Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
Ricorda la storia  |      
Autore: SibillaCubana    24/08/2021    1 recensioni
Le urla strazianti del vampiro quando il sole lo aveva arso vivo non erano state sufficienti. Nulla sarebbe stato sufficiente. L'abisso più profondo aveva inghiottito Abdul, ma in Polnareff vi era un abisso ancora più fondo.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Pierre Polnareff, Mohammed Avdol
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(zero, zero, zero)

 

«Abdul, dove sei?»

 

La sua voce risuonava nella sala vuota, nel disperato tentativo di chiamare il suo compagno, di ignorare le braccia a terra, brutalmente strappate al corpo a cui appartenevano.

«Abdul!»

La fiamma non si era mossa, il naso di Iggy non si era alzato. Il vuoto era tutto ciò che stava attorno a loro. E quando qualcosa cade nel vuoto, non può più tornare.

«ABDUL!» gridò Polnareff, mentre le lacrime gli rigavano il volto, mentre il cuore si accorgeva prima della mente di ciò che era successo. Davanti ai suoi occhi, sarebbe tornato, avrebbe gridato "Yes, I am!" e si sarebbe indicato il petto con aria strafottente.

Sì, sarebbe tornato: bastava desiderarlo dopo aver strofinato una vecchia lampada, sotto il sole cocente di una spiaggia, tra la sabbia e le alte erbe selvatiche. Sarebbero tornati tutti insieme in un capanno, con le galline che razzolavano nel recinto e le lucertole che si nascondevano tra le crepe dei muri. Avrebbero mangiato tutti assieme, alzato i calici e brindato alla morte di DIO e alla fine delle loro sofferenze.

E poi, Abdul... sarebbe rimasto...

Sarebbe rimasto con lui...

«Abdul è morto» lo raggiunse una voce, aggressiva e calma allo stesso tempo. «È stato disintegrato. Non so che cosa ci sia, nell'abisso dentro di me, ma l'oscurità vi inghiottirà tutti. Uno dopo l'altro».

Polnareff alzò gli occhi increduli e sgranati verso il nemico che si era finalmente palesato: era un essere rivoltante che, con la gola spalancata, ingoiava se stesso come un uroboro. Mentre il ringhio del piccolo Iggy diventava il ruggito di un'enorme bestia, lui non distolse lo sguardo.

Il portatore di Silver Chariot non ricordava nulla di quelle ore, se non qualche immagine sin troppo vivida. Il cane dilaniato con violenza, gli arti che gli venivano staccati con disprezzo, il sangue, tutto sarebbe tornato a tormentarlo ogni notte.

Insieme alla sensazione che aveva provato quando aveva ucciso il suo nemico, trapassandolo ripetutamente, conficcandogli la spada in quella bocca maledetta e sentendo la sua carne che si strappava, il sangue caldo che gli schizzava in viso. Aveva provato uno strano, perverso piacere, simile a quello che lo aveva travolto quando aveva vendicato Sherry ma molto, molto più doloroso.

Gli era stata strappata la persona che amava di più al mondo. La persona che aveva riportato colore nel suo cuore, reso grigio e arido dalla morte della sorella. Gli era stato portato via senza neanche un'ultima parola d'addio, senza un momento in cui forse sarebbe riuscito a confessargli i suoi sentimenti.

Le urla strazianti del vampiro quando il sole lo aveva arso vivo non erano state sufficienti. Nulla sarebbe stato sufficiente. L'abisso più profondo aveva inghiottito Abdul, ma in Polnareff vi era un abisso ancora più fondo.

Vanilla Ice, fils de merde...

***

Aspettava al Colosseo. La giornata era tersa, le rondini volavano a sciami nel cielo, senza alcun tipo di preoccupazione.

«Polnareff, sei sicuro di volerlo fare?» gli domandò il ragazzo, con tono apprensivo.

Il francese si spinse sui braccioli della sedia a rotelle, inclinando il busto in modo da poter osservare meglio la persona che aveva davanti, quasi come se non l'avesse mai vista.

