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Autore: FreddyOllow    27/07/2021    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti antologica. Seguiremo le storie di alcuni protagonisti sopravvissuti alla Grande Epidemia Verde. Non serve conoscere il gioco.
Storie concluse:
1. Whitaker
2. Virgil
3. Jimmy Gibbs Juniors
4. La sposa Witch
5. L'uomo della chiesa
Genere: Horror, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1

 

Era un giorno speciale. Presto Tara si sarebbe spostata con Austin. Un fidanzamento che, tra alti e bassi, durava da quattro anni. Non erano la coppia perfetta, ma si amavano. E questo era l'unica cosa che contava.
Quel giorno Tara stava arrivando verso il parco accompagnata dal padre Marcus su una berlina nera. Entrambi notarono l'assenza di persone in strada. Sembrava che si stessero muovendo in una città fantasma. I veicoli, poi, sembravano essere stati abbandonati in fretta in furia.
Parcheggiò la berlina nera affianco al marciapiede e andò ad aprire la portiera a sua figlia.
Quando Tara scese dall'auto, si accorse che gli invitati non c'erano.
- Dove sono tutti? - Chiese Tara.
Marcus si guardò intorno, confuso. - Non lo so. Dovevano essere tutti qui. Li ho avvisati mezz'ora fa al telefono.
Tara si rattristì. Non avrebbe mai immaginato che il suo matrimonio potesse iniziare così male. Nessuno si era presentato. Com'era possibile?
Marcus notò la figlia a un passo dal pianto. - Non ti preoccupare, tesoro. Sono sicuro che è successo qualcosa di grave. Non avrebbero motivo di non essere qui.
- Ora cosa facciamo? - Disse Tara in lacrime. - Il mio matrimonio è rovinato...
Marcus l'abbracciò. - No, non è rovinato.
D'un tratto sentirono degli spari arrivare dal parco. Confusi e spaventati, andarono a dare un'occhiata. Si fermarono dietro una fila di cespugli, accanto a una corta e ampia scalinata. Al centro del parco, attorno a un padiglione dove si doveva tenere il matrimonio, videro a terra dozzine di corpi.
- Non... Cosa... - Balbettò Tara, scioccata, coprendosi la bocca con la mano.
Gli inviati erano tutti morti. O almeno così aveva pensato, finché non si alzarono in piedi. Le facce grigiastre, le labbra sporche di sangue e gli occhi rosso fuoco. Cominciarono a barcollare, a gemere, a vomitare bile nero.
- Andiamo via, Tara. - Disse il padre, preoccupato, afferrandola per un polso.
- No, hanno bisogno di aiuto. Stanno male. Dobbiamo aiutarli.
Marcus tentò di trascinarla via, ma la figlia puntò i piedi.
- È Austin! - Disse con un sorriso da innamorata. - È vicino al padiglione, papà. Devo raggiungerlo. Mi sta aspettando. - Si districò dalla presa di Marcus e corse verso il padiglione, tenendo sollevata la gonna con le mani.
- No, resta qui! - Rispose il padre, andandole dietro.
Gli invitanti, una trentina in tutto, scattarono la testa verso di loro. Li guardarono irritati. Austin, ridotto a un infetto, piegò la testa di lato.
Tara si pietrificò, gli occhi sbarrati dal terrore. Marcus la raggiunse e la afferrò per un braccio. Quando fecero per allontanarsi, gli invitati si lanciarono contro di loro.
I due fuggirono verso la berlina nera. Il padre aprì la portiera e fece entrare la figlia. Mentre saliva al posto di guida, Austin afferrò Marcus per la giaccia e lo trascinò fuori. Cominciò a martellarlo di calci e pugni.
- No! Fermati! - Urlò Tara, battendo i pugni sul finestrino. - Lascialo andare, Austin! Non fargli del male!
Attimi dopo, gli invitati li raggiunsero e si ammassarono su Marcus.
Tara piangeva e, quando un invitato scattò la testa verso di lei dietro il finestrino, quella se la filò dalla portiera opposta.
Corse gridando aiuto verso un edificio di fronte, mentre tutti gli invitati le correvano dietro, urlando impazziti.
Poco prima di arrivare davanti al portone, scorse un uomo in uno stretto vicolo. Teneva aperta una porta di ferro con la mano.
Tara cambiò subito direzione e gli andò incontro. Una volta varcata l'entrata, l'uomo fece in tempo a chiudere la porta e infilare una sbarra di ferro tra la maniglia. Gli invitati le si riversarono contro, colpendola con pugni e calci.
Si trovavano nella cucina di un ristorante.
- Stai bene? - Chiese l'uomo. Sui trent'anni, capelli neri rasati, viso asciutto, barba rada e fronte ampia. Indossava una giubbotto nero sotto una maglietta bianca, e pantaloni grigi.
- Sì... - Bisbigliò Tara, scossa. Gli occhi arrossati per il pianto. Era successo tutto così in fretta che non realizzò di aver perso suo padre.
L'uomo le guardò l'abito da sposa. - Sembra che le nozze siano da rimandare, eh? - Scherzò l'uomo, cercando di sdrammatizzare.
Tara si limitò a fissarlo con gli occhi arrossati.
- Scusa, io... Io volevo solo tirarti su. Sono un coglione, scusami.
Rimasero in silenzio per un momento.
- Mi chiamo Ian Power. - Le allungò una mano.
- Tara Parker. - Gli guardò la mano, ma non la strinse.
- Se non avessi sentito le tue grida...
Tara sbarrò gli occhi, terrorizzata. Adesso ricordava. Le balenò in mente l'immagine di suo padre sommerso dagli infetti. Scoppiò in un pianto sommesso, accasciandosi contro il muro.
Ian non sapeva cosa fare. Rimase a guardarla per un attimo, poi le si chinò. - Ho perso anche io qualcuno. - Disse piano. - Mio fratello Willy... Lui... - Si zittì alla comparsa delle lacrime e si alzò in piedi, dandole le spalle. - Quelle cose lo hanno raggiunto e... Beh, puoi immaginare.
Tara lo guardò, il viso bagnato, coperto dietro le mani. - Mio padre... Ho perso mio padre...

 

 

2
 

Ian andò a controllare la sala da pranzo sul davanti. Si era chiuso dentro quando aveva visto un nutrito gruppo di infetti assalire alcuni poliziotti. Altri ne erano sopraggiunti dalle strade, e la polizia ne fu sopraffatta. L'esercito aveva montato delle rete metalliche per dividere gli isolati e creato posti di blocco in punti strategici della città.
Non era servito a niente.
Gli infetti erano arrivati come un ciclone, spazzando ogni cosa al loro passaggio. Alcuni soldati erano rimasti a combattere, a cercare di mettere al sicuro la gente. E altri erano fuggiti, lasciandosi dietro gli armamenti, rubati dagli sciacalli.
La città ne era piena.
Se non ti uccidevano gli infetti, ci pensavano le persone. Ian lo aveva visto. Era mancato poco che venisse freddato da un tizio col fucile a pompa.
Oltre all'esercito, c'erano anche quelli della CEDA. Medici e scienziati che avevano allestito diversi centri medici all'aperto in giro per la città. Solitamente erano posti grandi, pubblici. Tutto questo non aveva fatto altro che peggiorare le cose. E al disastro imminente dell'esercito, quei luoghi erano stati convertiti in centri di evacuazione.
Ian stava per raggiungerne uno, quando aveva visto Tara inseguita dagli infetti. Il piano era saltato ed ora sperava di riprovarci.

Ian si avvicinò alla finestra coperta da una tenda e guardò in strada. Sembrava non esserci nessuno. Rimase a osservare per una manciata di minuti, poi tornò da Tara. La trovò seduta con la testa tra le mani.
- Ehi. - Disse Ian. - Va meglio?
Tara non gli rispose.
- Qui vicino c'è un centro CEDA. Magari possono aiutarci. Vieni con me?
- Dove altro potrei andare? - Rispose Tara con voce rauca dal pianto.
- Non lo so, io...
- Scusami per prima.
- Per cosa?
- Non ti ho stretto la mano e...
- Non preoccuparti. Va tutto bene. - Le sorrise e raggiunse un cassetto da cui prese una pistola.
Tara la fissò, spaventata.
- Ehi, non avere paura. - Aggiunse calmo Ian. - Ci servirà per proteggerci. La so usare, tranquilla. Tu hai mai sparato?
- No, ma il mio... - Tara abbassò gli occhi lucidi e si voltò per non farsi vedere. - Il mio fidanzato... Lui amava le armi. Aveva un abbonamento all'armeria di Whitaker.
- Sì, conosco quel tale, Whitaker. È un po' ammattito, ma una brava persona. Sono sicuro che si è chiuso in quel suo fortino sopra l'armeria.
Rimasero in silenzio per un momento.
- Mi dispiace per il tuo ragazzo e tuo padre. - Disse Ian.
- A me per tuo fratello. - Rispose Tara.

