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Autore: FreddyOllow    18/06/2021    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti antologica. Seguiremo le storie di alcuni protagonisti sopravvissuti alla Grande Epidemia Verde. Non serve conoscere il gioco.
Storie concluse:
1. Whitaker
2. Virgil
3. Jimmy Gibbs Juniors
4. La sposa Witch
5. L'uomo della chiesa
Genere: Horror, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era più di un mese che Virgil e sua moglie Cassandra se ne stavano sulle rive del lago, godendosi la natura e la quiete che avevano sempre amato. Quarantatré giorni splendidi.
Quarantatré giorni tra pesca e coccole.
Quarantatré giorni sulla loro barca che andava a pezzi giorno dopo giorno.
Ed ora, seduti sull'imbarcazione, osservavano il tramonto dalle tinte rosso arancio, mentre la brezza estiva accarezzava i loro volti non più giovani.
- Ho una mezza idea di restare qui per sempre. - Disse Virgil con un sorriso.
- Non sarebbe male. - Rispose Cassandra. - Ma temo che le zanzare ci divorerebbero.
- Siamo ancora in autunno. Possiamo rimanere fino a inizio primavera, e poi spostarci nella baia.
Cassandra ci rifletté. - Si, potrebbe andare. L'importante che la barca non coli a picco mentre dormiamo.
- La nostra Lagniappe II non ci tradirà. - Disse Virgil con un occhiolino.
- Come la Lagniappe precedente, no? - Rispose Cassandra fulminandolo con lo sguardo. - Se non fosse stato per il nostro cane Charlie, a quest'ora staremmo facendo compagnia ai pesci.
- Sei troppo melodrammatica.
- Allora mentre affonderai con la tua barca che ami più di me, non lamentarti se non muoverò un dito per salvarti. Tu e questa dannata barca. Passi più tempo con lei che con me.
Virgil smorzò un sorriso divertito.
- Ti ho visto, sai. - Disse Cassandra corrugando la fronte. - Non ridere. Non c'è niente da ridere.
- Ok. - Rispose Virgil serrando la mascella per non ridere. Ma non riuscì a trattenersi e scoppiò in una grassa risata.
Cassandra scattò in piedi e, sospirando irritata, se ne andò sotto coperta.

Il mattino seguente, dopo aver passato la solita nottata accesa come due adolescenti innamorati in procinto di farlo per la prima volta, scesero dall'imbarcazione con aria appagata e assonata.
Virgil sbadigliò e avvistò in lontananza diverse colonne di fumo nero elevarsi da sopra la volta degli alberi.
- Guarda! - Disse Virgil puntando il dito ossuto. - Proviene dalla città.
Cassandra si accigliò, irritata. - Lo sai che odio parlare appena sveglia, e odio ancora di più se mi fanno domande!
- Forse è scoppiato un grosso incendio. - Continuò Virgil.
E nell'udire la parola incendio, Cassandra osservò il cielo incuriosita. - Non mi sorprende. - Sbuffò. - Sono tutti caseggiati di legno. Primo o poi sarebbe successo...
- Cinica come sempre, eh? Forse è meglio andare a dare un occhiata. Magari serve aiuto.
- L'aiuto serve più a te che a loro. - Lo prese in giro Cassandra con un ghigno.
- Davvero divertente. - Disse Virgil con un sorriso falso.
Entrarono nel pick-up bianco sporco di fango e polvere, e si diressero verso la città. Seguirono il sentiero, finché s'immisero sulla strada asfaltata. E lì notarono il bagliore di molteplici fuochi all'orizzonte.
- Sembra che l'intero villaggio abbia preso fuoco. - Disse Cassandra.
- Qualche ubriacone avrà giocato con le taniche di benzina. - Disse Virgil - Ricordi, Bobby? Il figlio di Fredrik. Quello svitato amava dare fuoco ai rotoli di fieno.
- Vuoi dire balle di fieno?
- È la stessa dannata cosa. Quell'idiota ha quasi fatto divorare dalle fiamme l'intero villaggio a sud. E se non avessero spento il fuoco, l'intera contea sarebbe stata ridotta in cenere.
- Bobby è stato arrestato.
- Lo so. Sto solo dicendo che un altro idiota ha dato fuoco alla città.
Il pick-up svoltò a destra e proseguì sulla strada sterrata. La vegetazione della palude cominciava a chiudersi attorno al veicolo.
- Questa è l'unica strada per raggiungere la citta, e non pensano nemmeno di potare questi dannati rami. - Disse Virgil, infastidito. - Guarda! Mi stanno graffiando tutta la carrozzeria.
- Chiedi troppo a un sindaco che non ha neanche i fondi per asfaltare le strade, figuriamoci per quello. - Rispose Cassandra.

Venti minuti dopo, arrivarono a cento metri dall'ingresso del villaggio. La maggior parte delle sparute case di legno era avvolta dalle fiamme, e colonne di fumo nero oscuravano il cielo. Sulle strade scorsero dozzine di cadaveri.
Stravolti e turbati, scesero dal pick-up e raggiunsero il corpo senza vita di un uomo.
Virgil si chinò a esaminarlo. - Ha dei morsi sul braccio e sulla faccia. Non sembra opera di un animale.
- Cosa diavolo è successo, qui? - Domandò Cassandra quasi in un sussurro.
Virgil si alzò, guardandosi intorno. Vide qualcuno camminare vicino a una casa in fiamme.
- Ehi! - Urlò, agitando le braccia in aria.
L'uomo si girò. Lo guardò per un attimo e, gridando impazzito, scattò verso di loro.
Virgil e Cassandra si scambiarono un occhiata, spaventati.
- Andiamo al pick-up, Cass! - Le disse Virgil. - Forza!
Quando si chiusero nel veicolo, l'uomo li raggiunse. La sua faccia dietro il finestrino sporco di gocce di fango non aveva più nulla di umano. Pelle grigiastra, occhi rossi, bocca insanguinata e vene nere sul viso e sul collo. Cominciò a tartassare la carrozzeria di pugni e schiaffi, urlando a squarciagola.
- Ma cosa gli è preso? - Chiese Cassandra, terrorizzata.
- Non lo so, Cass, non lo so. - Rispose Virgil senza distogliere lo sguardo dall'infetto. Poi si voltò verso sua moglie. - Prendi la pistola dal portaoggetti.
Cassandra lo aprì e ci frugò dentro. Gettò fuori le cartacce e afferrò l'arma. La diede a suo marito.
- La vedi questa, figlio di puttana? - Urlò Virgil puntando la pistola contro l'infetto. - Se non ci lasci in pace, ti faccio in buco in fronte!
Le sue parole ebbero l'effetto contrario. L'infetto si mise a martellare con più violenza la portiera del pick-up.
- Vattene! - Gridò Cassandra.
Virgil le lanciò uno sguardo ansioso e comprese che stava quasi per scoppiare in lacrime. Poi si girò verso l'infetto. - Non te lo dirò un altra volta! Vattene o ti sparo quanto è vero iddio!
L'infetto si agitò ancora di più e, urlando, iniziò a sferrare pugni e testate contro il finestrino.
Virgil stava per premere il grilletto, quando il finestrino si infranse. Spaventato, fece partire un colpo che colpì l'infetto alla spalla. Quello non accusò il colpo e calò una mano dentro il veicolo. Afferrò il polso di Virgil, tirandolo verso di sé.
Cassandra gridò in preda al panico e, cercando di liberare il polso del marito, venne afferrata dai capelli.
Virgil sparò e mancò la testa dell'infetto. Quello mollò la presa da dall'uomo e trascinò fuori Cassandra per i capelli.
- NO! - Urlò Virgil.
Mentre Cassandra si dimenava, l'infetto le affondò i denti nella guancia. Le strappò pelle e filamenti di carne che cominciò a masticare.
La donna gridò dal dolore, tentando inutilmente di liberarsi da quella forte stretta mortale.
Inorridito, Virgil prese la mira e sparò in testa all'infetto e, uscito dal pickup, si chinò su Cassandra.
- Cass! Amore mio! - Le disse in lacrime, prendendole la testa tra le braccia tremanti. - No, no, cosa ti ha fatto?
Cassandra lo fissò negli occhi. - Non riesco a muovermi...
Virgil le mosse le braccia. - Le senti?
- Non sento niente... Ho tanto sonno.
- Resta con me, Cass. - Disse Virgil. - È solo una piccola ferita. Troveremo un medico.
- Ho tanto sonno, Virg... - Ripeteva Cassandra con la vista annebbiata, le vene sul viso e sul collo che diventavano nere.
- Cass! Rimani con me. Tieni gli occhi aperti.
- Non riesco più a vederti... Dove sei, Virg? Parlami, ti prego...
- Sono qui, amore mio. Sono qui. - Le disse Virgil cullandola tra le braccia.
Cassandra borbottò qualcosa, ma era troppo debole per scandire le parole. Delle lacrime le solcarono il viso che stava diventando cadaverico.
- Cass! - Disse Virgil scuotendola dolcemente. - Ti prego, non lasciarmi. Sei l'unica cosa che mi sia rimasta. L'unica cosa buona che mi sia capitata nella mia vita. Non lasciarmi, Cass.
Cassandra si sforzò di parlare, ma le uscì solo un rantolo dalle labbra e morì.
Virgil scoppiò a piangere con la guancia posata sulla sua fronte, mentre alle sue spalle lingue di fuoco s'innalzavano verso il cielo scuro.