Giorno lo aveva salvato, gli aveva ridato un corpo dopo la battaglia contro Diavolo, ed era bello, nel fiore della sua gioventù. I capelli biondi, raccolti in una treccia laterale, gli sfioravano la spalla come i pennacchi delle piante che nascevano dal deserto. Le sue guance erano rosate, le labbra piene e le sopracciglia sottili e arcuate. Tuttavia, contro il suo stesso volere, Polnareff non era mai riuscito a sopire quella voce che, ogni volta che gli occhi di Giorno si fermavano sui suoi, gli sussurrava nelle orecchie il nome di DIO.

Erano passati più di dieci anni, ma i ricordi di quel giorno lo tormentavano in ogni momento. Il giorno in cui il suo sole di fuoco era scomparso, mangiato dalla fredda eclissi nera di Cream.

Alcune mattine, si svegliava con la sensazione che qualcuno, sul suo petto, avesse posato la prima, pesante pietra del Colosseo. Chiudeva gli occhi, sopraffatto da un istinto che gli imponeva di agitare le gambe, una scintilla che si fermava alla sua spina dorsale mozzata. Il respiro gli si bloccava nel petto, come una pugnalata, e riusciva a mormorare solo una cosa.

"Amore, non dovevi seguirmi..."

Un urlo festoso si levò dalla strada, un vecchio motorino passò scoppiettando e il vento scosse le foglie verdi come il mare.

«Sì, sono sicuro» asserì Polnareff. I suoi orecchini a forma di cuore brillarono nella forte luce del pomeriggio.

«Il mio Gold Experience Requiem è in grado di riportare ogni cosa che colpisce al punto zero» lo avvisò di nuovo Giorno. «Ma non so dirti quale sia il tuo, e nemmeno che cosa ti succederà».

Polnareff sorrise con dolcezza, gli angoli della bocca tirati solo lievemente verso l'alto.

Quell'espressione bastò a Giorno per capire che doveva lasciarlo andare.

Mentre Gold Experience Requiem lo colpiva al petto, si rese conto che - a differenza di tutti gli altri che aveva incontrato - quel vecchio nemico di suo padre, di cui sapeva poco o forse niente, aveva ben chiaro dove fosse la sua Origine.

***

Un vecchio capanno, azzurro e un po' scrostato, riposava placido fra la sabbia e il verde. I colori rosa e aranciati del tramonto lo abbracciavano, e una luce altrettanto calda filtrava attraverso la finestra semiaperta.

Polnareff posò a terra Iggy, che sino a quel momento aveva tenuto in braccio, e sorrise all'espressione contrariata del cane quando le sue zampe affondarono nel terreno morbido.

«E dai, vecchio brontolone» lo redarguì in modo scherzoso, aprendo il borsello che portava appeso alla cintura, «vuoi entrare, sì o no?»

La borsetta che aveva appeso all'avambraccio, contenente una bottiglia di ottimo vino francese, gli ostacolò un po' i movimenti, ma alla fine riuscì a trovare le chiavi e a spingere, con cuore leggero, la porta.

«Sono a casa!» annunciò.

Inaspettatamente, lo accolse una sala vuota, assieme al rumore scrosciante dell'acqua dalla cucina. Il cuore di Polnareff fece un salto verso la sua gola, e l'uomo scattò in avanti con un balzo talmente repentino che Iggy gli corse dietro abbaiando.

«Abdul!» urlò, «dove-».

Dalla porta scorrevole della cucina fece capolino il viso sorridente del mago del fuoco. Indossava una semplice maglietta bianca, e una fascia impediva che i suoi capelli, un po'scompigliati, gli ricadessero sul volto.

«Jean-Pierre!» lo salutò, a voce alta per contrastare la cascata che precipitava nell'acquaio. «Non ti aspettavo così presto» gli confidò poi, ricordandosi che poteva regolare il flusso dal rubinetto con il semplice giro di una manopola.

Polnareff aggrottò la fronte, facendo passare velocemente lo sguardo dall'uomo che stava davanti a lui con un coltello in mano, colto nell'atto di sfilettare un pesce, fino al libro di cucina che giaceva aperto sul tavolo, quasi sommerso dalle verdure fresche.

La risata argentina di Abdul lo riscosse all'improvviso dai suoi confusi pensieri.

«Non dirmi che te ne eri dimenticato!» cantilenò, mettendogli un finto broncio. «Avevo promesso che oggi avrei cucinato per te!»

