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Autore: rainbowdasharp    08/07/2021    0 recensioni
"[...] “Una settimana.”
Era inevitabile: ogni volta che il nove di luglio si avvicinava, il pensiero di Tenn Kujo non faceva che indugiare su una vita passata, che non era più la sua. Tornavano i ricordi delle ciambelle appena comprate in pasticceria, della torta unica per due, delle candeline che soffiava da solo ma stringendo la mano al fratello, per evitare che lo sforzo lo facesse tossire. [...]"
Scrivere è più semplice che parlare. E se sai che non potrai più parlare con il mittente delle tue lettere non spedite... diventa ancora più facile.
| happy birthday tenn&riku!; introspettiva; tenn-centered |
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gaku Yaotome, Riku Nanase, Ryunosuke Tsunashi, Tenn Kujou
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Dear memory" - Lettere a un ricordo

Sedeva alla scrivania nuova, appena finita di montare dalle mani un po’ goffe ma volenterose di Ryuunosuke. Avevano deciso tutti assieme di metterla vicino alla finestra così che potesse godere della luce del sole sin dalle prime ore del mattino.

Era sua abitudine non avere troppi oggetti in giro, quindi la scrivania era sempre ordinatamente sgombra: un portapenne, una lampada per la sera e un pc chiuso.

Niente a cui non potesse rinunciare.

Ma c’era un motivo, perché sedeva lì – c’era un oggetto che lo tormentava e che non sapeva bene in che parte della casa e della vita mettere, in quel suo nuovo inizio.

“Una settimana.”

Era inevitabile: ogni volta che il nove di luglio si avvicinava, il pensiero di Tenn Kujo non faceva che indugiare su una vita passata, che non era più la sua. Tornavano i ricordi delle ciambelle appena comprate in pasticceria, della torta unica per due, delle candeline che soffiava da solo ma stringendo la mano al fratello, per evitare che lo sforzo lo facesse tossire.

La stessa mano che non aveva esitato ad armarsi di microfono per affrontarlo sotto le luci artificiali dei palchi.

Invece, le mani di Tenn esitavano sul coperchio di un piccolo contenitore nero e anonimo, anche ammaccato in qualche punto dai numerosi viaggi sostenuti. Lo conosceva bene, così bene che faceva quasi sempre finta di non vederlo perché, nonostante le piccole dimensioni, sembrava impossibile da nascondere.

L’oggetto scomodo, il suo vaso di Pandora.

Il trasloco lo aveva costretto a non ignorarlo. Non avrebbe mai potuto buttarlo, ma al tempo stesso lo infastidiva vederlo in giro; era stato tra i primi oggetti che aveva messo via. Lo aveva chiuso in una scatola piccola, quasi sperando che passasse inosservata tra tutti gli altri pacchi. Insieme, vi aveva riposto l’astuccio di metallo colorato che si portava dietro dalle elementari e di cui cambiava, nel tempo, solo il contenuto quando necessario: penne scariche, matite consumate. Ormai era scheggiato e la fantasia dei gattini grigi era sbiadita, ma era l’unico oggetto che Tenn Kujo aveva ereditato da Tenn Nanase.

E ora, sedeva nella sua nuova casa – la prima che sentiva veramente sua – e lottava contro la consapevolezza di non poterlo far scomparire in fondo a qualche cassetto della sua camera senza prima averlo affrontato.

“Almeno una volta l’anno.”

Si raccontava ogni volta che aprirlo non era difficile e che far correre lo sguardo su tutta quella carta piegata con cura non lo faceva sentire fragile e contraddittorio. Era una sensazione che non poteva concedersi, per questo preferiva far finta di nulla.

Si tradiva sempre, però, quando con malinconia sfiorava i fogli un po’ ingialliti.  

Aveva scritto la prima lettera a qualche mese di distanza dall’adozione.

Lasciò che la punta del suo indice carezzasse il dorso della carta come se, così facendo, potesse rivivere anche il momento in cui l’aveva scritta.