All'improvviso il corpo di Cassandra fremette per un momento, e Virgil sobbalzò, spaventato. Fissò le vene nere che le pulsavano sul viso e sul collo, e gli occhi velati che s'iniettarono di sangue.
Poi quella che un tempo era Cassandra, tentò di mordergli la faccia.
- Cass! Sono io, Virgil. - Le disse, mentre cercava a stento di tenerla lontana.
La donna cominciò a urlare, a dimenarsi, finché con una manata lo colpì a un braccio.
Virgil mollò la presa e scattò in piedi. - Cass, sono io. Non mi riconosci?
La donna gli si precipitò addosso, e lui riuscì ad afferrarle i polsi. Ma Cassandra era troppo forte e si liberò subito, cominciando a sferrare pugni e schiaffi.
Virgil arretrò senza farsi colpire, incapace di premere il grilletto. Non capiva o non voleva accettare che quella davanti a sé non era più la donna che aveva amato. Mentre lei gridava, sei infetti la raggiunsero alle spalle.
- Sono dietro di te! - Le urlò Virgil, preoccupato. - Ti faranno del male. Vieni qui, Cass.
Insieme ai sei infetti, Cassandra si lanciò contro Virgil che, sconvolto e mentalmente confuso, se ne restò fermo. Appena gli furono a cinque metri, una raffica di pallottole travolse gli infetti.
- NO! - Urlò Virgil, precipitandosi verso Cassandra che giaceva al suolo. Si chinò e le prese la testa tra le mani. - Rispondimi, Cass. - Disse in lacrime. - Ti prego, dii qualcosa.
Cinque militari armati di fucili d'assalto si fermarono alle sue spalle. Lo guardarono confusi, pur mantenendo l'espressione austera.
- Se gli ficchiamo un proiettile in testa, gli faremo un favore. - Disse un uomo calvo.
- No. Portiamolo dagli altri. - Rispose l'uomo con un occhio bieco. - Dobbiamo sapere se è immune.
- Potrebbe avere qualche rotella fuori posto.
- Fai come dico, soldato! È un ordine!

Virgil fu sollevato di peso e, mentre tentava di liberarsi dalla presa, venne gettato di peso nel retro di un furgone.
- Lasciatemi andare! - Gridò in faccia all'uomo calvo. La sola cosa che desiderava era restare con Cassandra. Non poteva lasciarla lì.
- Smettila di strillare, Dio santo! - Disse l'uomo calvo, infastidito. Gli si sedette accanto, mentre il resto del gruppo saliva sul furgone.
Virgil iniziò a colpire la portiera posteriore del veicolo. - Fatemi uscire!
L'uomo calvo e l'uomo con i capelli corti lo afferrarono e lo misero a sedere.
- Non toccatemi! - Urlò Virgil.
L'uomo calvo lanciò uno sguardo verso l'uomo con l'occhio bieco seduto davanti, che annuì.
- Sogni d'oro, stronzo! - Disse l'uomo calvo con un ghigno.
Virgil fu colpito dietro la testa con il calcio della pistola e perse i sensi.

Quando si svegliò, era steso su una branda. La testa gli doleva un poco e si mise a sedere, guardandosi intorno. Si trovava in una tenda militare. Appena fece per alzarsi, un uomo entrò dentro.
- Ti sei svegliato. - Disse l'uomo con l'occhio bieco.
- Dove... Dove sono? - Domando Virgil, stordito.
- Al sicuro, per il momento. - Si avvicinò a lui allungandogli una mano. - Sono il capitano Edgar Morrison.
Virgil gli guardò dapprima la mano con diffidenza, poi gliela strinse. - Virgil Hook. Sei dell'esercito?
- Quel che rimane.
- Che vuoi dire?
- La faccio breve: l'esercito è stato annientato dagli infetti.
Virgil sgranò gli occhi, turbato. - Annientato?
- È quello che ho detto. Comunque, sei libero di camminare per l'accampamento, ma è vietato uscire.
Virgil non ci capiva più niente. Poi nella mente gli balenò il volto di Cassandra. - Mia moglie. Lei dov'è? Sta bene? È qui?
Edgar lo guardò negli occhi. - Non ricordi? Ti abbiamo trovato a cinque chilometri da qui. Stringevi tra le braccia una donna. Era tua moglie, giusto?
Virgil sentì le gambe molli. - Io.. Lei... - Gli occhi gli diventarono umidi. - Era stata morsa sulla guancia. Una ferita da niente... Io...
- Mi dispiace per la tua perdita, ma basta un morso per diventare come loro.
- Io non capisco. Chi sono questi loro?
- Quelli che hanno cercato di ucciderti. Quello come tua moglie.
Virgil rimase in silenzio.
- So cosa stai pensando. - Disse Edgar. - Credevi che fosse ancora tua moglie, non è vero? Ho visto quello sguardo su padri, madri, figli, fratelli, ma una volta che si trasformano, loro non sono più quelli di un tempo. Mi capisci?
Virgil non capiva. Era successo tutto così velocemente che ancora si ripeteva cosa diavolo stava succedendo? E dov'era sua moglie?
- Ascolta. - Disse Edgar. - Riposati. Sei ancora confuso. Datti del tempo, e poi quando te la senti esci fuori. C'è altra gente nell'accampamento. Persone che come te hanno visto morire i loro cari.
Virgil gli lanciò un occhiata turbata.
- Siediti. - Gli disse Edgar. - Così, bravo. Ora, riposa. Tornerò tra poco.

Virgil sprofondò in un incubo. Correva in un corridoio illuminato da luci rossastre che provenivano dal pavimento. Più correva, e più la porta di legno che vedeva davanti si allontanava. Poi quella si aprì, e sulla soglia apparve Cassandra con addosso una lunga veste bianca. Gli sorrise.
- Cass! - Disse Virgil con un sorriso, ma la sua voce suonava distorta. - Ti ho cercata dappertutto. Perché mi hai lasciato?
Cassandra lo fissò con il suo volto pallido, quasi cadaverico.
Quando Virgil tentò di raggiungerla, fiotti di sangue scesero dal soffitto. La veste bianca s'impregnò di sangue, e il viso di Cassandra mutò in un espressione diabolica, mostruosa.
- No, no. - Disse Virgil fissando le vene nere pulsarle sul volto.
La donna spalancò le braccia e, gridando, si lanciò verso di lui come sospesa da terra.

