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Autore: cityoftheflower    03/06/2021    1 recensioni
«È meglio così. Niente rapporti seri, il mio cuore è già impegnato a soffrire per altro. È pericoloso innamorarsi.» spiegò, sostando l’auto di fronte casa.
«Però amare non implica automaticamente soffrire» dissi, chissà se per convincere lui o dissuadere me.
«Eppure spesso è così. Ma non esserne gelosa, se vuoi c'è spazio anche per te» rispose con un sorrisetto irritante che gli si faceva strada tra le labbra piene.
«Lo sai che sei disgusto a volte, vero?»
Lui rise: «dai sto scherzando, è divertente infastidirti! Ma tanto per chiarirci, a te non credo che concederei quel tipo di spazio.» aggiunse tornando improvvisamente serio.
«Perché?»
«Perché saresti un pericolo.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prologo 


A risvegliarmi fu la tiepida luce gialla del mattino, dalla quale cercai di fuggire girandomi dall’altra parte e urtando malamente il mio vicino di posto.  
«Mi-mi scusi!» mi affrettai a dire alzando la testa di scatto, prima che lui mi rivolgesse una semplice occhiata indecifrabile. Era un uomo sulla cinquantina ed alquanto impaziente, a giudicare dai ripetuti sbuffi che gli avevo sentito fare per buona parte del viaggio.
Tornai a voltarmi dalla parte opposta con un sospiro e sbirciai fuori dal piccolo finestrino, sotto di noi c’era l’immensa distesa dell’oceano appena illuminata dal sole ed occupata dall’arcipelago giapponese che avevamo appena sorvolato, segno inconfondibile che mancava molto poco all’atterraggio.
Ero venuta in Corea un numero considerevole di volte da poter dire che ormai ero abituata a quei voli lunghissimi se avessi voluto, ma in verità l’unica cosa che mi piaceva degli aeroplani era la possibilità di vedere il mondo dall’alto, perché diventava così lontano e piccolo che sembrava quasi impossibile averne paura. Ma per il resto ne avrei fatto volentieri a meno.
«Signorina, è seduta sulla mia giacca» disse seccato l’uomo alla mia destra, appunto.
«Scusi, è che…sono un po’ maldestra» ribattei neutrale liberando l’estremità della manica della sua giacca a vento.
«È la prima volta che fa un viaggio intercontinentale?» continuò smussando la poca pazienza che mi era rimasta.
«Per la verità no. Mio padre vive in Corea, mia madre in Colorado. Viaggio sin da bambina» spiegai sforzarmi di essere il meno acida possibile.
«Non sembra» commentò lui gelido «si agita da quando siamo partiti» probabilmente quell’appunto avrebbe voluto farlo almeno sei ore fa, glielo si leggeva in faccia.
«Si prega il gentile equipaggio di allacciare le cinture di sicurezza, l’aereo è in fase di atterraggio. Grazie.» fu quell’annuncio a dissuadermi da ricordare al mio vicino che erano state le sue cianfrusaglie, quali: quella maledetta giacca a vento, i suoi snack rumorosi e il suo portatile fin troppo luminoso, ad aver invaso il mio spazio, ma lasciai correre e allacciai la mia cintura in silenzio.
Con un altro sospiro strizzai gli occhi e conficcai le unghie nel bracciolo del mio sedile quando l’aereo cominciò a sussultare mentre planava, facendomi venire le vertigini e quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco. Odiavo volare.
Solo quando finalmente toccammo terra ripresi a respirare e riaprii gli occhi, per accorgermi che il cielo era più cupo di quanto mi aspettassi, perché di solito quando venivo a Busan c’era sempre il sole e avevo il vivido ricordo dello scintillio che faceva sull’acqua del mare. Ma non potevo più basarmi sulle limitate conoscenze che avevo della Corea, dal momento che erano passati più tre anni dall’ultima volta in cui ero venuta e in generale le mie visite si limitavano sempre a brevi soste estive. Anche il mio coreano era un po’ arrugginito e se non fosse stato per mio padre e i miei nonni avrei dimenticato perfino come ci si saluta.