 

3
 

Un'ora dopo uscirono dal retro del ristorante. Gli invitati infetti erano spariti. Proseguirono lungo lo stretto vicolo e arrivarono dirimpetto alla centrale di polizia. Ai piedi del cancello di ferro, una pila di cadaveri. Altri erano sparsi lungo la recinzione di cemento e sbarre di ferro. Diverse auto della polizia erano messe di sbieco sulla strada, impedendo l'accesso ai veicoli. Un acro odore di putrefazione aleggiava nell'aria.
I due si tapparono bocca e naso.
- È quello il centro di cui parlavi? - Domandò Tara.
- No. - Rispose Ian. - Si trova a quattro isolati da qui, vicino a un campo da baseball. - Lanciò una rapida occhiata a entrambe le direzioni. - La strada a sinistra è bloccata da una rete metallica. Quella a destra è libera. Sembra che i militari non siano riusciti a chiuderla.
- Come sai che sono stati i militari? - Chiese Tara.
- Li ho visti. Prima di rifugiarmi nel ristorante, ho visto che li stavano montando.
- A che servivano? A chiudere la gente all'interno?
Ian sollevò le spalle. - Non lo so. Ma secondo me hanno fatto un casino. Voglio dire, se quelle cose erano già all'interno, è stato facile per loro uccidere tutti.
- Ma non tutti muoiono. - Rispose Tara. - Quando... Quando sono arrivata al padiglione nel parco, ho visto gli invitati a terra. Sembravano morti. Poi, non so come, si sono rialzati.
Ian non parlò subito. - Sei sicura?
- Sì, l'ho visto con i miei occhi.
- Quindi alcuni muoiono, e altri si rialzano. Eppure ho visto persone trasformarsi improvvisamente. Credevo succedesse così.
- Così come?
- Che basta stare a contatto con alcune persone infette o... Magari infettarsi improvvisamente. Voglio dire, non sono un medico, ma... Credevo fosse qualcosa nell'aria, che succedesse così.
- La CEDA doveva saperne di più, giusto? - Domando Tara.
- Dovrebbe. - Rispose Ian. - Ma sembra che non siano riusciti a bloccare l'infezione, o qualunque cosa sia.

Si diressero a destra, stando vicini agli edifici adiacenti. Quando arrivarono davanti alla rete metallica costruita a metà, sussultarono nel sentire diversi spari. Si voltarono verso la centrale di polizia. Un poliziotto venne scaraventato contro la finestra e cadde giù, schiantandosi sul cortile interno. Poi una dozzina di infetti si lanciarono giù dalla finestra, strillando infuriati.
- Cristo! - Bisbigliò Ian, spaventato.
Tara era rimasta pietrificata dal terrore.
D'un tratto un centinaio di infetti fluirono dalla strada bloccata dalla rete metallica e dal vicolo da cui i due erano venuti.
- Stai giù. - Disse Ian, abbassandosi. - Nascondiamoci dietro quel cassonetto.
Quando lo raggiunsero, Tara vide una sagoma familiare confusa tra gli infetti. Ci mise un po' a capire chi fosse, ma alla fine comprese. - Papà! - Disse quasi ad alta voce.
Ian si voltò verso di lei, confuso. - Cosa hai detto?
- Mio padre. È lì. - Disse Tara, felice. Appena fece per alzarsi, Ian la afferrò per un avambraccio.
- Dove vuoi andare? - Le disse. - Resta giù, o ci vedranno.
- Ma è mio padre. Devo aiutarlo.
- Stai giù.
- No, lasciami andare!
- Non è più tuo padre, Tara.
La sposa si fermò, lo guardò negli occhi. - Tu... Non puoi...
- Non è tuo padre. Non più, Tara. - Rispose Ian, posandole una mano sulla spalla.

 

4
 

Rimasero lì per più di quaranta minuti, finché la maggior parte degli infetti sciamarono altrove. Nessuno di loro si allontanava dagli altri, ma lo facevano solo in gruppo di venti, trenta o più. Sembravano voler restare insieme a tutti i costi.
Poi altri spari si levarono dalla centrale delle polizia, e tutti gli infetti rimasti si precipitarono verso l'edificio. Scavalcarono con una velocità disumana la recinzione di cemento e sbarre di ferro, arrampicandosi come saette sui tubi pluviali o tramite le sporgenze e i buchi nel muro. Le loro grida, poi, sovrastravano ogni rumore.
Ian rimase a fissarli, finché sparirono nell'edificio o sopra il tetto.
- Muoviamoci. - Disse. - Non voglio ritrovarmi quei cosi alle spalle. Il centro CEDA è vicino.
Tara si alzò e lo seguì, rattristita.
Si muovevano vicino le pareti degli edifici, svoltarono un angolo e continuarono a camminare. Superarono una jeep militare e alcuni sacchi di sabbia. Sette soldati giacevano a terra senza vita.
Poi sentirono una specie di ringhio provenire dai tetti. Si arrestarono e fissarono i balconi, le finestre, i cornicioni. Non videro nessuno.
- Stammi vicino. - Disse Ian, alzando la pistola. - Questo suono non mi piace per niente.
- Forse è una cane. - Rispose Tara.
- Non è un cane. Sembra qualcos'altro.
Tara si guardò intorno, terrorizzata. - Cosa vuoi dire?
- Non lo so. Dico solo che non mi sembra un cane.
Continuarono a camminare per un lungo momento, finché il ringhio si fece più vicino. Allora si fermarono, tenendo le spalle contro il muro.
- Cosa facciamo? - Domandò Tara.
- Sssh. Non parlare. - Rispose Ian, lanciando frettolose occhiate attorno.
Rimasero fermi per un po'. Quando fecero per muoversi, videro qualcosa balzare giù dal tetto del sesto piano.
Ian non fece in tempo a sparare, che l'Hunter gli fu addosso e iniziò a lacerargli il petto con gli artigli. La pistola scivolò ai piedi di Tara.
- Toglimelo di dosso! Toglimelo! - Urlò Ian dal dolore, mentre tentava di spingerlo via.
La sposa era rimasta immobile, tremante. Non riusciva a muoversi. L'infetto speciale, i vestiti pregni di sangue, fece un corto salto e si accucciò, pronto a saltare sulla sposa.
Tara si destò come da un incubo. Afferrò frettolosamente la pistola e sparò. Il rinculo gli fece scivolare la pistola di mano che, urtando al suolo, fece partire un colpo. Il proiettile finì contro il serbatoio di un furgone, facendolo esplodere. L'Hunter fu investito dall'onda d'urto e di fuoco, che lo lanciò contro un muro di un edificio. Tara venne scaraventata contro il parabrezza di una monovolume grigia e perse i sensi.

 

5


Quando si svegliò, si accorse di essere in un letto. Si mise a sedere e si guardò intorno, confusa. Le sembrava una stanza di ospedale. Appena posò i piedi sul pavimento, una donna entrò nella stanza.
Era sulla quarantina, capelli biondi raccolti in una coda, un viso rotondo e occhi grigi. Aveva un aria affabile, sincera. Indossava una camicia verde scuro e pantaloni neri.
- Sei sveglia. - Disse con un sorriso. - Come stai?
- Cosa è successo? - Domandò Tara, stordita.
- Non ricordi nulla? No? Ti ho trovata svenuta sul parabrezza di un auto. L'onda d'urto ti ha scaraventata lì. Per tua fortuna ero nei paraggi, in fondo alla strada. Ho sentito l'esplosione e sono uscita fuori. Hai fatto davvero un bel casino. Gli infetti sono arrivati da tutte le parti. Non immagini quanti ne ho visti. - Fece una pausa. - Comunque, prima che arrivassero io e Greg ti abbiamo portata qui.
- Qui? - Chiese Tara, confusa. - Siamo in un ospedale, giusto?
- Sì, al quarto piano. - Annuì la donna. - Ai piani inferiori ci sono gli infetti, ma abbiamo bloccato le scale e gli ascensori. Non possono salire.
- Io... Io... - Tara si bloccò per un lancinante dolore alla testa.
- Ehi, tranquilla. - Disse la donna, aiutandola a stendersi sul letto. - Riposa. Hai avuto una brutta contusione dietro la testa. Nulla di grave ovviamente, ma hai bisogno di riposo.
Tara non riuscì ad ascoltare le ultime parole che si addormentò.