La ricordava bene: nonostante gli impegni, le lezioni e tutto ciò in cui dava tutto sé stesso, non riusciva a scrollarsi il senso di vuoto di dosso. Durante un breve soggiorno a Tokyo, di sera, si era ritrovato a veder cadere qualche timido fiocco di neve che ben presto avrebbe ricoperto la città di bianco ma che non poteva riempire il vuoto nel suo cuore.

Era la più sgualcita, seppur in buono stato. La afferrò con le dita e la aprì con cautela.

 

Ciao Riku,

C’è la neve, a Tokyo. Non so se anche da te sta nevicando, ma spero che tu stia abbastanza bene da poter uscire fuori a giocare.

Chissà se sei arrabbiato. Scommetto di sì. Spero che presto tu possa andare a scuola normalmente, così ti farai tantissimi amici e potrai stare anche senza di me.

Non so perché ho scritto questa lettera, forse mi sento solo. Fa strano trovarsi in una camera tutta per sé, non mi sono ancora abituato.

Mi manca l’omurice della mamma.

Ti voglio bene

 

Non aveva mai spedito quella lettera, così come non aveva spedito tutte le altre. Prima che se ne potesse rendere conto, quei pezzi di carta erano diventati un diario in cui riversare le proprie debolezze.

Aveva scoperto, in quelle lettere, che scrivere era molto più facile che parlare. E allora, nei momenti in cui si sentiva mancare il respiro perché la solitudine non era sempre una buona amica, aveva scritto.

Aveva scritto delle sue insicurezze all’unica parte di sé di cui era certo – Riku.

Aveva provato a buttarle innumerevoli volte, ma non c’era mai riuscito: erano un monito ma anche una prova. Non era indistruttibile e se una volta questo lo avrebbe terrorizzato, adesso cominciava ad apprezzare di non esserlo. Dopotutto, se non fosse stato debole, non si sarebbe trovato in quella casa, ora…

Un sorriso gli tirò curvò appena le labbra carnose. Poteva tranquillamente immaginarlo, Gaku Yaotome, mentre commentava con un ghigno che si era comportato da perfetto cattivo delle fiabe: aveva chiuso il suo cuore dove non poteva essere ferito. Chiuso in uno scrigno, ancora pulsante ma intoccabile, si era creduto invulnerabile.

Eppure, nessuno meglio di Tenn lo sapeva e sapeva anche come negarlo, non lo era affatto. Fingere di parlare con Riku gli aveva dato conforto in molte occasioni. Soprattutto all’inizio della sua vita come “Tenn Kujo”, quando il legame tra loro era ancora troppo forte per non tenerlo sveglio la notte, oppure quando Kujo lo aveva portato in Europa, in un mondo completamente diverso.

Tra le molte, pescò un’altra lettera a caso.

La data era 07.09, l’anno non specificato. Probabilmente risaliva a qualche tempo prima del suo ritorno in Giappone. Se quando era più piccolo buttava giù quasi una lettera al mese, col tempo aveva cominciato a distaccarsene, proprio perché si era reso conto che si facevano portavoce di debolezze che non poteva permettersi.

Ma ogni tanto, la malinconia tornava a tormentarlo e di solito lo faceva il giorno del loro compleanno.

 

Sono passati tre anni dal nostro ultimo compleanno insieme, Riku.

Allontanarmi dal Giappone è stata una buona idea, il signor Kujo aveva ragione. Ma guardando il calendario è quasi impossibile non pensare alla torta che la mamma ci preparava e che volevi sempre mangiare per primo.

Studio moltissimo e mi alleno altrettanto. Ma quando torno nella mia stanza è difficile non farsi assalire dai pensieri… Ho imparato che, da soli, si è costretti ad ascoltarsi molto di più. E a volte mi torna in mente la tua voce affaticata che mi dice: “A che stai pensando, Tenn-nii?”