Il sorriso si dipinse anche sulle labbra di Polnareff, che tirò fuori da dietro la schiena la bottiglia che aveva prontamente nascosto.

«Eheh, voilà!» ridacchiò, sventolandola sotto gli occhi del suo compagno. La sua voce si addolcì immensamente. «Non avrei mai potuto dimenticare il nostro giorno, lo sai».

«Questo sarà ottimo» replicò Abdul, fissando i suoi brillanti occhi scuri in quelli di Polnareff e sfiorandogli con la mano il braccio. Un gesto che aveva ripetuto innumerevoli volte mentre viaggiavano assieme, con un'apparente noncuranza che nascondeva tanto altro.

All'improvviso, una lieve preoccupazione attraversò il suo viso, e si ricordò di qualcosa di importante.

«Allora?» domandò, con un po' di ansia nella voce, «che ha detto il veterinario? Come sta Iggy?»

Si voltò, e vide il cane saltellare allegramente verso la sua cuccia, dove entrò con un balzo per poi distendersi e sbadigliare, come se quell'atto atletico avesse prosciugato tutte le sue energie. Nello stesso istante, le parole rincuoranti di Polnareff lo raggiunsero:

«Oh, è praticamente guarito» affermò. «Dobbiamo stare attenti che non scappi di nuovo e non vada ad azzuffarsi con altri cani, ma tra pochi giorni sarà di nuovo in forma come prima».

«La zampa è ancora fasciata» osservò Abdul. «Non è tornata a posto? Però, c'è da dire che corre un bel po', per avere le ossa rotte!» concluse, e proruppe in una calda risata.

«Mah, non ne so molto...» glissò Polnareff, «il veterinario ha detto che potrebbe fargli ancora un po' male ed è meglio tenerla così... Beh, immagino che andrò di sopra a lavarmi, profumarmi e cambiarmi!»

L'uomo si esibì in una buffa posa da macho, indicandosi il petto con un pollice con aria strafottente, e ad Abdul non restò che sorridere, scuotere la testa e tornare al suo pesce.

«Iggy!» sentì chiamare, «dai, vieni su con me!»

Un abbaiare festoso sottolineò quelle parole, e Abdul sollevò con discrezione lo sguardo dalla sua opera per vedere, agli angoli del suo campo visivo, Polnareff che si piegava sulle ginocchia per giocare con il cane, facendosi inseguire sulle scale.

Ridacchiò di nuovo, mentre il coltello colpiva il tagliere di legno: le cose erano migliorate, tra quei due. Iggy, che aveva sempre detestato chi voleva giocare con lui, trattandolo come uno stupido botolo, ora sembrava addirittura tollerare Polnareff. Che, dal canto suo, aveva smesso di fargli stupidi scherzi come mettergli il peperoncino nella ciotola, mescolato alla carne, e di conseguenza non si ritrovava più i capelli mangiucchiati la mattina. Sembravano addirittura amici, quasi complici di qualcosa di segreto.

Alla fine, la convivenza stava andando a meraviglia per tutti e tre.

Iggy saltò sul letto, e si mise a fissare Polnareff con il suo migliore muso imbronciato.

«Ma dai!» gli ripeté l'uomo, avvicinandosi. «Sono solo un paio di bende, non occorre fare quella faccia!»

Con delicatezza, gli prese la zampina, che non aveva nulla di rotto, e la tastò per l'ennesima volta per accertarsi che il sacchetto fosse ancora nel nascondiglio che aveva scelto. Lontano dagli occhi di Abdul, che perlustravano come un radar tutta la casa.

«Certo che sei bravo a sopportarmi» commentò, e vide quello che pareva un guizzo di assenso negli occhi del cane. Ah, se Iggy avesse potuto parlare...

In un moto di sentimentalismo tipicamente francese, Polnareff sfilò il sacchettino dalle bende, per vederne ancora una volta il contenuto.

«Lo so, sono paranoico» continuò, «ma abbi pazienza, devi conservarlo ancora solo per qualche ora».

Iggy fece roteare gli occhi verso l'alto, ma Polnareff non lo notò: teneva sul palmo aperto un anello, e la felicità, come un'onda sulla battigia, gli travolgeva il cuore.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo / Vai alla pagina dell'autore: SibillaCubana