una risposta spesso soddisfacentemente esaustiva - , viaggiare con lui, baciarlo e persino essere intima con lui, erano tutte cose meravigliosamente naturali, per entrambi. Suo nonno le aveva spiegato, o aveva cercato di farlo -  perché su quella tematica, nemmeno un Parlatore conosceva un modo perfetto per trasmettere certi sentimenti così forti e accecanti - , quando era piccola, come si era sentito assieme a sua moglie, ovvero sua nonna, e cosa l’avesse resa la persona perfetta per lui. Ora Sypha sapeva che Trevor Belmont era la sua anima gemella.

 

Non avevano mai parlato del loro futuro, perché nella lotta contro le creature della notte nessuno era certo che avrebbe visto l’alba successiva. Fino a quella notte, in cui Sypha si trovò a essere più sicura di sé persino del solito, forse grazie alla piacevole sensazione che tutto il suo corpo provava, simile a quella offerta dalla sostanza stupefacente estratta dai papaveri. Così, dopo il basso ringhio di Trevor, Sypha non lo lasciò da solo a rimuginare come al solito, ma partì alla carica. Si girò, sdraiandosi sul suo corpo, le mani sotto al mento, occhi azzurro zaffiro in altri leggermente più chiari. “Che cosa credi che ne sarà di noi?” , gli chiese.
Trevor le scostò una ciocca di capelli dal viso, usando semplicemente il polpastrello dell’indice. “Spero di vivere abbastanza a lungo per vedere con i miei occhi cosa ha in serbo in futuro per noi, più che cercare di immaginarmelo.”
“Non intendo se vivremo o meno, ma cosa faremo.”
Belnades e Belmont” , la imitò con umorismo, “...Continueremo a combattere i mostri della notte finché non esaleremo il nostro ultimo respiro in un campo di grano, non credi? Finché ci saranno quegli stronzi in giro, noi avremo di che occuparci.”
Sypha rise di gusto, poi tornando seria.
“Non credi che decideremo mai se tornare dalla mia gente o se stabilirci e ricostruire la tenuta dei Belmont?”
Trevor sospirò. “Potremo tornare dalla tua gente, un giorno. Alla fine ci siamo stabiliti qui solo per aiutare questo villaggio con quei preti loschi, seguendo il tuo vero spirito da Parlatrice. Quando avremo finito torneremo a cercare la tua gente.”
“Cosa succederà quando li avremo ritrovati? Ci separeremo?” , gli chiese adombrandosi.
Venne circondata dalle sue braccia muscolose, sotto le lenzuola. “Mai.”
“La tenuta dei Belmont? Non ti piacerebbe, dopo aver rincontrato la mia gente, ricostruirla?”
“Abbiamo lasciato indietro Alucard per quello. Poi, ristabilirci in quella casa significherebbe dover prendere le redini della famiglia Belmont, e lo farò solo quando sarò pronto a voler diventare mio padre.”
“Quindi Trevor Belmont, quel grande orso che sotto sotto è un mollaccione - e si arrabbia se qualcuno maltratta un gattino - , non vuole morire come l’ultimo della sua stirpe.” , scherzò lei con un grande sorriso.
Il ragazzo rimase serio. “Credo tu abbia capito male la mia lingua, Sypha. Non ho detto ‘diventare padre’ ma ‘mio padre’: ovvero un uomo che ha sempre avuto più a cuore insegnarmi l’eredità dei Belmont più che creare un rapporto con me.”
“Oh. Mi dispiace.”
“Nah, non preoccuparti. Il trauma che mi porto dietro dall’infanzia è dovuto alla vista della mia famiglia massacrata e poi bruciata, più che alla perdita dei singoli membri. Noi Belmont siamo tutti degli stronzi odiati persino dalle creature dell’inferno che combattiamo.”
Sypha rise, quasi fino a non avere più aria nei polmoni. Nemmeno i suoi compagni Parlatori l’avevano divertita così tanto come era capace di fare Trevor Belmont anche nei discorsi più seri.