Virgil si svegliò di soprassalto. Aveva la maglietta bagnata e la fronte imperlata di sudore. Si mise a sedere, udendo una vociare continuò fuori dall'ingresso della tenda. Si portò le dita tra i capelli, e rimase così per un lungo momento.
Edgar entrò nella tenda, seguito dall'uomo calvo e un uomo con il camice bianco.
- Come stai, Virgil? - Gli disse Egdar. - Loro sono Simon, - indicò l'uomo calvo, - e Ector.
Virgil si limitò a fissarli.
Ector gli si avvicinò. - Devo visitarti. - Disse velocemente. - Puoi mettere il braccio sul tavolo?
Virgil lo guardò in malo modo. - Che vuoi fare?
- Deve prelevare il tuo sangue. - Aggiunse Edgar. - Lo hanno fatto tutti. Ector pensa che...
- Devo essere sicuro che tu sia o un portatore del virus o immune. - Lo interruppe bruscamente Ector. - Se non lo sei, rischi che la gente possa infettarti. Qui siamo tutti immuni o portatori del virus. Capisci?
- Non capisco. - Rispose Virgil.
Ector sospirò, irritato. - Poggia il braccio sul tavolo, forza! Non ho tutto il tempo.
- Io non faccio proprio niente. - Disse Virgil scattando in piede. - Voglio andarmene.
Simon lanciò uno sguardo a Ector, che disse: - Al momento non si può. Fai come dice il dottore.
- Statemi lontani, allora.
- Non ti faremo del male, Virgil. - Disse Edgar con tono pacato. - Ector è un medico. Lavora per la CEDA. Lui sta studiando l'infezione, e vuole trovare una cura. Per questo ha bisogno del tuo sangue.
- Non mi farò infilzare da nessuno. - Rispose Virgil.
Simon guardò nuovamente Edgar, che annuì.
- Sembra che stia diventando un abitudine con te. - Disse Simon con uno sbuffò divertito.
Virgil lo vide avvicinarsi e, prima che capisse che intenzioni avesse, gli arrivò un pugno in pieno volto e crollò sul letto, perdendo i sensi.
- Perché fanno tante storie? - Chiese Simon, anche se era più un affermazione.
- Hanno paura, Simon. - Rispose Edgar.
Ector spalancò il braccio di Virgil, diede due schiaffetti con due dita unite sull'esterno del bicipite e gli conficcò l'ago nella vena.
- A prima colpo, eh? - Aggiunse Simon.
- Sono un dottore. - Rispose Ector. - Non un tossico che non centrerebbe la vena nemmeno se la vedesse.
- Ma io no ho detto nulla.
- Sì, certo. Tu non dici mai niente.
Simon smorzò un sorriso.
Ector fece uscire l'ago dalla vena di Virgil, gli mise un panno su cui aveva versato dell'disinfettante e glielo legò attorno al braccio con un nastro adesivo. Poi guardò il sangue nella siringa e se lo mise nel taschino del camice. Infine, lasciarono tutti la tenda.

Virgil si svegliò frastornato e con la mascella gonfia. Notò subito il panno sul suo braccio appesantito e se lo strappò.
- Dannazione! - Disse fra sé.
Poi si avvicinò all'uscita e sollevò un lembo della tenda. Il sole gli accecò leggermente gli occhi, e dovette coprirseli con una mano.
Fu sorpreso di vedere nell'accampamento un via vai di gente. Un accampamento ampio, cinto da alte rete metalliche sui cui correva del filo spinato. Delle torrette di guardie si susseguivano ogni cinquanta metri sui cui erano poste dei soldati armati di fucili d'assalto e di precisione. Era circondata da basse e brulle colline.
Jeep militari con su montati delle mitragliatrici, tre APC corazzati e diversi camion dell'esercito erano parcheggiati poco distanti da un alto cancello. Tutto il perimetro era pattugliato dai militari, e la gente se ne teneva alla larga. Virgil pensò che dovevano esserci un centinaio di persone sparse fra le tende e le casupole improvvisate con lamiere e legna.
Appena superò la sua tenda, si accorse di essere in una base militare. In lontananza vide quattro hangar chiusi, diverse alloggi militari e un altra rete di metallo che divideva la base dall'accampamento, impedendone l'acceso. L'esercito aveva allestito sul davanti un campo per i sopravvissuti.
Le persone che gli passavano accanto lo guardarono solo di sfuggita, senza soffermarsi molto. Virgil evitò di guardarli e si diresse al cancello. Superò una grande tenda usata come mensa da cui proveniva un odore di stufato di carne. Gli venne l'acquolina in bocca, ma se la fece passare. Era deciso a lasciare l'accampamento.
Si avvicinò a una guardia seduta dentro un gabbiotto. - Salve. - Disse impacciato. - Voglio andarmene. Sì, vogliono andarmene, ecco.
Il militare lo squadrò. - Non si può.
- Non potete trattenermi. - Virgil si avvicinò al cancello.
- Allontanati da lì! - Urlò il militare puntandogli il fucile d'assalto.
Virgil lo ignorò e tentò di aprire il cancella chiuso.
- Allontanati o sparo! - Gridò il militare con più foga. - Non te lo ripeterò di nuovo.
- Voglio uscire! - Disse Virgil smuovendo la rete metallica del cancello.
Il militare tolse la sicura dall'arma e, prima che potesse premere il grilletto, Virgil indietreggiò.
- Ora allontanati. - Aggiunse il militare abbassando l'arma.

Ritornò vicino alla sua tenda e si mise a sedere su una cassa, pensando a un modo per poter fuggire. Arrampicarsi e poi scavalcare la recinzione era fuori discussione. C'erano troppe guardie, e in più il filo spinato gli avrebbe dilaniato i vestiti e la carne. Passare di sotto poteva servire, ma le sentinelle lo avrebbero visto appena uscito dall'altra parte. Scavare un tunnel era impossibile senza aiuto e gli attrezzi adatti.
Mentre ci pensava, Edgar lo raggiunse.
- Tutto bene? - Gli disse.
Virgil si limitò a fissarlo, torvo.
- Ho una buona notizia. Sei immune.
- E se non lo fossi stato, cosa mi sarebbe successo?
Edgar si sedette accanto. - Saresti stato un portatore del virus o ti saresti trasformato. E' difficile dirlo. Voglio dire, sei stato a stretto contatto con un infetto, tua moglie. Se lei fosse stata immune, quel morso non lo avrebbe uccisa e poi trasformata. Alcuni si trasformano stando semplicemente vicino agli infetti. Altri si trasformano senza mostrare nessun sintomo. Quello che voglio dire è che il Virus è ovunque, e i sintomi sono cambiano da persona a persona. Questo ha fatto precipitare la situazione a livello nazionale, e forse mondiale. Ti abbiamo prelevato il sangue per essere sicuri che non ti saresti trasformato.
- Se non eravate sicuri, perché mi avete portato qui? - Chiese Virgil.
- Lo facciamo con ogni sopravvissuto che troviamo là fuori. L'epidemia ha infettato la maggior parte delle persone non immuni. La maggior parte che hai incontrato si sono trasformati senza mostrare i sintomi. Forse non se ne sono nemmeno accorti. Invece quelli che vedi ora nel campo sono immuni o portatori del virus. Forse è un po' complicato da capire, ma nemmeno noi abbiamo delle risposte certe.
- Vuoi dire che posso infettare la gente? - Domandò Virgil, confuso.
- No, sei immune. Non sei un portatore. Ma alcuni di noi lo sono. - Rispose Edgar. - Per questo facciamo il test del sangue.
- Ma se qualcuno non è immune, allora viene infettato quando lo portate qui. Anzi, lo infettate voi ancor prima di trascinarlo qui.
Edgar si alzò. - Devi sapere che sono rimasti solo sopravvissuti immuni. Tutti gli altri sono stati spazzati via dalla Grande Epidemia, come la chiama Ector. Certo, qualcuno, non so come, resiste per un lungo periodo all'infezione prima di trasformarsi, e noi vogliamo scoprire cosa l'innesca. Trovare una cura, o un modo per rallentare l'infezione. Ci basterebbe anche questo. Per questo preleviamo il sangue. Tua moglie ha resistito fino al morso, poi è morta e si è trasformata. Se non fosse stata morsa, più avanti si sarebbe trasformata.
Virgil abbassò gli occhi, rattristito. Sua moglie non c'era più, e lui si sentiva spaesato e solo.
- Forse è meglio se ti lascio da solo. - Disse Edgar. - La cena è alle otto. La mensa si trova in quel capannone laggiù. A dopo.

