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Autore: Carme93    21/12/2021    1 recensioni
In un'Irlanda mitica e lontana, una cerchia di cavalieri ha contribuito per secoli alla stabilità del paese e all'armonia dei popoli dell'isola.
Ormai, però, non è più più così: come sempre la brama di potere e ricchezze ha finito per accecare persino i cuori più puri e la realtà è difficilmente come sembra.
[Questa storia si è classificata quarta al contest "Paradiso, Purgatorio, Inferno" indetto da mystery_koopa sul forum di EFP ed è vincitrice del premio Rivelazione (miglior personaggio)].
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’inganno dei colori
 



Strinse le labbra in una linea sottile ricambiando lo sguardo di quei ragazzini. Nient’altro che ragazzini. Non era dispregiativo: era la pura e semplice realtà. Alcuni di loro incrociarono i suoi occhi con baldanza; poveri illusi, avrebbero compreso fin troppo presto quanto sarebbe stata dura e pericolosa la strada intrapresa. Altri, la maggioranza, fissavano a terra: erano terrorizzati. Peccato che non fossero ancora pienamente consapevoli di quanto dovessero temere.
«Mettetevi in coppia. Uno si difende con lo scudo, l’altro attacca».
«Ma, signore, sta piovendo…» pigolò un ragazzo di quattordici anni. Fisicamente era il più valente, sarebbe stato un buon cavaliere se solo si fosse applicato un po’ agli studi teorici e non si lanciasse negli scontri a testa bassa. E, sicuramente, non sapeva quando tacere. Alcuni dei suoi compagni lo fissarono sconvolti, altri tennero ulteriormente gli occhi puntati sulla terra bagnata. Solo uno di loro si spostò lentamente verso l’armeria e recuperò uno scudo malconcio.
«Muovetevi» sibilò, fulminando con un’occhiataccia il ribelle.
Alla fine dell’allenamento erano tutti stanchi e dovette sollecitarli ripetutamente affinché rimettessero in ordine velocemente. Li seguì nella fredda sala dove veniva servita la cena.
L’Accademia aveva sede in un immenso castello fin dalla sua fondazione, ma sembrava che negli ultimi decenni si fossero dimenticati d’intervenire con una regolare manutenzione. Eppure lui sapeva bene che la zona destinata agli Anziani fosse ben diversa. Si passò una mano sul viso e fissò la brodaglia nel piatto. Strinse i denti ed evitò di osservare i ragazzi: le loro espressioni disgustate le conosceva bene. Inizialmente lui e altri istruttori avevano provato a protestare, ma la risposta ottenuta era stata che il primo anno di addestramento doveva temprare i futuri cavalieri. Era sempre stato così. Ma non era vero, lui ne era certo: quando era stato al posto dei suoi ragazzi, la situazione era ben diversa. Forse doveva considerare che all’epoca il cavaliere nero era uno soltanto e ora sembrava essercene una schiera. Alcune voci, giunte fino al castello, volevano che il Nero, com’era stato soprannominato, stesse addestrando i ragazzi affiancandosi all’Accademia. Secondo gli Anziani era plausibile e per questo erano sempre più rigidi.
In quanto cavaliere, egli avrebbe potuto benissimo mangiare nel suo appartamento, ma ormai, sebbene non l’avrebbe mai ammesso, si sentiva quasi in colpa. Blu, il suo maestoso drago, lo rimproverava spesso, perché, senza una corretta alimentazione, sarebbe stato presto troppo debole per combattere.
Anche le camerate, predisposte per gli aspiranti, erano inospitali: i letti non erano altro che delle vecchie brandine e il freddo entrava nelle ossa. Non era per nulla sicuro che tante privazioni temprassero veramente i giovani animi o, più probabilmente, doveva trattarsi di una selezione naturale. Era un gioco al massacro. La voce, naturalmente, si era diffusa per tutto il paese e gli aspiranti per anni erano stati troppo pochi per fronteggiare il Nemico. La soluzione era stata terribile: gli Anziani strappavano i ragazzini alle famiglie, alle quali in cambio veniva concesso un esiguo risarcimento in denaro. Non vi era alcuna certezza che avrebbero rivisto i figli.