 


Un disastro. La loro missione nel villaggio era terminata nel peggiore dei modi. Addirittura Trevor e Sypha non erano più riusciti a ridere e scherzare durante i loro viaggi. Almeno il contatto fisico, divenuto indispensabile come l’aria per loro, non era venuto a mancare, perciò riuscivano a percepire la presenza e la vicinanza dell’altro attraverso le loro dita intrecciate, o gli abbracci sotto le coperte la notte, nel carro. C’era voluto tempo prima che uscissero dal loro stato catatonico: Sypha temeva che Trevor fosse ricaduto nella sua apatia dovuta alla depressione, quella volta per non riuscire a risollevarsi con tanta facilità come quando aveva incontrato l’inebriante testa di capelli rossi, che parlava con un forte accento straniero e aveva un grande senso dell’umorismo. Alla fine, notte dopo notte trascorsa a osservarlo dormire con le sopracciglia aggrottate, si era decisa a doverlo salvare di nuovo. Anche lei, dopotutto, era afflitta dalla piaga di trovarsi sempre a voler tirare Trevor fuori dalle brutte situazioni, e di certo quello stato era il peggiore in cui lo avesse mai visto. Nell’affrontarlo - dicendogli tutto quello che pensava in quel momento, sul bisogno che lei e tutta la Walachia avevano che lui si riprendesse, per poter portare avanti la missione di liberare gli esseri umani dai terrori della notte - , aveva dato fuoco a un fienile.
“Stanotte dormiremo al caldo.” , scherzò lui, rimettendola a terra dopo averla spostata di peso, per salvarla. Sypha lo guardò con occhi lucidi, saltandogli al collo. “Sei tornato, Belmont.”
Trevor rimase in silenzio qualche istante, godendosi l’abbraccio al calore del fuoco che bruciava la struttura in legno, ma che non era l’unica fonte di calore: per la prima volta dopo qualche tempo, anche i loro corpi erano caldi nella dimostrazione di affetto. “Cercherò di tornare il Belmont che conosci, Sypha.” , le disse seriamente. Lei sapeva che non esisteva un bottone di accensione o spegnimento immediato della sua condizione, simile al funzionamento del sistema di illuminazione del castello di Dracula, ma già quel piccolo passo verso la superficie metaforica della depressione, la rendeva felice.
“Il Belmont divertente, e che ama combattere, la birra congelata e il sesso?” , gli chiese emozionata.
Lui annuì, stringendola più forte.

 

Ora che aveva sistemato la questione dell’apatia di Trevor, Sypha trovò il tempo di preoccuparsi anche dei suoi malumori. Passava dei momenti, che si alternavano a quelli vigili in cui rimuginava sull’accaduto e sulla depressione del suo compagno, ad alcuni in cui le sembrava di essere posseduta dal demonio. Doveva trattenere le lacrime, talvolta delle risa amare così forti che avrebbe spaventato tutti gli uccelli dei boschi che stavano attraversando. Quale poteva essere la causa dei suoi continui sbalzi di umore?
Per la prima volta, fu Trevor a darle una mano a capire sé stessa. Mentre stavano spiegando le coperte della notte, lei lo aveva respinto malamente, lasciandolo insoddisfatto e ferito nel suo orgoglio di uomo. “Dammi almeno un motivo... Sypha Belnades non ha mai rifiutato di fare sesso con me.”
“Non essere così rude!” , disse con rabbia lei, trattenendo un grido di frustrazione.
“Cosa?! Anche tu ti riferisci alla copulazione allo stesso modo!”
“Io non dico ‘fare sesso’, non è per niente simile a ciò che accade veramente. Così togli tutto ciò di intimo e profondo che c’è nell’unirsi con un’altra persona.” , protestò lei, sistemandosi sulle assi dure.
Trevor si mise a sedere accanto a lei, coprendosi con la propria coperta. “Devi essere vicina al ciclo, lo so. Sei lunatica e intrattabile.”
“Un ciclo è qualcosa di perenne. Il fenomeno di sanguinamento periodico si chiama mestruazioni.” , tagliò il discorso lei, piegandosi verso la parete esterna del carro e chiudendo gli occhi.