Virgil restò seduto per un lungo momento, prima di alzarsi e dirigersi alla mensa. Sentiva lo stomaco brontolare. Non metteva qualcosa sotto i denti da un giorno. Lanciò uno sguardo alla rete metallica, e comprese come i suoi precedenti pensieri sulla fuga erano pura follia.
Arrivato sotto l'ingresso della mensa, vide una quindicina di persone sedute ai tavoli. Mangiavano una poltiglia strana, e conversavano tranquilli come se fuori dalle mura il mondo non era mai caduto.
Camminando tra i tavoli, evitò gli sguardi sospetti e indifferenti della gente e si fermò davanti un lungo tavolo.
Un uomo dall'altra parte lo guardò di sfuggita.
- I vassoi sono da quella parte. - Gli disse.
Virgil ne prese uno e tornò dall'uomo, che gli versò una poltiglia marrone da un pentolone.
La poltiglia puzzava. Non sapeva dirsi che odore fosse, e si limitò a girare la testa. Si sedette a disparte e, prima di fare il primo boccone, annusò di nuovo il cibo. Gli venne un coniato di vomito. Lo stomaco però, brontolava, e senza sapere il motivo, gli venne l'acquolina in bocca. Aveva davvero fame.

Dopo aver passeggiato tra le tende e le casupole di fortuna dei sopravvissuti per farsi un idea del luogo, tornò nella sua tenda. Si sedette sulla branda e guardò la lanterna sul tavolo. Era indeciso se accenderla o meno, e alla fine non lo fece.
Si sdraiò sul letto con le mani incrociate sotto la nuca e meditò nuovamente sulla fuga, finché il viso sorridente di Cassandra eliminò ogni pensiero. Delle lacrime gli solcarono il viso, finendo la loro corsa sulla barba nero grigia. Alla fine, scoppiò in un pianto sommesso.
- Non dovevo portati al villaggio. - Si incolpò con la faccia arrossata dalla rabbia! - Dovevamo restare sulla barca. La mia dannata curiosità ti ha fatto uccidere! Perdonami, Cass! Perdonami.
Dopo un po' sentì dei passi vicino alla tenda, e smise di piangere, asciugandosi gli occhi con la manica della maglietta. Entrò il capitano Edgar, seguito dal dottore Ector.
- Virgil, giusto? - Disse il Dottore. - Ho bisogno di un altro prelievo.
- Cosa? Di nuovo? - Rispose Virgil, mettendosi a sedere sulla branda. - L'altra volta me lo avete fatto senza il mio consenso, e per giunta mi avete colpito con un pugno.
- Non sono stato io a colpirti. Ma questa volta è diverso. Il tuo sangue è diverso. I tuoi anticorpi riescono a isolare e distruggere lentamente il virus. Sono anormali... Speciali.
Virgil non sapeva cosa dire. Non gli riusciva a trovare le parole.
- Ho motivo di credere che nel sangue potrebbe esserci la cura per questa epidemia. - Continuò il dottore. - Ma ho bisogno della tua collaborazione. Immagina le vite che salverai. Forse è possibile far ritornare gli infetti nuovamente sani.
Nel sentire quelle parole, Virgil si vide dinanzi agli occhi il volto pallido di Cassandra. Trattenne le lacrime e fissò torvo i due. - Non farò niente, mi avete capito? Niente! Non riuscirete a manipolarmi come avete fatto con tutta quella gente là fuori. Non otterrete niente da me! E se anche fosse vero quello che dite, voi avete ucciso mia moglie. Le avete sparato! Lei era solo malata... - Abbassò la testa. - Solo malata... - La rialzò. - Se non l'aveste ammazzata, lei... Lei sarebbe ancora viva. - Non riuscì più a trattenere le lacrime.
- Non era più tua moglie, Virgil. - Disse Edgar, posandogli una mano sulla spalla.
Virgil se la levò subito. - Non mi toccare!
- Capisco la tua rabbia, - aggiunse Ector - ma è imperativo fare quello che ti ho detto per aiutare l'umanità.
- Avete ucciso mia moglie! Uno dice che è possibile curare gli infetti, e l'altro dice che non sono più quelli di prima. Siete degli ipocriti! Bugiardi! Lasciatemi da solo.
Ector lanciò un occhiata a Edgar, che scosse la testa. Poi Ector disse. - Va bene. Ma domani, volente o nolente, ti farò il prelievo. È importante, Virgil. Non puoi essere egoista. Non puoi permettertelo. Non quando l'umanità rischia l'estinzione.
Virgil si sdraiò sulla branda, ignorandolo del tutto.
Edgar fece un cenno al dottore che, prima di andare, lanciò un occhiata risentita a Virgil. Poi insieme a Edgar lasciarono la tenda.

Virgil si addormentò da lì a poco.
Si ritrovò sulla sua barca Lagniappe II mentre le dolci onde lambivano lo scafo. Nuvoloni grigi solcavano il cielo all'orizzonte, e il vento sferzava tutt'attorno. Aveva le mani ferme sul timone, e Cassandra le era accanto. Il suo viso era sereno, i suoi occhi pieni di pace.
Virgil le sorrise con gli occhi inumiditi dalla felicità. Quando lasciò il timone per abbracciarla, il cielo si fece scuro, squarciato da una moltitudine di fulmini. Le onde si ingigantirono e colpirono la barca come se volessero affondarla. Il volto di Cassandra si tramutò all'istante, con le vene nere che le pulsavano sulla fronte, gli occhi iniettati di sangue.
Virgil posò nuovamente le mani sul timone e tutto ritornò sereno. Le nuvole svanirono, i fulmini cessarono, le onde si calmarono. Cassandra gli sorrise, e lui si svegliò.
Rimase a fissare il soffitto. La stoffa della tenda ondeggiava smossa dal vento, e ogni tanto i raggi della luna filtravano attraverso l'ingresso. Fuori il mondo era silenzioso.