A differenza degli altri cavalieri e degli istruttori semplici, egli cercava di controllare che i suoi ragazzi non fossero degli sciocchi trogloditi in grado di maneggiare una spada ma non di mettere in fila due parole di senso compiuto. Diventava, però, sempre più difficile, perché i ragazzi percepivano che agli Anziani non interessava nulla.
Sospirò di sollievo, quando finalmente poté chiudersi nel suo studio. Accarezzò Blu, acciambellato nel suo lato della stanza. I draghi ti scelgono, sono una parte di te. In passato, si diceva anche che i cavalieri dei draghi fossero dei predestinati fin dalla nascita. Peccato, che ultimamente si cercasse di avere più cavalieri possibili, indipendentemente dalle loro reali capacità.
«Diarmaid»
La voce era un basso brontolio, ma per lui era ormai rassicurante.
«Blu, non cominciare con i tuoi consueti rimproveri».
«Rosso è inquieto. Abbàn è stato ferito».
Diarmaid si accigliò: «Non ho sentito nulla del genere». Blu, quando usciva a caccia, incontrava altri draghi ed era perfettamente normale che comunicassero tra loro, ma non lo era che uno dei sette cavalieri venisse ferito e gli Anziani non ne dessero notizia agli altri.
«Non mi ha detto molto, ma era turbato».
«Nemmeno chi li ha attaccati? Sono usciti per un semplice giro di ricognizione».
«No, sembrava stanco e confuso» brontolò palesemente preoccupato Blu.
Diarmaid si mordicchiò il labbro: quella storia non gli piaceva. Negli ultimi tempi, c’erano troppe cose senza senso.
«Vado a parlare con gli Anziani» decise.
Blu alzò la testa preoccupato, per un attimo sembrò volerglielo impedire. O almeno fu questa l’impressione del cavaliere.
Il giovane avanzò nei freddi corridoi a passo veloce. Doveva capire. Doveva.
«Diarmaid».
Una voce profonda e ben nota lo costrinse a puntare lo sguardo verso un corridoio laterale.
«Bearach» replicò fermandosi. 
«Dove vai così di fretta?».
«Ho saputo di Abbàn e pretendo delle spiegazioni dagli Anziani».
Bearach, che in celtico significava ‘intelligente’ e ‘acuto’, non apparve sorpreso.
«Lascia stare».
«Perché?» chiese con durezza. Bearach era molto più anziano di lui. Era stato suo maestro, oltre che il cavaliere indaco da moltissimi decenni. Aveva sempre nutrito un profondo rispetto per lui. Tra l’altro l’indaco simboleggia la spiritualità e il risveglio interiore.  
«Sarebbe avventato».
«Sarebbe avventato chiedere delle spiegazioni che ci sono dovute da molto tempo?».
«Non essere stolto» sbottò severamente Bearach. «Hai capito che i tempi sono cambiati».
«Proprio per questo, gli Anziani devono…».
«Fidati solo di te stesso» lo interruppe bruscamente.
«Che vuol dire?».
Bearach gli lanciò un’occhiataccia, mentre dei passi si facevano sempre più vicini. 
«Oh, chiacchierata serale?».
Boyd, il cavaliere Marrone si unì a loro.
«Ci siamo incontrati per caso» rispose Bearach. «Tu, invece, perché sei tanto lontano dalla tua calda camera?».
Boyd era poco più grande di Diarmaid, ma non era mai andato molto d’accordo con il cavaliere più anziano.
«Una stupida inserviente mi ha detto di aver sentito dei rumori strani in biblioteca… di che cosa ha paura? Non penserà mica che il Nero venga a farsi una lettura serale?». Scoppiò a ridere, ma gli altri due cavalieri rimasero seri.
«Allora, non ti tratteremo dal compiere il tuo dovere» disse freddamente Bearach.
«Non è necessario» intervenne, però, Diarmaid in contemporanea. Gli altri due lo fissarono. «Ho bisogno di alcuni libri, stavo giusto andando lì».
Bearach gli lanciò un’occhiata inquisitoria, Boyd sembrò felice e augurò loro la buonanotte.