In realtà non riuscì a dormire per i troppi pensieri, e per i calcoli matematici resi difficili dal viaggio. Da quando si era unita a Trevor e Alucard, aveva perso l’abitudine di tenere conto dei giorni che trascorrevano nel modo dei nomadi come i Parlatori, ritrovandosi ogni volta che doveva sapere il giorno corrente a dover supporre in base alla sua percezione di quanti giorni fossero trascorsi dalla partenza. Il suo ciclo femminile l’aiutava a capire quando fosse trascorso un mese, ma non sapere mai di per certo che giorno fosse la costringeva a vivere la sua vita come una perenne sorpresa. Quando si svegliava dolorante e macchiata di sangue, peggio che dopo aver ucciso un mostro della notte, sapeva che un altro mese era trascorso. Effettivamente non ricordava di aver sanguinato recentemente, perciò il dubbio di Trevor era legittimo. Solo, lui era tranquillo che si trattasse delle sue mestruazioni, mentre, alla seconda volta che ripeteva i calcoli, Sypha si era dovuta ricredere. Sarebbero già dovute apparire, almeno una settimana in precedenza. Il malumore e la disperazione per la morte di tutte quelle persone nel villaggio, potevano aver creato un lieve scompenso in quel meccanismo naturale molto delicato, assieme al cibo che in viaggio non era certo abbondante e vario. Si voltò a pancia in su, guardando le stelle attraverso l’apertura del carro, mentre nel suo orecchio Trevor russava sonoramente. Lo guardò in modo accusatorio, in quel momento in cui non poteva vederla, perché il ritardo poteva essere dovuto anche a una gravidanza. Il suo compagno, d’altronde, non era certo stato attento, dopo le prime volte, a evitare una situazione che lui per primo non desiderava. Cosa doveva fare? Da Parlatrice conosceva molti metodi più o meno efficaci sia per prevenire una gravidanza - perciò si sentiva lievemente amareggiata per non aver preso precauzioni di sua iniziativa - sia per interromperla. Però era presto per pensarci, perché non poteva rischiare di menomare la sua salute prendendo un abortivo quando aveva possibilità di non essere nemmeno incinta. Aveva l’età per diventare madre, così Trevor per essere un padre, ma un bambino avrebbe significato dover abbandonare la lotta per la liberazione della Walachia, e quello era il suo obiettivo primario in quel momento. D’altronde, come poteva pensare di mettere al mondo un figlio che rischiava di essere divorato la notte da un essere voltante?

 

L’alba arrivò, ma i pensieri non scomparvero.
“Buongiorno, Sypha.”
Lei non rispose, se non saltando in piedi per riporre le coperte, scendendo subito dal carro, quasi volendo evitare Trevor.
“È decisamente mestruata.” , lo sentì pronunciare mentre la raggiungeva, roteando gli occhi.
Fecero colazione in silenzio, poi l’uomo si alzò per andare al fiume. “Vuoi che vada a lavarti i tuoi indumenti intimi?”
Non era una domanda strana, d’altronde erano abituati a tutto dell’altro, persino le secrezioni corporee. Ma quella volta Sypha non aveva nulla da fargli lavare, né voleva rischiare di incutergli timore prima di avere una certezza da sé della positività della gravidanza o meno.
“No, laverò io questa sera tutto. Non voglio disturbarti alla vista del sangue.”
“Che vuoi che sia...” , commentò alzando le spalle Trevor, per poi andarsene senza insistere.

