Andrea era supino, io, disteso a pancia in giù e con le gambe per aria, sollevavo le coperte.
«André…».
Si voltò e aspettò che continuassi.
«Tu perché mi ami?».
Non rispose subito, ci pensò prima un po’ su, per evitare di dire la cosa sbagliata.
«Perché te m’hai accettato così come so’, fin dall’inizio. Non hai mai preteso nulla da me, se non che fossi me stesso. Chiunque incontrassi pretendeva da me qualcosa e ognuno de loro voleva famme èsse ciò che non ero. Te no. A te piacevo perché ero così, il vero me e nient’altro. Sei stato il primo che m’ha capito e che m’ha trattato da persona e non come un pongo da modellà a proprio piacimento» non mi aveva guardato mentre lo diceva, temeva di scalfire la sua scorsa da duro, non voleva mostrarsi debole davanti a me. Poi però si voltò, non aveva ancora finito: «te m’hai visto, Mattì. Io so’ sempre stato ‘n invisibile, ma te, sei riuscito a vedemme lo stesso, te sei accorto de me, l’ultimo fra gli ultimi. Da miserabile ombra m’hai trasformato in una persona reale, in carne e ossa. M’hai riportato alla vita. Mattì, io me so’ sentito veramente me stesso solo quando ho fatto l’amore co’ te pe’ la prima volta, dietro quel vicolo del pub».
Non dissi nulla, mi limitai a spalmarmi su di lui e così rimasi.
Non c’era bisogno di altre parole.