Chissà, adesso avrai ripreso possesso della tua voce limpida e brillante. Mi piacerebbe sentirla.

Il vantaggio di scriverti è che posso essere sincero, perché so che non leggerai mai queste parole. Il nove luglio è quasi un incubo ormai, sai? Perché anche se tutti ci dicevano che, per essere gemelli, non ci somigliavamo poi granché, il giorno del nostro compleanno ti vedo ovunque nel mio riflesso. Mi chiedo quanto sei cresciuto, quanto sei cambiato. Mi chiedo se anche tu vedi quel ricordo che avrai ancora di me.

Mi chiedo anche se tu riesca a finirla da solo, quella torta. Non credo, però.

L’anno scorso ho chiesto al signor Kujo di smetterla di festeggiare il mio compleanno e ha accontentato la mia richiesta. Quest’anno non mi ha fatto recapitare la solita torta, anche se l’ha fatto settimana scorsa. “Per nessuna occasione speciale”, ha scritto.

Spero che, così facendo, questo vuoto che sento dentro si allenti almeno un po’…

Le lezioni che prendo qui sono difficili ma stimolanti e il signor Kujo mi mette sempre a disposizione i migliori insegnanti e sembrano tutti entusiasti di lavorare con me. Il mio obiettivo è quello di diventare un idol e sono sempre più cosciente di quello che so fare. Però… è buffo pensare che una volta il mio pubblico eri solo tu.

Chissà se, dopo aver debuttato, mi riconoscerai?

Spero che tu non mi venga a cercare, in futuro. Non saprei come affrontarti.

 

“Quanta insicurezza” realizzò Tenn, mentre ripercorreva ricordi più recenti, quelli che non aveva mai avuto il coraggio di scrivere. Non era cambiato poi molto, da allora: tuttora, spesso non aveva idea di come affrontare suo fratello gemello. La definizione “tallone d’Achille” era un eufemismo.

Una vita passata a preoccuparsi per lui non poteva scomparire con un cambio di documenti. Era proprio come aveva scritto: c’erano giorni in cui si guardava allo specchio e vedeva ogni singola somiglianza tra loro, ma ce n’erano altri in cui si specchiava e non trovava niente che li accomunasse. Questo lo destabilizzava, perché era come sentire una parte di sé che scivolava via. Era cambiato così tanto? Erano davvero così lontani?

Era sempre stato tutto terribilmente complesso, con Riku. Perché neanche lui sapeva più quanto voleva lasciare andare quel legame e quanto far sì che lo imprigionasse, quasi lo soffocasse in una morsa familiare.

Afferrò un’altra lettera. Era la penultima che aveva scritto.

E di quella, in particolare, ricordava ogni singola parola.

Quasi poteva rivedersi, mentre si sedeva alla scrivania della sua camera d’albergo, un sorriso di raro entusiasmo sulle labbra: sentiva ancora l’energia e l’adrenalina dell’aver incontrato Gaku e Ryuunosuke, di aver assaggiato i Trigger per la prima volta. Ricordava l’euforia dell’aver ballato in un’armonia quasi perfetta con quelli che allora erano due perfetti sconosciuti.

Ricordava di aver pensato di poter essere finalmente libero, di aver finalmente trovato il modo di fuggire dalle catene del passato.

Adesso, però, realizzava anche che c’era un desiderio negato in quell’entusiasmo: quello di essere più solo. Aveva ballato e condiviso, lasciandosi trascinare dallo stesso tipo di legame irrazionale che lo legava a Riku.

Quella sera, Tenn era diventato la T dei Trigger. “Un legame” considerò, “lo stesso che ho cercato di controllare per anni affinché non ne finissi di nuovo schiavo.”

Non era un caso, che ci fosse un senso di cieca e patetica rivalsa, in quella lettera.

 

Ciao Riku,

O forse dovrei scrivere qualcos’altro? Addio, magari. Stavolta davvero.