Si svegliò verso le otto di sera. Rimase a guardare la pallida luna dalla finestra per un momento, poi scese dal letto. Indossava ancora il vestito da sposa sporco di terra e bruciacchiato.
Quando uscì dalla stanza, vide altra gente. Uomini, donne e bambini. Stavano nei corridoi o nelle camere laterali. La guardarono camminare nel corridoio, finché Tara entrò nella sala comune. Scorse la donna seduta su un divano con una tazza di caffè fumante in mano. Leggeva una cartella di fogli.
- Ciao. - Disse Tara quasi in un sussurro.
La donna posò la tazza sul tavolo e si alzò. - Ehi, dovresti essere a letto. Non...
- Sto bene. - La interruppe Tara. - Davvero. Sto bene.
- Allora siediti. Vuoi una tazza di caffè? È ancora caldo.
- No, grazie. Ma dell'acqua mi andrebbe bene.
La donna riempì d'acqua un bicchiere di plastica e gliela porse.
- Grazie. - Disse Tara, mentre la donna le si sedeva accanto e bevve un sorso del caffè.
- Non mi sono presentata. Mi chiamo Willow Ortez.
- Tara Parker.
Willow accennò all'abito da sposa. - Dovevi sposarti o ti eri già...
- Dovevo sposarmi... - La interruppe Tara.
- Gli infetti hanno rovinato tutto, eh?
Tara deviò lo sguardo e bevve dell'acqua.
Rimasero in silenzio per un po'.
- Qui sarai la sicuro. - Aggiunse Willow con un sorriso. - Sempre se vuoi restare.
- Sì, mi piacerebbe. - Rispose Willow. - Prima che tu mi trovassi, ero con un ragazzo. Ian Power. Lui è... Morto.
- Mi spiace tanto. Era il tuo sposo?
- No, mi ha salvata dai miei amici. Si erano trasformati. Anche mio padre e Austin.
- Il tuo sposo?
- Sì...
- Io e Greg abbiamo visto un corpo straziato vicino a una macchina. Doveva essere Ian. Dev'essere stato un Hunter.
- Quella cosa a quattro zampe? - Chiese Tara.
- Sì, prima era una persona. - Rispose Willow. - Il virus l'ha mutato in non so cosa. Sembra una animale, si muove come una pantera. Ce ne sono altri infetti di questo tipo. Qui intorno è facile vederli.
- Dici sul serio? - Tara era scioccata.
- Perché dovrei mentire? Quelle cose sono attratte dal nostro odore. Così ha detto Steven, uno scienziato della CEDA. È morto l'altro giorno. Uno Smoker l'ha trascinato fuori dalla finestra con la sua lingua.
Tara non riusciva a parlare. Non voleva crederci che ci fossero dei mostri in giro.
- Va tutto bene? - Chiese Willow, notando la sua preoccupazione.
- Sì... È solo che non immaginavo che gli infetti potessero mutare.
- Steven ci aveva detto che il virus poteva continuare a mutare per anni. Forse quelle cose un giorno si trasformeranno in tutt'altro. Per questo è stato arduo per la CEDA trovare una cura o un vaccino. Il virus non fa che mutare in continuazione.
Tara sbarrò gli occhi, spaventata.
- Ok, credo che per oggi possa bastare. - Fece l'ultimo sorso di caffè e poggiò la tazza sul tavolino. Quindi si alzò. - Stai lontano dalle finestre, specialmente nell'ala ovest. L'edificio vicino è pericoloso. Abbiamo sentito molti gemiti provenire da lì.
- Va bene. - Rispose Tara, lanciando un'occhiata alle tre finestre della sala comune.



 

6


Tara cominciò a conoscere la gente che viveva lì. Sopravvissuti che avevano abbandonato tutto e seguito Greg Roth, un detective della polizia. Li aveva condotti tutti all'ospedale, in quanto aveva saputo che la CEDA stava evacuando la gente tramite gli elicotteri.
Ma in breve tempo si creò confusione, e le persone cominciarono a insultarsi, a colpirsi. Greg e gli altri agenti della polizia non riuscirono ad acquietare gli animi iracondi, e persero totalmente il controllo.
Ci furono accoltellamenti, sparatorie, risse, e di mezzo ci andarono donne e bambini.
Quando arrivavano gli elicotteri, la gente si affrettava a salire, saltando la coda o minacciando gli altri di morte per farli passare.
Con l'arrivo degli infetti, la situazione precipitò. Gli elicotteri, affollati di gente, non riuscivano a salire di quota e precipitarono. La maggior parte delle persone venne uccisa ed altri infettati.
Greg fu costretto a bloccare le scale e gli ascensori inferiori. Dall'altra parte le famiglie gli supplicavano di prendere i loro figli, di metterli al sicuro, ma Greg non rispondeva. Non poteva mettere a rischio la gente all'interno.
Quelli dei piani superiori fecero la stessa cosa. Chi rimase intrappolato sul tetto, cercò di scendere e altri si suicidarono, gettandosi giù.
Poi le grida di dolore e d'aiuto vennero attutite dai gemiti e dalle urla degli infetti. E il silenzio scese nell'ospedale. Gli infetti, però, non rimasero a lungo nei paraggi, in quanto gli spari, le esplosioni e le grida lontane li attiravano come api sul miele.
Tara sentì questa storia dalle bocche dei sopravvissuti, anche se alcuni omettevano o aggiungevano altro. Quando cercò di parlare con Greg, gli dissero che era ancora fuori a cercare provviste.

Verso le otto del giorno dopo, Tara andò a fare colazione nella sala comune. La gente la guardava stranita per via dell'abito da sposa. Sembrava assai singolare che una ragazza se ne andasse in giro così. Poteva cambiarsi. C'erano vestiti o camici da infermiere. Doveva solo scegliere, ma Tara non voleva togliersi quell'abito di dosso. E non sapeva nemmeno perché.
Fece colazione con due brioche al cioccolato e un po' di succo all'arancia.
- Posso sedermi? - Disse Willow.
- Certo. - Rispose Tara. - Sono da sola. Hai l'imbarazzo della scelta.
Willow sorrise e le sedette accanto. - Alcuni non vogliono affezionarsi, e altri sono per natura diffidenti. Senza contare chi va mendicando cibo, quando hanno già la pancia piena. Sei fortunata che nessuno di questi sia venuta da te. Se vengono, sai come trattarli.
- Non mi dispiace stare in disparte. - Aggiunse Tara. - Non conosco nessuno qui e non voglio creare problemi.
- Non preoccuparti. Chi crea problemi viene cacciato.
- Sì? Come? Le scale e gli ascensori sono bloccati. Vuoi dire che li confinante in una stanza.
- No, li cacciamo fuori, li esiliamo. In sala chirurgia c'è una finestra che si affaccia su un piccolo edificio in costruzione. Con una scala è possibile creare un ponte per passarci dall'altra parte, anche se l'abbiamo sostituito con delle assi di legno trovate lì. Quella è l'unica via d'entrata e di uscita da qui.
Tara non parlò subito. - E le persone che sono negli altri piani?
Willow sollevò le spalle. - Non lo so. Forse sono morti di fame o di sete, o si sono uccisi tra loro. Non saprei. Però avevo sentito della gente scendere le scale di emergenza. Non so se sono riusciti a uscire dall'ospedale, ma ne dubito. I piani inferiori sono bloccati, sempre che non li hanno aperti. Noi non apriremo le porte, questo è certo.
Tara inghiottì l'ultimo boccone della brioche. - Però mi avete salvata. Perché non lo fate anche con gli altri?
Willow la guardò per un attimo. - Tu eri da sola. Quelli degli altri piani hanno tentato di ucciderci quando li abbiamo accolti. Volevano il nostro cibo, e altri erano totalmente fuori di testa. - Fece un pausa, bevendo un bicchiere d'acqua. - Quello che ti dirò, non dirlo a nessuno, ok? Bene. La gente qui non ti dirà come è andata davvero. Abbiamo dovuto uccidere quelli del piano inferiore, quando hanno buttato giù la porta delle scale di emergenza. Sono entrati sparando all'impazzata e lanciandosi verso di noi con mazze e coltelli. Abbiamo perso più della metà dei nostri, ma alla fine li abbiamo uccisi. Li abbiamo gettati fuori dalle finestre. - Si zittì per un momento nel ricordare quell'evento. - Non è una cosa che si dimentica in fretta. Tutti noi abbiamo deciso di non farne parola con nessuno, di non parlarne mai.
Tara bevve un sorso di succo all'arancia. Non sapeva bene cosa dire. - Beh, immagino che non avete avuto altra scelta.
- Sopravvivere o morire. - Disse Willow. - La scelta è semplice.



 

7
 

Tara andò nella sua stanza e si mise a leggere un'enciclopedia sugli animali. Ci rimase fino alle due di pomeriggio, finché sentì numerose voci nel corridoio. Andò ad aprire la porta e vide un uomo attorniato da altri uomini, donne e bambini. Sembravano essere felici della sua presenza.
- Hai ucciso molto mostri? - Disse un bambino.
- Hai trovato dei vestiti? - Domandò una donna.
- Novità da parte dell'esercito? - Chiese un uomo.
Ma a salvarlo da quelle infinite domande, fu la comparsa di Willow.
- Ok, gente. Fate largo. - Disse, sgomitando tra la folla. - Allontanatevi, forza! Smammare! - Poi si rivolse a Greg. - Sei tornato tutto intero, eh. - Sorrise.
- Che ti aspettavi? - Le rispose ricambiando il sorriso. - Che ci lasciassi la pellaccia?
Greg era un uomo attraente, sulla quarantina, fronte ampia, barba rada ma folta sul labbro superiore e sotto il mento. Aveva occhi verde scuro, una carnagione chiara e una cicatrice sopra il sopracciglio sinistro. Indossava una giacca militare, una maglietta bianca macchiata di sangue e un pantalone nero.
- Cosa hai preso? - Chiese Willow.
- Vai a dare un'occhiata tu stessa. Ora non vedo l'ora di farmi una lunga dormita. Non chiudo occhio da due giorni.
- Hai mangiato?
- Mangerò dopo. - Si infilò in una stanza e chiuse la porta alle sue spalle.
Tara raggiunse Willow. - Quello era Greg? - Disse.
- Sì, proprio lui. È appena tornato da fuori. Vuoi venire a dare un'occhiata alle cose che ha portato?
- Certo.