 

 

Arrivarono in una cittadina di gente che rischiava di morire di fame perché era loro impossibile effettuare il raccolto del grano, essendo i campi diventati la casa di piccoli mostri verdi, ma molto aggressivi. Trevor era tornato in sé completamente, mentre Sypha si ritrovava a fingere la maggior parte del tempo di essere allegra e spensierata come sempre. Con un sorrisetto, Trevor le chiese se la prode eroina dei Parlatori volesse salvare anche quel villaggio. Lei accettò solo perché fu offerto loro un sacco di pane, una volta raccolto il grano. Avevano bisogno di cibo, ma lei in particolare, perché era costantemente affamata. Ormai sapeva che cosa stava succedendo al suo corpo. Era trascorso quasi un mese, e le sue mestruazioni non si erano presentate infine. Pochi giorni e avrebbe dovuto fingere nuovamente di essere visitata da loro, per non far capire nulla a Trevor. Voleva mettere fine alla gravidanza, ma un po’ per il dubbio che non voleva lasciarla e un po’ per il problema di non aver trovato gli ingredienti per un abortivo efficace, l’avevano fermata fino a quel momento. Arrivati nel campo, li iniziarono subito a vedere saltellare da un punto all’altro, quegli schifosi esseri verdi. Cercò di usare solo la magia, evitando lo scontro fisico, per proteggere la vita che cresceva in lei, finché un essere non si avvicinò troppo. Lo spedì a terra con un pugno, per poi bruciarlo. “Merda!” , imprecò quando sentì una fitta provenire proprio dal suo utero. Ovviamente avrebbe potuto perdere il bambino, oppure no: il piccolo, d’altronde era per metà un Belmont, perciò veramente duro a morire.
Trevor si era sorpreso della sua prima imprecazione, e lei era esplosa in quel momento, per la seconda volta. Quella volta, però, per la rabbia causata dall’aver represso per un mese il suo segreto. Lei, che avrebbe parlato anche di ragadi genitali con Trevor senza sentirsi in imbarazzo, aveva evitato di sfogarsi per quasi un mese con lui, finendo quasi per impazzire.
“È colpa tua! Sei stato tu a farmi questo!” , lo accusò di getto, rendendosi conto di essere diventata una persona scontata.
Il volto di Trevor era stato così preoccupato dopo lo sfogo, che lei temette che lui avesse capito tutto. Però, nei giorni e nelle settimane seguenti, lui non aveva parlato di bambini, o del loro futuro, nemmeno in modo vago, facendola ricredere. Belmont era un uomo semplice, e perspicace solo quando si trattava di capire che tipo di mostro dovessero combattere, o quale arma rubare dal tesoro di famiglie importanti ormai decedute.


Gli sconti si fecero così violenti e frequenti, che Sypha si tranquillizzò che non sarebbe diventata madre, perché il bambino, per quanto forte, non sarebbe mai potuto sopravvivere a un periodo di fatica tale a cui la madre era sottoposta, e talvolta a veri e propri colpi che arrivavano al suo ventre. Presto perse addirittura l’interesse per le sorti del piccolo, perché preoccuparsi di lui oltre che alla vita di suo padre, era un dispendio di energie inutili. Si sforzò di dimenticarsi di lui o lei, concentrandosi sui combattimenti e sulla missione di salvare la Walachia. Solo quando attraverso lo specchio vennero catapultati nel castello di Dracula, lei si ricordò di essere così vicina alla casa dei Belmont, assieme a un Trevor che aveva visibilmente accettato la sua eredità, e con quella la sua missione nella vita.
Che dopo la battaglia potessero stabilirsi nella tenuta e crescere il bambino, se fosse sopravvissuto? Prima dovevano farcela loro, però.
La battaglia la fece sentire viva come un tempo, accanto a Trevor e Alucard. Come Belmont, si risollevò dal suo stato di intorpidimento, per sconfiggere vampiri e altre creature della notte che infestavano il castello, che volevano cercare di sterminare l’ennesimo villaggio. Non avrebbe permesso che anche quelle persone morissero sotto i suoi occhi, e con lei i suoi due compagni.

