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Autore: crazy lion    01/08/2021    1 recensioni
La regione di Arbora. Solo uno dei tanti habitat delle creature chiamate Pokémon. Tanto grande quanto accogliente, fa da dimora a centinaia di specie. È lì che vive il piccolo Pichu, rimasto orfano dopo un'orribile tragedia. Senza più una vera mamma, non prova che dolore, e una femmina di Dragonair e il suo cucciolo sono la sua unica famiglia, ma sarà davvero così? Qualcuno, lì nella foresta, lo aspetta vedendolo con gli occhi del cuore.
Disclaimer: i Pokémon non mi appartengono, ma sono proprietà degli autori che li hanno ideati.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Pichu-s-adventure

UN'AVVENTURA E UNA NUOVA FAMIGLIA

 
Era una mattinata gelida ad Arbora, e in una cavità di un albero nel fitto del bosco, un piccolo Pichu si stava svegliando. Aprì gli occhietti ancora cisposi e stanchi. Per lui dormire era diventato sempre più difficile da alcuni mesi.
"Pichu" disse, che significava: "Buongiorno a me."
Era un saluto triste, ma l'unico che poteva darsi.
Non c'era nessuno, lì intorno, a parte tantissimi insetti che facevano sentire i loro versi. Pichu  vide una farfalla e prese a inseguirla, ma questa fu veloce e non si fece prendere. Uffa, non poteva nemmeno giocare. Tornò nella sua tana e scoprì, come sempre, che la mamma non c'era. Era morta. Il Pichu guardò se aveva qualcosa da mangiare, ma non possedeva più nulla. Le scorte di cibo che si era fatto per l'inverno erano finite e ora doveva andare a cercare qualcosa. Nonostante il freddo, ad Arbora crescevano molti frutti, ma prima c'era una cosa che doveva fare. Si avvicinò a una pietra. Lì sotto giaceva sua madre. Mamma Dragonair, un'amica della mamma di Pichu, l'aveva seppellita e lui e Dratini, il cucciolo di Dragonair, giocavano spesso insieme.
"Buongiorno, Pichu. Come stai?" gli chiese mamma Dragonair nella loro lingua. Diversa per ogni Pokèmon, chiaro, ma fondamentalmente fatta di ripetizioni dei loro nomi, a volte spezzati, e altri versi, che nel caso di Dragonair e del suo piccolo non erano che mormorii.
Lui abbassò lo sguardo e lei gli si avvicinò.
"Lo so che ti manca la tua mamma" gli disse con dolcezza. "Ma lei vorrebbe che tu fossi felice."
"Non lo sono. È passato poco tempo. Non ho nemmeno un allenatore" disse il piccolo, triste.
"Hai bisogno di qualcosa? Hai mangiato?"
"No, ma me la caverò. Dov'è Dratini?"
"Sta dormendo. Se non hai bisogno di me, io torno da lui."
"Vai tranquilla, a dopo."
Il piccolo camminò nella neve fresca, caduta  quella notte. Gli piaceva correrci in mezzo, perché adorava il suo rumore ovattato. Arrivò davanti a un melo e, deciso a cogliere uno di quei succosi frutti, provò ad arrampicarvisi. Fu difficile, doveva stare attento a dove metteva i piedi, ma ci stava riuscendo, finché… boom, cadde giù dall'albero finendo con il sedere, e per fortuna non la testa, per terra. Rise di se stesso e riprovò, ma prima di salire sbatté la testa contro l'albero. Si mise una zampa nel punto che gli faceva male e andò nel ruscello lì accanto a rinfrescarsi la testa. La mamma gli aveva insegnato a fare così quando prendeva una botta, in quel modo non si sarebbe formato un bernoccolo. Il pensiero della mamma lo turbò talmente tanto che non volle nemmeno giocare con Dratini, che intanto si era svegliato e, senza aver mangiato niente, si ritirò nella sua tana. Se avesse trovato quel maledetto Skunkay, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Anzi sì, gli avrebbe tirato una scossa talmente forte da scioccarlo e così sarebbe stato libero da lui e dal suo veleno. Ma no. No, lui era solo un cucciolo, non era vendicativo né forte come uno Skunkay adulto e non voleva nemmeno vendicarsi. La vendetta non serviva a niente, avvelenava soltanto l'anima, gli aveva detto sua madre una volta. Lui non aveva capito cosa intendesse, e ancora non comprendeva, ma se la mamma gli aveva insegnato a non odiare e a non portare rancore, lui l'avrebbe fatto.
Uscì dalla sua tana quando, per la fame, non ne poté più, e rinunciando alla mela si nutrì di alcune fragole che, stranamente, ad Arbora crescevano tutto l'anno, poi tornò indietro. Se non ci  fosse stata mamma Dragonair, sicuramente  il piccolo si sarebbe lasciato morire. Non aveva più la mamma, che senso aveva vivere? Certo ora non stava vivendo, sopravviveva, ma era abbastanza.
Trascorsero alcuni giorni e Pichu conduceva la sua vita come sempre. Giocava con Dratini, anche se non era allegro come un tempo, e aspettava. Aspettava che un allenatore lo trovasse. Lui lo cercava, girava per la foresta, ma quelli che incontrava avevano già tanti pokémon o, a detta loro, non erano interessati a prenderne uno così piccolo. Durante una delle sue passeggiate, Pichu si affacciò alla cavità di un albero. Era vuota, forse  la tana di qualche animale. Era stanco per il troppo camminare e decise di entrarci per fare un sonnellino e riscaldarsi, ma quando si svegliò non riuscì più a uscire. Era incastrato. Gridò e gridò, ma non venne nessuno. Mamma Dragonair era troppo lontana per sentirlo.
 