Diarmaid si congedò a propria volta e si avviò a passo svelto verso la biblioteca, quasi sicuro di chi vi avrebbe trovato.
La biblioteca era l’unico ambiente del castello immune al declino, probabilmente perché erano in pochi a servirsene e quei pochi sapevano come prendersene cura.
«Feidhlim» sibilò beccando il ragazzino intento a sfogliare un grosso tomo antico.
Il più piccolo sobbalzò sulla sedia e per poco non rischiò di urtare la lampada a olio.
Diarmaid si trattenne dal tirargli un ceffone: odiava quando i suoi venivano beccati a violare le regole dell’Accademia sia perché ormai le punizioni erano sempre troppo esagerate in confronto alla colpa sia perché era molto orgoglioso.
«I-io…» balbettò il ragazzino.
«Tu?» chiese con durezza.
Feidhlim, tremante per la paura e per il freddo, mormorò: «Volevo solo fare una ricerca».
Diarmaid lo fissò incredulo: una ricerca? L’ingresso alla biblioteca era stato vietato a tutti gli aspiranti. In effetti, anche quella era una strana decisione degli Anziani: di norma, erano ben pochi gli allievi che la frequentavano. «Stai scherzando, vero?».
Dei passi e delle voci attirarono la loro attenzione. Erano sempre più vicini. Diarmaid imprecò e tirò il ragazzino per la collottola fino a due ampi scaffali che li avrebbero nascosti alla vista di chiunque sarebbe entrato. Fece cenno al ragazzino di tacere.
«Gilroy, qui potremmo parlare con calma».
«Maestro, io…».
«Tu sei stato un incosciente! Come hai potuto attaccare il cavaliere Abbàn in quel modo?».
«Aveva detto che avrei potuto prendere il suo posto se…».
«Idiota» sbottò quello che Diarmaid aveva identificato come uno degli Anziani. «Non solo non l’hai ucciso, ma l’hai attaccato durante un giro di ricognizione nei confini dell’Accademia! Ti rendi conto del rischio corso?».
Gilroy non rispose subito, ma sembrò prendersi un attimo per riflettere. «Tanto il problema è stato risolto, no?».
«L’ho risolto io» ringhiò l’Anziano.
«Quindi sarò cavaliere a tutti gli effetti ora?».
«Sì, mi devi trovare l’oro però».
«I-io?».
«E chi se no?».
«Qualcuno più abile ed esperto. Potreste affidargli la missione».
«Farò così» decise l’Anziano. «Tu assicurati almeno che qui dentro non entri nessuno. Sarebbe terribile se qualcuno conoscesse la verità sul drago d’oro».
«Chi vuole che entri qui dentro? Ci sono solo umidità e puzza di muffa».
«Non abbassare la guardia».
Diarmaid attese finché non sentì allontanarsi prima i passi lenti e strascicati dell’Anziano e, dopo un po’, quelli più rapidi di Gilroy; poi tirò fuori il ragazzino dal nascondiglio e lo trascinò nella sua camera. Blu puntò gli occhi su di lui: erano lucidi.
Il cavaliere, con il cuore che gli batteva forte e l’ansia di essere scoperto, percepì per la prima volta un suono basso e straziante. Liberò Feidhlim dalla sua presa e il ragazzino si coprì le orecchie con le mani.
Rimasero immobili e in silenzio finché il triste pianto di Rosso non si perse nella notte.
«Che cos’era?» osò chiedere il ragazzino con le lacrime agli occhi.
«L’addio di un drago al suo cavaliere» rispose con voce ferma ma bassa Diarmaid.
Blu lanciò uno sguardo indagatore a Feidhlim.
«Se ti è cara la tua vita, non fare parola con nessuno di quello che hai sentito questa notte».
Il ragazzino annuì senza distogliere gli occhi sgranati da lui.
Il cavaliere prese una pesante coperta e gliela porse. «Dormirai qui» disse indicando il pavimento vicino al caminetto. «Se qualcuno te lo dovesse domandare, hai trascorso la notte nel mio studio a ricopiare dei vecchi documenti per punizione, chiaro?».
«Sì, signore» mormorò Feidhlim.
«Bene, ora dormi».
Mentre il ragazzino si avvolgeva tutto e trovava una posizione comoda vicino al camino, Diarmaid si avvicinò a Blu e gli sussurrò la conversazione origliata.
 