Camminarono nel corridoio gremito di gente e, svoltando a destra, proseguirono per altri trenta metri. Poi si fermarono davanti a una porta sorvegliata da due uomini armati di pistole.
- Willow. - Disse uno di loro. - Vuoi entrare?
- Perché credi sia qui? - Gli rispose con un sorriso di circostanza.
La guardia girò la chiave nella toppa e aprì la porta. Willow e Tara entrarono dentro.
Due lanterne poste su un tavolo illuminavano la stanza. Le due finestre erano sbarrate da assi di legno, e piccoli fasci di luce filtravano tra le fessure. In fondo alla stanza, numerose casse e scaffali.
- Le casse vengono da fuori? - Disse Tara.
- No, le abbiamo trovate nello sgabuzzino vicino le scale. Lì dentro ci mettiamo le cose che troviamo.
I due si avvicinarono alle casse e ci guardarono dentro.
- Delle armi. - Aggiunse Willow, contenta. - Finalmente. Ne avevamo davvero bisogno. - Notò le macchie di sangue sulle pistole e fucili a pompa. - Devono essere della polizia.
- È andato alla centrale di polizia? - Rispose Tara. - Ho visto gli infetti assalire l'edificio poco prima che Ian morisse.
- No, non credo. Greg non si esporrebbe troppo. Quindi recuperare la ricetrasmittente è fuori questione...
- Credi ci siano altri sopravvissuti là fuori?
- Sì. Non so dove, ma ci sono. - Disse Willow. - Penso che l'esercito sia da qualche parte, al sicuro. Dobbiamo solo metterci in contatto e verranno a salvarci.
- Ne sembri davvero sicura.
- Devo. Non posso immaginare che siamo rimasti solo noi, che tutto il mondo sia crollato.
Tara la guardò per un attimo. Nemmeno lei voleva crederci, ma gli infetti sembravano essere molti numerosi. Questo le diceva che forse Willow si sbagliava, che erano veramente soli.
Curiosarono tra una cassa e l'altra, scorgendo cibo, acqua, vestiti.
- Tutto questo è stato preso da Greg? - Domandò Tara.
- Certo che no. - Rispose Willow, raggirandosi in mano una maglietta giallo oro. - Come potrebbe? Ha solo due braccia e due gambe. Ci sono alcune persone che lo aiutano. Uomini e donne. Sono pochi, ma sanno il fatto loro. - Posò la maglietta nella cassa e ne prese un'altra di colore blu chiaro. La osservò attentamente tenendola tra le mani. - Alcuni di loro sono poliziotti come Greg, e altri no. Poco importa. L'importante è che non si facciano ammazzare e che non attirano qui gli infetti.
- È mai successo? - Chiese Tara.
- Siamo qui da poco. - Disse Willow. - Per ora gli unici problemi sono arrivati dalle persone. Parlo di quelli sopra e sotto di noi.
- Sì, lo so. Mi chiedo come facciano a sopravvivere. Dove prendono il cibo? E l'acqua?
- Non sono affari nostri, ma credo che molti siano morti o abbiano lasciato l'ospedale. Sento ancora dei rumori ai piani inferiori, ma niente in quelli superiori.
Rimasero in silenzio per un lungo momento.
- Perché non ti metti qualcosa di più comodo? - Disse Willow.
Tara si guardò l'abito da sposa sporco e bruciacchiato. - No, sto bene così.
- Sei sicura? Ci sono bei vestiti qui. Delle gonne, pantaloni, leggins e...
- Davvero, sto bene così. - La interruppe Tara.
- Posso farti una domanda?
Tara la guardò per un attimo. - Dimmi.
- Non te lo togli per... Voglio dire, quell'abito significa qualcosa per te?
Tara abbassò gli occhi. - Sì, ma... Non so perché sia importante.
Willow arricciò le labbra, capendo di aver toccato un tasto dolente. E ritornò a guardare i vestiti nelle casse.



 

8


Verso le quattro del pomeriggio, Tara entrò nella sala comune. Trovò Willow e Greg seduti a un tavolo. Alcuni bambini giocavano in un angolo con i giocattoli nuovi.
Là fuori, silenziose saette irrompevano nel cielo plumbeo.
- Ehi, Tara. - Disse Willow. - Vieni a sederti con noi. Lui è Greg.
Sorridendo, l'uomo le allungò un mano. - Piacere, Greg Roth.
Tara gliela strinse. - Tara Parker. Piacere mio.
Greg bevve un sorso d'acqua e staccò un morso a una mela, parlando con la bocca piena. - Vedo che ti sei ripresa bene. Willow ti ha tutto raccontato, giusto? Sei stata fortunata. Se fossi stata a un metro più in la, saresti diventata un carboncino, come l'Hunter.
- Vi ringrazio. - Disse Tara, accorgendosi di non aver mai ringraziato Willow per averle salvato la vita.
Greg scacciò l'aria con una mano. - Non preoccuparti. - Diede un altro morso alla mela. - Indossi ancora l'abito da sposa. Non ti piacciono i vestiti che abbiamo nel magazzino? Er, voglio dire sgabuzzino.
Tara abbassò gli occhi.
Willow lanciò un'occhiataccia a Greg, che si ricordò cosa le aveva detto prima.
- Sono gusti, alla fine. - Disse Greg, cercando di affossare la domanda precedente.
- Sì, sono gusti. - Rispose Willow, che cambiò subito discorso. - Dove hai trovato le armi, Greg?
- In giro. Io e i ragazzi ci siamo spinti fino alla centrale di polizia. Non ci siamo entrati, perché abbiamo visto del movimento. Credo ci fossero gli infetti, ma non...
- Sì, ci sono gli infetti. - Lo interruppe Tara. - Come ho già detto a Willow, li ho visti entrare dentro.
- Beh, allora dovremmo tenerci alla larga, anche se è un peccato. Ci sono molte armi, tute antisommossa e la ricetrasmittente. Sarebbe fantastico mettersi in contatto con l'esercito. Almeno sapranno che ci sono dei sopravvissuti in città. - Staccò un altro morso alla mela. Poi si rivolse a Willow. - Ah, quasi dimenticavo. Tommy vuole controllare l'Hotel Savannah.
- Cosa? - Disse Willow, sorpresa. - È impazzito? Quel posto è un covo di infetti. Non ne uscirà mai vivo.
Greg strappò un morso alla mela. - Sostiene che ci sia della roba interessante. Hai mai visto le bottiglie di bile? No? Le granate. Quelle con il vomito di Boomer. Dice che ce ne sono un sacco per via della CEDA.
- Come fa a esserne sicuro?
Greg sollevò le spalle. - Dice che è una cosa scontata, che la CEDA si portava a presso quelle bombe di vomito. Potrebbero tornarci utili se venissimo attaccati dagli infetti. Salverebbero molte vite.
Willow gli si avvicinò. - Abbassa la voce. Potresti spaventare gli altri.
Greg si guardò intorno. - Gli altri chi? Ci siamo solo noi tre e quei bambini.
- Le mura hanno le orecchie da queste parti.
Greg si alzò e andò a gettare la mela spolpata fino al tronco nel cestino. Poi aprì il rubinetto. - Merda. Ogni volta mi dimentico che non c'è acqua. - Prese un tovagliolo e si pulì le mani.
- A proposito. - Disse Willow. - Come faremo con l'elettricità? Tra poco andrà via, come è già successo negli altri quartieri.
- Non preoccuparti. L'ospedale ha un generatore di riserva. E poi io e i ragazzi possiamo trovare delle candele, lanterne, torce o altri generatori. Tutto quello che serve, insomma.
- I generatori sarebbero meglio. Non mi va di stare come nello sgabuzzino illuminato da solo laterne. Non si vede quasi niente.
- Poco esigente, la nostra cara Willow. - Disse Greg con un sorriso divertito.