Ho provato tante volte a non cadere in questo brutto vizio di scriverti, come se tu potessi leggere. Anche se non le spedisco, sentivo che in qualche modo potevi percepire quello che provavo. Si dice che i gemelli possano percepire le emozioni l’uno dell’altro, dopotutto.

Ma per quanto abbia reso la solitudine parte della mia quotidianità – parte di me, a volte mi aggredisce senza che me ne renda conto e finisco col trovarmi comunque con una penna in mano, con una lettera in più da nascondere agli altri e a me stesso.

 

“Già, assurdo”. Prendersi gioco di quel Tenn era inevitabile. Infatti, per quanto tendesse tuttora a mentire persino a sé stesso, in questo caso riconosceva il tentativo inutile di liberarsi dell’unico legame che non avrebbe mai potuto recidere. Lo aveva accettato a fatica. Ogni gesto di Riku era ancora in grado di ferirlo e sapeva che lo stesso valeva per suo fratello.

 

Ma stasera basta. Ormai posso affermare di essere Tenn Kujo senza esitazione. Stasera ho incontrato i miei futuri compagni di gruppo e a breve debutteremo.

 

Quante volte Gaku e Ryuunosuke l’avevano salvato, a loro insaputa? Non potevano immaginare la tempesta di emozioni che gli avevano lasciato dentro, quella sera: era stato come spalancare una porta direttamente su una nuova vita – ben più che l’Europa, l’America o la vita con Kujo e Aya. Il futuro era sembrato finalmente a portata di mano, oltre a quella porta.

Si era sentito per la prima “Tenn”, e basta; non “Tenn Kujo” come aveva scritto nella lettera.

 

Sono tipi interessanti. Uno sembra molto tranquillo, mentre l’altro è… tollerabile, diciamo. Compensa col talento.

 

E qui, Tenn scoppiò a ridere in una sommessa risata. “Gaku”. Non aveva tutti i torti, quando diceva che era un ragazzino arrogante.

 

Ci vedrai presto, Riku. Brilleremo in cima ad ogni classifica, darò un significato agli anni che abbiamo passato lontani

 

La cancellatura non era abbastanza per non scorgere le parole al di sotto. E quella lettera era rimasta lì, inconclusa.

Perché dopotutto, il Tenn di allora sentiva ancora la solitudine di un legame reciso con la forza, come un arto mancante; la stessa solitudine che avrebbe cominciato a diradarsi solo anni dopo, in un appartamento troppo piccolo per tre persone.

Lo stesso dove si trovava adesso.

Allungò la mano per prendere l’ultima lettera che aveva mai scritto. Risaliva a dopo che aveva scoperto che Riku era a Tokyo e che stava cercando di debuttare con gli IDOLiSH7, dopo giorni di tormento a causa di un’eco di una canzone sentita per caso.

Inspirò a fondo, ricordando l’esplosione di emozioni che lo avevano sopraffatto non appena si era trovato da solo.

La scrittura era ben distante dal tratto elegante che di solito caratterizzava la sua calligrafia: era nervosa e veloce, così come il foglio era stropicciato. Aveva tentato di buttarlo. Anche il tono era più brusco delle lettere precedenti.

 

Riku,

Ho visto i video. Ho riconosciuto la tua voce, nonostante tu sia cresciuto così tanto. Che cosa ci fai qui? Come puoi essere qui? Non puoi fare l’idol, il center poi! Non puoi esporti ad un rischio così grande. Perché poi?

 

Affetto, rabbia, preoccupazione. Ricordava come avesse cercato informazioni sugli IDOLiSH7, perché nonostante tutto non voleva crederci: e invece, aveva riconosciuto il sorriso fiammante di suo fratello gemello, i capelli rossi e scarruffati in quella buffa maniera tipica dei Nanase (li avevano ereditati dal padre) e la voce dolce e calda seppur più matura, in grado di riempire ogni cuore abbandonato.