 
 
 
*
 

Diarmaid si aggiustò il pettorale nervosamente. Era stato convocato dal Consiglio degli Anziani insieme a Blu: sicuramente volevano affidar loro una missione. E, sinceramente, dopo quanto ascoltato settimane prima, non si fidava più di nessuno.
La sala del Consiglio era molto ampia, d’altronde doveva ospitare gli Anziani ma soprattutto sette draghi e i loro cavalieri.
Entrare da soli suscitava naturalmente un certo effetto: non sei un cavaliere potentissimo, ma solo un puntino dell’universo – gli Anziani erano seduti su alti scranni e s’imponevano sui loro ospiti, provocando in loro ulteriore soggezione.
«Benvenuto, caro Diarmaid. Benvenuto, Blu».
Blu emise un basso brontolio, come ogni qualvolta qualcosa non gli andava particolarmente a genio.
Diarmaid tenne gli occhi fissi sugli Anziani, disposti a semicerchio. Si fermò al centro della sala e Blu si accoccolò vicino a lui.
«Abbiamo una missione per te» affermò uno degli Anziani con solennità, ma sembrò più una sentenza.
Il cavaliere non sapeva spiegarsi quello strano presentimento che gli opprimeva il cuore.
«Dovrete recarvi alla fortezza di Meallàn e prendere l’oro che custodisce».
Diarmaid s’irrigidì. Conosceva fin troppo bene quella fortezza e non aveva mai smesso di popolare i suoi incubi.
 
Il cielo tuonò scuotendo gli animi dei presenti, ma nessuno dei sette cavalieri nella parte centrale del cortile diede segno di avvedersene. Tutti sapevano come gli Anziani la pensavano, ma nessuno osava esprimersi ad alta voce. Quella sarebbe stata la prova più difficile degli ultimi anni, ma secondo i gerarchi erano necessario: chi sarebbe sopravvissuto, sarebbe stato certamente ammesso nel cerchio dei sette. Da quella missione, però, non erano mai ritornati i cavalieri blu, rosso e giallo. Tre tra i più potenti. Naturalmente, questo aveva scosso inesorabilmente la gente del villaggio che aveva finto di vivere in pace negli ultimi anni, ma l’apparizione di quel cupo cavaliere in sella al suo drago nero come la notte aveva mandato in frantumi ogni illusione.
I draghi neri erano molto rari e costellavano i ricordi più bui della loro storia.
Naturalmente, gli Anziani l’avevano interpretato come un cattivo presagio. La sconfitta di tre potenti cavalieri, però, andava ben oltre i presagi. Era qualcosa che non aveva bisogno d’interpretazione.
La cerimonia annuale d’iniziazione dei cavalieri dei draghi era stata in passato un momento di festa per l’intera comunità. Si svolgeva una vera e propria fiera, che richiamava agricoltori, allevatori, artigiani, artisti provenienti da tutta l’Irlanda. A volte persino da oltre mare. Le bancarelle e le decorazioni erano il trionfo dei colori. Quei giorni erano all’insegna della felicità e del divertimento.
In verità, nemmeno a quei tempi, tutti erano felici e si divertivano: non era scontato che gli aspiranti cavalieri tornassero. Le missioni erano particolarmente insidiose, ma mai come quest’ultima. Non avrebbe dovuto sorprendere, perché ormai da anni nulla era come prima. I colori erano scomparsi e persino le squame dei draghi avevano perso la loro lucentezza.
I giovani al centro del cortile, una volta baldanzosi, presentavano un’espressione contrita di chi non è più convinto della scelta compiuta.
L’Accademia, però, non lascia scelta: arrivati all’esame finale gli aspiranti, in caso di fallimento, o periscono o vivranno con l’onta della sconfitta.
L’Accademia dei cavalieri dei draghi aveva radici antichissime e, per certi versi, perse nella leggenda.
Diarmaid era eccitato: era il momento di dimostrare il suo valore. Probabilmente la su giovane età e una buona dose di avventatezza non gli permettevano di cogliere la preoccupazione del villaggio e dei cavalieri presenti, compreso il maestro Bearach. Lanciò un’occhiata al suo migliore alleato, Llyr, anche lui particolarmente agguerrito.  Incontrò per un attimo i suoi profondi occhi blu, blu come il mare di cui portava il nome celtico.
Al cenno del cavaliere Bearach, si alzarono in volo. Se avessero superato quella prova, avrebbero cavalcato draghi molto più possenti e forti e non quelli da allenamento.
 
