Capitolo
VIII
Le
enormi mura di cinta torreggiavano su di lei. Si sentiva un essere
insignificante, infimo, rispetto a quella grandiosa opera
dell’ingegno umano.
Le pietre, finemente lavorate, formavano una tessitura muraria solida,
ma allo
stesso tempo elegante. Toccò incantata quelle pietre: erano
lisce al tatto, non
si poteva notare nessuna sbavatura o imperfezione, i mastri scalpellini
avevano
fatto un lavoro degno di essere ricordato nei secoli. Erano talmente
ben
levigate che la luce solare, rimbalzando su quella superficie perfetta
e
bianca, accecava chi osasse guardarle direttamente senza nessuna
schermatura.
Si affrettò a raggiungere la porta che consentiva
l’ingresso alla città di Giz.
Se sotto le mura si era sentita piccola, dinanzi al portale quella
sensazione
si amplificò. I tre fornici erano sormontati da quattro
ordini di finestre
ogivali, intervallate da paraste che terminavano con un capitello a
volute. Dai
lati di questo enorme corpo sporgevano due torri di cinque piani che,
nella
parte esterna, assumevano una forma semicircolare. Come per il blocco
centrale,
anche in questo caso le finestre ad ogiva erano intervallate da
paraste, meno
aggettanti.
Passando
al di sotto del portale centrale, Eir notò che la volta era
finemente lavorata
a cassettoni; negli ottagoni, che andavano a formare quella intricata
trama,
era posto lo stemma della città: una stella a sette punte.
Sui lati del portale
vi erano dei bassorilievi, raffiguranti scene di guerra. Con suo enorme
stupore,
poté notare che quelle raffigurazioni erano estremamente
dettagliate. Sui volti
degli uomini si potevano chiaramente distinguere la fatica, la
sofferenza, il
dolore, la rabbia, la furia, la concitazione, lo smarrimento, la
follia: il
caleidoscopio delle emozioni tipiche della guerra. Anche i corpi erano
estremamente ricchi di particolari, dalle armature finemente cesellate,
ai
muscoli che esprimevano chiaramente lo sforzo bellico sostenuto.
Chiunque
avesse fatto quel lavoro certosino era degno di lode, pensò
la ragazza. In quel
mese in cui aveva peregrinato per il Regno di Isel, non aveva mai visto
nulla
del genere; certo, era rimasta affascinata dal suburbio e dalla
città di Niv,
ma non erano minimamente paragonabili a quello che stava osservando
ora. Quando
uscì dal fornice, una cacofonia di suoni ed una fiumana di
gente la investì.
Dovette ricorrere a tutte le sue abilità per non essere
spintonata e trascinata
chissà dove da quella calca, che camminava indaffarata per
la strada. Chi
trasportava ceste di pane, chi anfore di vino e olio, chi assi di
legno. Tutti
sembravano conoscere perfettamente la meta a cui giungere, tranne lei,
che si
sentiva completamente avulsa da quella situazione. Era la prima volta
che le
capitava di trovarsi in una moltitudine del genere e la cosa nel le
piaceva
affatto. Si guardò intorno per capire dove andare; si
girò a guardare il
portale che aveva appena attraversato: l’epigrafe marmorea,
che era affissa
sopra i tre fornici, la colpì. Era riportato il nome:
“Porta del soldato”.
Decise di proseguire lungo la via d’ingresso; aguzzando la
vista aveva notato
degli alti palazzi in fondo a quella strada, probabilmente
l’edifico che
cercava era da quelle parti. Il basolato della strada, nonostante non
fosse
pieno mattino, era già rovente. Cominciò a
togliersi alcuni indumenti più pesanti,
voleva evitare di iniziare a sudare già dalle prime ore
della giornata. Mentre
proseguiva notò che per strada vi era gente di ogni etnia e
vestita nel modo
più disparato possibile; sorrise, passare inosservata non
sarebbe stato affatto
difficile.
Se
la
porta della città l’aveva impressionata, il centro
cittadino l’aveva lasciata
completamente senza parole. Una scala monumentale, ornata ai suoi lati
da
magnifiche sculture raffiguranti uomini e donne in giovane
età, portava al
cuore pulsante di Giz. Dopo averla salita, trattenne il fiato dallo
stupore.
