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Autore: Melanto    06/01/2022    2 recensioni
[Soulmate Series - #8]
L’amore è fatto di piccoli passi e di passi lunghissimi che ti mandano da zero a cento. Quello che conta è di farli insieme, tra padri con distintivo e pistola, e gemelli irritanti con il gusto dell’orrido, e quindi…
… e quindi ti presento i miei!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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The 'Parents' Factor... more or less

 

 

The 'Parents' Factor... more or less

Soulmate series - #8

 

 

 

 

Lo aveva preso in giro, non poteva negarlo.

Si era divertito a pungolarlo dicendogli, in soldoni: “Ma vieni un po’ come ti pare, anche in pigiama. I miei sono informali, non farti problemi”.

Aveva ridacchiato di come fosse rimasto in tensione per tutto il tempo del viaggio, per come fosse rimasto rigido quando si era trovato sua madre e suo padre davanti.

Sì. Stupidamente, doveva ammettere di averci un po’ goduto nel vederlo in difficoltà… Lo aveva trovato adorabile.

… E allora perché in sé stesso non ci vedeva niente di adorabile, ora che toccava a lui andare a casa di Yuzo?!

Perché erano almeno cinque ore che metteva e toglieva vestiti davanti allo specchio di casa, con la vocetta querula di suo fratello che, di tanto in tanto, faceva capolino e diceva: “Ti sei cambiato di nuovo?”? Aveva dovuto sbatterlo fuori e chiudere a chiave, a un certo punto, per la disperazione e il fastidio.

E non c’era un cazzo da ridere.

Adesso lo capiva anche lui.

Il fatto era che Yuzo se n’era uscito così, all’improvviso, mentre erano al telefono e lui stava guidando per tornare a Nankatsu. Tre giorni al loro seijin no hi, la Federazione che – dietro suggerimento di Katagiri, di sicuro – li lasciava liberi dagli impegni e li invitava a rientrare a casa, a passare questi momenti con le famiglie per prepararsi al meglio a un giorno tanto importante.

E lui che ci aveva pure riso su. Cosa ne poteva sapere che bello e buono, mentre chiacchieravano del turno di campionato che avrebbero saltato, Yuzo gli dicesse: «Senti, ma quindi per domani hai qualche impegno?».

«Impegno? Di che genere, a parte uscire con te, Hajime, Teppei e andare a fare un giro? Forse c’è pure Bear, se riesce a rientrare per tempo da Hiroshima.»

«No, per sapere se ti andasse di venire a cena.»

«Cosa?» aveva ironizzato. «Ristorantino io e te soltanto? Ma solo se mi offri anche un dopocena con i fiocchi.»

«Veramente, io stavo pensando a casa mia.»

Lui era rimasto in silenzio per un istante più lungo, non riuscendo ad afferrare, fino a che Yuzo non aveva aggiunto: «Ti andrebbe di venire a cena da me?»

Quel: «Aspetta. Mi vuoi presentare ai tuoi?!» lo aveva detto certo d’aver capito male.

«Come amico, ovviamente!»

Mamoru aveva dovuto accostare per essere sicuro che Yuzo stesse dicendo sul serio, tanto da chiederglielo altre due volte.

«Vuoi finirla? Mi hai capito benissimo. Se continui così ci ripenso.»

«No!» aveva abbaiato. «Scordati che ti tiri indietro adesso, cazzo! Ma… davvero? Sul serio vuoi che venga a cena a casa tua, con i tuoi presenti?»

«Be’, ho pensato… che così non si insospettiscono se ti nomino. E ultimamente sta capitando anche troppo spesso, devo dire…»

Mamoru aveva soprasseduto sui motivi e aveva soprasseduto anche sul fatto che non sarebbe stato introdotto come “fidanzato”: l’idea che Yuzo facesse un altro, enorme passo dopo quanto accaduto la sera del loro anniversario, lo aveva predisposto così bene, da farsi scivolare qualsiasi cosa.

«Certo che vengo a cena da te!» aveva risposto con l’entusiasmo a mille.

Ora tutto quell’entusiasmo era stato riconvertito in ansia. Aveva sempre pensato a cosa potesse significare per Yuzo, che non si era mai domandato che effetto avrebbe avuto su di sé. E l’effetto era più grande del previsto.

Si era fatto un’idea tutta sua della famiglia di Yuzo. Un’idea molto bella, in verità. A parte la pecora in technicolor di suo fratello, ma okay, nessuno era perfetto.

L’unica volta in cui aveva varcato i cancelli di casa Morisaki e aveva adocchiato l’interno aveva colto quel profumo di cucina tradizionale che gli aveva ricordato casa di Urabe o Ishizaki.

Accoglienza, calore. E questi fantomatici genitori che, per quanto attenti, restavano un po’ tonti per non aver capito che i loro figli fossero omosessuali – cioè, Yuzo sicuro, Shuzo era un jolly pure lì.

Un poliziotto e una sarta.

E lui non aveva idea di come avrebbe dovuto presentarsi ai loro occhi.

Gli Izawa erano tutto tranne che tradizionali e quel nome si portava dietro un sacco di dicerie non sempre lusinghiere a causa del lavoro di suo padre.

Sbuffò, le mani ai fianchi e la testa che veniva scossa nel pensare che anche il suo abbigliamento fosse sbagliato. Troppo elegante, troppo frivolo, troppo chic, troppo grezzo, troppo snob.

Un lieve colpetto alla porta gli fece alzare il viso.

«Piantala, Sen! Ti ho detto di non rompere!»

«E io posso?»

Mamoru sollevò le sopracciglia nel riconoscere la voce di sua madre. Andò ad aprire e Mae aveva con sé un vassoio con del tè caldo e un sorriso curioso che non snudava i denti, ma le andava da un orecchio all’altro, mentre sbatteva le ciglia.

«Mi fai entrare?»

Mamoru inarcò un sopracciglio con ironia davanti a quelle tattiche nemmeno tanto velate. Svirgolò un sorriso e si fece da parte, richiudendo però subito la porta.

«Non essere cattivo con Sen,» ridacchiò Mae, mentre appoggiava il vassoio sulla scrivania.

«Mi sta dando il tormento e non è giornata.»

«Be’, tu glielo dai sempre; lascia che lo faccia un po’ anche lui, qualche volta.»

Mamoru alzò gli occhi al cielo. Mae lo squadrò dalla testa ai piedi.

«È una cena o un funerale?» chiese andando a segno già al primo colpo.

«Troppo nero. Lo so.» Sospirò, liberandosi della giacca e poi lanciandola sul letto, dove aveva ammonticchiato la qualunque.

«Non essere tanto formale, vai a casa di un amico. A casa degli amici non è richiesto il dress code

«Sì, lo so. E in un’altra occasione nemmeno starei qui a fare le prove.»

Mae gli porse la tazza col tè. «Allora qual è il problema, tesoro? Non ti ho visto in giro nemmeno mezza volta da stamattina se non per la colazione.»

Mamoru abbandonò la tazza sulla scrivania, si appoggiò con una mano contro il bordo e portò l’altra al fianco. «Io stasera sarò a cena da Yuzo, con i suoi genitori, che mi vedono per la prima volta.»

«Sono sicura che si ricorderanno di te in tutti questi anni che avete passato insieme a scuola e in squadra.»

«Sì, ma è la prima volta che ci parliamo, okay? E loro sono molto tradizionali, okay? Mentre io vengo da voi, che vi ricordate di essere tradizionali solo a piccole dosi, okay?»

«E allora? Non è un punto di demerito.»

«Lo so! Io adoro che non siamo ultraconservatori! Non sto dicendo questo, però… Suo padre è un poliziotto e…» girò in tondo e poi si fermò, di nuovo le mani ai fianchi. «E se non gli piacessi? Yuzo tiene tantissimo alla sua famiglia…»

«Hai paura che se non piaci ai suoi, lui possa tagliare i ponti con te? Yuzo non mi è sembrato il tipo che si fa dire dai genitori chi deve frequentare. E comunque non dimenticare che vai lì solo come suo amico.»

«E so anche questo!» sbottò, alzando le braccia al cielo e poi facendole di nuovo precipitare in basso.

Sua madre assottigliò il sorriso. «Ti infastidisce, vero?»

«Un po’…» ammise. «All’inizio ero così contento che me lo avesse chiesto che mi ero detto: “Ma sì, che importa?”.»

«Però ti importa eccome.»

«Mi sembra di cominciare con il piede sbagliato, non essendo onesto con loro.»

«Questo non dipende da te. È una scelta di Yuzo, lui ancora non si sente pronto, e non c’è nulla di sbagliato nel non essere del tutto onesti.»

Mamoru incrociò le braccia al petto, guardò la punta delle proprie pantofole. «Quasi non mi sembra vero che me lo abbia proposto sul serio, sai? Credevo di dover aspettare ancora chissà quanto, e invece…» alzò gli occhi su sua madre. «Non voglio rovinare tutto.»

«È la prima volta che ti sento dubitare tanto di te stesso e delle tue capacità di piacere agli altri.» Mae gli strinse il ginocchio. «Tu piaci a tutti.»

«Non a suo fratello, e siamo già nella ristretta cerchia della sua famiglia…»

«Oh, ma io sono sicura che piaci anche a lui. Solo che è molto geloso, da come lo hai descritto. Non vuole dartela vinta.»

Mamoru avrebbe voluto che sua madre avesse ragione, ma non ebbe il coraggio di dirle che Shuzo lo schifava proprio. Magari aveva pure una bambolina voodoo con la sua faccia da infilzare all’occorrenza.

Mae terminò il suo tè, e poi si alzò, per sistemargli il collo del maglioncino che, alla fine, non avrebbe indossato comunque. «Non devi fare niente che non faresti quando sei con me e tuo padre, tesoro. I genitori di Yuzo sono, appunto, genitori, sanno aspettarsi molte più cose di quante credi. Non devi fare altro che andare lì, comportarti come faresti con Hajime o Teppei e le loro famiglie e non ci sarà alcun problema.» Gli pizzicò il mento. «Nessuno resiste agli Izawa.»