 

Trevor.

 

Lui si era spinto più in là di ognuno, forse perché era fondamentalmente uno spaccone sempre in cerca di dimostrare quanto fosse duro e forte, o forse mosso dall’animo impavido dei Belmont. Però era morto per sconfiggere la Morte, una creatura vampirica che aveva orchestrato il ritorno di Dracula per farlo impazzire e cibarsi di tutte le anime umane che questo avrebbe mietuto.
Ormai erano due settimane che Sypha guardava il soffitto nel letto dove era stata ricoverata dopo il crollo di parte del castello di Alucard. Non si era mossa dalla sua posizione a pancia in su, con le mani appoggiate ai fianchi per ore e ore, se non giorni. All’esterno udiva le voci delle persone che erano sopravvissute, intente a fare chissà cosa, come echi lontani, indistinti. L’unico movimento che aveva eseguito era stato spostarsi le mani sul ventre, come faceva sempre quando dormiva sdraiata sulla schiena, solo per trovarvi quella volta una lieve sporgenza. Una mossa casuale le aveva riportato alla mente Trevor e il suo bambino. Lui era sopravvissuto, mentre Belmont no.
Una mattina di sole, dopo aver vegetato tutta la notte come al solito, con solo qualche interruzione per ripensare alla tenuta dei Belmont, la stessa famiglia a cui sarebbe dovuto appartenere suo figlio, una famiglia che purtroppo non esisteva più perché l’ultimo che ne aveva accolto l’eredità era morto, ripensò a suo nonno, così decise di provare ad alzarsi. All’inizio le vorticò la testa, rischiando anche di farla cadere, ma poi la luce calda sulle sue braccia piene di cicatrici sembrò darle la forza. Si ricordò come il sole potesse essere d’aiuto per alleviare la depressione, come una fonte di energia che in un modo incomprensibile interagiva con il corpo umano. Anche quella era conoscenza dei Parlatori.
Resasi conto di avere ancora un posto dove andare, raccolse i suoi pochi averi, o meglio rubò le lenzuola del letto ad Alucard per il viaggio - un’impresa che da lucida avrebbe ritenuto suicida e stupida - e scese verso il basso. Incontrò il padrone di casa, che l’infastidì con la felicità che emanava il suo volto, quando lei aveva perso il suo unico amore. Non aveva nemmeno potuto rispondere alle sue parole, o chiedergli il perché di quella sua strana frase conclusiva riguardo al suo nome.
Adrian tentò di convincerla a rimanere, dopo aver scoperto del suo piccolo e quello di Trevor. Cercò di rispondergli lucidamente, con quanta più logica il suo cervello riuscisse a partorire, non sortendo un risultato terribile, dopotutto.
“Belmont.”
Una parola pronunciata con delicatezza, riuscì a farle abbandonare tutti i momenti di auto-convincimento che aveva dovuto somministrarsi per alzarsi da letto e partire verso i Parlatori. Un battito di ciglia, lo stesso che le aveva tolto Trevor. Lo stesso che le aveva svuotato il cuore. Lo stesso tempo che era servito, mesi prima, a creare una vita.
Greta fu quella a scoccarle la freccia decisiva. Sypha era una Parlatrice, che aveva prestato la sua vita ad aiutare le comunità di esseri umani a germogliare e migliorarsi, grazie alle infinite conoscenze della sua gente, perciò come le era possibile rifiutare di aiutare a costruire il villaggio che avrebbe portato il nome di Trevor, tra la sua casa natale e il castello di Dracula? Come avrebbe potuto allontanare il suo bambino da quel luogo, lui che un nucleo di origine lo aveva?
Anche senza Trevor, lei poteva vivere lì, avere di nuovo uno scopo nella vita. Stava per ringraziare Alucard e mettersi al lavoro, quando Dio le sconvolse nuovamente l’esistenza. Su un cavallo dal manto nero, ritornò Belmont, ferito e abbacchiato, ma vivo.
Tutta la disperazione che non era riuscita a esternare, riducendosi in quel pietoso stato catatonico, si sfogò in quel momento, con sorrisi e addirittura un bel pianto liberatorio.
Ma la cosa migliore era che Belmont era vivo, e sapeva del bambino. Lo aveva rivelato con il suo solito fare da spaccone, ma quello l’aveva solo smossa maggiormente verso la superficie metaforica della sua depressione.
La sua nuova missione nella vita cambiò nuovamente, anche se di poco. Avrebbe aiutato a ricostruire la tenuta dei Belmont, diventando lady Belmont, per crescere il nuovo cacciatore di mostri assieme a Trevor. Niente era andato perduto, e loro avevano vinto.