Una stella a sette punte, di dimensioni colossali, era posta al centro
dell’enorme piazza; quest’ultima era racchiusa da
edifici monumentali di una
bellezza impressionante. Alla sua destra, poté notare un
tempio a pianta
circolare, la cui cupola semisferica era sorretta da un doppio giro di
colonne
rastremate, che terminavano con un capitello decorato con figure
antropomorfe e
zoomorfe.
Anche
se il suo obiettivo non era quello, incuriosita, volle visitare
quell’edificio.
La volta del periptero era decorata con un ciclo musivo, raffigurante
le gesta
eroiche del dio a cui era dedicato quell’edificio sacro.
Nelle varie scene,
oltre alle sue imprese, ricorrevano puntualmente i dodici segni
zodiacali, un
toro, il sole e la luna.
Rimase
sconcertata nel constatare che quelle piccole tessere di mosaico
fossero in
oro, argento e pietre preziose come smeraldi, rubini, ametiste ed altre
gemme
dello stesso valore. Deglutì a vuoto, quel soffitto aveva un
valore
incalcolabile. Varcò la soglia di ingresso; notò
che i battenti erano bronzei,
come del resto tutto il portone ed avevano le fattezze della testa di
un uomo.
Al centro della sala circolare, illuminata dalla luce solare che
filtrava
dall’oculo centrale della cupola, si trovava la statua del
dio crisoelefantina.
La divinità indossava un’armatura leggera in cuoio
ed era intenta a colpire un
toro; sul soffitto era erano affrescate le personificazioni dei segni
zodiacali, del sole e della luna. Si chiese chi avesse concepito una
scena del
genere.
«Impressionante,
vero?»
Si
girò di scatto per vedere chi fosse ad aver pronunciato
quelle parole. Rimase
sorpresa nello scorgere un uomo di mezz’età,
vestito con una semplice tunica
rossa.
«Scusami
se ti ho fatto spaventare, non era mia intenzione. Sono Adda, il
sacerdote di
questo tempio.»
«Eir.»
Rispose guardinga la ragazza.
«Perdonami,
solitamente non vado in giro a spaventare la gente, ma la tua
espressione di
stupore mi ha particolarmente colpito. Prima volta qui, vero?»
«Sì.»
«Da
dove provieni?»
«Da
Abis.» Mentì.
«Ah,
provieni dall’altro continente, interessante. È
stato faticoso il viaggio?»
«Abbastanza.»
«E
cosa ti porta qui?»
«Sono
partita per conoscere il mondo, per imparare nuove nozioni e anche per
visitare
la terra in cui sono nati i miei avi.»
«Ottimo!
Sei nel posto giusto allora. Ti piace quello che stai
vedendo?»
«Qui
è tutto magnifico, i portali d’ingresso in
città, i palazzi, questo tempio,
questa scultura.»
«Dopotutto
siamo nella capitale, no?»
«Giusto…Chi
è il dio raffigurato?»
«La
statua è bellissima vero? È il dio Thamir,
protettore del nostro esercito e
della città. Dio supremo di tutti gli dèi del
nostro pantheon. Creatore di
tutto l’universo e di tutte le cose viventi, garante
dell’equilibrio. I tuoi
nonni non te ne hanno mai parlato?»
«Si…ma
vederlo raffigurato dal vivo è tutt’altra cosa, si
percepisce meglio quello che
hai detto.» Cercò di giustificarsi.
Rimase
in silenzio a guardare quell’opera d’arte. Ogni
parte del corpo era perfetta, i
dettagli anatomici erano impressionanti. I capelli ricci che spuntavano
da
sotto il copricapo frigio, su cui era incisa la stella a sette punte. I
muscoli
tesi per lo sforzo erano resi in un modo talmente realistico, da far
sembrare
il dio in movimento. Sulle mani si potevano notare le vene gonfie per
la
fatica. Ciò che maggiormente la sconvolse furono gli occhi,
non erano dello
stesso materiale del corpo, ma di un azzurro opalescente. Per un attimo
poté osservare
un guizzo; si stropicciò gli occhi, sicuramente era un
effetto dovuto alla
stanchezza del viaggio. Infatti, guardando meglio, si accorse che
dipendeva dai
raggi solari che colpivano quelle gemme così particolari.