 

9


Passarono tre settimane. Tara si era ambientata piuttosto bene, e si separava raramente da Willow. Erano diventate molto amiche. Greg, invece, rimaneva sulle sue. Non era facile parlargli, se non si discuteva dell'esigenza del gruppo, come era molto restio ad affrontare i discorsi personali.
In quelle settimane, avevano avuto a che fare con i sopravvissuti del piano inferiore. Avevano tentato di abbattere la porta delle scale di servizio, ma si erano ritrovati accerchiati dagli infetti. Erano riusciti a penetrare nell'ospedale, uccidendo e infettando le persone.
Arrivarono fino al piano dove c'erano Tara e gli altri, ma non cercarono di entrare. Greg aveva ordinato di fare silenzio e di aspettare che gli infetti andassero altrove. Ci vollero tre settimane, ma alla fine la maggior parte degli infetti si allontanarono.
Greg e i suoi ragazzi ne approfittarono per fare una veloce perlustrazione e raccattare qualcosa in giro.
- Perché l'hanno fatto? - Chiese Tara, confusa. - Non sapevano che con quel chiasso avrebbero attirato gli infetti?
- Non lo so. - Rispose Willow. - Forse erano disperati, o semplicemente impazziti. Ma credo che lo sapevano. Forse l'hanno fatta apposta. Volevano attirarli.
Tara non parlò subito. - Che vuoi dire? Che senso avrebbe?
- Niente ha più senso, ormai. La gente può impazzire da un momento all'altro. Era già capitato con il gruppo ai piani superiori.
Tara si sedette sul divano della sala comune. Erano da soli.
- Vuoi un po' d'acqua? - Domandò Willow, riempiendo il bicchiere da una bottiglietta.
- No, grazie.
Willow le si sedette accanto. - Credo che siamo gli unici rimasti in questo edificio, a parte gli infetti.
- Forse potremmo espanderci ai piani superiori. - Disse Tara.
- Non sarebbe male, ma credo sia troppo pericoloso. - Aggiunse Willow, bevendo un sorso d'acqua. - È meglio restare tutti insieme. Alla fine non siamo così tanti e ci sono delle stanze ancora vuote.
Tara scorse qualcosa passare a una velocità impressionante sui vetri della finestra, che gettò una fugace ombra nella stanza. - Lo hai visto? - Disse, turbata.
- Cosa?
- Qualcosa è passata da lì. È stato un attimo. Era velocissima.
Willow si alzò e raggiunse la finestra, tenendosi poco distante. La osservò per un momento. - Non c'è nulla. - Si voltò. - Hai visto cos'era?
- No, ma era veloce. - Rispose Tara.
- Forse un Hunter. - Aggiunse Willow, pensierosa. - Non è la prima volta che li vedo camminare sulle mura esterne. Ecco perché è meglio non avvicinarsi molto alle finestre, oltre a tenerle sempre ben chiuse. - Si precipitò verso la porta.
- Dove stai andando? - Chiese Tara.
- Ad avvertire gli altri di stare lontano dalle finestre.

Greg e i suoi ragazzi tornarono verso le cinque e mezza del pomeriggio. Erano spaventati, anche se cercavano di non darlo a vedere. La gente si ammassò nella sala comune, curiosa di sapere cosa avessero portato.
- Siamo fuggiti in tempo. - Disse Greg a Willow. Le persone ascoltavano attenti. - Non so quanti siano, ma sono tantissimi. Non ho mai visto tanti infetti in una volta sola. Sembravano perdersi fino all'orizzonte.
La gente si scambiò delle occhiate, spaventate.
- Andrà tutto bene. - Disse Willow, voltandosi verso gli altri. - Dobbiamo solo fare come le altre volte. Rimanere in silenzio e aspettare che vadano via.
Le persone annuirono, ma non tutti erano convinti delle sue parole.
- Che cosa succederà se quelle cose si accorgono di noi? - Le chiese la madre di due bambini.
- Non succederà. L'importante è stare in silenzio.
- Non mi hai risposto.
- Fidatevi di Willow. - Disse Greg, guardando gli altri. - Io mi fido. Se vi fidate di me, allora non c'è niente di cui preoccuparsi.
Nessuno aggiunse niente.
- Mi dispiace di non avervi portato nulla. - Continuò Greg. - Ma siamo stato costretti ad abbandonare tutto quello che avevamo recuperato sui furgoni. Domani andremo a riprenderli.
Tra le persone iniziò a serpeggiare il panico.
- Linda ha ragione. - Disse un uomo sulla cinquantina, capelli stempiati e un pizzetto biondo. - Se quelle cose arrivano qui, è la fine. - Si guardò intorno in cerca di approvazione, ma incontro solo pochi sguardi. Dopotutto Greg li aveva salvati e portati in salvo. Dovevano dargli fiducia.
- Bob, non turbare la gente. - Disse Willow, fulminandolo con gli occhi. - Ti sei dimenticato di come Greg ti ha salvato la vita? Era intrappolato nella tua macchina e, se non fosse stato per Greg, gli infetti ti avrebbero ucciso. Poteva lasciarti lì dov'eri, ma non lo ha fatto. Ha ucciso gli infetti rischiando di morire e ti ha salvato, Bob. Ti ha salvato la vita!
Sentendosi in colpa, Bob abbassò lo sguardo.
- C'è qualcun altro che ha qualcosa da ridire? - Disse Willow, fissando arcigna i volti della gente.
Nessuno protestò.



 

10


Quella sera i sopravvissuti mangiarono in silenzio con le luci spente. Erano state accese lanterne e candele di sego nei corridoi e nelle camere per illuminare un po' l'ambiente. Le finestre furono coperte da lenzuoli o tende, e bloccati da armadi e scaffali. Era imperativo che nessuno facesse rumore, e i bambini erano al quanto restii a farlo. Ma i genitori o chi si era preso cura di loro li rimasero in riga.
La notte passò tra la paranoia generale, e nessuno chiuse occhio. Quando il sole si levò nel cielo, Greg sbirciò dalla finestra della stanza che fungeva da ingresso. Sbarrò gli occhi, stravolto. Gli infetti erano ovunque in strada. Spalla contro spalla. Erano così tanti che non riuscivano a muoversi. Ma la cosa che lo inquietò era il silenzio. Nessuno di loro gemeva. Alcuni se ne stavano silenti, barcollavano, si muovevano in tondo.
Sapeva che per quel giorno non sarebbe uscito, come sapeva che bastava un minimo rumore per ritrovarseli tutti sopra. Il cigolio di una porta, il pianto di un bambino, la caduto di un oggetto pesante. Dovevano restare in silenzio.
Quando fece per uscire dalla stanza, si bloccò. Non erano gli unici nell'ospedale. C'erano altri sopravvissuti nei piani inferiori. Se ne era dimenticato. Se avessero fatto rumore, avrebbero scatenato l'ira dell'orda. Si sentì impotente. Non poteva fare niente. Fece un grosso respiro e uscì dalla camera.

Quattro giorni dopo, l'orda era ancora lì. Tara credette che altri infetti erano giunti a ingrassare le loro fila, ma non ne era sicura. Li vedeva dalla finestra sciamare dai vicoli, dagli edifici circostanti. Il parcheggio dell'ospedale ne era gremito. Per quanto tempo sarebbero rimasti là? Willow le aveva confidato che avevano provviste per tre mesi, quattro se avessero mangiato una volta al giorno. Non sapeva perché gliele avesse detto, ma Tara cominciò a sospettare che gli infetti non se ne sarebbero mai andati. Forse si stava auto convincendo da sola, oppure era il suo istinto che le segnalava un pericolo imminente.
Scacciò via il pensiero e lasciò la sala comune. Mentre camminava nei corridoi, incontrò lo sguardo delle persone impaurite, tristi, terrorizzate. I bambini sembravano ignari del pericolo, anche se qualcuno percepiva la tensione negli occhi degli adulti.
Tornata nella sua stanza, osservò gli infetti dalla finestra. Non riusciva a non guardarli. Voleva tenerli d'occhio, come se questo avesse il potere di tenerli lontani. Sapeva che stava delirando, ma questo la faceva stare tranquilla. Impediva all'ansia di sommergerla, di sopraffarla.
Poi si sedette sulla poltrona e aprì un libro. Voleva pensare ad altro. Doveva provarci. Mentre scorreva le pagine, venne pervasa da un senso di inquietudine. Non sapeva cosa fosse, ma le impediva di immergersi nella lettura. Si alzò, posò il libro su un tavolino e sbirciò dalla finestra.
Gli infetti erano ancora lì, illuminati da un sole cocente. E lei non riusciva non riusciva a starci lontana.



 

11


Verso le due di notte, dai piani inferiori giunsero una moltitudine di grida. Tara e tutti i sopravvissuti si svegliarono di soprassalto e, spaventati, si riversarono nei corridoi. I bambini piangevano, e altri stringevano i propri cari.
Greg raggiunse la stanza che fungeva da ingresso, seguito da alcuni uomini e donne armati di pistole e fucili a pompa. Avevano svuotato la piccola armeria. Quando l'uomo spiò dalla finestra, vide gli infetti precipitarsi verso l'edificio. Il parcheggio dell'ospedale era quasi vuoto, così come lo spiazzo davanti all'ospedale.
- Tenetevi pronti. - Disse Greg, stravolto. - Chiudete i bambini e chi non può proteggersi dentro lo sgabuzzino. Voi altri, con me.
Willow non capiva. - Aspetta, Greg. - Disse, fermandolo per un braccio. - Cosa vuoi fare?
Greg la condusse in un angolo, in disparte dagli altri. - Credo che gli infetti siano entrati nell'ospedale. Non ne sono sicuro, ma non voglio rischiare. Se salissero le scale d'emergenza fino al nostro piano... Beh, puoi immaginare il finale. - Fece una pausa. - Ora sì che quelle dannate granate di bile ci sarebbero servite tanto. Tommy ci aveva visto giusto.
- Non è meglio rimanere tutti insieme. - Rispose Willow. - Gli infetti potrebbero non salire fino a qui.
- Lo sai meglio di me che primo o poi lo faranno. È solo questione di tempo. Quando avranno finito di sotto, verranno subito qui. Non voglio rischiare. È una cosa che va fatta. - Le mise una mano sulla spalla. - Tienili al sicuro, intesi? Ti ascolteranno.
- Quando ritornerete? - Chiese Willow, rattristita.
- Non lo so. Forse tra tre giorni. Dobbiamo allontanarli da qui. Ora devo andare.
- Aspetta! - Willow lo prese per un polso, si guardarono intensamente negli occhi per un lungo momento. - Stai attento, ok?
Greg le sorrise. - Lo farò. - E andò via.