Finalmente, sulle sue labbra fece capolino il primo, vero sorriso della giornata. «Quindi cosa consiglia la mia stilista di fiducia?»

«Di cominciare col saltare fuori da questo abbigliamento da fighetto di Rappongi, ed entrare in un paio di jeans.»

 

«Quindi viene davvero.»

«Certo che viene, credevi fosse una bugia?»

«No, tu non ne dici… circa. Solo che questa… cavolo è grossa.»

Yuzo emise uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo. «Cosa ci sarebbe di “grosso” nell’avere un amico a cena?»

«Il fatto che lui sia stato per anni la tua nemesi e che, ora, non siete solo amici?» Shuzo assottigliò il sorrisetto sardonico che aveva stampato in faccia da quella mattina. A dirla tutta, lui mica ci aveva creduto che l’otto-mano andasse davvero a casa loro. Insomma, credeva che Yuzo l’avesse sparata alta e invece… invece avrebbero avuto proprio un dannato Izawa al loro tavolo, quella sera. A cena. «Senti, non vuoi proprio dirmi che è successo a Natale? No, perché sei tornato con la stessa faccia da ebete che avevi dopo il ritiro dell’anno scorso. Quello in cui ti sei fatto impalare dalla piovra umana.» Shuzo girò il dito nell’aria. «E quando hai quella faccia significa che è successo di nuovo qualcosa di molto bello. Non penso sia essersi fatti impalare ancora, visto che è diventata la prassi. Quindi?»

«Sai dire le cose in una maniera davvero di merda, bro. Spero tu lo sappia.»

«Io so tutto. O quasi. Questa di Natale non la so, ma c’entra con la scelta di portare il maniaco sessuale a casa.» Si portò alle spalle del fratello e iniziò a scuoterlo forte con un sorriso larghissimo, mentre entrambi si guardavano riflessi nello specchio della loro camera. «Facciamo coming out, stasera?!»

«No!» Yuzo si divincolò come un’anguilla e lui piegò le labbra in una smorfia delusa. «Sei pazzo? Non faremo un accidenti! È solo… solo una cena. Con amici. Quante volte ho portato gli amici a casa?»

«Che barba.»

«Però…» Yuzo si appoggiò allo specchio, cincischiando con uno dei lacci della felpa, senza guardarlo in faccia e con una nota di colore che gli attraversava le guance. «… qualcosa di bello è successo davvero e quindi, ecco, mi sembra… sì, mi sembra giusto che io inviti Mamoru a cena per iniziare a presentarlo anche a mamma e papà. Insomma, loro conoscono praticamente tutti i vecchi amici di scuola, tranne lui. Non sarebbe sospettoso se mi sentissero parlare sempre di Mamoru e non sapessero nemmeno che faccia ha?»

«Dimentichi che mamma e papà hanno già sentito il nome Izawa pronunciato dalla tua bocca, prima che iniziassi a rotolartici tra le lenzuola.»

Yuzo agitò una mano. «Figurati se se lo ricordano? Andiamo! È passato un sacco di tempo.»

«Era lo scorso anno.»

Ma suo fratello o faceva orecchie da mercante o era davvero convinto che i loro genitori fossero degli ingenui. Oh, se solo avesse saputo che suo padre era a conoscenza anche di quante mutande aveva l’otto-mano nel cassetto della biancheria gli sarebbe venuto un colpo secco. Ma Shuzo, checché ne pensassero tutti, era un bravo fratello e al suo ci teneva tantissimo, quindi si sarebbe tenuto la lingua infilata nel culo. Più o meno.

«E tu!» nemmeno l’avesse letto nel pensiero, Yuzo gli agitò l’indice sotto al naso. «Guai se dici qualche stronzata e lo metti in imbarazzo,» poi si corresse: «e ci metti in imbarazzo. Chiaro? Sfiata più del dovuto e ti strozzo.»

«Adoro quando diventi minaccioso. Significa che ti ho insegnato bene.»

«Il cazzo. Significa che non devi scherzare, ti avverto. Mi hai sottovalutato una volta, devo ricordarti com’è finita?»

«Con te che il lunedì ti sentivi in colpa e mi stavi attaccato come una cozza, con tanto di fantasie porno-incest nella mente di quel poveraccio di Kishida,» chiosò Shuzo, serrando le braccia al petto.

E per quanto Yuzo cercasse di mantenere minaccioso il suo indice, sbottò a ridere e gli crollò sulla spalla. «Poveraccio, Takeshi. Non so se si abituerà mai ad averci insieme sotto lo stesso tetto.»

Anche Shuzo sghignazzò e avvolse le spalle di suo fratello con un braccio.

«Però dico sul serio, bro,» aggiunse Yuzo. «Ti prego, non renderla peggiore di quanto potrebbe essere. D’accordo? Mamma e papà non devono… non devono sospettare niente.»

«Farò del mio meglio, mi morderò la lingua…» ma ogni buon proposito si infranse sullo squillo del citofono che indicava che il loro ospite era appena arrivato. Shuzo lanciò un’occhiata a Yuzo, serrando appena un po’ la presa e aprì un sorriso storto dei suoi. «… dopo averlo torturato qualche minuto. Bye!»

Con una mossa di quelle che l’Ispettore aveva insegnato a entrambi, mollò la presa e spinse suo fratello sul letto, per potersi lanciare dabbasso a rotta di collo, scendere le scale come la cavalcata di tutte le valchirie insieme.

«Shuzo!» sentì ululare alle sue spalle da quella povera anima pia di suo fratello e praticamente fregare il pulsante da sotto le dita di sua madre che era andata per rispondere.

«Mio!» esclamò, facendola sobbalzare.

«Ehi! Ma che modi sono? Giovanotto, vedi di non fare il solito casino, stasera. E non mettere in imbarazzo tuo fratello con il suo amico!» Sua madre aveva gli occhi stretti come due fessurine e la bocca arricciata nella massima espressione cupa che sapesse fare, mentre gli agitava sotto al naso la paletta del riso. «È la prima volta che viene qui, ed è pure figlio degli Izawa: non facciamo subito vedere che abbiamo anche un figlio scemo!»

«Mamma!»

«Oh, non fare la vittima!»

«E tu non ferirmi con tanta leggerezza! Io sembro un carrarmato, ma ho un cuoricino di burro!» le urlò dietro, mentre lei tornava in cucina.

«Di burro, certo. Rancido!»

Shuzo rise a denti stretti e naso arricciato. Si passò la lingua sulle labbra e si preparò ad accogliere il loro polipesco ospite.

 

«Fesso all’ingresso?» gracchiò una voce inconfondibile.

Mamoru alzò gli occhi al cielo, affondando di più la mano nella tasca del giaccone imbottito. Non era riuscito a scaldarle per tutto il tragitto a causa del nervosismo, e iniziare in gloria proprio con il suo Nemico Numero Uno non sapeva se lo mettesse più a suo agio o viceversa.

«Non citare gli anni ’80 come se ci fossi vissuto.»

«Oh, ma vedo che anche tu sai cogliere citazioni degne di questo nome. Vuoi fare colpo anche su di me, già che ci sei? Se speri di poterti lavorare i miei, fighetta, caschi proprio di merda, io ti ho avvisato.»

«Io non voglio lavorarmi niente e nessuno, per chi mi hai preso? Non mi chiamo Shuzo.»

«Oh, andiamo! Sai fare meglio di uno “specchio riflesso”.»

«Specchio riflesso senza ritorno?»

«Spero non siano solo queste le tue cartucce.»

«E io spero che tu voglia farmi entrare o vuoi lasciarmi a congelare le chiappe?»

«Mhhh… a volte sai avere davvero delle ottime idee.»

Mamoru esalò un sospiro e con esso una lunga nuvoletta di vapore. «Senti, brutta copia di un Morisaki, io sono venuto in pace stasera. C’ho anche il calumet.»

«Oh, fighetta… se potessi dirti anche solo la metà delle battutacce che… ahio! Ahio! Bro, piantala! Brooo!»

«E tu vuoi vedere la metà delle cose che vorrei farti, scemo? Ti avevo avvisato!»

«Shuzo! Piantala di dare fastidio a tuo fratello!»

«Ma è lui che mi sta picchiando, mà!»

«E ne ha motivo!»

Mamoru fu costretto a coprirsi la bocca con la mano per non sbottare a ridere fortissimo nel citofono, col rischio che lo sentissero tutti dall’altra parte. Ma dentro, dentro stava esplodendo.

Per magia, il cancelletto si aprì con uno scatto e lui, per la seconda volta, mise piede in territorio Morisaki e riconobbe tutto.

Riconobbe il giardino, la casa, il portico con il dondolo. Addirittura quello che si era detto con Shuzo, le minacce che erano volate. E ricordò il calore che veniva dall’interno, il profumo del cibo.

Avanzò per il vialetto e sulla porta trovò Yuzo che lo aspettava.

Questa volta non l’avrebbe aspettato fuori.

Questa volta avrebbe varcato la soglia di casa.

Mamoru si ritrovò a prendere un respiro profondo e provò uno strano vuoto all’altezza dello stomaco, in cui sfarfallavano un po’ tutte le sue emozioni per quella cosa così semplice e che avrebbe potuto fare migliaia di volte da bambino. Avrebbe potuto essere di casa, come lo erano Takeshi o Ryo o Bear… e invece quella sarebbe stata la prima volta ed era intenzionato a esserlo, di casa, da quel momento in poi.

Tese la schiena, aprì un sorriso, mentre Yuzo scuoteva il capo e si passava una mano tra i capelli corti.

«Perché ovviamente noi qui lo show lo cominciamo a partire dal citofono,» ironizzò il portiere.

