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Autore: _Princess_    30/08/2009    87 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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E ancora verso il niente, nuotando nel nero del mare.
Bagno i capelli e faccio colare il maquillage.

 

***

 

C’era una luce caliginosa che fendeva il buio a lame regolari, protratte in avanti fino ad adagiarsi sulla moquette blu scuro del pavimento e il ceruleo del copriletto. Le lenzuola erano spiegazzate e arrotolate in un paio di punti, palese testimonianza dell’intensa attività che avevano ospitato durante la notte.

Faceva piuttosto caldo, quella mattina. Ferragosto era da poco passato, ma le temperature non accennavano a scendere.

Vibeke si rigirò oziosamente nel letto, sola, circondata dal profumo di Tom e con il suo sapore ancora in bocca. Stava iniziando ad abituarsi a risvegliarsi in quella stanza, ormai, e la cosa non le dispiaceva affatto. Si sforzò di mettere a fuoco l’ora: le due del pomeriggio passate.

Maledizione, pensò, Kaulitz mi sta contagiando con i suoi orari da rockstar. E chissà dove diavolo si è cacciato lui.

Si sfregò delicatamente gli occhi, pregando di non stare spargendo trucco lungo tutto il viso. Non riusciva a ricordare se ne aveva messo o meno, la sera precedente. Scostò le coperte con uno sbadiglio e si stiracchiò, guardandosi intorno alla ricerca, pezzo per pezzo, della propria biancheria, ma non ce n’era traccia. I casi erano quindi due: o Tom era stato particolarmente fantasioso nel togliergliela, o gliela aveva nascosta chissà dove.

Completamente nuda, si alzò e andò all’armadio, da cui tirò fuori una a caso delle magliette di Tom. Fosse stato per lei, sarebbe anche andata a fare colazione così com’era – Georg era a Parigi con Nicole ed Emily e Gustav a Magdeburgo dai suoi, ed entrambi non sarebbero tornati prima di sera – ma Bill probabilmente avrebbe avuto qualcosa da ridire in merito, sempre ammesso che fosse già sveglio, e Tom anche peggio.

Ricordava ancora con estrema nitidezza la prima volta in cui aveva aperto gli occhi in quella casa, la sensazione di benessere che aveva provato nel rendersi conto che qualcosa era cambiato. Sembravano passati anni, quando in realtà erano passati solamente una manciata di mesi. Mesi durante i quali lei aveva scoperto con impensabile piacere che fare parte della sgangherata famiglia Tokio Hotel, oltre che arrecare danni irreversibili alla salute psico-fisica, poteva anche rappresentare un potentissimo toccasana per uno spirito antisociale come lei. Aveva sempre sostenuto che non la pagassero abbastanza perché si prendesse cura di quattro disastrati come loro, ma a conti fatti, tra una cosa e l’altra, si erano presi più cura loro di lei che non il contrario. Perché, sì, Tom era egoista, ingestibile e privo di pazienza, ma nessuno sapeva farla ridere e stare bene come lui; e, sì, Bill era una primadonna esigente e capricciosa, ma di persone genuine e affettuose come lui non ne aveva mai incontrate; e, sì, Georg era un lunatico che abitava in un mondo suo personale, in cui il caos regnava sovrano e la puntualità era un’utopia, ma senza il suo buonsenso e la sua presenza rassicurante Vibeke non avrebbe più saputo come fare; e, sì, Gustav era probabilmente il ragazzo più complicato e introverso con cui avesse mai avuto a che fare, ma restava anche il più sensibile e generoso, e guai se qualcuno glielo toccava.

Innamorarsi di Tom Kaulitz era stata un’improponibile avventura che rasentava l’azzardo.

Innamorarsi dei Tokio Hotel era stato l’inizio di qualcosa che lei aveva sempre dato per scontato di non poter avere: una famiglia.

E assieme a lei in quel pazzo vortice di novità c’era finito anche BJ, accolto a braccia aperte in quella casa come se da sempre fosse appartenuto al gruppo, non perché fosse suo fratello, ma perché, semplicemente, non si poteva entrare in contatto con BJ e non volerlo con sé per sempre.

Vibeke sorrise fra sé.

