Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    23/10/2021    0 recensioni
“Ti voglio felice” glielo diceva attraverso le loro coscienze sempre unite, glielo sussurrava nei sogni, in quelle realtà che erano una via di mezzo tra coscienza, illusione e concretezza.
“Sano e felice…”.
ATTENZIONE, SPOILER SUL FINALE DEL MANGA!
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
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Fanfic scritta per la challenge Wriptember del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart - GRUPPO NUOVO
 
 
Fandom: Attack on titan
Autore: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Titolo: Uno di noi
Prompt: Cura lunga, 10 anni dopo, X è una persona splendida (day 22)
Personaggi: Armin, Jean, presenza spirituale di Eren
Generi: Angst, introspettivo, hurt/comfort, drammatico
Rating: giallo per problemi mentali, malattie incurabili
Note e warning: prende come punto di partenza alcuni dei miei numerosi headcanon relativi al periodo successivo al finale.
SPOILER SUL FINALE DEL MANGA!
 
 
UNO DI NOI


Era una giornata fredda, la collina dell’albero era spazzata dal vento e non c’era nessuno in giro.
Solo un giovane uomo camminava, arrancando, lungo il pendio.
Era vestito elegante, un completo nero dal quale spuntavano i risvolti di una camicia azzurra e un cappello di buona fattura tenuto fermo sui capelli con una mano, perché i refoli dispettosi non glielo strappassero via.
Raggiunse la cima mentre il fiato corto gli infuocava il petto, che venne scosso da un colpo di tosse.
Si guardò la mano e non si stupì di vedere le goccioline di sangue che punteggiavano la pelle bianca.
C’era abituato, andava avanti così da anni: era ancora giovane, non aveva neanche trent’anni, ma il suo corpo era ridotto peggio di quello di un vecchio, debole, stanco, malato.
Non certo quello che Eren aveva sperato per lui e per tutti loro.
Nessuno si sarebbe immaginato che i mutaforma, una volta tornati alla loro normalità di esseri umani, avrebbero risentito di tutti gli strascichi della maledizione che aveva rischiato di portarli ad una morte prematura. I loro corpi non erano tornati normali, erano più fragili, predisposti a danni fisici di ogni tipo.
E lui, che fragile lo era fin da piccolo, ne risentiva in maniera estrema, più di tutti gli altri la salute era a rischio e più volte si era trovato a un passo dalla morte.
Una beffa del destino: Eren aveva voluto salvarli e mai avrebbe operato per la loro sofferenza, soprattutto trattandosi di Armin.
“Ti voglio felice” glielo diceva attraverso le loro coscienze sempre unite, glielo sussurrava nei sogni, in quelle realtà che erano una via di mezzo tra coscienza, illusione e concretezza.
“Sano e felice…”.
Quello che maggiormente faceva male, nel cuore di Armin, era quel senso di fallimento che percepiva nell’anima di Eren ogni volta che lui stava male. Nessuno, ormai, sapeva se sarebbe morto giovane o se si sarebbe trascinato in quel modo fino alla vecchiaia.
Si tolse il cappello e guardò davanti a sé.
La piccola tomba era sempre lì, ai piedi del loro albero e il silenzio era assoluto, interrotto dall’ululato incessante del vento che pungeva la pelle.
Tutto appariva immutato, da quando lui era solo un bambino minuscolo che correva lungo quella collina, ad inseguire le foglie e il vento, cercando di stare a passo con i suoi due amici tanto più grandi e forti di lui.
Solo una cosa era cambiata.
Un tempo, guardandosi intorno dalla cima del colle, scorgevano le mura altissime che li tenevano prigionieri.
Adesso solo cielo, prati, orizzonte a perdita d’occhio che lasciava immaginare, sognare…
Ora che di sognare non c’era più bisogno, perché quel mondo al di là lo avevano conosciuto…
E lo avevano distrutto…
Ogni cosa era perduta, i sogni e le illusioni non esistevano più.
 