«Hai
ragione è magnifica. Però,
ho una
domanda.»
«Chiedi
pure.»
«La
statua si bagna quando piove, no?»
Vide
Adda ridere a crepapelle; quando si fu calmato chiamò un suo
sottoposto e lo
osservò mentre confabulava con il giovane ragazzo.
«Cosa
ho detto di tanto divertente?» Chiese irritata.
«Nulla.
Ridevo per la tua sana curiosità che, bada bene, ritengo sia
molto positiva.
Sono felice che tu mi abbia chiesto una cosa del genere. Di solito, chi
viene
qui si limita a guardare e non ad osservare. Ora cerca di prestare
molta
attenzione, ok?»
Lo
vide fare un gesto, poi una cascata d’acqua cadde
dall’oculo, che stranamente
non colpì la statua; ci fu una seconda ondata ed una terza,
ma l’acqua non
riusciva ad intaccare il monumento, finendo direttamente nei canali di
scolo
posti ai piedi del basamento.
«Soddisfatta
la tua curiosità?»
«Com’è
possibile?»
«Mi
puoi ripetere come ti chiami?»
«Eir,
mi chiamo Eir.»
«Speranza.
Bel nome, mi piace. Vedi Eir, molti uomini hanno provato a spiegare
questo
fenomeno e sai una cosa? Nessuno ci è riuscito. Credo che in
natura ci siano
fenomeni spiegabili ed altri no. Per questi ultimi ritengo serva la
fede in
qualcosa che è oltre la nostra comprensione. Ecco, si
può chiamare Thamir o in
un altro modo, però c’è, esiste. Per
quanto riguarda il fenomeno che hai appena
visto, sono sicuro che sia la presenza del dio che non permetta al
simulacro di
bagnarsi. Magari un giorno arriverà qualcuno che
troverà la soluzione a questo
enigma, ma voglio credere sia lo spirito della nostra
divinità a proteggerci e
vegliarci.»
Eir
si limitò ad annuire in silenzio. Il suo modo
d’essere, di pensare, era
improntato a confrontarsi con tutto ciò che fosse misurabile
e verificabile.
Sicuramente su quella statua vi era una magia potente e, se avesse
avuto il
tempo necessario per studiarla a fondo, avrebbe trovato il modo per
sciogliere
l’incantesimo, ma non le sembrava il caso. Capiva
perfettamente il punto di
vista di Adda e, nonostante il diverso modo di intendere il mondo, gli
piaceva
il suo modo di pensare.
«Grazie
di tutto Adda, è stato piacevole passare del tempo con te,
ma ora devo andare,
altrimenti rischio di non riuscire ad accedere alla biblioteca. A
proposito,
sai dirmi dov’è di preciso? Sapevo fosse qui, nel
centro di Giz.»
«È
proprio difronte a questo tempio. Ti basta attraversare la piazza, non
puoi
sbagliare.»
«Grazie
di tutto.» Si avviò verso la sua meta.
Anche
la biblioteca non sfigurava in quanto a monumentalità e
bellezza. Sicuramente
era un’opera architettonica insolita per un edificio di quel
tipo, ma doveva
ammettere che la sua particolarità era ciò che la
rendeva unica. La facciata
presentava tre colonnati sovrapposti di vario ordine, aggettanti
rispetto alla
parete di fondo. Questo gioco di colonne creava un particolare effetto
prospettico, dando un senso di movimento. Più che una
biblioteca, quella parte
esterna, le ricordava l’ingresso di un teatro.
Salì velocemente i gradini ed
entrò nella struttura; rimase esterrefatta.
L’enorme sala a pianta rettangolare
era inondata dalla luce solare, che entrava dalle finestre poste ad
est. Questo
permetteva di sfruttare al massimo le ore diurne del giorno; inoltre,
riduceva
al minimo l’uso dei candelabri bronzei appesi al soffitto.