Uscì scalza, senza disturbarsi ad aprire le imposte. Ci avrebbe pensato più tardi. Attraversò il corridoio tendendo l’orecchio in cerca di segni che denotassero attività al piano inferiore, ma tutto taceva. Dedusse che almeno uno dei due Kaulitz doveva essere uscito, perché quella quiete non era compatibile con la presenza di entrambi sotto lo stesso tetto.

Scese con calma, con una strana sensazione addosso che le dava il tormento. Era come se un campanello le trillasse in testa per ricordarle qualcosa e lei non riuscisse a capire cosa. Si arrese prima di essere arrivata in fondo alle scale: le sarebbe venuto in mente, prima o poi.

La cucina era luminosa, lambita dai limpidi raggi del primo pomeriggio, ed era decisamente più in disordine di come avrebbe voluto trovarla, soprattutto considerato che metà degli inquilini erano via, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Un piacevole guizzo istintivo le solleticò lo stomaco nell’individuare il piccolo vaso in cotto che faceva bella mostra di sé sul davanzale della finestra: il regalo di Tom era nato. Avevano piantato il bulbo insieme il giorno stesso che lui glielo aveva donato, e lei lo aveva lasciato lì, delegando a Tom il compito di occuparsene in sua assenza. E così, dopo due mesi di attesa, aveva lentamente iniziato a spuntare un minuscolo germoglio verde, che era cresciuto con esasperante lentezza, stiracchiandosi pigramente verso l’alto, fino a che, un mattino di giugno, Vibeke e Tom si erano alzati e avevano trovato un bocciolo rosso che spuntava in cima allo stelo. Due giorni dopo, un piccolo tulipano era sbocciato praticamente sotto ai loro occhi. Fra le altre cose, e non senza incontrare proteste, Bill aveva insistito per chiamarlo Rudolf.

Rudolf il Tulipano. A Vibeke veniva ancora da ridere, a ripensarci. Solo Bill…

Appena entrò, trovò Tom, in boxer, stravaccato su una sedia con una caffettiera davanti, un piatto di toast bruciacchiati, burro semisciolto e un vasetto di marmellata di ciliegie. Stava leggendo una rivista di auto sportive.

Vibeke gli passò di fronte e lui non diede nemmeno segno di aver notato il suo ingresso. Non la considerò neanche quando lei dovette sgusciare tra lui e l’isola di cottura per prendersi una tazza pulita.

“Si saluta, cafone!” esclamò, propinandogli una manata sulla nuca.

Tom emise un gemito di dolore esagerato.

“Mi hai fatto male!” piagnucolò, massaggiandosi il punto in cui lei lo aveva colpito.

“Oh, scusa!” tubò lei. “Non l’ho fatto apposta!”

Prese il latte dal frigo e una fetta di pane tostato dal piatto e sedette di fronte a Tom, che si era immerso nuovamente nella colta lettura e ancora insisteva a non calcolarla.

“Sei stato veramente carino a portarmi la colazione a letto.” osservò sarcasticamente.

Sulla fronte di Tom apparvero una serie di rughe, ma lui si limitò ad annuire distrattamente.

“Mmh.”

“Anche la tua prestazione di stanotte è stata grandiosa.” Insisté lei. “Eri decisamente in forma.”

“Mmh.”

“Magari la prossima volta ci riproviamo senza il viagra nell’aperitivo.”

“Mmh.” Annuì ancora Tom, completamente assente, e voltò la pagina. Poi, però, ad un tratto si bloccò e sollevò gli occhi sgranati su di lei: “Hai detto ‘viagra’?”

Vibeke sollevò disinteressatamente le spalle.

“Ti ho visto un po’ sottotono, ultimamente, così ho pensato di darti una mano.” Gli sorrise candidamente. “Ma, tranquillo, era solo mezza pastiglia. È stato praticamente tutto merito tuo!”

La faccia di Tom divenne una maschera di terrore puro.

“Tu hai fatto cosa?!” sbraitò, paonazzo, scaraventando a terra la rivista e scattando i piedi. “Vi, ma sei impazzita?! Ho diciannove anni, non mi serve una cazzo di pillola, per fare sesso!”