Tara era rimasta insieme agli altri nel corridoio. Aveva sentito da un uomo cosa voleva fare Greg, e non credeva che sarebbe stata una buona idea. Qualcosa gli diceva che non avrebbe più rivisto né Greg, né i suoi ragazzi. Senza di loro, erano in balia degli infetti. Chi lo avrebbe protetti? Chi avrebbe respinto i sopravvissuti che volevano impossessarsi delle loro provviste? Cercò di scacciare via il pensiero, ma quello ritornava più forte di prima. La ossessionava. Non riusciva a mandarlo via.
- Tara. - Disse Willow in fondo al corridoio. - Mi dai una mano?
- Certo. Vengo. - La raggiunse, e notò che era triste. - Tutto bene?
- Sì, tutto bene. Aiutami a portare...
Un forte boato risuonò nel cielo, facendo fremere le pareti e il pavimento. Proveniva dalla stazione di benzina, a un isolato dall'ospedale.
Willow sbarrò gli occhi, sconvolta. - Oh no, no, no! Questa non ci voleva.
- È stato Greg? - Domandò Tara, confusa.
- No, non farebbe mai esplodere nulla così vicino a noi. Dobbiamo chiuderci nello sgabuzzino. Forza!
Mentre si precipitavano verso la stanza, Willow avvertì le persone di seguirla. Presto tutto i sopravvissuti si rinchiusero nello sgabuzzino.
- Meno male che questa camera è ampia. - Disse Willow. - C'è ancora spazio per quanto torneranno Greg e gli altri.
- Non credo che rimarranno qui. - Rispose Tara. - Voglio dire, se riusciranno ad allontanare gli infetti, non avremo bisogno di rinchiuderci qui dentro, giusto?
- Sì, giusto...



 

12


Quello che non avrebbero mai voluto, si avverò. Gli infetti erano saliti sulle scale d'emergenza e ora battevano i pugni sulla porta di ferro. Tara e gli altri riuscivano a sentirli. I colpi riverberavano nei corridoi vuoti. A complicare le cose e a renderle ancora più terrificanti, era un costante ruggito che arrivava da fuori. Un urlo gutturale, profondo, mostruoso.
I bambini si tappavano le orecchie con le mani, gli occhi lucidi, arrosati dal pianto. Gli Hunter si muovevano freneticamente avanti e indietro sulle mura esterne. Sentivano il loro odore, ma non sapevano dove fossero.
Poi un forte tonfo echeggiò nei corridoi, seguite da centinaia di urla irate. I sopravvissuti capirono. Gli infetti aveva abbattuto la porta ed erano entrati. Da un momento all'altro li avrebbero trovati e uccisi.
Alcune persone si alzarono, spaventate. Si diressero alla porta per aprirla e poter fuggire, ma Willow li bloccò.
- Tornate a sedervi. - Bisbigliò. - Non fate stupidaggini.
Una donna la fissò, torva. - Lasciami andare. Non voglio morire qui!
- Abbassa la voce, Tina.
- Sono là fuori! Gli infetti sono là fuori! Sanno che siamo qua. - Indicò la finestra sbarrata. - Non vedi come quegli Hunter girono in tondo? Loro sanno! Non possiamo rimanere qui! NO!
Indecisi sul da farsi, tutti sopravvissuti si alzarono in piedi, e guardarono Willow.
Willow si piazzò davanti alla porta, insieme a Tara. - Nessuno uscirà di qui. Questo è l'unico posto sicuro. Gli infetti non riusciranno ad entrare. La porta è resistente. Ci vuole ben altro che un paio di colpi per mandarla giù.
- E delle finestre che mi dici, eh? - Rispose Tina con fare presuntuoso. - Non sono sicure. Gli Hunter potrebbero entrare da un momento all'altro. E anche gli infetti possono entrare da lì. Sappiamo tutti come siano in grado di arrampicarsi quasi su ogni cosa.
La gente cominciò a farsi prendere dal panico, a scambiarsi occhiate.
- Non sei di aiuto, Tina. - Disse Willow, irritata. - Greg e i ragazzi sono andati là fuori per aiutarci. Creeranno un diverso per allontanare gli infetti da noi. Dobbiamo solo rimanere calmi e fare silenzio.
Tina sbuffò un sorriso, seccato. - Forse sono già tutti morti. Hai visto quanti infetti ci sono là fuori? Sento le loro urla da qui. Forse sono già nel corridoio accanto. Greg non potrà fare un bel niente. Siamo soli! Soli!
Willow diventò paonazza dalla rabbia. - E dove vorresti andare, eh? Se i corridoi sono invasi dagli infetti, non potrai andare da nessuna parte. Credi di riuscire a superarli senza essere uccisa? Vuoi portare tutti quanti verso la morte, Tina? - La guardò dritta negli occhi. - Allora? È così?
La donna non rispose e abbassò lo sguardo.
Quando Willow fece per parlare ai sopravvissuti, uno grosso squarciò si aprì in mezzo alle due finestre. Qualcosa aveva colpito e distrutto buona parte del muro esterno.
Una densa nube di polvere invase la stanza, mentre il sole accecava i sopravvissuti. Un ruggito terrificante si levò nell'aria, sovrastando le urla degli infetti. Poi le pareti e il pavimento cominciarono a tremare. Qualcosa si stava arrampicando sulla facciata dell'ospedale.




 

13


Mentre le gente tossiva per via della polvere, un imponente figura si stagliò nella nube. Ruggì e si batté i pugni sul petto, poi si lanciò contro i sopravvissuti. Era un Tank.
Le persone si affollarono davanti alla porta, mentre Willow l'apriva. Il Tank schiacciò un uomo con un possente pugno, facendo tremare il pavimento. I sopravvissuti fluirono nel corridoio, solo per vedere gli infetti correre da entrambe le direzioni.
Tara si pietrificò dal terrore. I bambini piangevano, ed altri fuggivano via inseguiti dai loro cari.
Il Tank distrusse l'ingresso con un pugno, e pezzi di detriti colpiranno le persone. Tina corse verso una porta poco distante, ma venne afferrata dal Tank.
- Lasciami andare! - Gridò, tartassandogli di pugni il possente polso ruvido.
Quello la avvicinò alla faccia, le ruggì e la stritolò. Lo scricchiolio delle ossa rotte fece girare Tara, che sentì una fitta allo stomaco.
Il Tank lanciò quello che rimaneva di Tina contro il muro. Poi avanzò barcollando con le nocche sul pavimento.
- Andiamo, Tara! - Urlò Willow, afferrandola per un polso. Se la trascinò dietro lungo il corridoio. Mentre la gente cercava riparo nelle altre camere, il Tank face a pezzi i muri e ne uccise gli occupanti. Questi cercavano di fuggire, ma venivano schiacciati o lanciati con le pareti. E, chi riusciva a superarlo, veniva travolta dagli infetti appena giunti.
Willow e Tara entrarono nella stanza che fungeva da ingresso e bloccarono l'entrata con un armadio. Alcuni infetti si lanciarono contro la porta e cominciarono a tartassarla di pugni e calci. Le loro grida sovrastavano qualsiasi rumore.
- Siamo in trappola! - Disse Tara, stravolta, tremante.
- Aiutami a spostare quella roba! - Rispose Willow.
Raggiunsero gli scaffali, cassettoni e armadi che bloccavano l'uscita. Spinsero uno scaffale con fatica, poi un cassettone.
La porta che dava sul corridoio si aprì un poco, e un infetto calò una mano grigiastra all'interno.
Tara si lasciò scappare un grido.
- Non guardare! - Disse Willow. - Aiutami! Dai!
Appena finirono di spingere l'armadio, l'altro che bloccava la porta venne giù. Gli infetti si riversarono all'interno, calpestando quelli davanti.
- Usciamo! - Gridò Willow passando nello spazio tra il muro e un cassettone.
Un infetto afferrò Tara per una caviglia, che strillò e gli tirò calci in faccia.
- Aiutami, Willow! - Urlò Tara, allungandole una mano.
Willow si fermò a guardarla per un attimo in mezzo al ponte di assi. - Perdonami... - Bisbigliò. Quando fece per fuggire, un Hunter la travolse. Cascarono giù, schiantandosi sul cemento.
- NOO! WILLOOOW! - Gridò Tara, sconvolta. L'infetto cercò di tirarla verso di sé, ma la donna, nel mollargli un calcio in faccia, colpì lo scaffale traballante che crollò addosso agli infetti. Tara scattò in piedi e si precipitò sul ponte di assi.
Un Hunter balzò dalla facciata dell'ospedale, ma la mancò di poco. Altri le saltarono contro, ma Tara riuscì a rifugiarsi in tempo nell'edificio in costruzione. Chiuse la porta di legno alle sue spalle e la bloccò con dei sacchi di tufo.
Sentiva i ringhi degli Hunter oltre l'entrata. Alcuni raschiavano il legno con gli artigli o scavavano sotto la porta. Sapevano che era lì, e altri si limitarono a gironzolare sul tetto.
Tara si accasciò con le spalle contro il muro. Era sul pianerottolo di una corta scala. La porta del piano inferiore era chiusa.
Restò lì per un'ora a piangere per Willow, e per aver perso ogni cosa. Era rimasta sola. Greg e i ragazzi non potevano essere sopravvissuti. Forse nemmeno si erano allontanati dall'ospedale. Forse l'esplosione che aveva dato via al massacro, era opera loro. Qualcosa era andato storto. Forse un colpo accidentale era finito contro una pompa della benzina, facendo esplodere la stazione? Proprio come era successo a lei? Ma i forse non potevano spiegare nulla.