«Tanto ormai ci sono abituato,» minimizzò lui con un’alzata di spalle. «Tuo fratello non potrà fare nulla, stasera, per mandarmi di traverso la cena. O mandarla a te. E in quest’ultimo caso non si azzarderebbe mai, quindi sono salvo anch’io.» Salì le scalette del portico e arrivò finalmente davanti al compagno. Gli sorrise come non si fossero visti già il giorno prima. «Ciao.»

«Ciao…»

E nell’aria aleggiava quel bacio che non potevano scambiarsi – o che, almeno, Yuzo non gli avrebbe mai concesso – ma l’elettricità passava dall’uno all’altro anche solo respirando la stessa aria gelida.

Poi Yuzo si accorse del piccolo cartoccio che aveva in una mano e fece per dire qualcosa, quando lui lo anticipò.

«Non ho portato niente di speciale, lo so che avevamo detto. Ma Pooja-aunty ha detto che non sta bene andare come ospite e non portare un piccolo dono, così ha preparato del kesari

«Ti avevo detto che non ce n’era bisogno.»

«È tutta roba handmade. Non ho dovuto comprare nulla, giuro.»

L’altro ammiccò, arricciando le labbra in una smorfietta divertita e poi si fece da parte. «Dai, vieni. Shuzo ti ha fatto congelare anche abbastanza.»

Fu così che Mamoru varcò per la prima volta la soglia di casa Morisaki: con l’enorme stupore negli occhi per scoprire dove e come avesse vissuto fino adesso la sua cotta più lunga e più intensa. L’unica che gli aveva strappato quel chiaro e reiterato “ti amo” dalla bocca e dal petto come nessuno era mai riuscito a fare, e tutte le sue ansie tornarono all’attacco, mentre cercava di tenere a mente le parole di sua madre.

Gli odori furono la primissima cosa contro cui impattò.

A casa sua non erano così forti già entrando oltre l’ingresso, perché l’ambiente era grande e Pooja-aunty teneva sempre le porte chiuse quando cucinava; l’odore non aveva sempre la possibilità di girare per gli ambienti, impregnare i tessuti e i mobili, finanche le pareti.

Lì era tutt’altra faccenda.

L’odore speziato della cucina della signora Morisaki, l’odore della soia, del miso, del tè, delle verdure, della carne, del riso, dell’olio. Sentiva tutto, forte e avvolgente. Dava quella sensazione verace di “casa” che gli era capitato di provare andando da Ishizaki per esempio. O da Tsubasa.

Casa abitata, casa piena di vita e di storia, casa caldissima, più della sua, e molto più piccola ma con tutto.

Tolse le scarpe all’ingresso, si liberò del giaccone che Yuzo mise via e fece qualche passo avanti, senza addentrarsi troppo, per non invadere il regno del portiere e aspettare invece che fosse proprio Yuzo a fargli strada. Il suo sguardo, però, guardò verso il salotto che era proprio accanto all’ingresso, e si fermò sulla figura di Shuzo che restava qualche passo più distante con le braccia conserte e l’aria supponente. Mamoru sogghignò di piacere allo stesso modo, sollevò il mento e nei suoi occhi sperò che l’altro leggesse quel: “Sono nel tuo territorio, che ti piaccia o no. Forza. Prova a mordermi, adesso. Alla gola, mi raccomando”, ben consapevole che non avrebbe potuto farlo. Perché, sì, era nel suo territorio, ma Shuzo era stato messo alla catena dal fratello.

«Gioia! Benvenuto!»

Mamoru ebbe quasi un sobbalzo e tutta la poca sicurezza che aveva acquisito nel confrontarsi – anche se solo visivamente – con Shuzo venne stritolata dall’ansia di trovarsi per la prima volta faccia a faccia con la madre di Yuzo.

Ecco da dove viene quel “gioia”, fu la prima cosa che pensò e la seconda fu che… quella donnina minuta aveva gli stessi occhi di Yuzo. Gli stessi. Stesso colore, stessa forma, stessa espressività. Ebbe l’impressione che se l’imbarazzo fosse stato una sostanza fisica, come dell’olio bollente, lui vi era appena stato immerso dalla testa ai piedi.

La signora Haruko era una donna molto bella, che da giovane doveva aver fatto strage nel cuore del signor Morisaki, proprio come suo figlio aveva fatto terra bruciata nel suo.

Mamoru si profuse in un rigidissimo inchino. «Buonasera, Morisaki-san. Grazie per l’ospitalità.» E le porse il pacchetto con i dolci.

«Ma gioia! Non ce n’era bisogno, il piacere è tutto nostro. È da tanto che Yuzo non porta qualche amico a casa, come ai vecchi tempi della scuola.»

«Sono dolci indiani che ha preparato la domestica della famiglia di Mamoru,» spiegò Yuzo mentre sua madre sbirciava l’interno della busta con aria furba e labbra strette per la curiosità.

«Ma che meraviglia! Non ne ho mai assaggiati! Voi andate pure di là, ragazzi. Yu-chan, perché non fai vedere casa al tuo amico Mamoru?»

«Ah, ma… ti aiuto prima ad apparecchiare la—»

«Nah!» la signora Haruko agitò una mano. «A quello ci penserà tuo fratello.» E l’occhiata eloquente che saltò ben oltre le loro spalle per infrangersi sulla figura più distante di Shuzo, gli fece aprire un sorriso trionfante dentro al petto che però non mostrò all’esterno. Però fu certo che Shuzo glielo lesse negli occhi, quando gli passò accanto – tra lui e Yuzo – e i loro sguardi erano incollati in maniera omicida.

«Uno a caso, vero, mà?»

«Non lamentarti. Yuzo ha ospiti, tu sei in panciolle: si chiama logica perché “ordine di tua madre” era troppo lungo. Fila!»

«Vieni,» gli disse invece Yuzo, invitandolo a seguirlo. «Ti mostro il resto. Anche se non c’è chissà quanto da vedere,» aggiunse in tono più basso.

Mamoru gli diede una leggera spinta e gli tenne dietro. Ma che ne poteva capire, il suo portiere, che lui invece fremeva all’idea di imprimersi ben a mente ogni angolo di quella casa?

Quante volte, quando vi era passato davanti, era rimasto a fissare quel muricciolo che la cingeva come una sorta di barriera cui gli era precluso l’accesso? Tipo le mura dei castelli, il fossato con i coccodrilli e così via. Aveva sempre cercato di sminuire l’importanza di quel posto nella sua testa, e l’importanza di Yuzo nel proprio cuore. Era stato fortunato che abitassero in quartieri diversissimi e che quindi non era una zona che bazzicava spesso, altrimenti sarebbe stata una stilettata continua al proprio orgoglio e ai propri sentimenti.

Ora, invece, che era riuscito a far abbassare il ponte levatoio e gli era stato concesso di girare per le stanze di quel maniero in miniatura, non voleva perdersi neppure la ragnatela nell’angolino della parete.

Mamoru guardò con interesse il salotto che fungeva anche da sala da pranzo. C’erano un paio di divani messi ad angolo e che puntavano alla televisione incassata nel mobile che prendeva una parte della parete. Mobile dentro cui non faticò a riconoscere gli stessi trofei che aveva a casa anche lui, tant’è che vi si soffermò davanti con un sorriso.

«Angolino dell’orgoglio materno,» giustificò Yuzo al suo fianco, con un po’ di imbarazzo.

«Non penso sia orgogliosa solo lei dei tuoi successi.» Tra le medaglie e le coppe, c’erano anche un sacco di fotografie, accatastate un po’ l’una sull’altra, per riuscire a farcele stare tutte. Bambini identici che si tenevano per mano con le divise dell’asilo, mamma e papà in mezzo a loro, foto in cui erano separati, in cui crescevano a vista d’occhio e si differenziavano in tutto il resto a partire dalle espressioni, poi gli abiti, poi le smorfie, poi i sorrisi. Yuzo e Shuzo sorridevano in maniera diversa anche se simile per certi aspetti, come la famosa arricciatura del naso. Poi foto di Yuzo con la squadra, una stampa venuta dritta dagli scatti ufficiali del World Youth e che lo emozionò nel pensare che, seppur distanti, erano insieme. Insieme nella vetrina di famiglia. Sapeva tanto di premonizione. Fece per passare oltre, ma si fermò, perché non c’erano solo trofei dai titoli a lui familiari, lì dentro.

«Aspetta e questo? “Premio Nazionale di Disegno per Scuole Elementari”? Primo classificato…» poi lesse sotto e sgranò gli occhi. «… Shuzo Morisaki?!»

«Cosa credi? Che di campione in famiglia ce ne sia uno solo?» scherzò Yuzo, indicando le altre targhe che portavano il nome del fratello.

«Lo ha vinto tre volte di fila alle medie? Stai a vedere che allora è bravo sul serio.»

«Certo che lo è!»

«Be’, non ho mai visto un suo disegno, quindi non—»

Yuzo rise, col pollice si indicò alle spalle. «Ma se ne hai uno gigante davanti agli occhi.»

Mamoru spostò lo sguardo e, di nuovo, restò di stucco.

Dietro di loro, oltre il tavolo da pranzo, una tela occupava una striscia rettangolare della parete.

«È il lavoro con cui ha vinto all’ultimo concorso cui ha partecipato, in terza media.»

Ed era incredibile che fosse uscito dalla mano di un ragazzino. Lui non era un esperto, ma come stile non aveva niente a che vedere con i lavori del padre di Misaki o con l’arte classica giapponese. Il pannello aveva colori caldissimi e fiori che accompagnavano una figura centrale, che sembrava uscita da chissà quale libro di favole. Non avrebbe detto se maschile o femminile, ma di sicuro era asiatica: si riconosceva dagli occhi, dai capelli. Però aveva corna di cervo piene di catenelle d’oro e il naso dalla punta nera. Come un animale antropomorfo. Il colore dominava sulle linee di contorno, che seguivano solo gli esterni di ogni figura, ma non ne sottolineavano i dettagli interni. Poi fiori, cerchi, cornici. Quello stile, Mamoru lo ricordava, lo aveva visto in una particolare campagna pubblicitaria di suo padre; aveva usato dei pannelli proprio con quella struttura.