 
 
Da un'altra parte della foresta, una ragazza stava mettendo in ordine le sue sfere Poké in uno zaino. Si sistemò i capelli castani dietro le orecchie. Adorava lasciarli sciolti, ma a volte le davano fastidio. Era non vedente e per questo aveva affinato le sue abilità di tipo psico. Con il suo udito fine riusciva a catturare i Pokémon e con il bastone bianco si muoveva per la foresta, rendendosi conto degli ostacoli. All'inizio i suoi pokémon avevano avuto paura del bastone, ma poi ci si erano abituati.
"Andiamo" disse Julie, mettendosi lo zaino sulle spalle dopo averlo chiuso.
Era un'allenatrice molto brava. Vinceva spesso le battaglie e aveva catturato già ben quarantacinque pokémon. Voleva bene a tutti come fossero stati suoi figli.
"Pichu! Pichu!" sentì gridare in lontananza.
Forse un pokémon era in difficoltà e lei, pronta a dare sempre una mano tanto alle persone, quanto agli animali, quanto ai pokémon, prese a correre, per quanto il terreno accidentato e il bastrone glielo permettessero.
"Pichu! Pichu pi!"
Era anche una capo palestra, e battendo lei un allenatore otteneva una medaglia, di nome Idea, a forma di lampadina accesa. Ma tutto questo ora non le interessava. Corse e corse, passando a pochi centimetri da uno stormo di uccelli che volava basso. Attraversò un ruscello che, purtroppo, non aveva un ponte e si infangò le scarpe e le calze. Poco importava , si sarebbe cambiata una volta tornata alla sua palestra. Era sempre più vicina al pianto.
"Pichu! Pi!"
Poi quel grido si fermò.
"E adesso che faccio?" chiese Julie.
Ascoltò. Sentiva solo insetti e uccelli, nient'altro. Avanzò lentamente, cauta, ma scivolò su un sasso e rischiò di cadere. Il pianto riprese, più forte e straziante che mai, e alla fine anche arrabbiato. All'inizio Julie pensò che si trovasse su un albero, ma ben presto trovò la cavità dov'era incastrato.
"Aspetta piccolo, ti aiuto io" gli disse, tirando più forte che poteva.
Riuscì a farlo uscire.
"Pi?" chiese il cucciolo.
Quell'umana  - almeno credeva si trattasse di una specie del genere, non avendone mai vista una – lo incuriosiva e lo confondeva al contempo. Non sapeva come muoversi, né come fare per ringraziarla per l'aiuto.
"Ciao, piccolo!" esclamò la capo palestra con la voce più dolce che poté.
Il cucciolo indietreggiò alla vista del bastone. La ragazza se ne accorse dal suo movimento e lo chiuse subito.
"Non voglio farti del male, solo giocare con te, se lo vuoi."
Il Pichu si avvicinò a passi lenti e lei lo accarezzò. Il suo pelo era corto ma morbido. Doveva farci amicizia prima di catturarlo. Lei amava e rispettava i Pokémon, e non c'era stata nemmeno una volta in cui avesse  mancato di rispetto ai suoi. Prima li conosceva, poi, con il loro permesso e grazie alle sue abilità telepatiche, li catturava.
"Come stai?" gli chiese.
Come se avesse capito, lui disse un:
"Pichu..."
dal suono molto triste.
"Che succede, piccolo? Hai fame?"
Estrasse dalla tasca dei pantaloni alcune more e gliele offrì dalla sua mano. Lui mangiò, ma continuò a mantenere quell'espressione.
"Che cosa ti è successo?" si chiese Julie fra sé e sé.
Gli mise una mano sulla fronte e tutto le fu chiaro.
 
 
Quella sera pioveva e Pichu e la sua mamma uscirono per cercare qualcosa da mangiare. A loro non piaceva bagnarsi, ma purtroppo il tempo era quello. Trovarono dei lamponi e dei mirtilli e tornarono alla loro tana sazi e con un ricco bottino. Ma ad aspettarli c'era uno Skunkay, che attendeva nell'ombra. Uscì solo quando li vide arrivare e attaccò la mamma di Pichu, che gli disse di correre nella tana. Lui lo fece e vi  si rifugiò in fondo, ma riusciva comunque a vedere ciò che stava accadendo e a sentire il tanfo dello Skunkay, che nessun  Pokémon sopportava. La mamma tornò indietro  e si accoccolò vicino a lui.
"Va tutto bene, se n'è andato. Dormiamo, ora" gli disse.
Lei fece finta di dormire, perché il giorno dopo il cucciolo provò a svegliarla in tutti i modi: le fece il solletico, parlò a voce alta, pianse, ma a nulla servì tutto questo. La mamma non respirava più e ciò significava una cosa sola: era morta.
 
