Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    08/09/2021    2 recensioni
Dietro l'espressione rude, Levi nasconde un animo nobile ed empatico, solidale con i compagni. Quando percepisce che uno dei soldati sta morendo, si distrae nel mezzo dell'azione e questa debolezza rischia di essergli fatale
Genere: Drammatico, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Fandom: Attack on titan
Autore: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Titolo: Distrazione
Prompt: sick e caretaker non sono uniti da una relazioneromantica – “Farà un po’ male” (Day 4)
Personaggi: Levi, Hanji
Generi: hurt/comfort, guerra, un po’ di angst
Rating: giallo
Note: ambientazione indefinita. Di sicuro Levi è già capitano e Hanji caposquadra, quindi una delle tante azioni fuori dalle mura
 
 
DISTRAZIONE
 
La lama affondò nella carne del gigante, il colpo di Levi era andato a segno, un taglio netto proprio alla base della nuca e l’essere mostruoso venne messo fuori gioco.
Gli restava solo da allontanarsi più in fretta possibile, per non essere travolto dall’enorme massa prossima a crollare al suolo.
Purtroppo, accadde l’imprevisto.
Alle orecchie di Levi giunse l’urlo di agonia di uno dei ragazzi, probabilmente l’ultimo urlo della sua breve esistenza. Chissà in quale modo atroce era andato incontro alla sua fine.
Una distrazione, un istantaneo e veloce barcollare del suo equilibrio mentale e fisico e lui non riuscì ad evitare la colluttazione con il braccio del gigante, che lo colpì mentre l’ammasso di carne cadeva.
Levi perse il controllo sul dispositivo di manovra tridimensionale, si trovò scagliato contro la corteccia di un albero, un dolore lancinante alla spalla gli strappò un grido e, mentre cadeva nel vuoto, il mondo si fece buio.
 