Vibeke a quel puntò non poté esimersi dallo scoppiargli a ridere in faccia, e solo allora Tom capì di essere stato preso in giro. Si rimise a sedere, fumante di rabbia e umiliazione, e si ficcò in bocca un toast intero, guardando Vibeke con astio.

“Vaffanculo.” Le ringhiò tra i denti.

“Di anni ne hai quasi venti, comunque.” Gli fece notare lei, versandosi del caffè nel bicchiere di latte. “Considerato che il tuo compleanno è tra meno di –”

Bastò quel nonnulla per farle crepitare una scintilla in testa, e finalmente il campanello smise di suonare.

Come se ne era potuta dimenticare?

Che stupida!

Da allegro, il suo umore precipitò rapidamente nel furioso. Lasciò perdere la colazione e ricambiò lo sguardo di Tom con uno mortalmente glaciale. Immediatamente Tom saltò in modalità difensiva:

“Che c’è, cos’ho fatto? Perché mi guardi così?”

Lei incrociò severamente le braccia.

“Hai niente da dirmi?”

“Intendi a parte la canonica serie di insulti e improperi?”

“Hai niente da dirmi?” ripeté lei, scandendo minacciosamente ogni parola.

“Dovrei?” fece lui, masticando incurante un boccone di pane e marmellata.

I nervi di Vibeke fremettero di irritazione. Un impulso ferino scalpitava in lei, facendole prudere le mani. Avrebbe ribaltato il tavolo, se solo quello che c’era sopra non fosse appartenuto anche a Bill, Gustav e Georg.

“Kaulitz,” Si sforzò, nei limiti del possibile, di mantenere un tono calmo. “Che giorno è oggi?”

“Il diciannove agosto.”

“E…?”

“E fa un caldo boia.”

“E…?”

“E più tardi dobbiamo andare a prendere Georg e le ragazze in aeroporto.”

“E…?”

Tom roteò gli occhi con un rantolo scocciato.

“Vi, che palle, che gioco scemo è mai questo?”

Te n’eri quasi scordata tu. Come pretendevi che se ne ricordasse lui?, la biasimò la poca razionalità che le era rimasta.

“Lo sapevo! Lo sapevo, cazzo!” imprecò furiosamente. “Lo sapevo che te ne saresti dimenticato!”

Tom batteva le palpebre inespressivo.

“Dimenticato di cosa, di grazia?” farfugliò, il toast mangiucchiato che gli pendeva dalla bocca.

Vibeke decise che sarebbe stato controproducente cercare di trattenersi ulteriormente.

“È il mio compleanno, razza di deficiente che non sei altro!”

“Ah, davvero?” fece lui, sollevando appena gli occhi dalla sua rivista, del tutto privo di interesse. “Scusami. L’anno prossimo me lo segno, promesso.”

“Sei un gran pezzo di stronzo!” urlò lei, balzando in piedi. Come una furia, gli piombò davanti e gli strappò la rivista di mano, scaraventandola contro la parete alle sue spalle. “Sei… Sei un… Un…”

“Dai, stupida, vieni qui.” Rise lui abbracciandola, cercando di baciarla, ma lei si divincolava, spingendolo via.

“Non provare a fare il cucciolone coccoloso con me, non attacca!” lo avvertì, pur permettendogli di attirarla a sedere sulle sue ginocchia. “Questa non te la perdono, dico sul serio! Sei stato veramente un –”

Tom la zittì, riuscendo finalmente a tapparle la bocca con un bacio, che lei, suo malgrado, si lasciò dare.

“Sei un bastardo.” Piagnucolò Vibeke, allentando lentamente la propria rigidità.

“Non sono un bastardo.” Mormorò Tom, accarezzandole una guancia con le labbra.

Vibeke lo detestava, quando faceva così. Gli era fin troppo facile mandare in tilt il suo sistema nervoso con l’infallibile metodo Kaulitz.

“Sì che lo sei.” Gemette, senza riuscire ad opporsi alle sue moine. “E bello grosso, anche.”

Tom le posò le mani sui fianchi e la guardò corrucciato.

“Ma per te conta solo come sono dentro?”

“E cos’altro dovrebbe contare? La tua superlativa presenza scenica?”

“Non vorrei erroneamente passare per un superbo, ma credo che un figo come me sia decisamente sprecato con una che non bada minimamente all’aspetto esteriore.”

