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Autore: HellWill    01/01/2022    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla. L'ho iniziata nel 2015, ma era l'anno della maturità e mi sono fermato al prompt n°23.)
"Sì, perché se la neve gli rammentava i giorni più oscuri passati sul fronte, ai confini con il Regno Faël, non potevano far altro che ricordargli anche di lei.
Lei, che aveva riscaldato come un’eterna estate anche i giorni più freddi e tetri; lei, dalla quale sperava ogni giorno di tornare per ritrovarsi sulle sue labbra. Lei, solo lei."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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1 gennaio 2022
A Snowy Day
 
Daeg si stava recando al campo d’addestramento, quando una lenta danza fuori le feritoie lo costrinse a fermarsi nel mezzo del corridoio, a metà strada fra il solarium e i giardini sul retro: nevicava. Restò immobile, indeciso se recarsi ugualmente all’addestramento, dopodiché mandò alla malora il proprio dovere e si recò nelle proprie stanze: si svestì e si sciacquò il viso, indossò delle vesti di lana e rimase in piedi nel mezzo della camera, guardando la neve fuori che, trasportata dal vento, danzava lentamente in delicati arabeschi fuori dai vetri della finestra ad arco.
Con un sospiro, si sedette sul davanzale e giocò con l’orlo della tunica pesante, guardando la neve: gli veniva naturale ripensare, di tanto in tanto, all’unica guerra che la sua breve vita aveva conosciuto; nulla più che piccoli sprazzi di battaglia, ogni tanto, si affacciavano alla coscienza come foglie marce potevano riemergere dal fondo di un laghetto in inverno, memori dell’autunno appena trascorso. E poi l’odore… l’odore del campo di battaglia, quel misto di olezzo carni bruciate dalle fiamme sgorganti dalle gole dei draghi, di ferro disciolto, di sangue… soprattutto di sangue… che inzuppava le vesti sotto la cotta di maglia, che impregnava il terreno rendendolo un fango quasi vivo, animato, che ti afferrava le caviglie e ti rendeva impossibile avanzare sulle fila nemiche.
Ma c’era dell’altro, nella sua esperienza della guerra.
Sì, perché se la neve gli rammentava i giorni più oscuri passati sul fronte, ai confini con il Regno Faël, non potevano far altro che ricordargli anche di lei.
Lei, che aveva riscaldato come un’eterna estate anche i giorni più freddi e tetri; lei, dalla quale sperava ogni giorno di tornare per ritrovarsi sulle sue labbra. Lei, solo lei.
Aveva un nome semplice ma in quel momento, immerso nei propri pensieri come in un oceano agitato, non riusciva a rievocarlo: gli sfuggiva come una biscia d’acqua dolce fra le dita in primavera, negli stagni di palazzo, quando era bambino.
Nulla in lei gli evocava desiderio o lussuria, in quei tempi di battaglia; eppure avrebbe dovuto: non era umana, era una donna, e si diceva… Daeg scosse il capo: non aveva importanza ciò che si diceva sulle donne non-umane. Non sapeva neanche se lei fosse stata l’eccezione che confermava la regola, oppure se rappresentasse effettivamente tutte le donne non-umane che Daeg avrebbe potuto incontrare nella propria vita da mortale. Ah, la caducità dell’essere umano… in un mondo popolato di esseri che vivevano secoli, improvvisamente la durata così minuta di una vita umana gli sembrava ridicola, al punto che ammazzarsi in battaglia diventava quasi una beffa ai danni dei popoli non-umani: che significato poteva avere una delle loro vite, così facilmente rimpiazzabili e soprattutto che sarebbero comunque durate ben poco, in confronto a delle vite plausibilmente infinitamente più lunghe, e per questo meno sacrificabili?
Eppure, ne aveva ammazzati parecchi, di non-umani… un guizzo di senso di colpa nei confronti di quella ragazza conosciuta al fronte lo invase, ma non lo colse impreparato: aveva imparato da tempo a convivere con quei sentimenti così contraddittori, e i pensieri che gli si affacciavano alla mente nei momenti di quiete erano – alla fine – sempre gli stessi.
Quasi ossessivi, ripetitivi.
Il ricordo del viso della ragazza era sfumato in qualcosa di irriconoscibile e soprattutto non rievocabile, così come la sua voce.
Ma ricordava il suo profumo di fiori, così naturale; eppure gli sembrava quasi assurdo che lei conservasse un odore simile in una tenda infermeria, a contatto con il sangue, il pus, il siero che stillava dalle ferite infette di uomini che non facevano altro che insultarla perché appartenente alla razza del nemico.
E ricordava anche il fatto che fosse giovane e, anche se era più bassa di lui, era comunque abbastanza alta; quanti anni poteva avere? Si arrovellò su quella domanda per qualche secondo, prima di rinunciarci; si limitò a decidere che doveva avere fra i quattordici e i sedici anni. E quanti anni aveva lui? Era stato prima o dopo la morte di sua madre? Risalì la scaletta del tempo, rivide molte lune, rivide qualche primavera, e infine giunse alla conclusione che doveva avere circa diciotto anni quando l’aveva conosciuta.
E ricordava anche i suoi capelli: blu, come uno zaffiro; e i suoi occhi, viola come due ametiste.
Oh, e aveva le orecchie a punta. Ricordava una conversazione al riguardo… forse era avvenuta davvero, chissà. Non ne rammentava i dettagli, ma sapeva che quelle orecchie si muovevano a seconda delle emozioni provate dalla ragazza. Un po’ come quelle dei cani. Sì, avevano parlato anche dei cani…
Lei proveniva da terre lontane, ancor più lontane del Regno Faël, gli aveva detto. Ma non aveva saputo spiegargli dove fossero quei territori.
Oh, dèi… ecco che subentrava il mal di testa. Quei ricordi lo ferivano, ogni battito del cuore era uno stillicidio infinito, e seppure si fosse sposato non aveva mai più condiviso un sentimento simile con qualcuno che non fosse quella ragazza al fronte.
Ricordava anche le sue labbra. Non avrebbe saputo dire che forma avessero, o di che colore fossero, ma ricordava quanto fossero morbide sulle proprie. E ricordava anche il modo in cui le brillavano gli occhi non appena lo vedeva. E le sue mani… sottili e leggiadre sulla sua pelle, soprattutto quando tornava dal campo di battaglia con qualche ferita che lei curava con dedizione e tranquillità…
Dèi… gli faceva male il cuore. Quasi i ricordi della battaglia, con quell’odore acre di metallo e sudore e sangue, erano meno dolorosi.
C’era un tempo in cui una giornata di neve avrebbe significato giochi con i suoi fratelli e le sue sorelle.
Poi era venuto il tempo in cui una giornata di neve significava scivolare sul terreno intriso di sangue, sangue gelato durante la notte, e ciò poteva fare la differenza fra la vita e la morte.
Ed infine, eccolo: il tempo in cui una giornata di neve non faceva altro che ricordargli ciò che aveva perso, e che non avrebbe mai più potuto recuperare.
   
 
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