Fu il dolore a riportarlo alla coscienza, così come lo aveva fatto precipitare nelle tenebre.
Si agitò, mentre un’imprecazione sfuggiva al suo controllo.
Le orecchie vennero raggiunte da una voce che era una via di mezzo tra il rassicurante e l’ironico canzonatorio:
“Buono, Levi, cerca di non muoverti se non vuoi provocarti altri danni”.
Schiuse le palpebre e i tratti della caposquadra Hanji cominciarono a delinearsi nella confusione sensoriale.
“Che cazzo…” mormorò, la debolezza rendeva impastato ogni tentativo di esprimersi.
“Sì Levi, hai proprio ragione. Che cazzo hai combinato?”.
Se fosse riuscito a muoversi anche solo un poco, le sarebbe saltato volentieri al collo per strozzarla, ma detestava dover ammettere che la quattrocchi aveva ragione: qualunque cosa fosse accaduta, si era messo nei guai da solo.
E, man mano che la lucidità tornava, cominciò anche a ricordare: la freddezza che veniva meno, il coinvolgimento nei confronti di un ragazzo che moriva, la distrazione e l’abbassarsi delle attenzioni…
Scosse il capo, sbuffò, emise un brontolio di disprezzo verso se stesso…
Non verso la pena che aveva provato, ma perché tale sentimento lo aveva messo nelle condizioni di creare problemi che si sarebbero potuti evitare.
Ingoiò, nel tentativo di schiarire la voce, poi tornò a chiedere:
“Dove… siamo?”.
“Ancora nella foresta, prima di spostarti devo rimetterti in sede la spalla… una brutta lussazione”.
“E… i giganti?”.
“Per il momento siamo al sicuro, hai fatto una strage, anche se pure i giganti non ci sono andati leggeri”.
Levi esitò qualche istante prima di chiedere ciò che gli stava più a cuore. Non aveva mai imparato a porre la fatidica domanda con il distacco richiesto.
Ma doveva sapere.
“E… e noi? I nostri uomini?”.
Hanji smise di analizzargli la spalla, per portare uno sguardo attento su di lui: non vi era la solita aria sbarazzina nei suoi occhi, erano velati.
Neanche lei era mai davvero fredda, non importava quanto autocontrollo cercassero di ostentare.
“Un ragazzo… uno solo…”.
Già…
Il ragazzo che aveva sentito gridare, la causa incolpevole dell’errore che lui aveva commesso…
Uno solo…
Uno di troppo…
“Capisco…”.
Gli occhi di Levi fuggirono in basso, in apparenza la loro espressione non mutò, ma Hanji capì ogni cosa, lo guardò ancora qualche istante in silenzio, poi riportò l’attenzione alla sua spalla.
“Adesso dobbiamo pensare ad andarcene di qui in tempi brevi. Dimmi, a parte la spalla, senti altro che non vada nel tuo corpo?”.
“Il dolore alla spalla è sufficiente per far sembrare tutto il resto una bazzecola. Ma immagino qualche livido, qualche graffio… niente di rotto, insomma, tutto regolare”.
Lei annuì, con un ghignetto e gli posò le mani sulla spalla, nel punto in cui l’articolazione era danneggiata.
Levi strinse i denti e si lasciò sfuggire un gemito.
“Quattrocchi di merda, almeno avvisami quando cominci a seviziarmi!”.
“A volte non sapere cosa accadrà è meglio”.
“Non nel mio caso. Più so e meglio mi preparo”.
Hanji armeggiò con la divisa di Levi, con cautela cominciò i tentativi per sfilargli le maniche della giacca.
Levi strinse i denti, si mostrò collaborativo e, con evidente sofferenza, si contorse in tutto il corpo perché quell’operazione difficile giungesse a termine il prima possibile.
Poi Hanji gli sbottonò la camicia e Levi la lasciò fare, non senza averle rivolto un’occhiata che risultò ironica pur nella sofferenza:
“Il prossimo passo sarà saltarmi addosso, eh quattrocchi? Cosa ne penserebbe Moblit?”.
Le dita della caposquadra si fermarono un istante, un ghignetto le deformò le labbra:
“Io avrei più paura di quello che mi farebbe Erwin se osassi godere delle tue grazie… capitano”.
Il medesimo ghigno comparve sul viso di Levi ma, quando la donna cominciò a mettergli a nudo il braccio ingiuriato, un’ondata di dolore lo pugnalò con una tale intensità che gli sfuggì un piccolo urlo e la testa ricadde all’indietro, contro il tronco dell’albero.
“Mi dispiace, Levi, abbi pazienza”.
Il tono di Hanji aveva perso ogni sarcasmo, il fatto che fosse esperta di procedure mediche e che la divertissero, non implicava che fosse una sadica…
Non quando si trattava delle persone che erano importanti per lei, quanto meno.
Non con Levi che, anche se non lo ammetteva, era diventato una delle componenti più preziose delle sue giornate.
“Non fare la lagna e pensa a sbrigarti” le giunse la risposta del giovane, indebolito nella voce e nel corpo, ma non nello spirito, evidentemente.
“Lagna” sbottò lei. “Te la faccio vedere io la lagna”.
E, con uno strattone, strappò via la camicia senza troppi complimenti, generando nell’amico un nuovo sussulto di dolore e mettendo completamente a nudo il braccio, tumefatto e sanguinante.
Ma non erano le ferite evidenti l’aspetto più preoccupante di quel che si presentò davanti agli occhi della caposquadra, bensì la posizione innaturale che l’arto aveva assunto.
“È brutta” mormorò, più tra sé che per informare l’amico che, tuttavia, udì la sua osservazione.
“Credevo l’avessi già notato. Non sei un genio?”.
Ironia e affetto si mescolarono in ognuna di quelle parole.
Lei sospirò.
“Sì, ma mi volevo illudere che sarebbe stato più facile”.
“Sono io quello che dovrebbe essere sofferente, non tu”.
“Non sono sofferente” protestò la donna, con un tono quasi infantile che strappò a Levi un sorriso…
Lui che non sorrideva mai si era lasciato andare a quell’espressione tenera, che anche i più intimi scorgevano raramente sul suo viso.
“Mettimi a posto quella spalla e sbrighiamoci ad andarcene di qui”.
“Hai fretta di soffrire?”.
“Ho fretta di togliermi dalle palle e di riportare indietro la squadra. Non voglio rischiare altre perdite. I giganti non aspetteranno i nostri comodi prima di rifarsi vivi”.
Hanji tornò a guardarlo, di nuovo l’ombra di un sorriso sulle labbra, negli occhi una luce affettuosa:
“Li porteremo tutti in salvo Levi, te lo prometto, non perderemo nessun altro. Ora rilassati e pensa un attimo a te”.
“Rilassarmi mentre ho le tue mani addosso? Che osservazione ridicola”.
“E allora non rilassarti, ma stattene un attimo buono e zitto” sbuffò lei e trasse un profondo respiro.
Mise le mani sulla spalla e rimase immobile qualche istante, come se cercasse la concentrazione necessaria per compiere qualcosa di estremamente difficile.
“Sei pronto, Levi? Farà un po’ male”.
“Quell’un po’ è per indorare la pillola, quattrocchi di merda? Non ne ho bisogno”.
“Un po’ tanto…”.
“Ti preferisco sincera”.
L’ultima parola venne soffocata da un pezzo di stoffa che gli venne infilato di colpo tra le labbra.
“Così forse te ne starai zitto davvero… e mordi forte”.
Levi avrebbe riso, ma doveva ammetterlo, un po’ di tensione stava correndo lungo il suo corpo, che si preparava ad affrontare quella cura violenta, seppur necessaria.
Fu un attimo.
La pressione delle mani di Hanji si fece decisa, poi un’esplosione di dolore, il gemito che si fece strada tra i denti serrati sulla stoffa, tutto il suo corpo che si contorse in uno spasimo, per poi ricadere su se stesso, abbandonato, il respiro affannoso, gli occhi socchiusi.
Percepì appena il tocco di Hanji sulla guancia:
“È finita Levi, ho fatto”.
Gli sfilò il fazzoletto dalle labbra e lo sostituì con il beccuccio di una borraccia:
“Bevi un po’ adesso, con calma”.
Lui obbedì, alcune gocce gli scivolarono nella gola, prima che Hanji gli sottraesse quel sollievo, perché riprendesse fiato.
“Come ti senti?”.
“Non fare domande idiote” sussurrò il giovane, con voce roca e appena udibile.
“Stai benissimo” concluse lei e Levi le fu grato, perché era sempre tanto brava a sdrammatizzare.
“E… e adesso?”.
“Adesso ti immobilizzo la spalla e poi ce ne torniamo a casa”.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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