Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    10/09/2021    0 recensioni
Ognuno di loro aveva cercato, a proprio modo, una libertà che le condizioni all’interno delle mura non potevano in alcun modo concedere.
E i loro sorrisi si erano spenti, uno dopo l’altro, inesorabilmente.
Levi aveva definitivamente rinunciato al proprio, già così raro, quel giorno, sui tetti di Shiganshina…
Il giorno della scelta…
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fanfic scritta per la challenge Wriptember del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart - GRUPPO NUOVO
 
 
Fandom: Attack on Titan
Autore: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Titolo:
Prompt: Il passato ritorna – X non sorride più – Missing moment (canonverse) – Immagine  (Day 6)
Personaggi: Levi Ackerman, Armin Arlert
Generi: Introspettivo, angst, hurt/comfort
Rating: giallo
Note: Missing moment a caso dopo la battaglia di Liberio. Probabilmente poco dopo l’attacco.

 
IL SOGNO NON MUORE
 
Levi sapeva cosa significasse non riuscire più a sorridere, nessuno meglio di lui aveva sperimentato la terribile esperienza di perdere ogni cosa che potesse dare un senso alla vita.
E la loro vita non era mai stata piena di gioie, fin dalla nascita, ognuno di loro aveva conosciuto il terrore, la necessità di lottare ogni giorno, anche solo per poter respirare nel mondo.
Ognuno di loro aveva cercato, a proprio modo, una libertà che le condizioni all’interno delle mura non potevano in alcun modo concedere.
E i loro sorrisi si erano spenti, uno dopo l’altro, inesorabilmente.
Levi aveva definitivamente rinunciato al proprio, già così raro, quel giorno, sui tetti di Shiganshina…
Il giorno della scelta…
Il giorno che aveva permesso a colui che dava senso alla sua esistenza di riposare, di smettere di soffrire, di lottare, di sentirsi in colpa.
E aveva concesso a due occhi tanto simili, ma ancora sorridenti, accesi di sogno, di continuare a sognare.
Purtroppo, anche quegli occhi si stavano spegnendo, insieme al sorriso che per anni aveva alimentato il sogno, insieme alla speranza.
“Ha imparato anche lui che, in questo mondo, la speranza non ha un posto… e mi dispiace… mi dispiace davvero”.
Lo pensava sempre più spesso, Levi, quando i suoi occhi si posavano sul volto di Armin e si rendeva conto di quanto quel ragazzino fosse cresciuto.
Un pochino più alto… lo aveva definitivamente superato, anche se, dopo di lui, restava uno dei più bassi tra i soldati…
I capelli più corti che lo facevano sembrare più adulto…
Gli occhi un po’ più cupi, un po’ meno luminosi…
Il cuore meno gioioso e la disillusione che metteva a tacere ogni risata.
In effetti, anche il sorriso di Armin sembrava definitivamente spento.
Quando l’aveva visto l’ultima volta?
In realtà, si era spento insieme a quello di Eren…
Anime gemelle nel sogno, anime gemelle nel perderlo.
Nel momento stesso in cui Eren sembrava avere smesso di crederci, Armin sembrava aver perso la capacità di sognare da solo.
Poi Eren se n’era andato.
Armin e Mikasa si aggiravano come fantasmi che avevano perso ogni cosa, che non avevano più motivo per vivere e proseguire nel percorso della loro esistenza.
Levi avrebbe desiderato prenderli da parte, scrollarli, anche con violenza, ma la realtà era che non se ne sentiva in diritto: non era forse lui stesso come loro? Non sentiva di avere perso tutto e non era forse un fantasma che andava avanti per inerzia, nella disperazione delle giornate che passavano senza stimoli, se non ancora orrore e guerra?
Eren si era rifatto vivo solo per attirarli in una tremenda impresa e l’attacco a Liberio era stato il culmine di una devastazione interiore per tutti loro: Sasha uccisa, un Eren così incomprensibile da costringerli a tenerlo sotto sorveglianza, una strage di vite della quale Armin era stato il principale artefice.
In quell’istante, quel medesimo istante in cui il colossale aveva raso al suolo Liberio, spezzando anche le vite di bambini innocenti, Armin era, probabilmente, quasi morto del tutto, nell’animo come negli occhi.
Ogni residuo di sorriso si era dissolto, le sue labbra non ne erano più capaci, i suoi occhi non sapevano, forse, neanche più sognare.
A levi dispiaceva per lui.
O forse gli dispiaceva per se stesso, perché, anche se non lo aveva mai ammesso, in quegli occhi che sognavano, in quel sorriso che sapeva ancora sperare, aveva riposto l’ultimo senso che anche lui dava alla vita, in essi lui si era sforzato di vedere, in quegli anni che lo separavano dalla tragedia di Shiganshina, quel che restava di Erwin.
In un certo senso, perdendo i sogni e i sorrisi di Armin, aveva perso ciò che gli restava di Erwin.
I pensieri si aggrovigliavano l’uno sull’altro, mentre camminava verso l’infermeria.
Solo quando giunse sul posto poté rendersi conto che aveva avuto intenzione, fin dal primo istante, di andare lì, dove Armin era stato portato in seguito ad un malore.