 

14


Passarono due giorni. Tara non si era mossa di un centimetro. Aveva troppo paura. Credeva che persino respirare troppo forte avrebbe attirato gli infetti. Così si era accucciato nell'angolo del pianerottolo e da lì non si era schiodata nemmeno per un momento.
Non riuscì a dormire molto. Forse in due giorni aveva dormito quattro ore in tutto. Si sentiva stanca, debole. Ma quando udiva i ringhi degli Hunter fuori dalla porta, si riprendeva alla svelta.
Lo stomaco cominciò a brontolarle. Non metteva qualcosa sotto i denti da molte ore, e la sete le aveva screpolate le labbra. Si alzò e, tenendo una mano poggiata al muro, scese lentamente la scala. Si fermò davanti alla porta e fissò la maniglia. La mano le tremava. Non voleva farlo. Non voleva uscire da lì. Forse dall'altra parte c'erano gli infetti e gli infetti speciali. Ma non poteva rimanere lì per sempre. Sarebbe morta di fame e di sete. Doveva farlo.
Girò la maniglia e l'aprì quanto bastava per sbirciare all'interno. Nella stanza non c'era nessuno. Il sole filtrava da una finestra coperta da un telo di plastica, e grandi pannelli di legno erano adagiati orizzontalmente contro il muro in attesa di essere adagiati. Tara percorse la camera e s'inoltrò in un lungo corridoio che la condusse su una rampa di scale. Guardò al di sotto, e non vide nessuno. Così seguitò a scendere lentamente.
Le porte sui pianerottoli erano chiuse da grossi catenacci. Tara non volle scoprire cosa ci fosse all'interno, così scese l'ultimo gradino. La porta dirimpetto era semichiusa. Un fascio di luce filtrava da sotto la fessura.
Appena l'aprì, vomitò schiuma bianca sul pavimento. Il tanfo di putrefazione e l'odore metallico del sangue le pervase i polmoni, e dovette tapparsi il naso e la bocca nell'incavo fra l'avambraccio e il bicipite per non avere altri coniati di vomito.
Greg giaceva di schiena contro il muro, il petto squarciato, la testa mozzata sul grembo. Era attorniato dai corpi straziati del suoi ragazzi. Il pavimento e le pareti imbrattate di sangue raggrumato.
Scioccata, Tara voltò la testa per non guardarlo, mentre delle lacrime le rigarono il viso. Passò accanto ai corpi e aggirò le pozzanghere di sangue. Arrivò in fondo alla stanza e, lanciando un'ultima occhiata rattristita a quelli che nelle ultime settimane erano stati i suoi amici, aprì la porta.

Scese una scala e girò a destra. Scorse la luce del sole penetrare dalla fessura sotto la porta. Camminò lungo il corridoio e si fermò, la mano tremante a tre dita dalla maniglia. Sapeva che dall'altra parte c'erano gli infetti. Anche se non li sentiva, lo intuiva. Poi indietreggiò, spaventata. Si era dimenticata degli Hunter. Un moto di terrore gli percorse la schiena. Era da una settimana e mezza che quelle cose si muovevano avanti e indietro sulle mura esterne dell'ospedale, e per poco non l'avevano presa. Forse erano ancora lì.
Si fece coraggio e aprì lentamente la porta. Nello spiazzo non c'era nessuno. Tara uscì cauta e notò che gli Hunter erano spariti lungo le mura dell'ospedale. Forse tutto quanto era stato solo un brutto incubo. Ma la bile nera che tappezzava lo spiazzo la fece ricredere. Era tutto vero.
Non sapeva dove fosse finita l'orda, gli Hunter e il Tank, ma doveva allontanarsi prima che ritornassero. Corse rasente alle pareti dell'ospedale, finché arrivo davanti a un gabbiotto. Una guardia morta sedeva con il viso in decomposizione. Ai piedi della sedia da ufficio, una Glock. Tara la afferrò e uscì dal cancello che giaceva a terra.
Mentre camminava sul marciapiede, adocchiò la pistola. Se la raggirò nella mani, confusa. Non sapeva come usarla, ma credeva che fosse facile. Puntare e sparare. Era tutto qui. Si fermò e mirò un manichino nella vetrina infranta di un negozio di vestiti. Poi abbassò l'arma e continuò a muoversi.




 

15


Vagò lungo la strada per quasi per mezz'ora, finché scorse un negozio di alimentare. Fu tentata di precipitarsi dentro e mangiare e bere qualsiasi cosa avesse trovato. Ma non lo fece. Rimase immobile per un momento, guardandosi intorno. Le sembrava strano che non ci fossero infetti. Dov'erano finiti tutti? Forse erano stati attirati altrove da un rumore? Si era allontanati per questo? Eppure Tara non aveva sentito niente. Nell'aria aleggiava un tetro silenzio.
Zigzagando tra i veicoli abbandonati sulla strada, si avvicinò al negozio alimentare. La doppia porta era stata abbattuta, e la maggior parte dell'interno era in penombra. Quando entrò, scorse alcuni scaffali sul pavimento. Lanciò un'attenta occhiata nel locale e non vide infetti. Così si mise alla ricerca di cibo e acqua, ma non trovò niente. E quando credette di aver trovato qualcosa, si ritrovava in mano cartacce e barattoli vuoti. Dopo un po' capì che il negozio era stato saccheggiato da cima a fondo.
Andò nel bagno e aprì il rubinetto. Gettiti d'acqua vennero giù e Tara ficcò immediatamente la testa nel lavabo per bere. Poi chiuse il rubinetto e, quando andò a prendere una bottiglietta per riempirla, scorse un infetto fuori dall'entrata. Barcollava, scuotendo freneticamente la testa.
Tara si abbassò con il cuore in gola. Lasciò perdere l'idea di riempire l'acqua e, passando da uno scaffale all'altro, si mosse fino all'entrata. Guardò nuovamente verso l'ingresso, ma l'infetto era sparito.
Se era fuori, doveva affrontarlo, ucciderlo. Ma forse poteva sgattaiolare via senza farsi notare. Non sapeva se avrebbe funzionato, ma doveva tentare. In caso contrario, avrebbe usato la pistola.
Raggiunse l'ingresso, tenendo le spalle contro il muro. Quando sbriciò fuori, rimase stravolta. Una centinaio di infetti erano sparsi tra i veicoli nella strada. Alcuni strascicavano i piedi, altri barcollavano, vomitavano, si sdraiavano, scuotevano la testa o la poggiavano contro il muro. Ma tutti erano silenziosi, e solo di rado si sentiva un gemito sommesso.
Tara non sapeva cosa fare. Non poteva più uscire. Era circondata, e rimanere nel negozio equivaleva a morte certa. Primo o poi l'avrebbero sentita, vista o sarebbero entrati. Si fece prendere dal panico e cominciò a respirare con difficoltà. Si accasciò al pavimento, la schiena contro la parete, la testa tra le mani.

