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Autore: NoreBlues    04/08/2021    3 recensioni
Commiato di un uomo dalla vita, pentitosi della scelta di andare in guerra piuttosto che condurre un'esistenza normale.
La battaglia è sangue e tormento, dilania il petto e graffia la gola; la lama rossa è pesante e il braccio non riesce a sostenere tutte le vite che ha preso.
Mentre attende la fine e il sole tramonta sul campo di battaglia, un condannato a morte ripercorre la propria scelta, ma non è solo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora sei il deserto

Tendi il brando sulla terra gravida, scintilla la sua lama sporcata dal crepuscolo e divorata dalle formiche, la lama di carne. Questa è la mia lettera d'addio, pensi, e sai bene di essere un Golia con la testa ancora attaccata al collo e l'addome sanguinante, un tremebondo rifugio dal caldo mattino, purulento come il passo di un destriero alle tue spalle.

Sai che non potrai fuggire da lui, che ora ti guarda con quei suoi occhi di latte e rifulge nelle crine di un colore inesistente. Forse è la morte che ti accoglie o la vita che ti saluta, o entrambe, o forse sei tu.

Quasi rammenti dove siano le sue cicatrici senza averle mai viste, riesci addirittura a percepire un lieve crepitare provenire dal suo manto: ti ricorda il fuoco che scoppiettava nel camino della tua casa.

È venuto per te, lo sai.

 

Prima eri in grado di sopravvivere, nel deserto.

Ti destavi, ti alzavi dal letto mangiando parole profane e uscivi dalla tua piccola casa con passo incerto, la figura dinoccolata nella nebbia mattutina. I discorsi della gente ti sembravano solo tristi cantilene; avresti voluto sentire che suono fanno le valchirie quando cavalcano nei cieli.

Un giorno stavi camminando in una via quando ti fermasti di fronte a un vecchio, chino sui suoi piedi polverosi, intento a pizzicare le corde allentate di uno strumento musicale che non avevi mai visto in vita tua. Non era una bella musica. L'uomo aveva delle dita deformate, percorse da profonde pieghe, e suonava con gli occhi chiusi, immerso nel tremolìo delle corde. Capisti che il suono, così com'era, vacillava come la terra sotto i tuoi piedi, come i capelli bianchi del suonatore, come te. Tutto il tuo corpo tremava.

 

Prima eri in grado di sopravvivere, nel deserto. Ora sei il deserto.

Ora il tuo corpo trema per davvero e la tua anima grida per la sete, perché c'è qualcosa di peggio di infinite dune di sabbia, ed è un campo di battaglia. Cos'è la sabbia in confronto ai cadaveri? Il sangue ti ricopre come una seconda pelle, puoi sentirlo anche dentro la gola, o incrostato sugli occhi.

Ti chiedi se sei un mostro; credevi che la guerra potesse renderti un eroe, farti ascoltare qualcosa di diverso da quel suono tremolante di un tempo, da una vita di fumo, solo fumo che ti faceva annaspare, e di fango rappreso dopo la pioggia.

Cercavi qualcosa, oltre le onde del mare al tramonto, ma solo ora ti rendi conto che l'acqua cremisi è divenuta sangue.

Questa è la mia lettera d'addio, pensi.

Hai la vista offuscata, l'unica cosa di cui riesci a distinguere i contorni è il destriero bianco che si trova di fronte a te. Non ti chiedi se sia reale o un sogno, ormai non ha più importanza. Nessuna abluzione ti restituirebbe ciò che hai gettato nella pozzanghera la sera in cui lasciasti la tua casa, le strade nebbiose e il mare per andare a combattere.

Non sai se ci sia qualcun altro in piedi come te, in questo momento, in mezzo ai corpi distesi sulla terra; manca poco perché tu faccia la stessa fine, stai perdendo troppo sangue, non è rimasto molto tempo.

Alzi il capo verso il destriero, e ti pare che i suoi occhi vuoti stiano guardando la tua anima. Allora tendi il brando all'altezza del tuo viso seguendo la linea dell'orizzonte e immagini di scorgere il mare, con il sole che sprofonda nelle acque; e ora che il cielo è rosso come la terra ti pare di vederlo, il mare, sulla lama sporca di sangue, con il sole diviso a metà, preludio ed epilogo. È un'immagine in netto contrasto con ciò che ti circonda, e il solo pensiero ti fa tremare.

Ti perdi per alcuni istanti durante i quali desideri ardentemente tornare indietro, poi getti l'arma. La tua mano non ne toccherà più l'elsa.

Il dolore che provi brucia così tanto da toglierti il respiro, non senti neanche i tuoi stessi rantoli e le lacrime che ti lavano il volto. Muovi solo un passo verso la creatura, poi cadi in ginocchio, e in un istante senti il suo muso sorreggere la tua testa.

La vita sta scivolando via da te e il rosso del cielo sta divenendo sempre più chiaro e lontano. Stai andando via ma non sai, e mai saprai, che l'inchiostro della tua lettera rimarrà in questo mondo. Invero, non riuscirai mai a vedere il muso bianco del destriero sporcarsi del tuo sangue.

L'ultima e la prima cosa che senti è il suono degli zoccoli che fanno le valchirie cavalcando nei cieli.

 

 

Note
Questa è la prima volta che condivido una storia; l’ho scritta nel dicembre del 2019 e rivista un po' nell’ultima settimana, soprattutto per quanto riguarda alcuni passaggi cui volevo dare più significato.

Può essere interpretata attraverso diverse chiavi di lettura; personalmente ciò che volevo veicolare è quel concetto di avventura ed eroismo che è stato spesso assurdamente associato alla guerra. La visione della battaglia come modo per uscire dal grigiore quotidiano e assaggiare la cosiddetta "gloria" è stata un fattore culturale di diversi popoli del passato e può essere trovata in diverse fonti letterarie, il che sarebbe un discorso interessante da analizzare. Comunque.

Le Valchirie, nella mitologia norrena, erano creature divine dall'aspetto di donna che cavalcavano nel cielo per condurre i caduti in battaglia al Valhalla, al cospetto di Odino; nell'immaginario culturale sono quindi molto legate all'idea di guerra. Se il protagonista le senta davvero nel finale non è dato saperlo, diciamo che l'aspetto importante è che quel suono, quella sensazione che l'uomo ha cercato per tanto tempo, venga da lui percepita come una musica estranea che non brama più.

   
 
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