Diarmaid si costrinse a concentrarsi sul presente e non perdersi in ricordi ormai lontani.
«Ti accompagneranno due dei tuoi allievi».
Il giovane cavaliere non riuscì a trattenere una smorfia sorpresa: i suoi allievi? Erano poco più che dei bambini. Totalmente impreparati ad affrontare una simile missione.
«Seguimi» disse uno degli Anziani.
Diarmaid non guardò nemmeno Blu, percepiva il suo desiderio di bruciacchiare un po’ la lunga veste porpora dell’uomo.
L’Anziano li condusse nel cortile centrale dal quale di solito iniziavano tutte le missioni.
Il cavaliere strinse i denti: che cosa significava tutto quello? Feidhlim e Mathùin, il ragazzo ribelle che gli rispondeva sempre. Perché loro fra tutti?
«Potete partire subito».
Voleva sbarazzarsi di loro.
Perché? Effettivamente Diarmaid aveva tentato di cercare informazioni sul drago d’oro in biblioteca, ma non aveva mai incontrato altri cavalieri e meno che mai gli Anziani. Chi allora? I ragazzi. Aveva visto sempre gli stessi ragazzi in biblioteca. Tutti allievi di Gilroy, il nuovo cavaliere rosso. Lo stavano osservando! Non poteva essere stato così sciocco!
«Perché proprio loro, signore?» chiese Diarmaid.
«Il giovane Feidhlim passa troppo tempo tra i libri, un futuro cavaliere deve imparare a combattere sul campo; mentre Mathùin si è offerto volontario. Sai, il suo bisnonno è stato un cavaliere rosso».
«Capisco» si costrinse a dire rigidamente. E comprendeva fin troppo chiaramente: Feidhlim era fisicamente debole, ma cognitivamente pericoloso; Mathùin, invece, a causa del suo antenato, intimoriva quello sciocco di Gilroy.
«Cavaliere, può gestire la missione come meglio crede. Tornate con quell’oro, però. Potrebbe essere la nostra unica speranza contro il Nero».
Questa volta, Diarmaid non rispose nemmeno, ma si limitò a un cenno del capo e si avviò. I due ragazzi lo seguirono quasi all’istante.
 
 
 
*
 
 
 