Al mattino fu svegliato bruscamente dagli spari. Mentre scattò in piedi frastornato, là fuori sembrava essersi scatenato un pandemonio. Uscito dalla tenda, vide la gente terrorizzata correre per tutto l'accampamento. Non capiva cosa stesse succedendo, e quando cercò di fermare un donna per domandarlo, quella gli gridò in faccia e lo spinse via.
Dirigendosi verso la mensa, scorse gli APC corrazzati muoversi tra le tende e le casupole. Gli spari continuavano senza sosta, finché non si udì un enorme boato. Lingue di fuoco si elevarono al cielo da sopra le tende e i tetti delle casupole, e una colonna di fumo nero velò il sole. Virgil sentì la terra fremere sotto i piedi per un momento e, incredulo, vide un militare volare a diversi metri sopra la sua testa. Si schiantò contro il tetto di una casupola, facendola crollare. Rimase a fissarlo per un attimo, e dopo un po' udì delle grida alle sue spalle. Le stesse grida che aveva sentito quando era stato attaccato dagli infetti. Nel vederli, si pietrificò. Quelli gli corsero incontro, gridando e gemendo. Poco prima che lo raggiungessero, un tank abbatté la tenda che fungeva da mensa e con una violenta manata colpì gli infetti mandandoli in aria per diversi metri.
Virgil fissò il Tank, terrorizzato. Non aveva mai visto niente del genere prima d'ora. Si chiese cosa diavolo fosse quella cosa.
Il Tank batté i pugni sul petto, ruggendo verso il cielo. Poi si lanciò contro di lui. Virgil indietreggiò, finché non si mise a correre alla cieca. Corse talmente tanto che alla fine dovette fermarsi per riprendere fiato. Aveva seminato il Tank, ma lo sentiva intorno. I suoi versi gutturali, i suoi pesanti passi che facevano tremare il terreno.
Mentre gli spari diminuivano, la gente continuava a fuggire in tutte le direzioni. Le mitragliatrice montate sulle jeep vomitavano proiettili senza sosta, falciando infetti e persone sane. I militari lungo il perimetro erano stati per la maggior parte uccisi. Alcuni penzolavano sul filo spinato, sulle rete metalliche divelte o sui parapetti delle torrette. Altri giacevano al suolo eviscerati e squartati, insieme ai sopravvissuti.
Virgil si guardò intorno. L'accampamento era ormai invaso dagli infetti, ma non la base militare. Lì i soldati si erano posizionati dietro gli APC corazzati e i blocchi di cemento, e sparavano senza sosta. Gli infetti cercavano di arrampicarsi rapidamente sulla rete metallica, e venivano crivellati dalle pallottole ancor prima di raggiungerne la sommità. Anche i sopravvissuti cercavano di entrare, e i soldati aprivano il fuoco senza alcuna esitazione. Era un vero massacro.
Virgil era inorridito. Come potevano uccidere le persone che poco prima proteggevano?
Mentre fissava quell'orrenda carneficina, il Tank sfondò una casupola e corse verso i soldati poggiando le nocche a terra come un gorilla. Quelli concentrarono il fuoco verso la creatura che, non mostrando alcun segno di sofferenza, sferrò un pugno contro la rete metallica. Una parte della recinzione cadde al suolo e decine di infetti si riversarono nella base alle spalle del Tank. I soldati indietreggiarono compatti verso l'edificio di cemento, ma il torrente di infetti li divise. Molti di loro furono fatti a pezzi, e solo pochi riuscirono a chiudersi dietro lo spesso portone di acciaio.
Sul tetto un elicottero militare stava per alzarsi in cielo. Virgil scorse Ector e Edgar che si dirigevano verso il velivolo. I due si fermarono a litigare. Ector puntò il dito verso l'accampamento, e Edgar lo afferrò per un braccio e lo trascinò con forza nell'elicottero. Mentre s'innalzava in cielo, gli infetti che si erano arrampicati sul tetto corsero urlando verso il velivolo. Alcuni, cercando di raggiungerlo, saltarono nel vuoto e caddero di sotto, spiaccicandosi sul cemento. L'elicottero virò a Ovest e si allontanò.
L'intero edificio era ormai ricoperto dagli infetti, e altri correvano infuriati nella base militare. Il Tank raggiunse il portone di acciaio e cominciò a piegarlo sotto i suoi pesanti pugni. Il vento portava l'odore di putrefazione, e nell'aria si udivano solo gli strilli e le urla impazzite degli infetti. Virgil osservava esterrefatto e stravolto, finché qualcosa gli saltò dietro le spalle. Si vide dinanzi agli occhi delle piccole mani ossute, raggrinzite. Qualcosa si era aggrappato attorno alle sua testa e cercava di lacerargli la faccia. Sogghignava e rideva istericamente mentre lo tirava all'indietro come se lo stesse cavalcando. Virgil tentò di liberarsi dalla presa, ma qualunque cosa fosse lo teneva ben stretto. Una stretta soffocante, dolorosa. Quelli ossute e corte braccia avevano una forza incredibile.
Virgil sentì i polmoni bruciargli per il tanfo di morte che emanava l'essere, e annaspava per riprendere fiato. La creatura sogghignò e lo spinse verso gli infetti che nel frattempo si erano calmati, camminando irrequieti tra le tende e le casupole ancora in piedi. Poi fu sospinto in avanti e la creatura mollò la presa. Mentre i polmoni si riempivano di aria, si voltò di scatto e vide quella cosa al suolo. Era morta.
Non era nulla di umano, o almeno così gli sembrava. Era un essere piccolo, ingobbito e la spina dorsale visibile da sotto la pelle chiara tutta scorticata. Il busto era inclinato in avanti, e ciuffi di capelli puntellavano la piccola testa deforme incastonata nelle strette spalle. Il viso ricordava vagamente qualcosa di umano, e le dita allungate terminavano con dei piccoli artigli.
Giaceva al suolo con la testa fracassata, da cui fuoriusciva un lento fiotto di sangue. Virgil non capiva cosa fosse successo o chi lo avesse salvato. E fissando quella creatura, decise di chiamarla Jockey per la sua risata simile a quella di un pagliaccio.
Poco distante, vide una ragazza con in mano un tubo di ferro insanguinato. Gli fece cenno di seguirla.

I due si mossero silenziosi tra le tende e le casupole, fermandosi dietro un APC corazzato. Centinaia di infetti barcollavano dalla parte opposta. Gemevano e scuotevano freneticamente la testa come in preda di tic nervosi.
- Grazie per avermi salvato. - Bisbigliò Virgil.
La ragazza annuì.
- Sai come uscire da questo posto?
- Sì, ma dobbiamo aspettare che quei malati si dividano.
- Parli di quelli laggiù?
La ragazza annuì.
Rimasero in silenzio per un lungo momento, finché Virgil notò un militare morto vicino alla rete metallica.
- Ehi. - Bisbigliò alla ragazza. - Possiamo prendere quel fucile. Magari c'è anche una pistola nella fondina.
- È troppo lontano. I malati ci vedranno.
- Non se passiamo dietro quelle tende.
La ragazza corrugò la fronte, indecisa. - Va bene, ti seguo.
Tornarono indietro per una ventina di metri e girarono a destra. Videro un infetta seduta a terra che mormorava frasi sconnesse, parole corte, a volte sillabe.
Virgil era confuso. Come poteva parlare? La ragazza invece, non sembrava sorpresa. Si avvicinò silenziosa verso l'infetta e la colpì in testa, spaccandole il cranio.
Continuarono a muoversi tra i cadaveri sparsi qua e là, e arrivarono a diversi metri dalla rete metallica. Prima di raggiungere il militare morto, si guardarono intorno e, non vedendo nessuno, si tennero bassi e si diressero verso la rete metallica.
Virgil afferrò il fucile d'assalto, e la ragazza estrasse la pistola dalla fondina. E così com'erano venuti, tornarono velocemente indietro. Rifecero lo stesso percorso e si fermarono dietro l'APC corrazzato.
- Sono aumentati. - Sussurrò Virgil. - Come faremo a passare, ora?
La ragazza non rispose.
Virgil si guardò intorno con la vaga speranza di scorgere una via di fuga, ma l'ingresso era del tutto ostruito dagli infetti.
Attesero per quasi un ora, e gli infetti non facevano altro che girare in tondo. Infine udirono degli spari provenire della base militare. Il Tank era entrato nell'edificio. Gli spari continuarono per una manciata di secondi, poi i gemiti tornarono a regnare sulla quiete. Notarono che la maggior parte degli infetti, attratti dagli spari, si era diretta verso la base militare. Davanti al cancello ne rimanevano ancora molti.
- Magari possiamo usare questo affare? - Bisbigliò Virgil, indicando l'APC corrazzato con il mento.
- Sai guidarlo? - Chiese la ragazza.
- No. Tu?
- Io? Non ho nemmeno la patente.
- Ma quanti anni hai?
- Diciassette. Tu?
- Cinquantotto.
- E non hai la patente?
- Certo, ma non per questo coso. Non so come accenderlo.
- E credevi che io sapessi farlo? - La ragazza alzò un sopracciglio.
Virgil si sentì uno stupido. Era una ragazzina. Ma il fatto che lei gli avesse salvato la vita lo aveva portato a pensare che fosse più grande. Oppure era la disperazione a fargli fare questi pensieri che in altre circostanze avrebbe accantonato come irreali.
- Possiamo aspettare qui. - Sussurrò la ragazza. - Prima o poi andranno via.
- E se venissero da questo parte? - Rispose Virgil. - Non avremmo scampo. Ci inseguirebbero... Anzi, saremmo circondati. Siamo già circondati.
- Allora metti in moto il furgone.
- Ma non è un semplice furgone. Non so nemmeno come si chiama.
Rimasero a fissarsi per un momento.
- Non avevi detto che conoscevi una via di fuga? - Domandò Virgil.
- È quella la via di fuga. - Rispose la ragazza indicando il cancello.
- Pensavo che conoscessi un altro modo per poter uscire.
- Non si poteva uscire senza essere visti. I soldati sorvegliavano l'intero perimetro. E poi ce ne sono altri là fuori.
- Altri? Altri soldati?
- Sì. Ci sono degli avamposti. Impedivano ai malati di arrivare qui. Mio padre era un ingegnere e... - La ragazza abbassò gli occhi inumiditi. - Lui è... Lui è morto.
- Mi dispiace. - Disse Virgil.
- Ha aiutato a costruire gli avamposti e l'accampamento. - Aggiunse la ragazza, trattenendo a stento le lacrime. - Lui aveva avvertito Edgar che un orda di malati era diretta qui, e che c'era il rischio che questo posto venisse spazzato via... Ma Edgar non lo ascoltò. - Cominciò a piangere nascondendo il viso dietro le mani. - Così mio padre disse a me e mia madre che appena sarebbe tornato dall'avamposto, ci avrebbe portato al sicuro fuori dall'accampamento, ma lui... Lui non è più tornato. - Scoppiò in un pianto sommesso.
Virgil non sapeva cosa dire, e dolcemente, senza forzarla, la strinse tra le sue braccia. La ragazza pianse sul suo petto, sollevando le spalle ad ogni nuovo singhiozzo.