 


Trevor era fermo a letto da ormai tre mesi, a guardare dalla finestra il villaggio in costruzione, perennemente sbuffando perché sosteneva che un luogo che portava il suo nome doveva essere deciso logisticamente anche da lui. Sypha stava sovrintendendo la creazione delle fognature e degli impianti idrici, così come la ricostruzione della tenuta Belmont. Era il suo segreto, e la sua sorpresa per Trevor, siccome il bambino non aveva potuto esserlo. Gli abitanti di Treffy - o Belmont, a seconda di chi venisse interpellato riguardo al nome del villaggio - venivano istruiti dalla Parlatrice assieme a Greta, donna che aveva imparato ad apprezzare giorno per giorno. Alucard stava studiando il sistema di illuminazione del castello, per poterlo estendere a tutto il villaggio, compresa la casa del suo amico infermo. Al contempo aveva adottato tutti i bambini orfani, di modo che tutti a Belmont avessero qualcuno che si prendesse cura di sé.
Sypha salì le scale del castello di Dracula, portando un vassoio con la cena a Trevor, come ogni sera. “Sei venuta a uccidermi?”
“Io non uccido, creo solo vite ormai.” , gli rispose mettendogli il pasto sulle gambe, per avere le mani libere per sfregarsi il ventre. Era ben visibile ora, sotto il mantello azzurro da Parlatrice. Si sedette accanto a lui, rubandogli la birra scherzosamente. Trevor protestò subito, poi scoppiarono a ridere assieme, finendo a parlare per tutta la notte. Dal suo ritorno, in realtà, era Trevor a parlare di più, avendo percepito che la ragazza che amava fosse caduta nel suo stesso buco nero, anche se non voleva però farla affondare in basso come era arrivato lui.
“Quando arriveranno gli altri Parlatori?” , le chiese sposandole un ciuffo di capelli dal volto, mentre lei lo guardava dall’altezza della sua spalla. Ormai non riusciva più a sdraiarsi su di lui a pancia in giù, dovendosi accontentare di un suo fianco. Sypha fece una faccia fintamente offesa. “Credevo di bastare io a risistemare questo posto merdoso.”
“Non si è mai visto un solo Parlatore a risollevare le sorti di un intero villaggio, e bada alle parole quando sei vicina al bambino.”
“Io sono sempre vicina al bambino.” , rise lei, “Ed è la verità: una Parlatrice senza il suo Belmont al fianco non può pensare di fare molto per Treffy.”
“Smettila, il villaggio si chiama Belmont.” , la rimbeccò puntandole l’indice sulla pancia, “Proprio come lui, perciò hai sempre il tuo Belmont al fianco, a Belmont.”
“Ho sentito il mio cervello morire nel cercare di seguire il tuo ragionamento, Belmont.” , disse Alucard, apparendo sulla porta con un bagliore rossastro. Prese il vassoio con i resti della cena, per portarlo nella cucina.
“Vattene, e lasciami stare in pace con mia moglie, ora che posso ancora fare l’amore con lei, prima che il bambino ingombri la via.” , gli urlò Trevor, fingendosi infastidito.
Alucard sparì con un’espressione disgustata. “Ho sempre pensato che tu fossi un maiale, Belmont.”
Sypha rise, poi voltandosi verso Trevor di nuovo. “Io non sono tua moglie.”
Belmont alzò le spalle appena. “Quando arriveranno gli altri Parlatori chiederemo a tuo nonno di celebrare qualsiasi cosa voi abbiate di simile al matrimonio.”
“E a te va bene diventare mio marito secondo le usanze dei Parlatori? Non sarebbe importante per la tua famiglia che vi fosse anche un prete a celebrare una messa?”
Trevor rise di gusto. “Dimentichi che sono scomunicato, e che odio tutti i chierici. Perciò, ritornando al discorso di prima...” , si fermò con sguardo ammiccante.
Sypha si alzò su un gomito. “Non riesci nemmeno a muoverti. Cosa pensi di voler fare?”
Belmont mise fintamente il muso, non proferendo parola per il resto della sera, mentre accarezzava i capelli della ragazza con una mano, e l’altra la teneva poggiata sul suo ventre, per auscultare il bambino.