Vibeke gli circondò il collo con le braccia.

“E chi l’ha detto che non ci bado?” replicò, e si chinò sulle sue labbra per adagiarci un bacio leggero. Lo odiava per il gretto menefreghismo che a volte dimostrava, ma era vergognosamente incapace di tenergli il broncio a lungo. “Credi che abbia accettato di lavorare per i Tokio Hotel solo per la gloria? La paga farà anche schifo, ma le panoramiche offerte compensano. E comunque ti stavo dando dell’ignobile bastardo per aver dimenticato il mio compleanno.”

Tom rise morbidamente, allungandosi in avanti per prendere a baciarle il collo con languida tranquillità.

“Scommetto quello che vuoi che non sei ancora andata in sala da pranzo e non hai visto quello che c’è sul tavolo.” Sussurrò contro la sua pelle tra un bacio e l’altro.

Vibeke si scostò da lui con uno scatto incredulo.

“No!”

“Oh, sì.” Si compiacque Tom.

“Non è possibile!”

“E invece sì.”

Vibeke sorrideva guardando Tom sorridere.

Gli piaceva farla arrabbiare e poi far crollare tutto, solo per il gusto di vederla raggiungere il punto di sopportazione massima e poi capitolare miseramente davanti a uno dei suoi sguardi ruffiani.

Sei una gran testa di Kaulitz.

“E perché te ne sei rimasto qui a farti dare del bastardo, stronzo, deficiente, eccetera?”

Tom arricciò furbamente gli angoli della bocca.

“Perché sei troppo bella quando sei incazzata.”

Cercando invano di non assumere un’aria troppo beata, Vibeke finse di spintonarlo.

“Sei un vile leccaculo!”

“E tu una vecchia ventitreenne che non ha ancora aperto il suo regalo.”

Vibeke si era spesso chiesta a chi dovesse essere grata per tutte le cose belle che negli ultimi mesi le erano state concesse. Non credeva in dio, non credeva nel destino e, nonostante BJ amasse scherzarci sopra, non credeva nemmeno nel karma. Forse poteva permettersi di credere nella teoria del caos, nella casualità, ma poteva davvero essere stato per caso che due persone come lei e Tom avevano finito per incontrarsi? Com’era possibile che un’ordinaria ragazza proveniente da una cittadina del sud della Norvegia incrociasse il cammino del chitarrista di una rockband tedesca di fama mondiale senza che ci fosse un dio, o un destino, o di qualche folle contrappasso karmico a volerlo?

“Certe volte mi chiedo cosa ci facciamo io e te insieme…” si domandò, cercando negli occhi profondi di Tom una risposta che già conosceva.

“Tante belle cose.” Disse lui in tono pratico. “Vedi la memorabile performance ultrabollente di stanotte, o anche –”

“A-ha, quanto sei spiritoso.” Commentò lei, lugubre.

“Guarda che non stavo mica scherzando.”

“Nemmeno io.”

“Vi, che domande sono?” Tom inarcò le sopracciglia come se davvero temesse che lei non lo sapesse. “Io e te stiamo insieme perché nessun altro ci sopporterebbe, e comunque noi stessi non riusciremmo a sopportare qualcuno che ci sopporta. Ma, soprattutto,” Con una mano le sistemò i capelli dietro alla spalla, scoprendo poco per volta la pelle nuda. “Perché nessuno dei due è così stupido a pensare che ci sia qualcun altro al mondo che ci meriti.”

“Con questo intendi che nessuno merita un flagello come noi due per compagno, vero?” chiese lei, fingendo una baldanza che di fatto le parole e il gesto di Tom le avevano tolto.

Benché ormai si conoscessero da quasi otto mesi, la capacità che lui aveva di stupirla non accennava ad esaurirsi.

“Certo.”

“Mi pareva…”

Tom incrociò le mani dietro alla schiena di Vibeke, senza badare ai capelli che gli restavano intrecciati tra le dita.

“Hey, le tue labbra hanno un piega strana.” Osservò, assottigliando attentamente gli occhi. “Hai fatto qualche strano ritocco chirurgico? Oh, no, aspetta… Stai sorridendo!”

Vibeke scontrò scherzosamente la propria fronte contro la sua.