Quando la ragazza si staccò dal suo abbraccio, si asciugò il viso con la manica della maglietta e disse - Mia madre... Anche lei non c'è più... I soldati le hanno sparato. - Trattenne le lacrime e si voltò. - Hanno ucciso tutta la gente che voleva fuggire. Mio padre aveva ragione nel dire che questo posto era una prigione.
Alcuni infetti furono attirati dai suoi bisbigli e si girarono, infastiditi.
Virgil se ne accorse.
- Entra dentro! - Le disse.
- Cosa? - La ragazza lo guardò, confusa.
Virgil le afferrò il polso e la trascinò frettolosamente nel retro del mezzo corazzato che aveva la portiera abbassata.
- Mi hai fatto male. - Disse la ragazza massaggiandosi il polso.
Virgil non la ascoltò e si mise a cercare un pulsante o una manovella che chiudesse la portiera, ma non trovò niente. Due infetti sbucarono dal retro dell'APC corazzato e, barcollando, si fermano dove poco prima si trovavano i due. Le loro teste scattavano nervose avanti e indietro, e uno dei due vomitò bile nero a terra.
Mentre la ragazza puntò la pistola verso l'infetto, Virgil le posò una mano sull'avambraccio.
- Non farlo. - Le bisbiglio. - Attirerai tutti gli infetti. Abbassiamoci.
Un infetto barcollò lontano verso una tenda. L'altro si sdraiò a terra, gemendo.
La ragazza si alzò, e quando fece per scendere dal mezzo corazzato, Virgil la fermò per una spalla.
- Ferma! - Le sussurrò. - Potrebbero essercene degli altri qui vicino.
- Se non lo uccidiamo, primo o poi ci vedrà e allerterà gli altri. - Rispose la ragazza con tono deciso. - Userò il tubo. Non preoccuparti.
Virgil la lasciò andare, e una volta scesa silenziosamente dall'APC corazzato, si avvicinò alle spalle dell'infetto e gli calò il tubo di ferro sul cranio. Il colpo debole e non preciso lo stordì per un istante. Appena la ragazza fece per colpirlo di nuovo. si bloccò nel vedere l'infetto rialzarsi e strillare furioso. Le sferrò un pugno in pieno volto, facendola crollare al suolo, tra lo sguardo terrorizzato e stravolto di Virgil. E mentre l'infetto che l'aveva colpita cominciò a tempestarla di calci e pugni, una trentina di infetti si precipitarono urlando irati verso loro.
Virgil alzò il fucile d'assalto e, con le mani tremanti, fece partire una raffica. Il rinculo dell'arma gli fece perdere la presa, e l'M60 cadde al suolo facendo partire un colpo. Virgil notò di aver colpito solo l'interno dell'APC corazzato.
Alcuni infetti si arrampicarono sul mezzo corazzato credendo che fosse stato questo a disturbarli. Altri corsero verso la portiera abbassata. Virgil raccolse l'M60 e sparò, cercando di tenere ferma l'arma. I primi infetti vennero crivellati, e quelli dietro tentarono di scavalcarli, ma i corpi ammassati sulla portiera abbassata bloccava loro il passaggio. L'uomo fece partire un altra raffica e li uccise. Adesso era del tutto isolato nel mezzo corazzato, e il tanfo di putrefazione e vomito lo costrinse a coprirsi il naso con una mano. Aprì una piccola finestrella che dava sui sedili anteriori e rimase con la faccia spiaccicata per respirare.
Il suo pensiero andò subito alla ragazza. L'aveva vista cadere a terra, venire ripetutamente colpita da un infetto e forse uccisa. Non lo sapeva con certezza, ma come poteva essere sopravvissuta? Aveva visto molti infetti venirgli incontro, li aveva uccisi e per sua fortuna i corpi avevano bloccato il passaggio all'interno del veicolo corazzato. E quelli che erano rimasti fuori, ora li sentiva muoversi sopra l'APC corazzato. Gli altri, forse, si erano accaniti sulla ragazza. Sentì un nodo alla gola, e cercò di scacciarla via dai suoi pensieri, anche perché le aveva nemmeno detto come si chiamasse.

Era ormai sera. Virgil vedeva la mezza luna nel firmamento tempestato di stelle attraverso il parabrezza antiproiettile. Aveva passato dieci ore chiuso nel veicolo corazzato con la testa vicino alla piccola finestrella, e ora aveva una mezza idea di uscire. Prima di farlo, rimase per un po' in ascolto, ma non sentì niente. Dalla piccola finestrella non vide infetti, così cominciò a spingere alcuni corpi dall'altra parte. Si aprì un piccolo passaggio stando bene attento a non farli scivolare tutti giù. Non voleva ritrovarsi esposto nel caso in cui fosse stato attaccato dagli infetti, e quella pila di corpi era un ottimo muro difensivo.
Una volta fuori, respirò a pieni polmoni, sebbene l'aria fosse ammorbata dall'acre odore di putrefazione, e si mise a cercare la ragazza. Non la trovò.
Lanciò un occhiata intorno, e scorse alcuni infetti in lontananza. Erano quieti, passivi e molti dei loro corpi fremevano di continuo. La maggior parte di essi era sparita, e davanti al cancello non c'era nessuno. Guardò il punto in cui l'aveva vista l'ultima volta, e vide solo la pistola e il tubo di ferro insanguinato. Forse era sopravvissuta, o si era trasformata, pensò. Ma era impossibile. Tutti i militari e i sopravvissuti giacevano a terra morti. Erano tutti immuni o portatori del virus. Non si sarebbero mai trasformati, almeno stando a quello che aveva detto Edgar. Oppure aveva torto? O gli aveva rifilato una bugia?
Mentre ci pensava, udì un rumore in lontananza che si avvicinava velocemente. Vide un elicottero sorvolare il cielo notturno e dirigersi nella sua direzione. Si fermò a mezz'aria per un attimo, poi accese il faro. Un potente fascio di luce si protrasse da sotto il velivolo, illuminando le tende e le casupole e ritornando più volte negli stessi punti.
Virgil, che nel frattempo si era nascosto dietro una Jeep militare, capì che era lo stesso elicottero in cui erano saliti Edgar e Ector. Che fossero ritornati per cercarlo? Pensò. No, forse si stava dando troppo importanza. Forse erano qui per verificare le condizioni in cui versava l'accampamento dopo l'attacco degli infetti. Forse erano intenzionati a ritornarci.
L'elicottero virò a sinistra e sorvolò un tratto della base militare. Poi si fermò a mezz'aria, e il faro illuminò il tetto dell'edificio ove risiedeva il quartier generale della base. Il velivolo si abbassò di quota fin quasi ad atterrare sul tetto, quando riprese velocemente quota e virò a Nord-Est. Il Tank sfondò con un pugno l'asse della porta che dava sul tetto, facendo crollare una parte di muro. Corse con la sua andatura simile a un gorilla verso il velivolo, che si allontanava verso l'orizzonte.
L'imponente essere si fermò a un passo dal parapetto e ruggì furioso, battendosi i pugni sul petto mastodontico. Virgil rimase a fissarlo, spaventato. Il Tank balzò da sopra l'edificio e, atterrando al suolo, creò un piccolo cratere da cui si sollevò un leggera nube di polvere. Poi si mise a rincorrere l'elicottero che era diventato quasi invisibile nella scura volta stellata.