 

La carovana di Parlatori arrivò altri due mesi dopo, giusto in tempo per la costruzione della rete di cavi per la tecnologia di illuminazione usata nel castello di Dracula. Il nonno di Sypha era sempre lo stesso, ma non riuscì a trattenere la gioia nel constatare con i suoi stessi occhi che la nipote avesse stretto un legame con Belmont, avendoli visti insieme e molto affiatati. Un altro mese dopo, alla luce delle torce elettriche, Trevor si fece strada fino alla piazza del villaggio, sorretto da Alucard con un ghigno trionfante sul volto perché era lui quello fisicamente più forte in quel momento - e come sempre - , per diventare il marito di Sypha.
“Belnades e Belmont.” , lo canzonò per tutta la cena la moglie.
“Solo Belmont.” , ripeteva puntualmente lui, scherzando su quale nome avrebbe dovuto prendere dalla linea della sua famiglia per suonare più integrata.
“Sypha Belnades va benissimo, grazie.” , concluse lei, tirando fuori la lingua e incrociando le braccia sotto al seno.
Fu dopo la cena che lei e Alucard scortarono Trevor, bendato, fino alla tenuta che era stata ricostruita, anche se mancava solo qualche tocco finale.
“Smettetela, ricordo quanto spazio intercorre tra l’orrendo castello di Dracula e le rovine della mia casa! Sbendatemi, mi sta venendo da vomitare!” , si lamentò.
“Se solo tu avessi bevuto meno birra, Belmont...” , lo rimbeccò Adrian.
“Voglio proprio vedere, tu quanto vino ti scolerai quando sarà il tuo momento con quella Greta! Ho visto come vi facevate gli occhi dolci!” , sbraitò Trevor, mentre si fermavano.
Il biondo guardò Sypha arrossendo, ricevendo da lei un sorrisetto sornione. “È sulle bocche di tutti, Alucard...”
Sbendarono Trevor, allora il figlio di Dracula si allontanò. “Vi lascio soli. Bentornato a casa, Belmont, qui a Treffy sarai sempre il benvenuto.”
Dopo un primo momento di sgomento, in cui Trevor versò anche una lacrima, si voltò indietro per urlare al suo amico in un ultima battuta di ripicca. Facevano sempre così, giocando a sfinirsi come due bambini, rimbeccandosi in continuazione per vedere chi avrebbe ceduto per primo, lasciando la vittoria all’altro. “Ovvio che sarò sempre il benvenuto in un luogo che porta il mio nome, ma soprattutto che ha usato le mie terre come luogo per costruire delle case per civili!”