«Art Nouveau…»

«In salsa nippo-fantasy, sì.»

«Cavolo che fantasia,» gli toccò ammettere.

«Oh, mio fratello ne ha a pacchi.»

«Ma…» Mamoru si volse, «… hai detto che non ha più partecipato. Perché? È bravissimo!»

Yuzo sollevò le spalle. «Dice che le competizioni servono solo a far fare la ruota alla coda di pavone che ogni artista si porta dietro. Parole sue.»

Mamoru scosse il capo e alzò gli occhi con rassegnazione. Poi allungò il collo verso il corridoio che si approfondiva alle spalle della cucina.

«Di là ci sono il bagno e il piccolo laboratorio di mia madre. Dove fa i suoi lavori da sarta.»

Mamoru si illuminò. «Posso vederlo?»

Yuzo si grattò un sopracciglio. «È un po’ in disordine…»

«Perché tu non hai visto lo studio di mia madre. Stoffe ovunque, scampoli, campioni. Il povero manichino non binary che ha metà gamba con un pantalone e l’altra metà con una gonna…»

Alla fine, Yuzo si convinse e gli fece strada fino alla porta del laboratorio della signora Morisaki, che si trovava proprio sul fondo dell’andito. L’interno si presentò esattamente come l’aveva immaginato: una versione ridottissima dello studio di sua madre, ma senza il grande tavolo da disegno su cui lei dava forma ai modelli delle sue collezioni. C’era però un tavolo con una macchina da cucire, tre manichini e scaffalature che correvano lungo tutte le pareti, dentro le quali erano appoggiati rotoli di stoffe, scatole a non finire, faldoni di cartamodelli. L’odore dei tessuti gli era familiare e gli strappò un sorriso. Era certo al cento per cento che sua madre e la madre di Yuzo sarebbero andate d’accordissimo. Erano le due facce della stessa medaglia, si occupavano di cose complementari. Punto, punto e punto a suo favore.

«Te l’avevo detto che era piccola e disordinata. Shuzo ha preso da lei su questa cosa.»

«E allora? Piacerebbe un sacco a mia madre!»

Insieme tornarono nel salotto, dove la Malerba della famiglia Morisaki stava apparecchiando e scoccò loro un’occhiata dubbia. «Oh, vedo che non perdete tempo a rintanarvi nel primo ripostiglio che trovate.»

«Giuro che mi fai venire voglia di rimangiare ogni complimento che ti ho fatto fino adesso.»

«E quando me ne avresti fatti, sentiamo?» chiosò l’altro con una mano al petto.

«Vedi che Mamoru te ne ha fatti davvero. Ha visto il quadro,» spiegò Yuzo.

L’altro storse le labbra in una smorfia. «Mi domando perché mamma e papà si ostinino a tenere quella crosta ancora appesa.»

Ma prima che Mamoru potesse dirgli che c’era gente disposta a pagare anche migliaia di yen per quella “crosta”, vide Yuzo alzare gli occhi, come se fosse un discorso vecchio e non gli diede corda.

«Perché piace a tutti, tranne che a te. E la maggioranza vince. Fine.» Lo superò, gli diede un colpetto alla spalla e poi gli fece cenno di seguirlo al piano di sopra.

«Attenti che vengo a controllarvi quando meno ve lo aspettate,» aggiunse Shuzo mentre erano a metà della scalinata.

Yuzo si affacciò come una furia, a denti strettissimi. «Piantala!»

«Ho detto che avrei fatto il bravo – forse – a cena. Non stiamo ancora cenando…»

«Questo è il secondo avvertimento…»

«Al terzo cosa vinco?»

«Tu non vuoi saperlo. Credimi

«Okay, okay! Time out!» Mamoru prese a spingere Yuzo verso il piano di sopra, anche se si manteneva ancora riluttante, poi rivolse un’occhiataccia a suo fratello mimando un “lascialo in pace” solo con le labbra. Shuzo gli rispose con un bacio volante per cui l’avrebbe preso a cazzotti.

«Sarà una cena da incubo,» sbuffò Yuzo.

«Ah, quindi come ogni volta che vengo a trovarti a Shimizu-ku e c’è lui tra i piedi?»

Si guardarono. Il portiere sciolse un piccolo sorriso rassegnato e gli indicò le varie camere.

«Sul fondo c’è la stanza dei miei, di fronte c’è la camera per gli ospiti, bagnetto piccolo e questa è la stanza mia e di mio fratello,» concluse, indicando proprio la prima porta sulla destra.

«Aspetta, fammi capire: avete una stanza per gli ospiti, ma tu e tuo fratello dormite nella stessa camera? Non mi tornano i conti…»

«Ah, lascia stare.» Yuzo si appoggiò alla maniglia. «È chiaro che quella avrebbe dovuto essere camera di mio fratello, ma non è durato più di una notte. La seconda me lo sono ritrovato qui che dormiva nel suo letto; seconda media.»

«Aw, kawaii ne!»

Yuzo ridacchiò e portò l’indice al naso, per dirgli di mantenere il segreto. «Tanto abbiamo iniziato a viaggiare presto; io soprattutto, per lo sport. È capitato dormissi spesso da amici, lui anche. Durante il liceo eravamo più fuori casa che qui. Dividere la stanza faceva risparmiare spazio.»

E così dicendo, finalmente, Yuzo aprì la porta a quello che era stato l’antro dei suoi sogni più adolescenziali e bagnati possibili. Non avrebbe mai detto che un giorno avrebbe messo piede in camera di Yuzo ed ebbe come la sensazione di ritornare ragazzino per pochi istanti, quelli in cui rimase con gli occhi ben aperti per catturare tutto e vedere quanto riuscisse a sovrapporsi alle sue fantasie.

«E il brevissimo tour di casa mia termina qui,» disse Yuzo con troppa autoironia.

«Hai tenuto il meglio per ultimo.» Mamoru avanzò di qualche passo, mentre il portiere chiudeva la porta alle loro spalle. «Mi sono sempre chiesto come fosse dormire in stanza con qualcuno.»

E gli spazi erano divisi in maniera che avrebbe definito “netta”. Si capiva dove c’era la parte di Shuzo e dove quella di Yuzo.

Calcio dappertutto a partire dai poster alle pareti da un lato, disegni, schizzi e scarabocchi vari o stampe tamarre di film anni ’80 dall’altro. Le scrivanie rispecchiavano un diverso genere di ordine: quello di Yuzo era preciso e metodico, quello di Shuzo aveva del missilistico… dopo che il missile era passato, però.

«Wow! Quanti libri! Faresti concorrenza alle librerie che abbiamo a casa!» I volumi erano ovunque, impilati su mensole che rischiavano di spezzarsi da un momento all’altro e crollare sulle scrivanie, o a terra in ogni angolo libero.

«Guarda che la maggior parte sono di Shuzo, è lui il lettore forte tra noi. E quello meno tecnologico. Io vivo di e-book, lui di carta.»

Mamoru si volse, mentre faceva scorrere le dita sui dorsi dei volumi; gli rivolse un’occhiata provocatrice. «Sì, ma la foto dei tuoi sogni erotici dove l’hai nascosta?»

Le guance del portiere divennero porpora; lui sorrise con piacere.

«Allora te la sei ricordata…»

«Certo! Le cose importanti non le scordo mai. Forza, fammela vedere. Sono curioso.»

Yuzo si avvicinò alla sua scrivania, quella più vicina alla porta. Staccò una vecchia foto che aveva appiccicato al muro con lo scotch e che lo ritraeva assieme a suo fratello e fece scivolare un’altra fotografia da dietro.

Mamoru si riconobbe subito, con il suo sorriso troppo spavaldo e che guardava dritto in camera in maniera sfacciata. Ricordò di stare provocando Sanae, che cercava di coglierlo mentre era distratto e più naturale possibile, ma non ci riusciva mai: lui riusciva sempre a trovare l’occhio della macchina fotografica di Anego e la affrontava senza timore, anzi.

Con il braccio si appoggiò alla spalla di Yuzo e avvicinò le labbra all’orecchio.

«Quante volte hai desiderato che io ti guardassi in questo modo?» Mamoru fece scivolare quel sussurro suadente, mentre con la mano libera gli afferrava il pacco in una stretta che voleva provocare più dei suoi occhi.

Yuzo sobbalzò e ne allontanò la mano. Aveva gli occhi sgranati e guance rosse come ciliegie. «Che cazzo fai?!»

«Eddai, fatti stuzzicare un po’. Sono nel pieno di un mio sogno erotico, voglio godermelo.»

«Sogno… cosa? E quale sarebbe?»

«Ma trovarmi in camera tua con te, che domande,» ammise allargando le braccia e compiendo un giro su sé stesso. «Sai quante volte l’ho immaginato? Volevo davvero vedere dove vivessi e come.»

«Anch’io avrei… voluto portarti qui, già da tempo.» Il portiere abbassò lo sguardo, una mano scivolava dietro la nuca, toccando la base dei capelli corti. Mordicchiò l’interno della guancia e poi gli lanciò un’occhiata da sotto in su. «E in questo tuo sogno… cos’è che facevamo?»

Mamoru lo raggiunse. Gli poggiò le mani sui fianchi senza stringere né farlo sentire in trappola: era una presa morbida dalla quale potersi divincolare in fretta, ma non si risparmiò di sfiorargli il naso col proprio. Aveva solo bisogno di essere avvicinato in maniera non troppo diretta, ora che erano in quello che il portiere considerava il proprio castello e non erano da soli. Ma pur con tutta la sua ritrosia dovuta alla presenza della madre e del fratello, negli occhi non faticò a leggere lo stesso brillio eccitato che attraversava anche le sue iridi. Glielo aveva letto anche quando l’aveva allontanato: i gesti contraddicevano i voleri. C’era un po’ di battaglia là dentro, e anche se aveva fatto un grande passo avanti, la catena di quella facciata che sentiva di dover vestire non aveva allungato troppo gli anelli.