Fece vagare lo
sguardo per la sala, ovunque posasse gli occhi vedeva scaffali ricolmi
di
rotoli; alla sua destra notò delle scale, che sicuramente
l’avrebbero condotta
ai piani superiori. Si avvicinò cautamente al bancone, dove
vide un
bibliotecario intento a compilare dei voluminosi registri.
Gettò un’occhiata
sull’enorme epigrafe monumentale, che era posta sopra la sua
testa;
l’iscrizione al suo interno la fece sorridere: “Osa esser saggio!”
Non poteva
esserci motto migliore per quel posto.
«Buongiorno!»
Vide l’uomo alzare la testa incuriosito verso di lei.
«Buongiorno.
Prima volta qui?»
«Si!
Come lo ha capito?» Lo vide sorridere.
«Dai
tuoi occhi.» Lo guardò dubbiosa e sorpresa allo
stesso tempo. Possibile che i
suoi pensieri fossero così cristallini? «Non ci
pensare molto, ragazza. È il
tipico luccichio che avete tutti, quando venite qui per la prima volta.
Dovevi
vedere la mia espressione quando sono entrato qui a lavorare, terrore
puro!»
Cominciò
a ridere, quel simpatico vecchietto era riuscito a farla sentire a suo
agio.
«Cosa
cerchi all’interno della biblioteca reale di Giz?»
«Gli
annali dei Regni di Irysia e Anysia.»
«Interessante,
non sono in molti a chiedere questo tipo di informazioni. Ti posso
chiedere
come mai?»
«I
miei avi sono emigrati da questo continente, trasferendosi ad Abis.
Nelle
storie di famiglia, mi hanno sempre parlato del Regno di Anysia che
confinava
con Irysia. Perciò, prima di visitare quei posti, mi
piacerebbe saperne
qualcosa, ed eccomi qui.» Mentì.
«Che
ragazza piena di curiosità, mi piace. Seguimi, ti accompagno
nella sezione
giusta.»
Giunti
dinnanzi agli scaffali di suo interesse, il bibliotecario
cominciò ad estrarre
i volumen e a disporli sul tavolo
lì
presente.
«Ecco»
disse «questi sono tutti i codici di cui hai bisogno. Quando
avrai finito non
metterli al posto, chiamami e provvederò io.»
Eir
lo ringrazio. Prima di mettersi a consultarli si guardò bene
intorno. Si
accertò che in quell’ala non ci fosse nessuno.
Fece capolino con la testa nel
corridoio, per verificare che l’anziano signore fosse
effettivamente tornato
alla sua postazione. Quando ne fu sicura, cominciò a
scorrere tutti i codici
contenuti in quella sezione; quello che realmente cercava era
sicuramente
collocato da quelle parti. Ci mise diverso tempo, ma finalmente
trovò ciò che voleva.
I codici contenenti la storia dell’enclave di Silren erano
posti in fondo,
nella parte più alta dello scaffale. Con una magia
richiamò a sé quei papiri,
li aprì e iniziò a leggerli, erano quelli giusti.
Dal suo zaino prese un libro
bianco, molto più comodo di quei rotoli. Gettò lo
sguardo a destra e a manca,
per verificare che non ci fosse ancora nessuno; poi lanciò
un incantesimo su
tutti quei papiri li presenti e trasferì il loro contenuto
sul suo libro. Si
sedette un attimo sulla sedia, quella magia gli era costata parecchie
energie
mentali. Prese del cibo dalla sua borsa e cominciò a
sbocconcellare un pezzo di
pane. Con un ultimo sforzo rimise a posto tutti i volumen
che aveva consultato indebitamente, poi si avviò verso
l’uscita.
Una
volta fuori, si orientò alla ricerca di una locanda; voleva
un posto tranquillo
in cui riposare e pensare.
Adda
stava asciugando il pavimento dall’acqua. Era una fortuna che
non tutti i
visitatori fossero curiosi come quella ragazzina. I suoi adepti non
erano stati
d’accordo con quell’esibizione, li aveva convinti
dicendo che ci avrebbe
pensato lui a pulire tutto. Stava per prendere il secchio, quando una
voce
bloccò il suo movimento.
«Allora,
capo dei sacerdoti di Thamir, hai finito di fare il cascamorto con le
ragazzine?»