Mi alzai dal mio posto trepidante, nonostante non vedessi l’ora di scendere da quel trabiccolo, sapevo anche che uscendo da quella porta sarebbe iniziato un nuovo capitolo della mia vita. Lontano dall’America, lontano da mia madre, lontano da tutto ciò che conoscevo o a cui ero abituata, avrei fatto il mio ingresso nel mondo degli adulti e sarebbe cominciato fin da subito, dal momento che dall’altra parte nessuno mi stava aspettando; mio padre era fuori per lavoro e i miei nonni troppo vecchi per raggiungere l’aeroporto, mi chiedevo se sarei stata in grado di prendere un semplice taxi fino a casa.
Però mi feci coraggio, dopotutto era stata una mia decisione. Guardandomi intorno poi, mi accorsi che l’uomo che era stato seduto al mio fianco durante il viaggio era sparito e che l’aereo si era quasi del tutto svuotato, dovevo scendere e basta.
L’aeroporto internazionale di Busan era un posto enorme – anzi sembrava che più passava il tempo e più crescesse di dimensioni – e brulicava sempre di persone indaffarate che andavano di corsa o di turisti che si prendevano tutto il tempo di vagare stupefatti. Tuttavia raggiungere le mie valigie non fu affatto difficile, ma trascinarle attraverso l’uscita del gate con la lentezza che mi ritrovavo fu un’impresa titanica e per poco un tizio intento in una discussione al telefono non rischiò di farmi finire con la faccia per terra.
Soltanto quando rialzai la testa per scostarmi i lunghi capelli dagli occhi mi accorsi di un cartello che veniva sventolato tra la folla e recitava “Kim Evie, bentornata!” scritto con i caratteri coreani.
Mi bloccai sul posto aggrottando le sopracciglia, un ragazzo biondo e vagamente familiare veniva nella mia direzione ma per quanto mi sforzassi di associare la sua faccia ad un nome, non avevo proprio idea di chi fosse. Bene, forse quella non era la mia giornata.
«Ciao, Evie!» sorrise caloroso, come se ci conoscessimo da anni. Ma di fronte la mia perplessità assottigliò gli occhi già sottili e si portò una mano al centro del petto «non dirmi che non ti ricordi di me, così mi spezzi il cuore.»
«Perdonami» dissi semplicemente, arrossendo fino alla punta dei capelli. Lui ridacchiò ed in effetti quella risata mi riportò alla mente qualcuno che conoscevo. Ma non poteva essere proprio lui, giusto?
«Si, effettivamente la pubertà mi ha trasformato nel gran figo che vedi adesso. Ma permettimi di rinfrescarti la memoria, amica: il ragazzino con la passione per la danza, che abita di fronte la casa dei tuoi nonni e con cui passavi il tempo d’estate. Ti dice nulla?» invece era lui.
«Non ci credo!» risposi stupefatta portandomi una mano sulla bocca «Jimin?» riuscii a dire con un filo di voce. Probabilmente non lo vedevo dai tempi delle medie e all’epoca era un ragazzino paffutello e basso, con un caschetto di capelli neri e gli occhi altrettanto scuri. Ora riusciva a superarmi in altezza, dall’aderente maglietta bianca si intravedevano volutamente i muscoli al di sotto, aveva i capelli biondi ed indossava delle lentine azzurre. Che diavolo gli era successo?
«In persona!» rispose allargando le braccia per stringermi con vigore in un veloce abbraccio, perché stavamo decisamente intralciando la strada al via vai di gente che non aveva smesso un attimo di passare ed urtarci per sbaglio.
«Ma cosa…è davvero una sorpresa questa. Cosa ci fai qui?» chiesi mentre lui mi spostava di lato per prendere entrambe le mie valige.