“Scemo!” gli intimò, lottando contro una risata per impedirle di soffocarle le parole. “Scemo, scemo, scemo!”

Se anche Tom, come lei, aveva lottato contro una risata, aveva senz’altro perso.

“Mi fa quasi tenerezza vedere quanto sei succube della tua adorazione per me.”

“Mi fa quasi pena vedere quanto sei accecato dalla tua adorazione per te.”

Sapeva che non era vero, e che lui sapeva che lei lo sapeva. La favola del Sex Gott spavaldo e spaccone trovava terreno fertile nelle ragazzine accecate dal fanatismo; a una qualsiasi analisi appena più approfondita che non si limitasse a sbavare per una passata di lingua su un piercing sarebbe stato evidente che tra personaggio e sostanza c’era un’abissale differenza.

“Senti,” brontolò Tom. “Non è che perché sei vecchia ti puoi prendere la libertà di massacrarmi così.”

“Non sono io ad essere vecchia.” Puntualizzò lei. “Sei tu che sei un –”

“Moccioso. Lo so.”

“Un moccioso molto ricco, però.”

“Ma tu stai con me solo per i soldi?”

Vibeke si portò sdegnosamente una mano al petto.

“Che insinuazione scortese!” esclamò, leziosa. “Lo sai benissimo che non è vero! Il nostro caro Rudolf ne è la prova, no?”

“Ah, già…” Tom si voltò e adocchiò il tulipano sulla finestra. “Rudolf.”

“E poi c’è il sesso.” Aggiunse Vibeke.

“Come mi sento stimato.”

“Se non altro adesso sai cosa provo io quando vieni a casa e mi dici ‘Vi, spogliati, devo sfogare una giornataccia pesante’.”

“Ma io lo dico per scherzare!”

“Sarà…” fece Vibeke, trasudando scetticismo. Si rianimò subito appena le venne in mente cosa la aspettava in sala da pranzo. “Allora, mi lasci andare a vedere il mio regalo?”

“Veramente mi pare di sentire qualche residuo di viagra che chiama…” disse Tom, dando un colpo di bacino.

“Non ti ho dato nessun viagra, e lo sai.” Sbuffò lei, tentando di alzarsi, ma lui la trattenne.

“Ma ormai mi sono convinto di averlo preso.” Dichiarò, cercando un bacio che lei non gli concesse. “È l’effetto placebo, non posso farci niente.”

Vibeke cominciava ad avere l’impressione che tutta quella scenetta si stesse protraendo più a lungo del dovuto e che Tom, per qualche ragione, non volesse lasciarla andare.

“Non c’è nessun regalo per me di là, vero?” gli chiese, mentre l’entusiasmo la abbandonava.

“Sì che c’è.” Rispose Tom, sicuro. “È lì da una settimana.”

“Non è vero!” sbottò Vibeke. “L’unica cosa che c’è lì a muffire da una settimana è un pacco indirizzato a te, e tu non –”

A metà frase, sul viso di Tom era apparso un sogghigno perfidamente gongolante.

“Overrakelske!” esclamò, spalancando le braccia. (“Sorpresa!”)

“Guarda che si dice overraskelse.” Lo corresse lei, afferrandogli le mani.

“Uffa, perché non apprezzi i miei sforzi?” frignò lui.

“Ma sì che apprezzo.” Dato che Tom insisteva a tenerla prigioniera, Vibeke sollevò una gamba e si mise a cavalcioni su di lui. “Mi dici cosa mi hai regalato?”

“Perché non vai a vedere tu?”

“Se tu mi mollassi…”

Ma Tom, anziché mollarla, la intrappolò completamente tra le proprie braccia.

“Gratulerer med fodselsdagen, stronza.” Le bisbigliò all’orecchio con voce roca, provocandole un inevitabile brivido lungo tutta la spina dorsale. (“Buon compleanno, stronza.”)

Quasi nel medesimo istante, però, Vibeke realizzò un particolare non del tutto marginale che le era proprio scappato di mente.

“Oh, min gud!” strillò. Si strappò all’abbraccio di Tom con uno scatto spasmodico e schizzò in piedi. “Kaulitz, jeg har gremmet meg og min bror! Det er også hans fodselsdag!” (“Oh, mio dio! Kaulitz, mi sono dimenticata di mio fratello! È anche il suo compleanno!”)