Poco prima del tramonto, Diarmaid arrestò il suo cammino. Ormai erano abbastanza lontani dall’Accademia. Feidhlim e Mathùin non avevano osato lamentarsi, ma era palese che fossero sfiniti. Purtroppo non avevano potuto volare con Blu, perché i due ragazzi non avevano mai cavalcato un drago ed era troppo alto il rischio che cadessero.
«Ci fermeremo qui per la notte» comunicò. Li osservò criticamente per un attimo, poi ordinò: «Mathùin, raccogli la legna; Feidhlim controlla i viveri che ci sono stati forniti».
Diarmaid cercò Blu e insieme fecero il punto della situazione: nessuno li aveva seguiti e non sembravano esserci pericoli incombenti, escludendo, s’intende, le creature feroci che abitavano la foresta che stavano attraversando.
«S-signore?» pigolò Feidhlim tremante e con un filo di voce.
«Che c’è?» replicò distrattamente Diarmaid, intento a limitare il terreno con alcune piccole e semplici trappole.
«Non c’è cibo nelle sacche».
Diarmaid si voltò a fissarlo, prima di precipitarsi a controllare. Non poteva essere stato così stupido! Aveva commesso degli errori clamorosi in pochi giorni e, come se non fosse sufficiente, avrebbe trascinato nella sua rovina anche due ragazzini innocenti.
Mathùin e Feidhlim lo osservavano in silenzio.
Diarmaid si avvicinò a Blu per accarezzarlo, preso dallo sconforto.
Alla fine, specialmente grazie all’aiuto del drago, riuscirono ad accendere un fuocherello che li scaldasse e a cacciare qualche animale di cui cibarsi. Mangiarono senza proferir parola.
«La missione deve fallire. È una punizione, giusto?».
Diarmaid sollevò gli occhi su Mathùin, sorpreso dalle sue parole. «Cosa te lo fa dire?» domandò lentamente.
«La fortezza di Maellàn è una delle più ricche del nemico e proprio per questo difficile da espugnare. Soprattutto per due che non sanno nemmeno cavalcare un drago» rispose con voce tremante Feidhlim.
Il cavaliere cominciò a rendersi conto di aver sottovalutato i due ragazzi.
«Sarebbe gravissimo dimenticare i vivere preparando l’equipaggiamento di un cavaliere per una missione così importante» aggiunse Mathùin.
«E siete in grado di dirmi anche perché voi siete stati i miei fortunati accompagnatori?».
Feidhlim incassò il capo nelle spalle e fissò il fioco fuoco che a malapena li scaldava; mentre Mathùin ricambiò con sicumera lo sguardo del maestro.
«Mio nonno ha servito fino alla fine l’Accademia e non avrebbe mai approvato la nomina di Gilroy come cavaliere rosso».
Diarmaid non commentò: il ragazzino era stato richiamato ripetutamente per l’atteggiamento che aveva assunto nelle ultime settimane.
«E tu?» chiese al più piccolo che rimaneva ostinatamente in silenzio.
«Qualche sera fa, uno dei ragazzi più grandi mi ha beccato in biblioteca».
«Ti avevo detto di non andarci più!» sbottò Diarmaid.
Feidhlim non replicò.
«Che cosa hai trovato?».
«Un libro sulla leggenda dei cavalieri della luce».
«E quindi?» chiese Mathùin. «La leggenda la conoscono tutti».
«Io non ho mai sentito parlare di draghi bianchi» sussurrò il ragazzino.
«Bianchi?» ripeté Diarmaid perplesso. Il drago dorato lo conoscevano tutti: da decenni gli Anziani ribadivano che era la loro unica salvezza e per questo era necessaria una grande quantità d’oro.
«Bianco e nero si completano e favoriscono l’armonia. Simboleggiano i sentimenti più scuri e quelli più puri del nostro animo. Scientificamente, il bianco è il colore che riflette quasi tutta la luce, al contrario il nero l’assorbe totalmente».
«Nessuno ha mai parlato di draghi bianchi» disse Mathùin considerando uno sciocco il compagno. Diarmaid lanciò un’occhiata a Blu che ricambiò. Il suo drago non avrebbe potuto aiutarlo: era nato nei sotterranei dell’Accademia, come ormai la maggior parte di quelle antiche creature. Nelle guerre di secoli prima la maggior parte erano stati annientati ed erano ben pochi quelli che si erano salvati.
«Nel libro non parla di draghi dorati che dovrebbero opporsi al nero. Secondo il libro, il nero fa parte della nostra vita e…».
«Basta!» sibilò Diarmaid. Feidhlim s’intimorì a causa del suo tono e probabilmente per il modo convulso in cui aveva stretto e spezzato il ramo usato come spiedo. «Non abbiamo altra scelta che andare avanti. Non possiamo tornare indietro o troveranno un altro modo per ucciderci».
«Saremo coraggiosi» disse con forza Mathùin.
Diarmaid non era in vena di ascoltare la stupida retorica che gli Anziani avevano inculcato a tutti nel regno, così ordinò ai due ragazzini di riposarsi.
I suoi occhi azzurri gli erano tornati prepotentemente alla mente, così come un dolore sordo allo stomaco.
 