Aveva creduto che avrebbe trovato Mikasa già lì, sulla tomba di Eren, ma forse era troppo presto persino per lei. L’alba cominciava appena a tingere i prati e le foglie di una pioggia dorata, salutava quel decimo anniversario con i primi raggi di sole.
Armin era contento, in fondo, di essere giunto lì per primo, di essere ancora solo, in un certo senso ci aveva sperato.
“Perché solo? Non sei solo”.
Si lasciò cadere in ginocchio, davanti alla lapide, allungò una mano e ne sfiorò il bordo, come se potesse accarezzare colui per cui era stata eretta.
“Lo so, Eren… eppure…”.
Eppure, non capiva cosa stesse succedendo tra lui ed Eren, erano anni che si parlavano, che comunicavano, che lo sentiva al suo fianco, lo sentiva a livello spirituale e, si dava ancora del pazzo, a volte… su tanti livelli… su tutti i livelli.
Si incontravano nei sentieri.
“Qual è la realtà? Quale la finzione? Dove inizia, esattamente, la mia pazzia?”.
La mano si posò con tutto il palmo, poi con il dito percorse le lettere che Mikasa aveva scelto dieci anni prima:
Mio amato, mio caro…
Si sentiva sempre così colpevole quando pensava a Mikasa e ad Eren… quando pensava ad Eren e a se stesso…
Si morse il labbro, un singhiozzo risalì dalla gola, serrò le palpebre, poi si accasciò su se stesso, abbracciando la lapide e lasciando che il pianto lo scuotesse da cima a fondo.
Era da solo, nessuno lo vedeva, poteva concedersi quella debolezza.
“Io ti vedo… ma con me puoi piangere… lo sai… puoi essere te stesso fino in fondo, ho sempre amato il vero te stesso”.
“Eren… Eren…”.
Avrebbe voluto urlarlo quel nome, avrebbe voluto lasciarlo andare nel vento… una parte di lui avrebbe voluto liberare se stesso e lo stesso Eren da quei loro cuori intrecciati così strettamente da non poter districare il nodo del loro legame.
“Non ti lascerò andare…”.
No, Eren non lo avrebbe lasciato andare e lui non voleva che lo lasciasse andare: avrebbe fatto troppo male.
Per quanto insano e doloroso, quel legame oltre le dimensioni era, al tempo stesso, tutto ciò che gli dava la forza per andare avanti e anche per mantenere la promessa fatta ad Eren.
“Armin… reagisci…”.
La debolezza si era impossessata di lui e non credeva che avrebbe avuto la forza di rialzarsi: voleva solo stare lì, aggrappato a quella fredda pietra e a quelle parole in essa scolpite.
Anche il suo corpo aveva freddo, il clima era rigido, ma non era solo per quello: era malato, da troppo tempo e nessuna cura sembrava aver sortito effetto contro quel dimagrimento, contro quel male che sembrava consumarlo, giorno dopo giorno.
“Reagisci… se lo vuoi puoi farlo…”.
Era solo Eren, quel suo modo di parlargli, quel suo modo di esserci sempre, che lo teneva in vita, lo sapeva.
“Armin… Armin, cosa fai? Che è successo?”.
Un abbraccio energico gli si chiuse intorno, lo strappò a forza dal contatto con la lapide, per sollevarlo e, forse, anche per riscaldarlo, lo comprese dalle parole che raggiunsero la sua coscienza ormai labile:
“Sei gelato, stai tremando come una foglia. Ma perché sei così stupido?”.
Si abbandonò contro il petto accogliente di Jean, vi posò una tempia, sollevò una mano per aggrapparsi alla sua giacca: aveva ragione, era davvero uno stupido.
“Non avresti dovuto alzarti, non sei ancora guarito”.
“Scusami…”.
Avrebbe voluto continuare, dirgli anche:
“Cosa importa? Non guarirò mai…”.
Jean scosse il capo:
“Io lo so che volevi venire qui, che è un giorno importante. Ma ti avremmo accompagnato, dovevi aspettarci”.
Armin riuscì a sollevare il capo, quel tanto che bastava per incontrare gli occhi di Jean e trovarli bellissimi, nonostante la debolezza gli oscurasse la vista.
Jean era bellissimo, perché era una bella persona, perché c’era sempre, nonostante tutto, nonostante lui e tutti i suoi problemi.
Nessun senso di colpa, per quanto estremo, sarebbe stato sufficiente a ripagare di tutto Jean, Mikasa, Connie, Reiner, Annie, Pieck… il capitano Levi… tutte quelle splendide persone che lo circondavano e che si prendevano cura di lui e che, nonostante tutto, andavano avanti.
O, quanto meno, provavano a farlo.
Jean gli posò una mano sulla guancia:
“So cosa stai pensando, cretino… e, appunto, sei un cretino. Siamo tutti deboli e sconfitti, siamo tutti tristi e malati dentro… sei uno di noi e sei il più forte tra noi”.
Armin scosse il capo, il groppo nella gola si sciolse e pianse lacrime silenziose, lasciando che Jean lo riscaldasse con il proprio corpo.
C’erano troppe cose, di lui, che Jean non sapeva.
Solo lui le sapeva…
Lui ed Eren.
   
 
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