Lui però non voleva farglielo pesare, non quella sera. Quella sera doveva essere perfetta. Ma un anello alla volta, gliel’avrebbe spezzata, quella catena. Doveva solo lavorarci in modo che la mente di Yuzo non se ne accorgesse e non potesse mettersi sulla difensiva.

«Oh, se solo me lo permettessi, te lo farei addirittura vedere,» sussurrò.

«Mamoru…»

«Una sveltina. Mi basterebbero venti minuti per farti godere.»

«Sicuro di te da far schifo,» ironizzò il portiere. Lui sollevò il mento con fierezza.

«Perché so andare dritto al sodo, quando voglio. E con venti minuti mi sono anche tenuto largo.»

«Sei uno sbruffone come mio fratello, sappilo.»

«Urgh. Ecco, mi si è ammosciato in un attimo.»

Yuzo sbottò a ridere in quel modo meraviglioso che sapeva arricciargli il naso e che lui cercava di provocare in ogni modo possibile quando erano insieme, perché celava un incantesimo di cui non si sarebbe mai stancato.

Mamoru lo lasciò andare e si tirò indietro di un passo, inarcando un sopracciglio. «Comunque non farmi credere che mi volessi in camera tua solo per mostrarmi la collezione di farfalle che neppure vedo.»

«Ovvio che non ti immaginavo qui con me a prendere il tè come le vecchiette!»

«E allora per fare cosa?»

«Le stesse cose che avresti voluto fare tu, suppongo, anche se il mio letto non è grande come il tuo.» Yuzo ammiccò lanciando un’occhiata al materasso a una piazza.

Anche Mamoru lo valutò, ma lui era sempre stato un tipo pratico e adattabile. «Ci saremmo stati comodi lo stesso. Io su di te, tu su di me… spazio perfetto.»

Yuzo rispose con un’alzata d’occhi e un sorriso, poi però torturò le labbra con gli incisivi. Lo sguardo elusivo. «In verità… ci sarebbe una cosa che potremmo fare anche adesso.»

Lui strinse gli occhi. «Illuminami, Morisaki.»

Yuzo diede un’occhiata alla porta, rimase in ascolto, ma non proveniva alcun rumore dall’esterno. Poi lo afferrò per il maglioncino e se lo tirò addosso. Le labbra intrappolate all’improvviso dalle sue che non volevano perdere tempo, ma stringevano e poi si aprivano, chiedendo l’accesso. Glielo concesse in un attimo.

Mamoru nemmeno contò quanti baci si dessero con un solo respiro, ma di sicuro superarono la loro soglia massima. Tanto che pensò di esser pronto a togliergli i vestiti e farlo davvero sul suo letto. Ma quando si separarono per riprendere fiato, tornò anche la lucidità, ma non la distanza.

Mamoru si passò la lingua sulle labbra umide per catturare tutto del suo sapore. «Pomiciare in camera tua… mi piace come idea. Potrebbe essere un buon aperitivo…»

Ma il tonfo di passi, fin troppo decisi, davanti alla porta fece trattenere il fiato a entrambi. Sospirarono solo quando li sentirono ritornare e passare di nuovo oltre almeno due volte. Come se qualcuno lo stesse facendo di proposito. E non avevano nemmeno bisogno di ipotizzare il nome di questo “qualcuno”.

«Antipasto, primo, secondo e pure dessert,» borbottò Yuzo, lasciandolo andare e lisciando il tessuto del maglione, lì dove aveva stretto.

Mamoru rise. Prese una piccola distanza dal suo portiere, per fingere di fare gli “amici”. Lo sguardo spostato per la stanza catturò un nuovo angolo della scrivania che prima non aveva notato, mentre vedeva Yuzo mettere a posto la famosa fotografia. Lì accanto, attaccati alla parete del mobile a ponte posto sopra la scrivania, c’erano dei fogli pieni di schizzi fatti a matita. Potevano essere solo di Shuzo. «Ma… sei tu.»

«Sì, mio fratello mi prendeva spesso come modello. Diceva che era più comodo che perdere tempo dietro un autoritratto, tanto abbiamo la stessa faccia.»

Mamoru rimase affascinato. Lo schizzo ritraeva il modo perfetto in cui Yuzo sapeva ridere, con tanto di grinzette sul naso. «Posso tenerlo?» chiese senza pensarci.

Yuzo non nascose la sorpresa. «C-certo… se vuoi…»

«Grazie!» Mamoru lo ripiegò con cura e lo tenne tra le mani.

«Quando avete finito di slinguarvi come in un film porno di liceali infoiati, portate giù il vostro culo. Papà è tornato e la cena è pronta.»

«Shuzo, accidenti!» sbottò Yuzo guardando verso la porta come se avesse voluto fulminarla. «Ti ho detto di finirla! Ti farai sentire!»

«E non saresti più contento? Problema risolto, senza tutte queste sceneggiate.»

«Decido io quando e come! Vorrei fare coming out, non outing! Ti spiace?!» Quella frase gli uscì ringhiata tra i denti digrignati e, questa volta, le guance erano rosse non per l’emozione o la vergogna, ma per la collera.

Mamoru gli poggiò una mano sul braccio e Yuzo abbassò il viso, passando la mano dietro la nuca con nervosismo malcelato. Dall’altra parte della porta chiusa non provenne nulla, se non il rumore di passi che si allontanavano dopo qualche secondo.

«Mi sta dando il tormento da questa mattina.»

«Lo sai che non farà nulla. Quante volte sei stato tu a dirlo? È solo un provocatore, lo fa apposta. Ma non farà un fiato davanti ai tuoi.»

Yuzo lo guardò con le sopracciglia aggrottate. Poi esibì un sorriso più timido e che sembrava ringraziarlo per quella piccola dose di conforto e incoraggiamento. E dire che quello che avrebbe avuto bisogno di essere incoraggiato era proprio lui, dopotutto.

«Forza, scendiamo. Sono davvero curioso di conoscere tuo padre.»

 

«Okay, e per quanto riguarda il rapporto sulla rapina di ieri? Spero di trovarlo sulla mia scrivania domattina. Molto presto. E io attacco alle otto. Devo essere più specifico, detective Sakamoto?»

Baiko chiuse la telefonata con un’alzata d’occhi nel momento in cui aprì la porta di casa e l’odore del pollo fritto gli fece disegnare un ampio sorriso sulle labbra, che non scomparve – ma prese una piega storta simile a quella che di solito piegava le labbra di Shuzo – quando si accorse di scarpe “estranee” ferme nel genkan. Il loro ospite era già arrivato.

«Tadaima,» disse liberandosi in fretta del cappotto e della sciarpa.

«Quando vuoi sai arrivare presto pure tu.» Si sentì rispondere con un certo sarcasmo.

Baiko allungò il collo e inquadrò Shuzo appoggiato alla base delle scale e pronto a salire. «Un “okaeri” sarebbe stato sufficiente.»

L’altro ridacchiò e salì con calma al piano di sopra.

Di Yuzo e del famoso “amico” non c’era traccia.

Come un’anguilla sgusciò in cucina e trovò Haruko che stava iniziando a preparare i piatti.

«Allora?» bisbigliò a braccia aperte e fare furtivo. «Dov’è?»

Sua moglie ridacchiò. «Yuzo gli sta facendo vedere casa. Sono saliti di sopra.»

«E com’è?» Baiko sistemò la cravatta e aprì il bottone della giacca. Appoggiò la mano al fianco dove il distintivo e la fondina con la pistola erano ancora al loro posto.

«Educatissimo. Ci ha anche portato dei dolcetti.» Haruko indicò un cartoccio ben confezionato, appoggiato sul tavolo. «Sono indiani, li ha preparati la loro domestica.»

Baiko inarcò un sopracciglio. «Niente bottiglia di vino?»

«Oh, eddai! Ricorda che non ce lo sta presentando come “ragazzo”.»

«Okay, okay.» Lui rise, raggiunse i fornelli e sbirciò nelle pentole, prima di girarsi di nuovo. «Come ti è sembrato? Shuzo lo sta già mettendo in croce come al solito? Lo arresto,» minacciò, «per “disturbo della cena di famiglia”.»

Haruko portò le mani al viso. «È bellissimo! Molto più di quanto appare in fotografia. E mi sembra un ragazzo molto a modo. Come il suo fratellino. Educati e di buone maniere. Mi piace,» concluse in un’arricciata di naso.

Baiko ammiccò di nuovo e si allontanò dal mobile. Con un sorriso che diceva tutto e il suo contrario, fece scrocchiare le dita verso l’esterno. «Molto bene. Adesso però deve passare sotto il mio, di controllo.»

«Non provarci, Baiko, o faccio arrestare te, altro che Shuzo! Siete uguali. Non mettete Yuzo in imbarazzo, era già teso così. Questa sarà una cena tranquilla, non voglio che Yuzo e Mamoru si sentano in ansia o sottopressione o convinti di essere stati sgamati. Yuzo non la prenderebbe bene, e lo sai anche tu.»

«Sì, lo so. Lo so. Ne abbiamo già parlato. Sarà lui a dirlo, quando se la sentirà.»

«Esatto.»

«Sperando si decida a farlo, prima o poi.» Baiko incrociò le braccia al petto, assumendo un piglio pensieroso. «Lo dico per lui. Vorrei che la vivesse meglio, almeno con noi.»

«Anch’io, che credi?» Haruko gli passò le mani sulle braccia, guardandolo da sotto in su. «Ma per quanto possa avere un carattere molto malleabile in certe cose, in certe altre è più duro di suo fratello.»

«Il che non è un complimento.»

Haruko gli poggiò un dito sulle labbra e guardò verso la porta della cucina. «Sento che stanno scendendo. Forza, vai di là e mandami Shuzo, così mi aiuta a portare i piatti in tavola.»