Ovunque andasse, Virgil scorgeva solo cadaveri. Il rumore delle eliche dell'elicottero aveva attirato dietro di sé tutti gli infetti, e ora nell'accampamento regnava la quiete. Si diresse verso la sua tenda, ma la trovò distrutta. Non sapeva neanche lui perché ci era andato.
Così ritornò verso il mezzo corazzato e ci rimase per quasi un ora, seduto di schiena contro una ruota. Lanciava sguardi in tutte le direzione nella speranza che la ragazza ritornasse. Magari si era nascosta e, una volta visto che non c'erano più infetti, sarebbe ritornata lì. Ma la verità è che si sentiva tremendamente in colpa. Aveva ucciso sua moglie Cassandra, e adesso anche la ragazza. Una parte di lui gli diceva che non era così, ma era troppo afflitto dai sensi di colpa per dare retta a quella voce.
Passata un ora e non vedendo arrivare nessuno, si alzò e si diresse lentamente verso il cancello. Rivide di nuovo il Jockey stesso a terra in una pozza di sangue e continuò dritto. Arrivato davanti al gabbiotto del cancello, notò il busto di un soldato diviso a metà. Le sue viscere erano sparse sul cemento sotto un lago di sangue raggrumato. Era lo stesso militare che gli aveva puntato l'arma il giorno precedente. Uscì dal cancello e, lanciando un ultima occhiata all'accampamento, si allontanò lungo la strada sterrata.
Camminò per quaranta minuti circondato dapprima da basse e brulle colline, poi da una fitta vegetazione di alberi scheletrici e silenziosi di arbusti malsani. Infine scorse una radura alla sua destra con un abitazione a due piani. Era circondata da sacchi di sabbia, casse militari, quattro Jeep e due APC corazzati. Virgil pensò che doveva essere uno degli avamposti dell'esercito di cui aveva parlato la ragazza.
Su una finestra era montata una mitragliatrice e al di sotto, centinaia di infetti crivellati dalle pallottole la attorniavano. Non vide nessun soldato tra loro. Girando attorno alla struttura per accertarsi che non ci fossero infetti, vide altre tre mitragliatrici posizionate su altre finestre.
Si avvicinò cauto al portico, salì i due gradini e raggiunse la porta abbattuta. Nel corridoio scorse i cadaveri dei militari fatti a pezzi. Nel soggiorno messo sotto sopra ne vide altri, e così in cucina e nella piccola lavanderia. Le pareti erano tappezzate di schizzi di sangue e fori di proiettili. Al secondo piano il massacro era il medesimo. L'orda che aveva invaso e distrutto l'accampamento, era passata prima da qui. E forse aveva travolto anche tutti gli altri avamposti, pensò Virgil.
In casa, nel ripostiglio, trovò alcune scatolette di tonno, barrette di cioccolato e delle bottiglie d'acqua. Andò a prendere uno zaino militare al secondo piano, ritornò nel ripostiglio e mise tutto nello zaino. Poi, mettendoselo in spalla, lasciò il fucile d'assalto che aveva portato dall'accampamento e ne prese uno dalle fredde mani di un soldato morto. Tolse il caricatore e lo controllò. Era quasi scarico. Prese le pallottole rimaste negli altri caricatori e li mise nel suo. Infine, controllando da una finestra che là fuori nel frattempo non fossero sopraggiunti degli infetti, lasciò la casa e si allontanò ritornando sulla strada sterrata.

Camminò per quasi un ora senza incontrare nessuno. Aveva creduto che l'accampamento fosse vicino al villaggio, ma invece sembrava essere molto più lontano. Non sapeva nemmeno se stesse andando nella giusta direzione.
La vegetazione attorno a lui s'infittiva. Gli alberi palustri avevano un aspetto malsano, sinistro con i contorti rami protesi verso il cielo. Gli arbusti avevano lasciato il posto all'erba alta che spuntava dagli acquitrini, e lungo la strada si susseguivano pozzanghere d'acqua. Comprese che la basa militare si trovava al di fuori della Louisiana, ma che si stava dirigendo nella giusta direzione.
Due ore dopo raggiunse una staziona di benzina. Diversi veicoli erano incolonnati lungo le pompe, e una decina di cadaveri falciati dai proiettili giacevano al suolo. Erano tutti infetti. La facciata di legno del negozio era stata forata dai proiettili, le finestre infrante, la porta abbattuta. La serranda del garage era stata divelta e ai suoi piedi, una pila di cadaveri travolta dal fuoco delle armi automatiche.
Virgil si mise a controllare nelle auto, ma non trovò niente di utile. Quando si avvicinò al negozio, badò bene di non fare rumore camminando sui vetri rotti. Si fermò sotto la soglia e lanciò uno sguardo all'interno. Sembrava che non ci fosse nessuno, ma appena fece un passo, udì un ringhio alle sue spalle.
Si girò di scatto e, puntando il fucile d'assalto, non vide nessuno. Il ringhio aumentò d'intensità, e cominciò credere di sentirlo sopra la sua testa. Mirando al tetto, si allontanò dall'edificio, ma non vide nessuno. Rimase a fissarlo per un lungo momento, finché scorse qualcosa balzare da esso. Riuscì a sparare una breve raffica che colpì l'infetto speciale al busto. L'essere atterrò al suolo con mani e piedi, rimanendo in quella posizione come se stesse aspettando il momento giusto di saltare di nuovo.
Virgil si sentì rabbrividire nel fissare i suoi occhi rossi, la bocca insanguinata, i denti aguzzi che s'intravedevano dietro le labbra. Aveva una felpa blu notte logora e strappata, con un cappuccio che gli ombrava metà viso. Al posto delle dita dei piedi e delle mani aveva degli artigli affilati in grado di recidere la carne e le ossa come fossero gelatina. Virgil lo chiamò Hunter.
L'essere ringhiò eccitato e balzò contro l'uomo che, spaventato, aprì il fuoco. I proiettili lo falciarono a mezz'aria, e la creatura andò a schiantarsi contro la fiancata di una monovolume.
Virgil rimase a puntargli l'arma per una manciata di secondi, poi si avvicinò cauto. Gli toccò il fianco con la punta del piede. Era morto. Ma Virgil era ancora agitato per ciò che era successo, e non si allontanò finché non si convinse della sua morte. Allora abbassò il fucile d'assalto, posò la zaino a terra, pescò una bottiglia d'acqua e fece dei sorsi. Poi la rimise dentro e si rimise lo zaino in spalla.
Appena si voltò per andare via, alla sua destra, trentuno infetti sbucarono dagli acquitrini. Corsero irati e impazziti verso di lui. Le loro urla lo stordirono e Virgil, inerpicandosi frettolosamente sulla pila di cadaveri sotto la serranda divelta, si rifugiò nel garage.
Fu un gesto istintivo. Non pensò minimamente che lì dentro potessero essercene degli altri, come non rifletté che forse si era intrappolato da solo. Gli infetti raggiunsero la serranda piegata, colpendola con calci e pugni. Virgil si guardò intorno e, vedendo una scala, ci si arrampicò. Raggiunse la soffitta quasi del tutto avvolta dal buio, e accese la torcia che aveva sotto la canna dell'arma. Il fascio di luce penetrò l'oscurità, illuminando scatoloni, casse, vari motori, portiere e una finestra chiusa dalle imposte. Gli venne in mente di aprirla, ma non poteva e non voleva allontanarsi dalla scala.
Gli infetti piegarono ancora di più la serranda e, gridando, si riversarono all'interno. Si fermarono attorno ai piedi delle scala, ammucchiandosi sempre più. La loro cieca furia venne improvvisamente assopita da una passività innaturale nel non vedere più Virgil, che ora li osservava da sopra l'entrata del soffitto con fare turbato. Gli infetti barcollarono nel garage ma, essendo tutti compressi, iniziarono a tartassarsi di pugni e calci. Si colpivano finché l'altro crollava a terra morto. E infine ne rimasero nove.
Virgil non riusciva a capire perché si erano uccisi tra loro, come non capiva perché non era successo la stessa cosa quando l'orda aveva invaso l'accampamento. Forse si attaccavano solo quando erano passivi?
Mentre aspettava, andò ad aprire l'imposte della finestra. Una ventata d'aria gelida e putrefatta gli sfiorò il viso. Non c'era nessun infetto sul terreno sottostante, ma non sapeva se era così anche attorno all'edificio.
Ritornando all'ingresso del soffitto, puntò l'arma verso la testa di un infetto. Ma prima di sparare, si ricordò di controllare il caricatore. Aveva solo otto proiettili. Lo rimise al suo posto, e si maledisse per non aver preso tutte le pallottole dagli altri caricatori che poteva mettere nello zaino.
Cominciò a meditare se sparare o aspettare. Ma quanto poteva aspettare ancora? Ormai si era stancato di fuggire e aspettare. Non aveva fatto altro che fare così. Poi gli balenò in mente un idea. Andò alla finestra e osservò i veicoli incolonnati. Poteva fuggire con una di quelle, raggiungere il villaggio e finalmente trovare Cassandra per seppellirla.
- E poi dove diavolo andrò? - Disse sorprendendosi nel sentirsi parlare.
Mentre ci pensava, sentì un rumore. Si affacciò alla finestra e scorse un furgone sfrecciare a tutta velocità sulla strada. Non si fermò alla pompa di benzina, ma continuò spedito. I nove infetti nel garage si precipitarono fuori e, urlando, corsero dietro il veicolo.
Virgil ne approfittò per scendere e uscire dal garage. Raggiunse l'auto in cima alla colonna, controllò rapidamente l'abitacolo e girò la chiave rimasta inserita nel blocchetto d'accensione. Il motore non partì. Girò la chiave una decina di volte, finché, con un rombo, il motore si accese. Sorrise come un idiota dando un pugno sullo sterzo e si allontanò dal posto.