«Diarmaid».
Il giovane si voltò verso il fratello. «Siamo messi male, no?» provò a mostrarsi più coraggioso di quel che era.
«Siamo dalla parte giusta?» ribatté l’altro senza fare caso alla battuta.
Diarmaid se ne sorprese: erano nel pieno di una battaglia contro il cavaliere nero e i suoi uomini, tra cui un’orribile banshee. Tutto si aspettava tranne una simile domanda.
«Llyr…».
«Diarmaid, non ci hanno raccontato tutta la verità».
Il giovane sempre più sorpreso parò un colpo della strega delle paludi e la allontanò da loro. «Ma che dici? È la nostra prova, il nostro momento! Diventeremo cavalieri, dobbiamo solo prendere l’oro e…».
«Sopravvivere» concluse Llyr. «Non ha senso».
«Certo che ce l’ha, gli Anziani…».
«Ascolta, il tuo gemello, giovane combattente».
Una voce profonda e cupa interruppe la loro conversazione.
Diarmaid deglutì: il cavaliere più temuto, il Nero, era di fronte a loro a cavallo di un drago maestoso. Alzò la spada pronto a morire combattendo, non sarebbe scappato come un codardo.
«Non essere sciocco» lo fermò il Nero. «Non voglio combattere con un ragazzino. E poi ti ricordo che siete venuti voi qui, voi avete attaccato i miei alleati».
«Che idiozia!» sbottò Diarmaid, ma il suo affondo fu nuovamente bloccato da una pigra risposta dell’altro. «Llyr, aiutami. In due…». Le parole gli morirono in gola: suo fratello fissava stranito il nemico. «Non gli crederai mica?!».
«Non esiste il drago dorato, vero?».
«Mai sentito» rispose il Nero.
«NON PARLA CON TE!» urlò Diarmaid preso da un terrore improvviso: il suo gemello, una parte di sé, stava abbassando le armi.
«Gli Anziani mentono» ripeté Llyr fissandolo negli occhi, dopo essersi tolto l’elmo, come se non fossero nel pieno di uno scontro. A Diarmaid sembrò specchiarsi nel volto del fratello, ma questa volta i loro occhi blu profondi non combaciarono: in quelli di Llyr c’era una strana luce.
«L’hai incantato». Diarmaid accusò allora il Nero.
«Non sono un mago» scosse la testa il nemico. «Sono solo un cavaliere».
«Allora combatti!».
«No, troppi giovani sono già morti» rispose il Nero allungando la mano come ad abbracciare l’intero campo di battaglia.
«Quindi ora fa il magnanimo? Come se non li avesse uccisi lei!».
«Io non ho ucciso nessuno» dichiarò il Nero. «E ripeto, siete voi che siete venuti qui, voi ci avete attaccato, i miei alleati si sono solo difesi».
«Ci sta facendo il lavaggio del cervello!».
«Voglio la verità» disse invece Llyr.
«La verità si deve cercare. Non posso decidere io per te».
«Questa storia è ridicola» sbottò Diarmaid sempre più confuso.
«Voglio la verità» ripeté Llyr.
«Ti darò la possibilità di scoprirla».
«Diarmaid, è importante. Sento che è la strada giusta».
«No, ti sbagli. Non lo è. È assurdo».
«Diarmaid, fidati di me».
«No» disse il ragazzo scuotendo la testa. «Non possiamo tradire l’Accademia, il nostro popolo!».
«Che cosa ci ha dato l’Accademia? Ci ha strappato alla nostra famiglia!» urlò Llyr.
«Torneremo a casa e tutti saranno fieri di noi».
«Diarmaid…».
«No! Come fai a fidarti di lui?!».
«Mi fido solo di noi stessi! Voglio scoprire la verità».
 
Quegli occhi blu lo perseguitarono tutta la notte e nemmeno Blu riuscì ad acquetarlo.
La mattina dopo si rimisero in cammino in silenzio. Il silenzio di chi sa a che cosa sta andando incontro. Mathùin aveva un viso concentrato e determinato; Feidhlim arrancava faticosamente al loro fianco senza lamentarsi.
Quel tratto di foresta non era particolarmente pericoloso, circondati da betulle, faggi e querce secolari sarebbe potuta sembrare una semplice escursione di esercitazione, invece la realtà era ben diversa. A peggiorare la situazione si aggiunse anche la pioggia che, nei giorni seguenti, si abbatté su di loro.  
Una sera Diarmaid perse la pazienza con Feidhlim, perché lo trovò a giocare con un piccolo folletto, che doveva seguirli da un po’. In quel momento non potevano sopportare anche i dispetti di quegli esserini né le loro battutine sulla incapacità degli umani di trovare l’oro e la loro difficoltà nel preservarlo. Bravi loro con l’aiuto della magia!
Nei giorni successivi, Feidhlim s’incupì e si mantenne a distanza dagli altri membri del gruppo. A Diarmaid dispiacque ed ebbe la tentazione di rincuorarlo in qualche modo. A che cosa sarebbe servito?
Non vi fu soddisfazione o sollievo quando la fortezza di Meallàn apparve davanti ai loro occhi, ma solo rassegnazione.
Diarmaid si fermò sul ciglio della foresta. Blu li raggiunse all’istante. Sicuramente li avevano già avvistati. Il cavaliere strinse le spalle ai due ragazzi: loro non avevano alcuna colpa, ma non c’era via di salvezza.
«Mi dispiace, signore» mormorò quasi in lacrime Feidhlim.
«Non hai colpe, a volte è tutto più grande di noi. Andiamo».
Appena furono in vista della fortezza, furono attaccati da alcune guardie. Nonostante i richiami di Blu, Diarmaid si rifiutò di combattere in sella al suo drago: non poteva abbandonare i ragazzi. Non fu un problema affrontare le sentinelle, grazie anche all’aiuto di Blu che le colpì con delle fiammate.
Il cavaliere blu e il suo drago diedero filo da torcere ai nemici, almeno finché nugoli di frecce non cominciarono a piovere sui loro capi, ma erano in campo aperto e non era possibile nascondersi. Il corpo di Blu era coriaceo e riusciva a respingerle, ma non poteva proteggere tutti e tre allo stesso tempo. Diarmaid gli intimò di occuparsi dei due ragazzi. Erano anni che vivevano l’uno a fianco dell’altro e Blu non obbediva agli ordini. Quel giorno forse lo considerò come l’ultima richiesta del suo fedele compagno.
Il cavaliere fu colpito da una prima freccia sulla spalla, ma continuò a combattere sperando che l’armatura blu ormai sporca proteggesse gli organi vitali. Cominciò, però, a indebolirsi sia per il sangue che fuoriusciva dalle ferite sia per la debilitazione dei giorni di viaggio.
Fu accerchiato da un gruppo di soldati, che lo sopraffecero. Uno di loro lo colpì al fianco, ammaccando l’armatura. Un altro gli diede un colpo in testa con l’elsa della sua spada.
Sentì i ragazzi gridare il suo nome, poi più nulla.
 