Baiko annuì, diede un’altra sistemata alla giacca, ma al momento non era per niente intenzionato a togliere la fondina.

 

«Bentornato, papà!» Yuzo, che lo precedeva sulle scale, fu il primo a salutare. «Niente criminali, oggi? È incredibile che ti abbiano fatto tornare per cena.»

«Mi sono fatto sostituire, e tu e tuo fratello vi siete messi d’accordo per sfottermi?»

Yuzo rise, poi si fece da parte. «Ti presento Izawa Mamoru. Abbiamo fatto insieme buona parte delle scuole.»

Mamoru avanzò di un passo e rimase sorpreso da quanto l’ispettore assomigliasse ai figli. L’altezza, il taglio del viso, del naso. Poi nel sorriso storto e nel sopracciglio inarcato trovò subito Shuzo. Il che non gli piacque per niente, ma cercò di non darlo troppo a vedere.

«Lieto di conoscerla, Morisaki-san.»

«Ah! Izawa! Mia moglie è una fan di tua madre, lo sai?» disse l’uomo, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Con l’altra mano gli fece cenno di prendere posto a tavola. Aveva modi fermi, pareva impartisse ordini anche solo con i gesti e infondeva un’incredibile sensazione di sicurezza.

«Sì, Yuzo me lo ha detto.»

«E ho alcuni suoi abiti che conservo con grande cura,» disse proprio la madre di Yuzo mentre arrivava dalla cucina con le ciotole piene, accompagnata da uno Shuzo che tutto avrebbe voluto tranne che fare il cameriere-per-una-sera.

Mamoru rimase incantato dalla composizione dei katsudon. Sopra il maiale fritto e le verdure, sotto il riso. Poi zuppa di miso, tamagoyaki, ciotoline con gli tsukemono. Una cena tipicamente giapponese; la madre di Yuzo doveva averci lavorato tanto e lui si sentì un po’ in imbarazzo per tutta quella cortesia. Spesso si era trovato con persone che erano gentili con lui solo perché conoscevano il nome della sua famiglia o si aspettavano di ottenere qualcosa da suo padre.

I Morisaki erano diversi.

Il nome Izawa non li influenzava affatto e dopo qualche convenevole di rito, avevano cambiato argomento, mettendolo a suo agio. Non aveva voglia di passare la serata a parlare della sua famiglia, era quella di Yuzo che voleva conoscere.

Quando mise in bocca il primo boccone di riso e maiale scoprì che era buonissimo come l’aveva immaginato e non si stupì che Yuzo sapesse cucinare così bene.

«E quindi tu sei a Yokohama?»

«Sì, signore. Gioco nei Marinos

«Non seguo moltissimo il calcio – per una questione di tempo – ma so che siete messi bene in classifica.»

«Quest’anno dovremmo uscirne almeno quarti.»

«Fortuna…» chiosò Yuzo e lui gli lanciò un’occhiata sbilenca.

«Ti rode ammettere che siamo andati alla grande, uh?»

«Sì, ma tanto non avete vinto.»

«Nemmeno voi, se è per quello.»

Yuzo gli lanciò un’occhiataccia e un mezzo sorriso, ma non replicò.

«Però, che strano…» continuò l’ispettore con aria pensierosa, passando lo sguardo da lui a suo figlio. Mamoru avvertì una goccia di sudore freddo scivolare lungo la schiena. «Vi conoscete da così tanto, e non lo hai mai portato a casa?» chiese infine proprio a Yuzo che per poco non rischiò di strozzarsi con il riso.

La risata di Shuzo partì come un mezzo sbuffo, mentre masticava. «Perché si schifavano come la merda,» disse.

«Ohi, Shuzo! Quante volte ti ho detto di moderare— aspetta.» Il signor Morisaki sgranò gli occhi e gli puntò contro l’indice come fosse stata la canna della pistola che aveva notato subito al suo fianco. «Quindi sei quell’Izawa! L’insopportabile figlio di papà che gli ha dato il tormento a scuola? Insopportabile figlio di papà sono parole di Yuzo, eh, io riporto solo i fatti.» L’ispettore alzò le mani.

Mamoru sudò freddo, e anche Yuzo non se la stava passando bene, in quel momento, mentre borbottava un incerto: «Quindi, ve lo ricordavate…»

«Io te l’avevo detto,» canticchiò Shuzo.

«Sta’ zitto.»

Mamoru girò piano la testa per inquadrare il profilo del suo compagno che non sapeva più dove guardare e aveva il rossore fino alle orecchie. «Hai detto proprio così, uh?»

«I-io… Eravamo piccoli!»

«Io l’avevo capito subito che era lui,» sorrise la signora Haruko, divertita. «Sai, mi sono sempre chiesta perché non andavate d’accordo. Eppure, voi della Generazione d’Oro mi siete sempre sembrati molto affiatati.»

«B-be’, vede…» Mamoru cercò di minimizzare. «Eravamo due bambini, e a quell’età si dicono e fanno un sacco di scemenze.»

«Sì, sì,» confermò Yuzo. «Ci stavamo antipatici…»

«Poi abbiamo cambiato idea.»

«Siamo cresciuti, mà.»

«Già.»

«Sì, e ora sono best friends forever,» chiosò Shuzo, cincischiando con le bacchette nella ciotola e guardandolo lui in particolare da sopra al naso con quel sorrisetto sardonico.

«Anche tu dovresti farteli degli amici intelligenti,» intervenne l’ispettore.

Shuzo aggrottò le sopracciglia. «Ma se ho Masa e Ryuchi!»

«Ho detto intelligenti, infatti.»

«E poi ormai vivo a Shimizu-ku.»

«Quindi non devi farti degli amici anche lì?»

«Non ho tempo, pà. Quel vecchiaccio di Mori è una specie di tiranno.»

«Veramente non mi sembra che la sera tu stia chiuso nel Mori no Kokoro.» Yuzo lo disse con una nota di finta distrazione, mentre pescava un pezzo di tamagoyaki.

«Tu pensa ai fatti tuoi.»

«Fa male quando tocca a te, vero?»

«Ehi! Tra un paio di giorni festeggerete la maggiore età, smettetela di bisticciare,» disse l’ispettore, indicando i figli un indice ciascuno. Poi si concentrò sulla Malerba. «E tu piantala di mentire sempre. Ti ammanetto al tavolo.»

«Non è mentire. Non mi avrai pedinato di nuovo, spero?»

«Ancora?» Yuzo fece eco, guardando suo padre con occhi enormi e terrorizzati. «Non lo avrai fatto anche con me? Avevamo detto che non si spiano i figli!»

«Calmi, calmi! Non ho spiato nessuno!»

«Pedinato?» chiese Shuzo, guardandolo da sopra alla ciotola quasi vuota.

«Nemmeno.»

«Fatto pedinare da qualcun altro?»

«Ehi!» lo ammonì con un’occhiata truce. «Semplicemente, conosco i miei polli, Shuzo. Soprattutto te.»

Il ragazzo appoggiò la ciotola sul tavolo con malagrazia. Si appoggiò allo schienale della sedia con fastidio, e serrò le braccia al petto. «Okay, esco. Ma non significa che ho bisogno di avere le amicizie della vita. Vivo bene anche senza.»

L’ispettore alzò gli occhi al cielo con disappunto e rassegnazione. Shuzo si versò della Coca Cola.

La signora Morisaki, invece, sorrise. «Di sicuro ti sei fatto un ammiratore, però.»

«Oh, ma quelli ne ho a iosa, mamma.» Shuzo sollevò il bicchiere in un brindisi a sé stesso, sogghignò.

«No, dico sul serio. Non sono sarcastica.»

«Ah, sì? E chi?» chiese Yuzo.

Anche Mamoru era curioso e cercò di nascondere una risata infame nel bere un sorso d’acqua. Aveva di quelle battute che avrebbe potuto fare a riguardo. Un ammiratore il tamarro? Doveva essere un altro povero disadattato come lui.

Ma poi la signora Morisaki disse: «Un grazioso ragazzino.»

La risata gli esplose così naturale da fargli risputare nel bicchiere metà di quello che aveva bevuto, mentre l’altra metà gli andò di traverso. Più o meno la stessa reazione che ebbe anche Shuzo. Ci fu un concerto di colpi di tosse che parevano sincronizzati.

«Mamoru, tutto okay?» La mano di Yuzo gli fu sulla schiena, ma in quel momento la sua testa era andata in sovraccarico. Aveva il viso in fiamme, e l’acqua gli era finita nel naso.

«Sì, sì. A posto, io…» e non riusciva a smettere di ridere.

«Vuoi piantarla, Izawa? Cosa ci trovi di divertente?» abbaiò Shuzo con un leggero rossore sulle guance.

«No, è che… sei l’eroe dei bambini. Finirai a girare per le scuole elementari con un mantellino e la maschera?» poi si volse a guardare la madre di Yuzo. «Signora Morisaki, perché non ci racconta che è successo? Sono davvero curioso.»

«Be’, è una storia simpatica.»

«Prima raccontala, poi vediamo se è simpatica davvero!» disse Shuzo, cambiando posizione sulla sedia.

«È successo alcuni mesi fa, ora non ricordo quando. Stavo tornando da casa della signora Kobayashi. Te la ricordi, no?»

«Sì, sì. Poi?»

«Ero carica di buste e mentre attraversavo il parco, se ne è rotta una. Un ragazzino si è offerto subito di aiutarmi. Poteva avere undici o dodici anni…»

Mamoru ebbe un brivido nel pensare che questo povero disgraziato, già traviato dalla tossica esistenza di Shuzo Morisaki in così tenera età, avrebbe potuto essere addirittura il suo fratellino.

«Sì, ma in che senso è un mio ammiratore?» Shuzo gli tolse le parole di bocca.

«Oh, ma niente. Siamo stati importunati da un ragazzo maleducato, questo bambino gli ha risposto per le rime e quando il tizio ha provato a fare la voce grossa, lui gli ha detto: “Toccami e Malerba lo verrà a sapere”. La cosa divertente è che ha funzionato! Quel ragazzaccio ci ha addirittura chiesto scusa, prima di andarsene.»