Non importava quanto il possesso del colossale lo proteggesse dalle sue fragilità fisiche: contro quelle emotive non c’era nulla che si potesse fare e Armin le subiva ancora, spesso senza preavviso, dopo essersi mantenuto lucido per ore e ore.
Quel giorno lo aveva visto perdere i sensi, all’improvviso e venire raccolto dalle braccia di Jean che gli impedirono di cadere a terra. L’attimo prima era apparso del tutto normale, presente a se stesso, collaborativo.
Evidentemente, il giovane Arlert non ascoltava se stesso e i segnali che la propria mente gli inviava.
Levi lo capiva benissimo. Era un tratto che avevano in comune, dopotutto.
Quando entrò, lo vide nel letto, sdraiato su un fianco e gli dava le spalle.
Comprese subito che non stava dormendo, era evidente dal tremore delle sue membra e dai sussulti che lo scuotevano da capo a piedi.
Si avvicinò, senza scorgere alcun cambiamento: probabilmente il ragazzo non percepiva la sua presenza, troppo immerso nel suo personale inferno morale, le braccia ripiegate contro il corpo ad afferrare la camicia all’altezza del petto, le guance rigate di lacrime.
Levi lo guardò qualche istante, dall’alto della sua posizione, rimase immobile e serio, le sopracciglia corrugate.
Poi le sue labbra si mossero:
“Arlert”.
Il richiamo uscì deciso, ma non duro: lo stesso Levi si stupì della morbidezza che aveva infuso in esso.
Osservò lo sgranarsi dell’occhio visibile, ancora grande e smarrito come quello del bambino che era stato: non si era perso del tutto, per Levi era chiaro, l’innocenza e la vita erano ancora lì, solo ridotte in tanti pezzi che grondavano sangue.
Armin si sedette di scatto, entrambi gli occhi, adesso, fissi sul volto di Levi.
“Ca-capitano!”.
Poi si portò una mano al volto, stropicciò le palpebre con il palmo nel vano tentativo di arrestare quel pianto che credeva nessuno avrebbe visto, gemette e Levi comprese che dentro di sé si stava maledicendo.
Di tutte quelle brutte parole che, di sicuro, stava rivolgendo a se stesso, uscì solo un leggero “mi dispiace” in un flebile singhiozzo.
Levi rimase immobile per un po’, impassibile nello sguardo e nel corpo, poi si lasciò sfuggire un sospiro e, davanti a quei due occhi sempre più grandi e sgomenti, si sedette sul bordo del letto.
Strinse le mani tra le ginocchia e guardò in basso, immergendosi in qualche istante di riflessione, sospirò ancora, poi mormorò:
“Non c’è nulla di cui tu debba dispiacerti”.
“Capitano... Levi…”.
Il viso di Levi si sollevò, i loro occhi si incontrarono ancora, ma quelli di Armin ressero poco, fuggirono ovunque, mentre il suo naso e le sue gote diventavano di fuoco.
“Siamo tutti nella stessa situazione, Arlert. Possiamo solo tentare… nessuno di noi sa dove porteranno le nostre azioni, cerchiamo solo di riflettere su…”.
“Sul male minore” concluse all’improvviso Armin, gli occhi bassi, le mani che si intrecciavano e si muovevano nervose l’una nell’altra.
Levi ammutolì, poi sollevò una mano, la fermò poco al di sopra del capo di Armin e, infine, superando l’esitazione, ve la posò, arruffandogli i capelli.
Percepì il suo irrigidirsi, vide l’accentuarsi del rossore, gli occhi che si ingrandirono di nuovo e le labbra che si atteggiarono ad un’esclamazione di stupore, senza che tuttavia uscisse un filo di voce.
“I capelli corti ti fanno più grande”.
E più simile a lui, avrebbe aggiunto, ma lo tenne per sé.
Dopotutto era consapevole che, nelle proprie percezioni, vi era un sacco di suggestione: Armin aveva qualche tratto che poteva ricordare Erwin, era vero, ma rimaneva in lui una delicatezza nei tratti e nel fisico che Erwin non aveva mai avuto.
Eppure, gli occhi… gli occhi…
Da qualche parte, nel fondo di quelle distese azzurre, qualche cenno del sogno che era stato persisteva…
Qualche cenno di Erwin…
Quello che aveva recepito mentre, senza volerlo, anni prima, aveva ascoltato di nascosto le sue parole piene di entusiasmo su quel mondo che nessuno conosceva e, con tali parole, conquistava i suoi due amici, alleggerendo la pesantezza del loro animo…
E, senza saperlo, anche l’animo di Levi che, quella notte ormai lontana, aveva compiuto un ulteriore salto nel passato, quando anche lui, con due persone importanti, aveva condiviso speranze e desideri.
“Ti stai comportando bene, Armin. Non rimproverarti nulla”.
Armin serrò le palpebre, strinse i denti e un pugno salì alle labbra, a soffocare un singhiozzo.
La mano di Levi si attardava tra i suoi capelli, senza che lui se ne rendesse conto…
O forse sì e non gli importava.
Guardò altrove, emise un suono di disgusto nel momento in cui parlò nuovamente:
“Dovremo scambiare un bel po’ di parole con quel coglione di Eren… voi… e anche io”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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