Tom la fissava con la fronte corrugata.

“Ho capitolo solo ‘Oh, mio dio’, ‘Kaulitz’, ‘mio fratello’ e ‘compleanno’, ma penso di aver intuito il nocciolo della questione.”

Stupida, stupida, stupida! Come diavolo ho fatto a dimenticarmene?! Come se non fosse una vita che compiamo gli anni insieme…

“Devo chiamarlo subito!”

Vibeke si precipitò verso il cordless appoggiato sul bancone accanto alla porta e stava già digitando frettolosamente il numero, ma Tom cercò di farla ragionare:

“Vi, permettimi di farti notare che sono le due.”

Il pollice di Vibeke si fermò appena prima di premere il tasto della chiamata. Passando tante notti fuori casa, aveva quasi dimenticato i ritmi nottambuli di BJ.

“Hai ragione.” Delusa, ripose il telefono. “Starà dormendo.”

“Glielo hai preso un regalo?”

Lei si appoggiò al bancone e si raccolse i capelli su una spalla con un sospiro. Erano due anni che aveva rinunciato a fare regali a BJ. A Natale si limitava a fargli arrivare simbolici pacchi formato gigante di biscotti allo zenzero dalla Norvegia; ai compleanni, in genere, lo portava a cena fuori e poi se ne andavano da qualche parte fuori città, su un lago o lungo un fiume, come spesso avevano fatto da adolescenti, a Stavanger. Lì in Germania, però, non c’erano i fiordi e il mare. Non c’era il sole di mezzanotte, né le aurore boreali. Lì in Germania, d’altro canto, avevano trovato molte altre cose da apprezzare.

“Cosa può mai regalare una sorella povera in canna a un fratello straricco che ha tutto?”

“Non lo so.” fece Tom, dalla sua sedia, con una scrollata di spalle. “Sono un fratello straricco che non sa mai cosa regalare a un fratello straricco, quindi temo di non poterti aiutare.”

Vibeke si era già arresa in partenza. Fosse stata una comune ragazza della sua età, avrebbe potuto fargli una torta, o qualche dolce particolare di quelli che piacevano a lui, ma era abbastanza consapevole delle proprie incapacità culinarie da non provarci nemmeno.

“Però a BJ piace stare in compagnia, no?” riprese Tom, dopo un secondo. “Se i ragazzi tornano presto, possiamo fare una festa a sorpresa.”

“Kaulitz, non vorrei sbagliarmi, ma sembra che tu abbia appena avuto un lampo di genio!”

“Dovrei ridere?”

“Allora, Georg e le ragazze dovrebbero essere qui per le cinque.” Iniziò a calcolare lei, ignorandolo. “Se faccio uno squillo a Gustav, sono sicura che riuscirà a venire via un po’ prima e arrivare in tempo. Come lo attiro qui, BJ?”

“Digli che la Golf è in panne, noi abbiamo litigato e non ti va di tornare a piedi.”

“Scusa pietosa.” Sconfortata, Vibeke tornò al tavolo, sedendosi su Tom anziché sulla sedia. Si avvicinò la tazza e il piatto e riprese a mangiare da dove pochi minuti prima era stata interrotta. “Il neurone ti si è sovraccaricato per l’idea di prima?”

Tom le diede un pizzicotto indispettito sul braccio.

“Senti, o chiudi il becco, o te lo faccio chiudere io, ok?”

Vibeke si girò verso di lui, masticando un boccone di toast.

“Mi stai minacciando?”

Tom sfoderò un impietoso attacco di suadenza:

“Ti sto tentando.”

Vibeke intinse un angolo del toast nel caffelatte, costringendo se stessa ad ignorare le mani di Tom che scorrevano lascive lungo le sue cosce, insinuandosi al di sotto dell’orlo della maglietta. Era difficile continuare a mangiare mantenendo una certa compostezza, quando tutto ciò che il suo corpo le chiedeva di fare era abbandonare la colazione e concedersi completamente a quelle effusioni.

“Dovresti metterti un po’ a dieta.” osservò Tom a un certo punto.

“Credevo di piacerti così come sono.” Ribatté lei, tagliente.