 

16


Restò così per un lungo momento, poi si alzò. Doveva restare lucida. Forse nel retro avrebbe trovato un'uscita secondaria. Chinandosi, si mosse tra gli scaffali e arrivò davanti a una porta di legno. Pensò a cosa potesse esserci dall'altra parte, poi l'aprì. Seguì un corto corridoio che la condusse davanti a una porta di ferro. Doveva essere l'entrata per i dipendenti. Non doveva fare altro che spingere la maniglia e fuggire, ma non lo fece. Forse c'erano gli infetti. Se così fosse, sarebbero entrati nel negozio. L'avrebbero uccisa. Ma che senso valeva restare lì? Se non avrebbe rischiato, sarebbe morta ugualmente.
Spinse la maniglia e si ritrovò in un vicolo. Non c'era nessuno. Si era sbagliata, e ne fu felice. Gettò una rapida occhiata in giro e proseguì. Quando arrivò in fondo, posò un ginocchio a terra e osservò la strada. Gli infetti si erano ammucchiati. Le sembrava che ne fossero arrivati degli altri. Che sentissero il suo odore? Che percepissero la sua presenza?
Tara si sentì fortunata di non vedere degli Hunter lungo le facciate degli edifici. E ancora più grata dell'assenza del Tank. Aveva visto cosa era stato capace di fare, e non voleva ritrovarselo davanti. Non voleva mai più vederlo.
La fine del vicolo era ostruito da due cassonetti di immondizia, e un monovolume parcheggiata accanto a un muro. Sarebbe stata al sicuro là, sempre che gli infetti non avessero deciso di invadere il vicolo o gli Hunter si fossero fatti vivi. Poi scorse una scala antincendio e le venne un idea. Si arrampicò su un bidone della spazzatura e salì la prima scala, fermandosi sul pianerottolo. Scrutò dalla finestra l'interno di un appartamento e provò ad aprirla. Era chiusa. Stava per rompere il vetro, quando si fermò. Cosa diavolo stava facendo? Se l'avrebbe rotta, si sarebbe attirata addosso centinaia di infetti.
Salì al secondo pianerottolo, e anche qui trovò la finestra chiusa. Continuò fino al quinto, dove trovò una finestra aperta. Ci entrò dentro. Era un piccolo soggiorno comunicante con la cucina. Tara restò ferma per un attimo, guardandosi intorno. Non sapeva se nell'appartamento ci fossero ancora persone sane o infette. Così camminò cauta nella stanza, la pistola alzata. Varcò l'ingresso della cucina, e non vide nessuno. Poi controllò il bagno, la camera da letto e quello che sembrava un ufficio. Tirò un sospiro di sollievo. Non c'era nessuno.
Tornò di corsa in cucina e aprì il frigorifero. Un sorriso le si dipinse sul volto. Finalmente avrebbe mangiato.




 

17
 

Tara passò sedici giorni chiusa nell'appartamento. Aveva sbarrato la porta d'ingresso con un divano, chiuso tutte le finestre e razionato il cibo. Al quattordicesimo giorno, l'acqua e l'elettricità erano andate via. Non sapeva se era così ovunque, e le venne una mezza idea di andare a controllare gli altri appartamenti. Ma non lo fece. Potevano esserci degli infetti nei corridoi. Non voleva rischiare.
Al sedicesimo giorno, quella paura scomparve, o meglio la fece scomparire la sete. Doveva controllare. Forse nelle altre abitazione l'acqua non era andata via. Spostò lentamente il divano, facendo attenzione a non fare rumore, e aprì un poco la porta. Sbirciò nel corridoio, ma non vide nessuno. Cauta, uscì dall'appartamento e s'incamminò lungo il corridoio. Si fermò davanti alla scala. Gettò un'occhiata al piano sottostante, e non nessun infetto. Non era certa che ce ne fossero ma, prima di scendere, decise che avrebbe controllato le abitazioni di questo piano.
Trovò tre porte chiuse a chiave, e l'ultima aperta. Quando entrò nel soggiorno, le parve di sentire uno scricchiolio provenire dalla camera da letto. Prima di andare a controllare, perlustrò la cucina e il bagno, aprendo i rubinetti e pigiando i pulsanti della luce. Ebbe la conferma che l'acqua e l'elettricità erano andate via ovunque. Come si sarebbe dissetata?
Appena uscì dal bagno, seguì il corto corridoio con estrema cautela e si avvicinò davanti alla porta della camera da letto. Udì di nuovo quello scricchiolio. Puntò la pistola davanti a sé e l'apri lentamente. Un acre odore di morte le pervase i polmoni e tossì.
D'un tratto qualcosa le afferrò il polso, la scaraventò contro il muro. La bocca insanguinata di un'infetta le scattò a quattro dita dalla faccia. Poi si sentì graffiare il collo. Tara si fece scappare un grido di orrore, e tentò di spintonarla lontano. Non ci riuscì. L'infetta era troppo forte. Un colpo di pistola andò a vuoto e colpì il muro. L'infetta si irritò e la lanciò sul pavimento. Mentre le si si gettava addosso, Tara prese la mira e le scaricò tutto il caricatore in corpo.
L'infetta crollò al suolo. Tara scattò in piedi, si guardò le mani, gli avambracci, si tastò il corpo. Credeva di essere stata ferita. Quando andò in bagno a darsi un occhiata, vide due graffi sul collo. Terrorizzata, afferrò il disinfettante nell'armadietto e versò il liquido sull'ovatta. Se lo mise sulla ferita, che cominciò a bruciarle. La tremava la mano. Non sapeva se adesso era infetta, oppure no. Non sapeva neanche come si diffondesse il virus. Prese un'altra ovatta e la bagnò abbondantemente nel disinfettante. Poi la posò sulla ferita e la fissò con dei cerotti.
Mentre si guardava preoccupata allo specchio, si dimenticò del rumore che aveva fatto con la pistola. E dopo una manciata di secondi, sentì le urla degli infetti fuori dall'appartamento.

Si lanciò verso l'ingresso con la testa che le formicolava. Scorse gli infetti svoltare l'angolo delle scale e correrle incontro. Appena chiuse la porta, gli infetti le si lanciarono contro e la martellarono di pugni e calci.
Tara si precipitò verso le scale antincendio. Aveva la gola secca e lo stomaco che le brontolava per la fame. Alzò la finestra e uscì sulla scala antincendio. La scese fino al primo pianerottolo, quando si bloccò. Lo spiazzo sottostante era vuoto, ma un centinaio di infetti arrivavano correndo in fondo al vicolo. Distavano più di cento metri, ma sembravano procedere veloci come ghepardi.
Presa dal panico, scese frettolosamente la scala e corse dalla parte opposta dalla strada. Si lasciò cadere la pistola senza munizioni e girò l'angolo. Si fermò per un istante, come se credesse di imbattersi in altri infetti, ma invece non c'era nessuno. Corse verso un posto di blocco militare e la superò, passando in mezzo a una recinzione divelta. In quell'istante gli infetti svoltarono l'angolo e la inseguirono.
Mentre Tara correva a perdifiato, le parve di intravedere una figura sfuggente sopra un tetto, che si lasciava dietro una nebbiolina verdastra. Poi scorse tre Hunter correre sulle pareti esterne degli edifici. Spaventata, la donna si bloccò per un istante. Poi s'inoltrò in uno stretto vicolo, mentre le urla degli infetti si facevano più vicini. Uscì su un piccolo giardino che dava sul parco. Lo stesso parco dove settimane prima aveva organizzato il matrimonio. Sentì una fitta allo stomaco, e una tristezza pervaderle la mente. Entrò nel parco desolato e si nascose dentro un tendone.
Da lì poteva vedere il tetto del padiglione abbigliato con delle luci. Tavoli, sedie e delle casse acustiche erano sul davanti. Le venne un nodo in gola nel vedere tutto ciò, e le lacrime le inondarono il viso. Poi l'orda di infetti invase il parco, e Tara sentì le loro urla indemoniate tutt'attorno alla tenda.

Restò rannicchiata in un angolo, dietro a delle casse. Uno strano torpore cominciò a impossessarsi della mente, del corpo. Non riusciva a pensare, a muoversi. Persino respirare le costava gran fatica. Poi i suoi pensieri si fecero oscuri, orrendi. Vedeva gli infetti, sentiva i loro gemiti. Quando cercava di gridare per scacciarli, si scopriva senza voce. Cominciò a sentire caldo, a tentare inutilmente di togliersi l'abito da sposa, graffiandosi la pelle e strappandosi lembi di tessuto.
La fronte le si impregnò di sudore, e crollò a suolo. Ora scorgeva gli infetti sopra di lei, le gridavano, alcuni tentavano di colpirla. Sapeva che era solo frutto della sua immaginazione, ma non aveva più controllo dei suoi pensieri. Poi le parve di vedere suo padre e il suo fidanzato, e gli infetti scomparvero. Erano di nuovo sani. Le sorridevano e le tendevano la mano. Tara tentò di afferrarle, ma le braccia le sembrano pesanti come macigni. Si sforzò di alzarle, ma quelle non si mossero. Con fare austero, Marcus e Austin indietreggiarono e uscirono dalla tenda, mentre Tara, in lacrime, cercava di gridare loro di non andare via.
Infine le palpebre si fecero pesanti, e le orecchie cominciarono a fischiarle. Cercò di alzarsi, di tenere gli occhi aperti, ma non aveva più il controllo del suo corpo.
D'un tratto venne percorsa da violenti convulsioni per un po', finché smise di muoversi. Le pupille dilatate, la muscolatura contratta, la bocca spalancata. Gli occhi le si iniettarono di sangue, e iniziò a sputare sangue e bile. I denti le diventarono aguzzi, i capelli biondo platino e le dita le si allungarono in artigli affilati. Si alzò in piedi e cominciò a piangere, coprendosi il viso con le mani. Una volta uscita dalla tenda, camminò lentamente tra gli infetti e raggiunse i piedi del padiglione. Quindi si sedette in un pianto sommesso e desolante.
Era diventata una Witch.





ANGOLO AUTORE: La sposa Witch del mio racconto è un infetto che si trova davanti al padiglione nel centro del parco, nella campagna The Passing. Ho inventato un nome e una storia fittizia che spiega come sia diventata una Witch.

   
 
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