Ciao a tutti. Il seguente racconto è un
Omegaverse. Si tratta della continuazione di una mia vecchia storia intitolata
“Tre Alfa per un Omega”. Non è necessario avere letto la prima parte per
leggere la presente.
La storia è scritta senza scopo di lucro e
spero che non ne ricordi altre, ma, in questo caso, sarebbe completamente
involontario.
Il titolo del racconto è preso da una
canzone, “Believer” di Imagine Dragons del 2017.
Buona lettura.
First
things
First
I’m say all the words inside my head
I’m fired up and tired of the way that things have been, oh-ooh
The way that things have been, oh-ooh
Believer
Ero
solo.
Mi
trovavo sicuramente in riva al mare, sulla spiaggia. Sentivo la sabbia rovente
sotto i miei piedi nudi. Era la stessa spiaggia in cui era approdato Sherlock,
il giorno in cui aveva raggiunto l’Isola.
Un
vento caldo mi bruciava la pelle delle braccia e delle gambe, dove non
arrivavano i pantaloncini e la maglietta, che indossavo ogni giorno sull’Isola.
Mi sembrava di andare a fuoco, ma era solo una sensazione. Spiacevole, certo, ma
solo una sensazione. Mi fissai le mani e le braccia. Non stavano bruciando. Non
erano nemmeno rosse. Ero abbronzato, come sempre, ma non vedevo nulla che
giustificasse il calore intenso che sentivo.
Mi
guardai intorno, ma non riuscivo a stabilire da dove arrivasse né da che cosa
fosse originata l’aria bollente che mi stava investendo.
Sentivo
delle urla. Avevo riconosciuto le voci di coloro che stavano gridando per il
dolore, per la paura. Alcuni sembravano in agonia.
I
miei figli. Mio padre. Mio fratello. Gli altri Omega, che abitavano sull’Isola.
Non
capivo perché stessero urlando. L’aria bollente era fastidiosa, ma non
dolorosa.
Che
cosa stava accadendo?
Ad
ogni secondo che trascorreva, il panico si impadroniva sempre più di me.
Dove
era Sherlock? Dove erano i miei figli, la mia famiglia, i miei amici? Perché li
sentivo, ma non li vedevo? Eppure, malgrado la giornata fosse buia, come se
stesse per scoppiare un temporale, non lo era così tanto da impedirmi di vedere,
che cosa mi circondasse.
Il
mare era burrascoso. Le onde si infrangevano violente sulla battigia e
trascinavano via tanta sabbia, quando tornavano indietro, quasi volessero
erodere e distruggere i confini dell’Isola.
Fu
guardando verso l’orizzonte che le vidi e rabbrividii per la paura.
Navi.
Centinaia,
migliaia di grandi navi e piccole barche, che si stavano dirigendo verso la
spiaggia.
Cariche
di Alfa.
Ero
paralizzato dal panico. Sapevo che dovevo correre ad avvertire tutti che la
barriera era stata infranta, che l’Isola era stata scoperta, che eravamo tutti
in grave pericolo, ma le gambe non si muovevano. La voce si rifiutava di uscire
dalla gola.
Con
uno sforzo immenso, mi voltai e le vidi.
Le
fiamme. Alte. Ruggenti.
Stavano
divorando l’Isola. E i cadaveri di tutti coloro che amavo.
Io
ero immobile. Impotente. Inutile.
Tutto ebbe inizio da questo incubo.
Mi svegliai urlando, chiamando in modo
disperato i nomi dei miei cari. Avevo il cuore in gola. Non sentivo nemmeno la
voce di Sherlock e le sue mani su di me. Respiravo affannosamente, non
riuscendo a capire quale fosse la realtà.
Quella pacifica e felice che stavo vivendo
quando mi ero addormentato nel mio letto la sera prima o quella che avevo
vissuto nel peggior incubo mai avuto nella mia vita?
Mi voltai verso Sherlock e mi vidi
riflesso nei suoi occhi chiarissimi. L’espressione atterrita del mio viso
spaventò persino me.
Finalmente, la sua voce rassicurante fece
breccia nel terrore che mi aveva attanagliato l’anima.
“John calmati. È stato solo un sogno,”
ripeteva in tono dolce.
Io mi lasciai trasportare fuori
dall’incubo da quella voce bassa e calma.
Stavo dormendo. Sognando.
Dio
fa che non sia una visione. Pregai.
“Papà stai bene?” Mi voltai di scatto
verso la direzione da cui era giunta la domanda.
Mycroft mi fissava, cercando di nascondere
la paura, ritto in piedi in mezzo alla porta. Greg faceva capolino dietro di
lui, insicuro se essere curioso o spaventato. William stava urlando disperato
dalla sua culla.
Mi passai una mano sul viso, costernato:
“Sono riuscito a svegliare tutti. Mi dispiace,” mormorai con voce roca.
Sherlock mi fissò per alcuni secondi, per
essere sicuro che fossi tornato in me, poi si alzò e andò verso i bambini:
“Papà ha fatto solo un brutto sogno, ma sta bene. Andiamo a calmare Will, prima
che svegli tutti gli abitanti dell’Isola con le sue urla. Ci manca solo che
arrivi il vecchio Severus a sgridarci perché stiamo facendo troppa confusione,”
sogghignò, come se fosse stato uno scherzo fra lui e i bambini.
Gli fui grato per quello che stava
facendo. Io non riuscivo a smettere di tremare. L’orribile sensazione che
qualcosa di sconvolgente avrebbe travolto l’Isola, mettendo tutti in pericolo,
non riusciva ad abbandonarmi.
E avevo ragione.
Sto scrivendo questo diario, in questo
momento in cui ho ben presente nella mente ogni avvenimento, per non
dimenticare. Non è destinato a nessuno. Anzi, questa storia dovrà rimanere un
segreto per il resto dell’Umanità o avremo compiuto il nostro sacrificio per
nulla. Semmai qualcuno dovesse trovare questo diario, penserà senz’altro che
sia un racconto di fantasia. Allegorico. O le fantasticherie di un pazzo.
Credete pure ciò che volete, perché è
giusto che sia così.
Io racconterò la mia incredibile storia e
sarò di parte, ovviamente. Non può esistere il contradditorio di altri, perché
molti non ci sono più. È giusto, comunque, ricordare che cosa sia accaduto,
perché dobbiamo essere meglio di come siamo stati.
Per i nostri figli.
Perché questa è la storia di come la nostra
vita sia stata cambiata e stravolta, in un modo che non potrà mai più tornare
come prima. Di come abbiamo perso alcune delle persone più importanti per noi e
di come abbiamo dovuto cominciare una nuova vita, lasciandoci alle spalle il
passato.
Nota dell’autore
Grazie a chi sia arrivato fino a qui.
Il secondo capitolo sarà pubblicato
giovedì prossimo.
Ciao!