 

Un ultimo mese dopo, nella tenuta dei Belmont, Simon venne alla luce. Trevor era voluto entrare nella stanza, ma era svenuto dopo pochi momenti, dimostrando che non importa quanto grosso o duro sei all’esterno, quando dentro sei mollaccione come lui. Trevor Belmont, cacciatore di mostri, capace di distruggerli pezzo per pezzo e navigare nel loro sangue, non fu capace di assistere al miracolo della vita senza che gli cedessero le ginocchia. Così era stato il nonno di Sypha ad accogliere per primo il nuovo ‘ultimo dei Belmont’ - al momento - . Con dei sali, alcuni Parlatori svegliarono Trevor, che fu chiamato accanto a Sypha nel letto, per osservare il suo bambino, senza però riuscirci perché scoppiò a piangere come un disperato. Sypha lo accolse tra le sue braccia ridacchiando, anche perché il bambino assomigliava del tutto a lei.
“Trevor è un nome orrendo.” , le ricordò tra le lacrime.
“Lo so, e non chiamerei mai nostro figlio come te, ora che sei al mio fianco. Come farebbe il bambino a capire che i rimproveri sarebbero probabilmente sempre per suo padre?”
Trevor rise, asciugandosi le lacrime, il fiume in piena che si era finalmente prosciugato.
Anche il dhaphir si presentò nella tenuta dei Belmont, con un bellissimo mazzo di fiori per la neo-madre. “Lui sì che è un galantuomo.” , protestò Sypha con il marito, ricevendo un’alzata di spalle come risposta.
“Ti ha fatto il favore - o forse non ne sono sicuro che lo sia - di tornare vivo dopo il combattimento con Morte...” , scherzò il biondo, mentre si protendeva per tenere in braccio il neonato.
“Oh, grazie a Dio non assomiglia a Belmont.” , disse poi con una risatina. Trevor alzò il dito medio della mano, mostrandogli come avesse ripreso piuttosto bene l’uso degli arti superiori. “Non ero mai riuscito a restituirtelo.”
“Simon, tuo padre è un maiale.” , sbuffò Alucard, alzandosi in piedi. Baciò Sypha sulla fronte, che nel frattempo si stava per addormentare sfinita, prima di ricevere l’affidamento del piccolo per il pomeriggio, non riuscendo Trevor a stringere ancora nulla saldamente con le braccia. Il biondo corse giù per le scale dell’edificio, seguito dal padrone di casa.

“Vi presento il primo nato di Treffy: Simon Belmont!” , lo presentò Alucard a Greta e a tutti gli altri abitanti del villaggio, muovendo le braccia come un dondolo, ma con eccessivo slancio, tanto che Trevor gli corse dietro per tutto il tempo, con le braccia tese in avanti per prendere il figlio, in caso di caduta. Quello ovviamente, diede ad Alucard la rivincita per tutte le volte che aveva perso un battibecco, così come un motivo di beffa eterno verso l’amico. “Trevor Belmont che ha paura per la prima volta.” , cambiò infatti Alucard dopo qualche tempo il suo scherno.
“Ti ho visto che frignavi quando è nato, Belmont.” , continuò ancora, finché la sera non fu Sypha a calmarlo, essendosi voluta già alzare da letto. Li rimproverò come bambini, rimettendo entrambi al loro posto. Prese suo figlio, mettendosi a sedere accanto a Trevor. Posò la testa nell’incavo del suo collo, poi lui la sua sopra i capelli rossi della Parlatrice.
“Sono così felice ora.” , mormorò la ragazza, stringendo il piccolo.
“Anche io.” , confermò Trevor, addormentandosi dopo poco, iniziando a russare lievemente, come se non volesse infastidire o svegliare il bambino. Alucard li guardò per l’ultima volta con un sorriso, poi spense la lampada elettrica con l’interruttore, sapendo che nulla avrebbe potuto più interrompere la gioia che da qualche mese li graziava.

  
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