«Quel marmocchio si è fatto scudo col mio nome? No che non è divertente!»

«Ma se per una volta la nominata pessima che ti porti dietro ci è stata d’aiuto.»

Shuzo gonfiò le guance in uno sbuffo. Mamoru cercò di trattenere le risate, e ringraziò tutti gli dèi che conosceva per il fatto che quello lì non frequentasse più Nankatsu e non potesse fare il lavaggio del cervello a qualcun altro.

Il cellulare del signor Morisaki squillò in quel momento e l’uomo cambiò totalmente faccia prima di rispondere.

«Moshi moshi?» anche il tono della voce si fece più profondo. «Come sarebbe? Avete chiamato Himura?» L’uomo alzò gli occhi al cielo e massaggiò la fronte. «Sì, d’accordo. Mandami l’indirizzo, sarò lì in una ventina di minuti.» Spense la chiamata e poggiò entrambi i palmi sul tavolo, mentre si alzava. «E la mia cena finisce qui.»

«Ma come? Manca ancora il dolce,» protestò la signora Haruko con una punta di delusione.

«Lo so, ma devo andare. Non aspettarmi in piedi, d’accordo.» Poi puntò il dito contro Shuzo. «E tu aiuta la mamma a sparecchiare.»

«Ma mi avete preso per l’uomo di bottega stasera?»

«Obbedisci, eroe dei ragazzini,» chiosò suo padre con un sogghigno divertito. «Mamoru, è stato un piacere conoscerti. Spero capiterà qualche altra occasione per vederci.»

Mamoru si alzò subito e accennò un inchino verso il padre di Yuzo. «Sì, signore. Ne sono certo.»

«Mi fa molto piacere che abbiate risolto i vostri problemi.» Inaspettatamente, il padre di Yuzo gli strinse la spalla con una presa ben più che salda. Mamoru avrebbe detto d’acciaio. Spostò la giacca per appoggiare il palmo libero contro il fianco e il gesto mise in mostra non solo il distintivo, ma soprattutto la fondina con la pistola. «Yuzo è un ragazzo che si affeziona subito alle persone. Se ti reputa suo amico, significa che ha molta fiducia in te. E la fiducia non va mai tradita. Dico bene? La Generazione d’Oro è famosa per questo, Yuzo ne parla di continuo.»

Quell’ultima domanda uscì, a dispetto di ogni sorriso, con una tensione così tagliente che Mamoru sentì la gola secca. Gli occhi non facevano che saettare dalla fondina alle iridi scure dell’ispettore.

«S-sì… certo,» sforzò con un sorriso così tirato, che era certo che gli si sarebbe strappata la faccia. Tutto nella speranza di apparire il più convincente possibile, ma sotto alla maglia stava sudando freddo.

«Ottimo!» esclamò infine l’ispettore dandogli un buffetto, prima di andare via. «Buonanotte, ragazzi. E conservatemi un po’ di dolce.»

La normalità e il calore di casa Morisaki tornarono a sciogliere il gelo di quel brevissimo scambio tra lui e il padre di Yuzo, in cui si era aspettato di vedere addirittura gli yeti che gli offrivano del tè.

«E questa è un po’ una classica cena da me.» La voce di Yuzo lo fece sussultare. Il portiere sorrideva contento. «Ti è andata anche bene che papà sia rimasto tutto questo tempo, di solito sparisce anche prima.»

«S-sì, ne sono… Senti, ma tuo padre… Sei proprio sicuro che lui, di noi, non…»

«Cosa?»

«Non sappia nulla?»

«Certo che ne sono sicuro!»

«Ah, quindi non mi stava minacciando, facendomi vedere la pistola di continuo nella speranza che io mi cacassi sotto? No, perché ci è riuscito alla grande.»

Yuzo sgranò gli occhi. «Quando?!»

«Tipo: adesso?»

«Ma che stai dicendo?» Yuzo sbottò a ridere come un disperato, crollando addirittura sulla sua spalla. «La porta per lavoro! E comunque se avesse capito qualcosa, mi sa che l’avrebbe usata prima su di me.»

«Il che non mi rassicura comunque.»

«Dai, a me sembra sia andata benissimo. Tu non credi?»

Mamoru sospirò e alla fine concesse un sorriso contento. «Sì.»

«Scusa se ogni tanto partono un po’ tutti per la tangente…»

«Ti ricordi da me, no? Sono preparato.»

«Okay e… ti andrebbe di vedere un film?»

«Io ci sto!» rispose Shuzo direttamente dalla cucina.

Mamoru sogghignò. «Cos’è, l’udito bionico è un altro dei tuoi poteri da supereroe?»

Il Morisaki tamarro arrivò con il cartoccio di kesari preparato da Pooja, ed era un tripudio di colori. «Spiritoso,» chiosò.

Yuzo, invece, si arrese subito in una stretta di spalle. «Cosa proponete di vedere?»

«Quello che vi pare, la mia funzione è solo di rompervi le uova nel paniere.»

«Bro, avevi detto una cosa qualche mese fa, l’hai già scordata?» Yuzo guardò il fratello con un sopracciglio inarcato e minaccioso, ma mai quanto lo sguardo di suo padre. Santoddio, ci avrebbe fatto gli incubi la notte, Mamoru ne era certo.

«No, infatti non ti sto intralciando: solo infastidendo un pochino. Quest’otto-mano è a casa mia, concedimelo.»

«Tutto a posto, Yuzo. Fagli marcare il territorio.» Poi indicò verso il mobile della televisione. «Guarda, hai saltato quell’angolino.»

«Se la metti così, dovrò proprio decidere che film vedere.» Shuzo assottigliò lo sguardo. «Mi assicurerò sia qualcosa di lungo.»

«E io non conto?»

«No, tu già ti sei portato questa piovra a casa. È più che sufficiente. Decido io, e non ho ancora visto l’ultimo film di Rajinikanth—»

«Quale? Annaatthe

Da che stava parlando con Yuzo, Shuzo si girò di scatto, guardandolo con due occhi grandi come noci, nemmeno lo vedesse per la prima volta in vita sua. «E tu che cazzo ne sai?»

Mamoru assaporò quel momento trionfante aprendosi in un larghissimo sorriso. Sollevò le spalle. «Chi non conosce Rajinikanth? Neruppu da, nerungu da paapom…»

Fu la prima e gloriosa volta che vide Shuzo spiazzato e confuso. Il suo sguardo era sospetto, ma non sapeva che dire, non aveva la battuta pronta. Masticò l’aria un paio di volte e poi si tirò indietro di un passo. «Okay…» disse piano. «Dopo il dolce faccio dei pop-corn…»

Si allontanò senza aggiungere altro, ma lanciandogli, di tanto in tanto, delle occhiate perplesse.

Ti ho fottuto, tamarro!

Yuzo si avvicinò, bisbigliando. «Ma ti sei andato a guardare davvero Rajinikanth?»

«Macché! Ho solo chiesto a Pooja-aunty! È stato come aprire Wikipedia, mi ha citato a memoria tutti i film in ordine alfabetico.»

«Ma perché?»

«Non è ovvio? Ho fatto un sacco di compiti a casa in vista di stasera! Non potevo permettere a tuo fratello di cogliermi in fallo.» Lo guardò dritto negli occhi con aria di sfida. «Oggi non sono disposto a cedere niente a nessuno. Eccetto forse a tuo padre se continua a mostrarmi la fondina mentre parla.»

 

Mamoru sbottò a ridere per l’ennesima volta.

Tutti e tre sul divano, con Yuzo nel mezzo – per gentile concessione post-occhiatacce del portiere – mentre la signora Haruko aveva declinato l’offerta di vedere il film con loro perché doveva lavorare nel suo laboratorio, Mamoru si stava tenendo la pancia davanti a questo signore sulla settantina, con i capelli posticci che però spaccava culi come nemmeno Van Damme e Schwarzy messi insieme.

Era esilarante.

«Tu non ne capisci niente di cinema tamil.» Shuzo gli lanciò un pop-corn che lo prese in testa.

«Se sporchi, pulisci eh!» lo ammonì Yuzo, e l’altro gli fece una linguaccia.

«Ma non mi dirai che sono tutti così, vero? Me li recupero al volo!»

«Se ti piace Rajini, allora devi guardare anche quelli di Prabhu Deva.»

«Mamoru, ti prego, non vorrai farti convertire da mio fratello?»

«Dai, ma fa ridere! È tutto così assurdo!»

«Basta che poi non mi fai mettere Chalmar come suoneria quando mi chiami!»

Mamoru continuò a ridere e poi si sporse per guardare Shuzo che, invece, era concentratissimo. «Se i temi che tratta sono sempre questi, forse capisco perché ti piace tanto.»

«Non ti seguo.» Shuzo rispose senza staccare gli occhi dallo schermo.

«Be’, entrambi siete tamarri come pochi, avete il gusto per la spacconaggine e il complesso dei fratelli-cozza.»

Shuzo girò la testa lentamente, come un periscopio. Le palpebre dritte e tese sugli occhi. «Ripeto: non hai capito un accidenti di questo film.»

«Come no? Lui che fa il fratello-barra-padre-barra-madre-barra-tutti, a cui tutti portano gloria e rispetto, che mena come niente fosse e che a quella povera disgraziata della sorella non fa fare da sola nemmeno un peto! Non ti ricorda qualcuno?»

«E la sorella sarei io?» Yuzo inarcò un sopracciglio. «Ma nemmeno per sogno! Io non cerco di accontentare mio fratello in tutto e per tutto!»

«Ma i tuoi sì! Siete tamil mancati.»

Questa volta i pop-corn gli piovvero in testa da entrambi i fratelli Morisaki e pure in perfetta sincronia. Mamoru rise e replicò pop-corn su pop-corn.