 
Julie tolse la mano dalla fronte fresca del Pichu.
"Mi dispiace così tanto per la tua mamma, piccolo" mormorò, mentre lui si avvicinava di più e si lasciava accarezzare. "Se vuoi, da ora potrò essere io la tua mamma. Non sarò come quella che hai perso, ma sono  molto brava con i Pokémon."
Gli rimise una mano sulla fronte e udì un timido:
"Sì."
Quando usava i suoi poteri di telepatia riusciva anche a capire la lingua dei Pokemon e questo la aiutava a comprendere se avevano qualche problema, come nel caso di Pichu.
Il cucciolo alzò le zampe anteriori e la ragazza capì che voleva essere preso in braccio. Lo sollevò e se lo mise sulle gambe. Aveva freddo a causa del ruscello che aveva attraversato e se non avesse fatto presto si sarebbe ammalata, ma poteva restare ancora un po' lì. Poi cambiò idea e decise di andare nella sua palestra. Chissà se qualche altro allenatore l'avrebbe sfidata...
"Vieni in un posto con me? Non è pericoloso" gli disse.
Gli mostrò una sfera Poké.
"Questa serve per catturare i Pokémon, per tenerli al sicuro. Posso catturarti? Non ti farò del male, te lo prometto."
Lui rimase immobile e lei gli mostrò la sfera. Ancora incerto, il piccolo si avvicinò di qualche passo, e sfiorato con la zampa il bottoncino al centro della capsula, lasciò che una luce rossastra lo avvolgesse. Poco dopo, il pulsante prese a brillare di una più fioca, ma stranamente, la sfera non si agitò. A volte le succedeva, ricordava ancora gli sforzi che aveva dovuto fare per catturare Eevee, tanto piccolo quanto veloce e in tutto simile a un incrocio fra una volpe e un cagnolino. Cavolo, se correva, quel giorno. Testarda, lei non si era data per vinta, e dopo vari tentativi, c'era riuscita. E così ora era stato anche con quel piccolo orfanello, che aveva catturato quasi all'istante. Non volendo metterla subito con tutte le altre, per non spaventarlo, tenne in mano la sfera.
"Andiamo."
Riattraversò il ruscello e, dopo una mezz'ora di camminata, uscì dal bosco e arrivò alla sua palestra.
Andò nelle sue stanze al piano di sopra e lì si lavò e cambiò, poi disse:
"Pichu, tesoro, vieni fuori."
Non era come tanti allenatori, che gridavano ai loro pokémon di uscire o che intimavano loro di farlo. Lei era sempre gentile con loro. Pichu uscì subito.
"Ma ciao!"
Julie gli fece il solletico al pancino e lui rilasciò un verso simile alla risata di un bambino, poi le saltò in braccio e cominciò a sfiorarle il viso con le zampine.
"Ho capito, mi vuoi tanto bene, non servono tutte queste dimostrazioni."
"Sì, te ne voglio. Posso stare con mamma Dragonair e Dratini qualche volta? Sono miei amici" capì la ragazza, usando sempre lo stesso potere.
"Ma certo che puoi. Ti ci porto domani. Ora ti va di conoscere i Pokémon che ho già? Così fate amicizia.”
"Sì" mormorò il cucciolo, intimorito e tremò.
"Non ti faranno niente, te lo assicuro."
Glieli presentò uno per uno: C'era Espeon, il primo vero compagno della ragazza in tutto simile a un gatto a due code dal pelo viola, con una sorta di gemma energetica incastonata sulla fronte, ottenuto dopo Misquit, lo starter regionale di tipo Erba con le fattezze di uno scoiattolo, non uno ma ben due Meowstic, un maschio e una femmina, il primo azzurro e l'altro bianco, entrambi simili a gatti capaci di stare in piedi su due zampe, Espurr, un altro con le stesse fattezze ma dal pelo grigio e con gli occhi grandi, il cui nome ricordava alla ragazza il costante mormorio delle fusa di un vero felino, Munna, creatura a metà fra una sfera e un acchiappasogni, Solosis, piccolo, verdastro e gelatinoso, letteralmente il nucleo di una cellula, Glameow il gatto dagli artigli affilati e la coda arricciata, e molti altri. Esitante ma felice, Pichu giocò con tutti, correndo con gioia sull'erba gelata da quel periodo dell'anno. E allora ne fu sicuro: in mamma Julie e nei suoi altri Pokémon aveva trovato una nuova famiglia.
 
 
 
NOTA:
Arbora è una regione inventata dalla mia amica Emmastory, così come lo Skunkay.
   
 
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