«Lo so che è strano, ma l’altro giorno ho incontrato tua nonna per strada e l’ho aiutata con la spesa. Lei mi ha parlato del fatto che ti avrebbero ospitato fintanto che non ti saresti sistemata nel campus universitario, ma che era preoccupata perché nessuno sarebbe venuto a prenderti all’aeroporto. Così mi sono offerto io, non sei contenta?» spiegò trascinando i miei bagagli con estrema facilità.
«In realtà tu sei l’ultima persona che mi aspettavo di vedere» ribattei con sincerità facendolo ridere «credevo che uno come te sarebbe finito a Seoul, in qualche compagnia di danza o in una di quelle agenzie di Idol. Anche perché lo sembri» aggiunsi.
Lui rimase in silenzio per un breve attimo, nel quale attraversammo la strada per entrare nel parcheggio dove aveva sostato la sua auto e alla fine mi fece un sorriso, che non coinvolse gli occhi questa volta.
«A volte ci sono cose più importanti del successo, Evie» rispose enigmatico, aprendo il cofano di una grossa auto bianca e caricando le valigie all’interno.
Una goccia di pioggia mi colpì dritta sul naso e alzai gli occhi verso l’alto, dei giganteschi nuvoloni grigi avevano preso il posto dell’azzurro del cielo di cui avevo avuto un assaggio mentre sorvolavamo il Giappone, ma fui comunque sollevata quando un tuono squarciò il silenzio che si era venuto a creare dopo l’ultima affermazione di Jimin.
«Sei capitata in un periodo sfortunato, al telegiornale hanno annunciato che pioverà tutta la settimana. Ma se ti annoi troppo a stare a casa da sola, posso farti compagnia volentieri» mi informò lui riacquistando velocemente il buonumore e facendomi l’occhiolino. In questo però Jimin non era affatto cambiato, era sempre il solito marpione, semplicemente ora più credibile.
«Si, così possiamo parlare di quando portavi il cappellino con la visiera al contrario e le catene al collo. I bei vecchi tempi» risposi a tono, entrando nella sua auto.
«Questo è davvero un colpo basso» disse allacciandosi la cintura e girando la chiave nel quadro «ma sono contento che ricordi anche queste piccolezze. Vuol dire che sono indimenticabile» sorrise voltandosi nella mia direzione e assumendo un’espressione irritante, nemmeno quella era cambiata.
«Ricordo anche che ero più alta di te, non che adesso ci sia molta differenza» dissi rivolgendogli un sorriso beffardo.
«Okay, ora smettila di parlare.» concluse fingendosi offeso ma per la prima volta da quando ero in viaggio per attraversare il globo riuscii a ridere, scaricando parte della tensione che mi portavo dietro e che mi avrebbe sicuramente accompagnato per mesi.
In quel momento ancora non lo sapevo – o forse lo ignoravo semplicemente – che il mondo degli adulti era un posto difficile al quale adattarsi e che inseguire i propri sogni è realmente più dura di quel che si possa immaginare, specialmente quando ancora non hai fatto i conti con la realtà della vita e i suoi imprevisti.



 
Angolo Autrice

Salve a tutti! È da un sacco di tempo che non scrivo una fan fiction, ma recentemente ho avuto un’improvvisa ispirazione ed eccomi qui! Il titolo di questa storia richiama quello di un vecchio manga, ma l'ho scoperto solo poco fa prima di pubblicare, quindi non ha niente a che vedere con quella storia, anche perchè non so nemmeno di cosa parla ahahha
Comunque questa fan fiction si concentra sulla mia protagonista, Evie, che entrerà in contatto con tutti gli altri membri dei BTS nel corso della storia, nonostante quello principale sia Jimin.
Non c’è ovviamente molto da dire, dal momento che questo è solo un prologo, tuttavia spero vi piaccia! Fatemelo sapere con una recensione! Comunque, grazie mille anche solo per aver letto fin qui, alla prossima!

 
Stay tuned, Anna. 
  
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