Tenn Kujo non piangeva mai, ma quella sera ci era andato vicino. Poteva gestire un’emozione alla volta, ma non troppe e tutte insieme.

Quella lettera ne era la prova.

 

Stai correndo dietro al mio fantasma, a modo tuo? Non farlo. Non c’è più il Tenn che conoscevi, non sono più tuo fratello gemello.

Torna a casa. Vivi la tua vita dispensando gioia in altri modi. Questo è il mio mondo, non il tuo.

 

Tenn accarezzò quelle parole, provando disgusto per se stesso. Aveva sbagliato così tanto, con Riku, che non avrebbe saputo da che parte iniziare. Aveva ancora paura, da una parte: seppur avesse riconosciuto che suo fratello non era più fragile come una volta, era anche conscio che quella strada non sarebbe mai stata davvero sicura, per lui.

Inoltre, il Tenn della lettera sapeva perfettamente che averlo così vicino avrebbe inevitabilmente scalfito la corazza che si era così pazientemente costruito, si sarebbe lasciato influenzato dalle emozioni.

Aveva ragione.

Dall’altra, si era illuso per molto tempo di poter finalmente camminare su una strada che solo lui era in grado di percorrere. Una strada che a Riku sarebbe stata preclusa a prescindere. Invece, il tempo lo aveva smentito e lo aveva inaspettatamente riportato al suo fianco, anzi; c’erano state occasioni in cui lo aveva persino superato.

 

Ti prego, torna a casa.

 

Era stato difficile. Lo era ancora. Lo era ad ogni spontaneo “Tenn-nii” che Riku si lasciava sfuggire con la sua ingenuità di bambino, lo era ogni volta che lo sfidava apertamente col cipiglio di un adulto.

Nonostante tutto, erano gemelli.

Tenn piegò di nuovo con cura la lettera e la ripose, ma non chiuse la scatola.

Piuttosto, tirò fuori dall’astuccio malconcio una penna ed estrasse un paio di fogli dal cassetto. Gaku e Ryuu erano fuori e non sarebbero tornati prima di sera: Tenn aveva la netta sensazione che stessero complottando qualcosa in vista del suo compleanno, nonostante come sempre avesse detto che preferiva non festeggiarlo.

Era quel legame, ad essere solo suo – non il palco o il successo con i Trigger. Faceva parte del suo nuovo inizio.

Tracciò una piccola linea sul foglio per assicurarsi che l’inchiostro non fosse seccato, dimenticato com’era stato. Chiuse gli occhi per un momento e trovò sia il Riku dei suoi ricordi, quello che aspettava le sue lettere, sia il Riku del presente e la sua voglia di dimostrare quello che poteva fare, il suo bisogno di essere accettato.

Poteva concedersi, almeno per un momento, di tendere la mano a entrambi.

Ciao Riku,

Volevo augurarti buon compleanno.

[…]


Note: 

Ho questa idea che mi ronza in testa da un bel po' ma - come tantissime altre idee - è sempre rimasta nel cassetto. Prima gli altri progetti che volevo finire, poi il lavoro... non sono proprio riuscita a mettermici con sicurezza.
Poi il compleanno dei Nanase mi ha riportato questo sussurro quasi dimenticato e ho deciso di concretizzarlo. La fic è uscita parecchio diversa da come l'avevo immaginata inizialmente... Ma credo che così vada bene.

Sento il personaggio di Tenn sempre molto vicino, soprattutto nel rapporto con Riku - è stata la prima cosa a colpirmi, di lui, la sua sofferenza testardamente celata e rabbiosamente contrastata. Ho scritto "circa" ambientata dopo Parte 3 nonostante non abbia manco finito di leggerla (hehe) perché so che non è più solo. Ci saranno dei momenti in cui cercherà comunque di esserlo, ma avrà sempre Gaku e Ryu al suo fianco.

Prendetevi cura di lui. ♥

   
 
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