 
*
 
 
Aprì gli occhi, ma fu costretto a richiuderli all’istante. Per un momento fu stranito: sulla sua torre all’Accademia non penetrava tutta quella luce, meno che mai nella stagione invernale.
Impiegò qualche secondo ad abituare gli occhi e osservare all’ambiente che lo circondava. Provò a mettersi a sedere, ma un dolore lancinante gli attraversò la spalla, facendolo stringere i denti. Man mano i ricordi tornarono alla mente e la sensazione di allarme aumentò. Eppure, per essere un prigioniero, si trovava in una stanza luminosa e non in una segreta – all’Accademia, a volte, non accoglievano nemmeno più prigionieri vivi ˗ e le sue ferite erano state medicate.
«Maestro!» mormorò una voce.
Voltò faticosamente il capo vero il punto da cui proveniva la voce: Feidhlim lo fissava dalla soglia di una porta di legno. Il ragazzino si avvicinò a lui e con sicurezza gli avvicinò un boccale alle labbra. Diarmaid si accorse di essere molto assetato. I gesti del ragazzino erano lenti e misurati, come per non causare alcun fastidio al ferito.
Per un attimo Diarmaid aveva creduto di aver completato il ciclo della sua vita e di essere sul punto di rinascere, ma doveva costatare che non c’era nulla di diverso nel suo allievo, tranne l’abbigliamento: indossava vesti pulite e colorate, nulla a che vedere con la bigia uniforme degli aspiranti cavalieri.
«Dove siamo?».
«Muireadhach» rispose una voce ferma e asciutta.
La prima cosa che vide furono i suoi occhi e vi si perse. Era troppo tempo che non s’incontravano.
«Llyr».
Il cavaliere vestito di scuro davanti a lui fece un cenno al ragazzino che si congedò rapidamente.
«Diarmaid, ho desiderato a lungo rivederti e finalmente è stato possibile».
Era stato lui ad andarsene. Diarmaid era stato nominato cavaliere e aveva fatto finta di non avere fratelli gemelli. Eppure eccolo lì davanti a lui.
«Spiegami».
«Carini gli Anziani a mandarvi incontro a morte certa. I tuoi allievi sono solo dei ragazzi, anche se Mathùin ha provocato un livido niente male a una delle guardie».
«Llyr, questa conversazione non ha senso» biascicò Diarmaid ancora sconvolto.  «Perché sono vivo?».
Llyr sospirò: «Perché nessuno di noi vuol fare del male a un valoroso cavaliere, tradito dai suoi, e a due ragazzini. Ci hanno convinto che il nemico fosse un altro per allontanare gli sguardi da sé e gli Anziani non fanno che arricchirsi alla faccia del popolo. Questo inverno metterà molti in ginocchio».
«Esiste il drago d’oro?».
«Sì, Diarmaid, quello che gli Anziani si regaleranno dopo essersi appropriati di tutto l’oro del paese».
Il giovane cavaliere non avrebbe accettato facilmente di aver commesso un simile errore, piombò in un sonno meno agitato grazie agli occhi blu che lo cullavano.
Adesso avrebbe cercato anche lui la verità.
 
   
 
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