Guidò per ventisette chilometri, e durante il tragitto si imbatté solo in veicoli abbandonati, corpi senza vita e zaini sul ciglio della strada ricoperti di sangue. Arrivò al villaggio quando il cielo grigio si stava colorando di arancio-giallo oro, e il nuovo giorno portava ancora il pesante fardello del precedente. Virgil fermò l'auto dietro il suo pick-up e spense il motore.
Uscendo dal veicolo, vide Cassandra lì dove l'aveva lasciata, attorniata dagli altri infetti. Gli venne un nodo alla gola, gli occhi si inumidirono e si sforzò di non piangere. Fece alcuni lunghi respiri, poi la raggiunse.
Si chinò su di lei, accarezzandole il viso freddo e cadaverico. Aveva ancora le palpebre aperte, e gli occhi le erano diventati vitrei. Il rossore del sangue era sparito. Le chiuse le palpebre, si mise il fucile d'assalto dietro la spalla e, delicatamente, la prese in braccio e andò a sistemarla sul sedile passeggero del suo pick-up. Poi salì alla guida, posò l'arma sul cruscotto, girò la chiave e, con uno sbuffo, il motore si accese.
Le lanciò uno sguardo, rattristito, mentre alcune lacrime gli rigarono il viso. Poi fece inversione a U e ritornò verso la sua barca. Mentre guidava, non faceva che guardarla. Gli sembrava impossibile che Cassandra non ci fosse più. Non riusciva ad accettarlo. Cominciò a piangere, a singhiozzare, a stringerle la mano.
- Svegliati, Cass! Ti prego, Svegliati. Sono qui. Sono accanto a te. Non mi senti? Non senti la mia voce? Svegliati, Cass, amore mio. Mi dici sempre che non ti chiamo mai così. Ora l'ho fatto? Hai visto? Hai sentito? Ti prego, svegliati. Stiamo andando sulla nostra barca. Resteremo per sempre lì. E se non vuoi, andremo dove tu vorrai, ok? Ma svegliati, Cass. Svegliati, per favore.
Ma non ebbe nessuna risposta, così si rivolse a quel Dio con cui parlava a stento.
- Ti prego, Signore. Riportala in vita. Farò tutto quello che vorrai. Mi comporterò bene. Fallo per me. Adesso mi giro dall'altra parte, e Tu la riporterai in vita, ok? Lo sto facendo. Mi giro. Non guardo. Non voglio vedere come lo fai. Non voglio scoprire i tuoi segreti...
E nemmeno Dio gli rispose.
- Sei solo un figlio di puttana! Un vigliacco! Ti maledico! Sei solo uno stronzo ingrato! Perché non la riporti da me? Perché, bastardo? Non ti chiedo mai niente, e una volta che ti supplico di fare qualcosa per me non la fai. Sei solo uno stronzo!
Ma il silenzio era l'unica risposta assordante. Un silenzio opprimente, logorante, interrotto da pianti e singhiozzi.

Virgil seppellì Cassandra sulle rive del lago ove un tempo avevano passato insieme giornate felici e spensierate. Ogni giorno, per tre settimane, andava sulla sua tomba a parlarle. Le diceva cosa aveva fatto, dove si era spinto per trovare cibo e di come alla sua barca Lagniappe II servissero delle riparazioni. Poi una mattina, poco prima di scendere dall'imbarcazione, notò un folto gruppo di infetti lungo la riva. Erano arrivati di notte, e Virgil si sentì fortunato che non fossero saliti sulla barca. Non capì perché fossero lì, finché comprese che era stato il rumore delle riparazione ad attirarli. Alcuni di loro erano già sul molo dove aveva lasciato il fucile d'assalto e, pur avendo una pistola, non sarebbe riuscito a ucciderli tutti prima di esserne travolto. Non era abbastanza veloce con il grilletto.
Infuriato e impotente, si allontanò dalla riva e restò per due giorni a fissare torvo gli infetti che lentamente scemavano altrove. Il terzo giorno ritornò sulla riva, scese dalla barca e andò sulla tomba di Cassandra. Si scusò per non essere andato a trovarla, e la pregò di capire perché non l'aveva fatto.
Il giorno seguente recuperò una radio amatoriale da un caseggiato malridotto in mezzo alla palude. Ci viveva Jack Gordon, un suo amico di infanzia, ma non lo trovò lì. Forse era morto o fuggito altrove.
Montò la radio sulla sua barca e cercò di mettersi in contatto con altri sopravvissuti. Nessuna risposta. Solo silenzio radio. Ma lui non si abbatté.
- Mi chiamo Virgil. Qualcuno è in ascolto?
Continuò a insistere per tutto il giorno finché, arrivata la sera, andò a riposarsi. Le palpebre gli si chiusero da soli, e si dimenticò di tenere accesa la radio. Forse qualcuno gli rispose, ma Virgil non lo seppe mai.
Al mattino, dopo aver fatto una veloce colazione con dei biscotti inzuppati nell'acqua, anche se avrebbe preferito del bacon, si mise seduto davanti alla radio. Passò tutta la mattina e metà pomeriggio a ripetere lo stesso messaggio, a sintonizzarsi su altri canale nella speranza di captare un messaggio. Poi, alzandosi, andò sul ponte dell'imbarcazione a prendere un po' d'aria. L'aria nauseabonda della palude non era un toccasana, ma ormai ci era abituato.
Stava per scendere dall'imbarcazione e dirigersi sulla tomba di Cassandra, quando udì qualcosa. Una voce.
Si girò di scatto e tornò nella cabina, sedendosi così velocemente che quasi cadde dalla sedia.
- Ehi! Mi sentite? - Disse una voce da uomo. - Questo coso funziona? Ellis, vieni qui. È acceso 'sto coso? Funziona?
- Sì, funziona.... Prova a cambiare canale, Nick.
Virgil, che era rimasto stupito di sentire delle voci dopo tanto tempo, prese il microfono.
- Ciao a voi! - Disse esaltato. - Mi chiamo Virgil. Dove siete? Come avete fatto a sopravvivere? Quanti siete?
- Ehi, piano con le domande, amico. - Rispose Nick. - Nemmeno ci conosciamo. Per quanto ne so potresti essere l'ennesimo psicopatico che non vede l'ora di farci saltare le cervella.
- Io... - Virgil non si aspettava una risposta del genere.
- Nick! Levate dalle palle! - Aggiunse una nuova voce da uomo profonda, grave. - Ti chiedo scusa per il mio amico. A volte sa essere una vera testa di cazzo!
- Vaffanculo, Coach!
- Sì, certo. Senti, Virgil. Puoi chiamarmi Coach. Siamo in un grande casa fatiscente, vicino a un fiume. Credo che in questo posto coltivassero delle canne da zucchero. Puoi aiutarci? Siamo bloccati davanti al cancello che da sul molo.
- Ho capito dove siete. - Rispose Virgil, felice. - È la dimora di Micheal Garrison. Posso portarvi in salvo sulla mia barca. Sarò lì tra dieci minuti.
- Grazie, Virgil. Grazie davvero.
- Sì, grazie, Virgil. - Rispose una voce da donna. - Abbiamo passato giorni a sguazzare negli acquitrini. Siamo stanchi e affamati. Vogliono solo riposare in un luogo sicuro. Se ci aiuti, possiamo esserti utile.
- Nessun problema. - Aggiunse Virgil. - Sulla mia imbarcazione sarete al sicuro. Sto arrivando!

   
 
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