“Non è una questione di estetica,” precisò lui. “È che pesi una tonnellata.”

Vibeke avrebbe replicato a modo, se solo la mano di Tom non si fosse spostata sul suo addome, ricordandole che non indossava assolutamente nulla sotto alla maglia extralarge.

“Non mi hai ancora detto cosa mi hai regalato.” Disse, a corto di diversivi più efficaci.

Tom le rispose, ma le sue carezze provocanti non cessarono.

“Non indovinerai mai.”

“Dai, dimmelo!”

Vibeke si stupì nel vederlo abbassare lo sguardo per non incontrare i suoi occhi.

“Guarda che è una cosa stupidissima.”

Non era niente di nuovo: le cose stupide con lui erano l’ordine del giorno, e lei, comunque, non si era aspettata niente. Stavano insieme solo da nemmeno sei mesi e non avevano ancora una grande confidenza con quel tipo di ricorrenze. Ad essere sincera, Vibeke era già rimasta allibita al compleanno di gruppo di Georg, Nicole ed Emily, tutti e tre nati a marzo, quando il loro regalo cumulativo era stato un quadro formato gigante contenente una foto di loro tre addormentati l’uno addosso all’altra sul divano del salotto di casa Tokio Hotel addobbato con decorazioni natalizie, più un buono da cento euro per Emily – che Nicole aveva contestato, definendolo esagerato – per comprarsi qualcosa a suo piacimento. Per quell’occasione Vibeke si era immaginata pacchi con incarti griffati e gioielli preziosi, invece era stato stranamente piacevole scoprire la bellezza di un pensiero così modesto e sentito. Aveva imparato presto che i ragazzi, perennemente circondati da lusso e vizi, entro le mura domestiche preferivano volentieri le cose semplici a quelle ricercate.

“Da te non potevo certo aspettarmi altro.” Disse a Tom, deglutendo il toast. “Su, dimmelo!”

Era difficile prevedere cosa potesse aver partorito la mente di Tom. Che fosse andato nel giardino dei vicini a rubare un fratellino per Rudolf?

“È un album.” Confessò invece Tom.

“Un album di chi?”

“Non un CD. Un album per fotografie.”

Vibeke ammutolì. Non poteva nemmeno rimproverare la propria immaginazione per non aver avuto la fantasia di arrivare a contemplare una cosa smile, perché in effetti un album per fotografie non era per niente un regalo da Tom. Ammesso che fosse vero, Vibeke aveva già in mente una lunga serie di foto da metterci dentro.

“Uno nuovo? Vuoto?”

“Be’, sì.” Tom non ne voleva sapere di sollevare la testa, ma lei era pronta a giurare di intravedere del vago rossore sulle sue guance. “Poi dovremo riempirlo. L’ho fatto fare in un posto che conosce Nicole, dove usano carta riciclata e la trasformano in cose pazzesche. Ho pensato che una maniaca dell’ambiente come te avrebbe apprezzato.”

Oh, Kaulitz…, sospirò lei dentro di sé. Il mio stupido, stupendo, adorabile Kaulitz…

“E infatti la maniaca apprezza.” Confermò.

“Meno male.” Si rincuorò Tom, sollevato. “Temevo ti aspettassi qualche cosa di complicato e costoso.”

Vibeke inarcò ironicamente un sopracciglio.

Anche se fosse, non è che avresti avuto grandi problemi a spendere qualche centinaio di euro…

“Non è mia abitudine misurare il valore delle cose in base al prezzo, sai?” lo rassicurò, accarezzandogli il capelli. Non si era ancora abituata del tutto ai cornrows e doveva ammettere che i rasta le mancavano, ma aveva il sospetto che la decisione di Tom di cambiare stile fosse stata influenzata dal fatto che, in qualunque caso, i rasta si stessero decimando in fretta a causa del loro accordo: una cazzata, un rasta. In effetti da quando aveva i cornrows Tom aveva iniziato a comportarsi decisamente meglio, onde evitare di essere costretto a tagliarsi qualche treccina, ma anche lei, con il tempo, si era molto ammorbidita, iniziando a condonargli piccole bravate su cui una volta sarebbe stata intransigente.

Vibeke lo baciò, ma Tom si ritrasse quasi subito.