Quando il film si concluse, aiutò a rimettere a posto e a raccogliere il mais che avevano sparso in maniera molto poco educata, però doveva ammettere che, diversamente dall’ultima volta che aveva visto un film con Yuzo e Shuzo insieme, questa volta si era divertito.

Non aveva idea di cosa fosse successo di preciso tra i due fratelli, ma si era accorto che il tamarro si era fatto meno invadente: pungolava, sì, ma non interferiva come all’inizio; e in un’occasione si erano pure trovati d’accordo. Stava lasciando spazio a Yuzo e ciò non solo faceva stare tranquillo il portiere, ma permetteva anche a lui di potersi godere una serata tutti e tre insieme, in maniera normale.

«Ma siete ancora in piedi?» la signora Haruko ricomparve quando avevano finito di mettere a posto. «Io me ne vado a dormire, sono cotta. Ed è tutto in ordine! Bravi ragazzi.» Mandò un bacio volante per ciascuno di loro. «Mamoru, ti fermi a dormire da noi?»

Mamoru si irrigidì. Non si era aspettato quella domanda, anche perché quando aveva parlato con Yuzo di come sarebbe potuta andare la serata, il portiere l’aveva messa giù subito in maniera molto chiara: sarebbe stata solo una cena e basta, per non destare sospetti o qualsiasi altra paranoia del suo compagno. «Ma che ore sono?»

Solo allora si accorse che l’una era passata da un pezzo.

«Accidenti, non pensavo si fosse fatto così tardi…» mormorò Yuzo, sorpreso almeno quanto lui.

«Nemmeno io.»

«Che problema c’è?» sorrise ingenuamente la madre di Yuzo. «Abbiamo una stanza per—»

«Nah, non c’è bisogno.» Shuzo era già con un piede sulla scala che portava al piano superiore. «Può tranquillamente dormire in camera con noi. Mettiamo un futon e il gioco è fatto.»

Mamoru scambiò con lui un’occhiata lunga e intensa. «Così puoi torturarmi anche di notte?»

Shuzo sfoderò il peggiore dei suoi sogghigni, mentre saliva. «Ho ancora un sacco di cose da raccontarti sui film tamil.»

Mamoru cercò Yuzo con lo sguardo. Fosse stato per lui, avrebbe accettato anche a occhi chiusi, gli andava bene sorbirsi le stronzate di Shuzo, pur di poter passare la notte a casa del suo portiere, ma non voleva mettere Yuzo in difficoltà. E fu certo che accettare senza nemmeno consultarlo lo avrebbe fatto sentire a disagio.

«Be’, magari è un po’ tardi per avvisare i tuoi… Però se ti va…» Yuzo passò una mano sul collo e Mamoru si accorse delle macchie che iniziavano ad accendersi, sotto le dita.

Gli si strinse un po’ il cuore perché il corpo e lo sguardo, così come il tono della voce e le parole, mandavano segnali contrastanti: gli si leggeva in faccia che era combattuto tra dirgli “sì, resta!!!” e “no, ci sgamano!!!”.

«La ringrazio, Morisaki-san, ma è meglio che vada. Non ho avuto modo di avvisare mia madre e non vorrei si preoccupasse. Tende a essere un po’ apprensiva.»

«Va bene, allora. Ma la prossima volta rimani.»

«Ci conti, Morisaki-san: la sua cucina è fantastica per rifiutare anche una colazione preparata da lei.»

Lei ridacchiò nello stesso modo di Yuzo e pensò che dovesse essere stato quel semplice gesto a far cadere il signor Morisaki nella sua trappola. Di sicuro.

«Adoro questo ragazzo!» disse lei. «Sei in macchina, gioia?»

«Sì, arriverò in pochi minuti. A quest’ora non ci sarà nessuno per Nankatsu.»

«Va’ piano, comunque, d’accordo? Buonanotte.»

«Buonanotte, Morisaki-san.» Accennò un inchino e si avviò alla porta, seguito da Yuzo.

Nel genkan indossò le scarpe e poi la giacca senza dire nulla, ma rimanendo sotto lo sguardo vigile del suo portiere, che aveva un sorriso dolce e allo stesso tempo mortificato ad aleggiargli sulle labbra.

Quando aprì la porta e rimasero a cavallo della soglia, con il freddo di gennaio che entrava prepotente, disse: «Avrei voluto che restassi, ma non vorrei che…»

«Tranquillo. È stata una bellissima serata, ci saranno altre occasioni. E poi l’hai sentita tua madre, no? Mi adora!» Mamoru gonfiò il petto con orgoglio.

«Era ovvio.» Yuzo si strinse nelle spalle e poi distolse lo sguardo. «Sicuro di essere stato bene?»

Mamoru si fece più vicino di un passo: lui era immediatamente fuori dalla linea d’ingresso, l’altro immediatamente dentro.

«Sì,» disse piano, ma Yuzo continuava a spostare lo sguardo.

«Io vorrei fare di più, però…»

«Ma se non mi sognavo neppure che mi invitassi stasera. Ero certo che avrei dovuto aspettare ancora. E, okay, non sono stato presentato come il tuo ragazzo, però almeno non sono più un estraneo per i tuoi. Non sono solo un nome qualunque… o l’odioso figlio di papà che ha reso un inferno la tua adolescenza.» Gli appoggiò le mani sui fianchi e lo costrinse a guardarlo negli occhi. «È un altro passo.»

«Non riesco ad andare più veloce di così, ora,» mormorò Yuzo, mortificato.

«Non te l’ho chiesto.» Mamoru guardò alle spalle del portiere e poi lanciò un’occhiata a destra e una a sinistra. «Ma visto che non ci vede nessuno… me lo merito un premio?»

«Anche due,» disse Yuzo, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo con tutta la passione che entrambi erano stati bravi a tenere sottochiave per una cena intera. Non si erano stuzzicati come facevano di solito, non si erano lanciati sguardi che spogliavano prima ancora delle mani. Però certi desideri e sentimenti non è che smettevano di bruciare se per qualche ora non ci si pensava più.

Gli ardevano dentro comunque, e sotto le loro labbra erano fuoco puro.

«Sentiamoci con gli altri per il seijin no hi.» Mamoru glielo sussurrò sulla bocca schiusa.

«Sarà memorabile.»

«Oh, sì. Pronto a diventare grande?»

Yuzo tirò indietro il mento. «Non lo siamo già?»

«Solo a letto.»

«Per quello dovrai aspettare il prossimo week-end libero.»

Mamoru sospirò. «Sarà una lunga attesa.»

«Anche per me.» Si scambiarono un ultimo bacio a fior di labbra e poi si separarono in fretta, per non sfidare ancora la buona sorte. Mamoru fece un passo indietro e Yuzo si strinse nelle braccia. «Mandami un messaggio quando sei a casa.»

«Okay. Ciao.»

«Ciao.»

Mamoru arretrò ancora, la mano sollevata come quella di Yuzo. Poi si volse e affondò i pugni nel cappotto, cercando di non far gelare in fretta le mani che erano ancora bollenti del calore del suo compagno. Lo salutò un’ultima volta sulla soglia del cancelletto e poi uscì. L’auto parcheggiata a pochi metri.

Mamoru vi salì in fretta, e i suoi erano gli unici rumori nella notte di Nankatsu. Chissà se anche i loro mormorii avevano fatto così tanto frastuono da essere sembrati delle grida a bocca spalancata. Quel pensiero gli fece battere il cuore un po’ più in fretta e un po’ gli fece sperare che così fosse, affinché tutti quei piccoli segreti e quei silenzi sparissero.

Lo aveva già detto in più occasioni che lui avrebbe voluto gridare al mondo i suoi sentimenti per Yuzo, che la loro relazione poteva diventare di pubblico dominio anche domani. Ma nel suo mondo, Yuzo aveva costruito da solo ostacoli grossi come montagne, dietro cui non faceva che nascondersi.

Prima o poi era certo che sarebbe riuscito ad abbatterli, soprattutto con il suo aiuto, ma non sarebbe stato un percorso facile e molte cene ancora sarebbero dovute passare prima che lui varcasse la soglia di quella casa come Mamoru Izawa, fidanzato di Yuzo.

«Sì…» sospirò alla notte oltre il parabrezza «… anche questa sarà una lunga, lunga attesa.»

 

 

 

 

 


 

 

Note Finali: oh, be’, Yuzo aveva conosciuto i signori Izawa, era arrivato il momento che anche Mamoru conoscesse i signori Morisaki (che pure non aspettavano altro!).

Per ovvi motivi, non ci si è potuti allargare come con la famiglia di Mamoru, ma nonostante tutto – e nonostante Shuzo XD – anche questa serata è stata un successo.

Mamoru ha guadagnato qualcosa in più in cui non sperava, e per adesso può andare ancora bene così… ma fino a quando?

Non sarà un tema che affronterò nella raccolta – di cui manca solo l’ultima one-shot che arriverà il 10 Gennaio – ma farà parte della long fic che chiuderà l’intera serie Soulmate.

Al momento, tra padri che minacciano in maniera mooooolto sottile (XD) e fratelli eletti a supereroi dei bambini (immagino abbiate capito di CHI stesse parlando la mamma di Yuzo XD E se non lo ricordate, be’… allora andate a rileggere “Family…”!), tutto procede in maniera tranquilla e molto naturale.

È rimasto da festeggiare solo il Seijin no hi, ovvero l’avvento della maggiore età in Giappone (che fino al 31 Marzo di quest’anno, sarà ancora a 20 anni, ma dal 1° Aprile passerà a 18. Quindi questo 10 Gennaio, giorno in cui cade il Seijin no hi del 2022 – e ora capite perché ho scelto questa data di pubblicazione XD – sarà l’ultimo che verrà festeggiato a 20 anni) e poi la serie Soulmate avrà tutte le basi per passare alla seconda e ultima fase.

Quando riuscirò a scriverla. ^^’

Al momento, auguro a tutti una Buona Epifania. E attenti al cioccolato!

 

 

 

   
 
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