“Non sei delusa, vero?” le chiese, improvvisamente preoccupato. “Volevi veramente un regalo più ricercato? Sei vuoi andiamo a cercare qualcosa di più –”

Lei gli tappò la bocca ridendo.

“Non dire stronzate, cretino. L’importante è che non ti sia dimenticato del mio compleanno.”

“Devo confessarti che è stato Gustav a ricordarmelo per tempo.” Disse Tom, e finalmente si decise a guardarla. “Ti giuro che me ne sarei ricordato da solo, ma solo oggi.”

Vibeke non ne dubitava. A sentir nominare Gustav, le era venuto in mente che ci dovevano essere almeno un paio di messaggi d’auguri che attendevano di essere letti sul suo cellulare, ma per quelli avrebbe avuto tempo dopo. Adesso stava troppo bene lì dov’era.

Avvolse di nuovo le braccia attorno al collo di Tom e gli sorrise, persa in tutto quello che vedeva nei suoi occhi. Le ci era proprio voluto un ragazzino per farla innamorare come una ragazzina.

“Che cosa sei tu?”

Tom la prese per la vita a la strinse a sé, restituendo mite il sorriso.

“Che cosa sono?” le fece eco, con un’espressione che la fece praticamente sciogliere nel suo abbraccio. Vibeke si scoprì a trattenere il respiro mentre in lei si formava un pensiero per lei assolutamente nuovo.

Sono felice.

Sfiorò la punta del naso di Tom con il proprio e inclinò leggermente il capo.

“Sei il mio bravo Kaulitz.” sussurrò, suscitando un repentino allargamento del sorriso di Tom, e di conseguenza anche del proprio.

Non era così tutte le mattine, né mai lo sarebbe stato, ma poco importava, perché era proprio quello il bello.

E Rudolf era sulla sua finestra a prendere il sole, e ogni giorno, pazientemente, cresceva ancora un po’.

 

***

 

Mi purifica l’acqua che bagna i miei vestiti, i miei capelli, e sconvolge il mio trucco.
Sono le quattro di notte e nuoto in un mare che mi ha sempre spaventato senza sole.

(Fluo, Isabella Santacroce)

 

 

 

THE END

 

 

 

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Note: ci siamo, gente. Pare proprio che questa volta sia veramente la fine. Si chiude con questo capitolo d’epilogo il secondo capitolo di una saga cominciata per caso, da un’idea nata dal nulla, una bambina di nome Emily e quattro rockstar tedesche. Ed ora eccoci qui.

Non mi voglio dilungare in struggenti e svenevoli commiati, ma scrivere The Truth Beneath The Rose è stato per me un viaggio e un piacere insieme, e non sarebbe mai stato così bello se non ci foste stati tutti voi, miei fedeli lettori, a farmi compagnia, con i vostri commenti, i vostri complimenti, i vostri suggerimenti, le vostre teorie…La metà della bellezza che questa storia ai miei occhi la avete fatta voi, e per questo non so più come ringraziarvi.

Alcune di voi hanno visto nascere The Truth, la hanno vista e aiutata a crescere, a migliorare, ad arricchirsi, ad avere un futuro, e un grazie speciale va a voi, sempre e comunque. Sapete chi siete. ;)

 

Ora non mi voglio dilungare oltre. Voglio solo chiedere a tutti voi che siete tra le 258 persone che hanno la storia tra le preferite, le 44 che le hanno tra le seguite e le 120 che hanno me tra gli autori preferiti, per una volta, di farmi il regalo di spendere due minuti del loro tempo e lasciare un commento, anche piccolo, per questa conclusione. Ci tengo veramente molto a conoscere i vostri pensieri sulle mie creature, e quindi non solo la storia, ma anche i personaggi, le caratterizzazioni, le relazioni e interazioni tra di loro… Qualunque cosa. Grazie, già da ora.

 

Dopo un anno e un terzo, la storia finisce qui, ma voi tenete gli occhi aperti, perché la saga è appena cominciata e di strada da fare ce n’è ancora tanta. La prossima storia si chiamerà Once In A Blue Moon, e sarà il seguito di The Truth e di Lullaby. Vi aspetto tutti ‘di là’. ;)

 

GRAZIE

   
 
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