Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ladyElric23    18/02/2022    4 recensioni
“Dove hai imparato?” chiede improvvisamente il comandante, quasi rapito dai suoi gesti. Vorrebbe poterlo guardare ma è costretto a tenere il viso voltato, dovendosi quindi accontentare del sentire quelle dita piccole e precise sul volto, notando di sottecchi la sua espressione concentrata.
“Nella città sotterranea” spiega l’altro, continuando poi con un evasivo “Un rasoio non è poi così diverso da un coltello a scatto”. Erwin annuisce di riflesso ma immediatamente Levi si blocca, inarcando il polso verso l’esterno. “Non ti muovere” lo ammonisce, riportandolo nella stessa posizione di prima mentre continua il suo lavoro con cura.
È la prima volta che sono così vicini, realizza il comandante.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Shave Me





Quando Levi aveva bussato alla porta del comandante senza ottenere alcuna risposta non ci aveva dato molto peso, si era solamente limitato a bussare più forte, sbuffando infastidito.

Come minimo Erwin era troppo impegnato a leggere uno di quei tomi a suo dire molto interessanti per prestare attenzione a quel rumore. Non sarebbe certo stata la prima volta.

Le nocche colpiscono la porta per una terza volta.

Ancora nessuna risposta.

“Ohi. Erwin” chiama a gran voce, spazientito, ma in risposta riceve ancora silenzio.

Si è quasi convinto a lasciar perdere, la stanza apparentemente vuota, quando dall’interno sente provenire un rumore metallico, cosa che lo mette in allarme e gli fa prendere la decisione di entrare senza esitazione, senza aspettare oltre.

Forse dovrebbe chiedersi se ha il diritto di entrare in quel modo negli alloggi privati del comandante, ma non lo fa.

Maledizione, lui potrebbe essere in difficoltà.

O peggio, potrebbe essere in pericolo; Hanno appena orchestrato un colpo di stato, non è tranquillo nel lasciarlo solo, non crede sia sicuro, soprattutto adesso che non può più difendersi allo stesso modo.

Non che Erwin Smith non sia in grado di difendersi, tutt’altro, eppure Levi sente un senso di angoscia e malessere crescente ogni volta che posa lo sguardo sulla sua spalla destra, sull’assenza opprimente di quel braccio, che sembra colpirlo ogni volta con un pugno alla bocca dello stomaco.

Ai suoi occhi, l’aver perso il braccio destro sul campo di battaglia lo rende una facile preda, soprattutto considerando il fatto che è ancora convalescente.

Non può fare a meno di sentirsi in colpa per non esserci stato durante la spedizione.

Forse avrebbe potuto evitarlo.

Non sapeva come, ne quando, ma seguire quell’uomo, guardargli le spalle, era diventata la sua missione e il solo pensiero del suo braccio tra le fauci di un gigante gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

Levi è ancora fermo sulla porta quando nota la bacinella di metallo rovesciata a terra e tutta l’acqua sul pavimento.

“Cosa diavolo è questo casino?” domanda, poi il suo sguardo risale sulla figura di Erwin seduto alla scrivania, la mano rimasta che impugna un rasoio in un mero ed infruttuoso tentativo di radersi di fronte ad uno specchietto poggiato di fortuna ad alcuni libri.

Si è tagliato in più punti, ha del sangue sul viso e nota distintamente la sua espressione contrita nell’evidenza del fallimento di quel gesto fino ad ora così semplice e naturale.

“Non ti ho detto di entrare, Levi” lo redarguisce senza particolare intenzione, ma lui non lo sente neanche.

“Che stai facendo?”

Suona più come una ammonimento che come una domanda, mentre scatta verso di lui, allontanando prontamente il rasoio dalla sua pelle, strappandoglielo praticamente di mano con la forza.

Quell’idiota finirebbe per tagliarsi la gola.

“Mi sto radendo”

“Stai facendo un bel lavoro di merda” lo corregge severo, la postura rigida che fa trasparire tutto il suo nervosismo.

Erwin si lascia prendere il mento tra quelle dita sottili, lascia che Levi gli volti il viso prima a destra e poi a sinistra, in una veloce ispezione.

Lo sente imprecare a mezza voce prima si diriga a passo spedito verso il suo bagno , uscendone pochi istanti dopo con quella che riconosce essere la boccetta di disinfettante ed un telo pulito. Ne bagna un angolo col liquido e glielo posa sul viso, sui tagli che si è procurato con il suo essere ancora maldestro ed incapace con la mano sinistra.

Trova sorprendente come le mani del soldato più forte dell’umanità possano essere gentili, essendo abituato a vederle impregnate di sangue durante le loro battaglie, letali ogni oltre immaginazione.

Sono piccole, leggere, fanno pressione senza mai esagerare.

Delicate.

“Faccio male?” chiede il capitano, notando la sua espressione pensierosa, ma lui si affretta a scuotere la testa.

“No, Levi, tutt’altro” lo rassicura, distendevo immediatamente il volto. “Grazie.”

La mano del moro si blocca solo per un istante, poi riprende a medicare quei piccoli tagli, insistendo fino a quando non riesce a fermare la perdita di sangue.

“Idiota, dovevi chiederci aiuto” dice semplicemente, prima di iniziare a sistemare il casino che Erwin ha fatto in terra. Prende la ciotola e la porta nel bagno con il disinfettante ed il telo ormai sporco, poi ne prende un altro paio puliti e chinandosi a terra inizia ad asciugare tutta l’acqua versata.

“Non sapevo a chi chiedere” ammette il più grande, attirando un suo sguardo sorpreso. “Hanji è preparatissima in molti ambiti, ma dubito possa esserlo in questo. Mentre tu non hai il minimo accenno di barba” sembra voler campare scuse davvero pessime e non necessarie, facendogli trattenere una imprecazione tra i denti ed inarcare un sopracciglio.

Levi scuote la testa con forza con fare contrariato.

Quel fottuto idiota che pensa di sapere tutto.

“Non ho il minimo accenno di barba, perché mi rado” spiega brusco come suo solito, guardandolo torvo. Il pezzo di idiota che rimane sottinteso, con buona grazia del comandante.

Si alza da terra con fare stizzito una volta finito di fare quello che stava facendo, i pantaloni appena bagnati all’altezza delle ginocchia, dove gli stivali non sono arrivati a coprire.

“Non credevo” è semplicemente la risposta di Erwin, mentre ancora una volta lo vede camminare verso il bagno. Forse dovrebbe seguirlo ed aiutarlo a fare qualsiasi cosa stia facendo, si dice, eppure si forza a rimanere immobile perché ha come l’impressione che Levi non necessiti la sua presenza.

Nonostante sia venuto nel suo ufficio apparentemente senza motivo, forse solo per tenerlo d’occhio.

A volte gli è difficile capire cosa c’è oltre quello sguardo truce e quel tono distaccato, eppure Erwin Smith non si da mai per vinto; non lo ha mai fatto, sin dal primo momento che ha incontrato il suo sguardo nei vicoli bui della città sotterranea. È andato contro tutto e tutti, gli ha dato totale fiducia, e alla fine il tempo gli ha dato ragione.

Sente distintamente il rumore dell’acqua che scorre nel bagno, quindi decide finalmente di alzarsi.

Si è però appena messo in piedi quando l’altro torna nella camera con in mano la bacinella da rasatura piena di acqua calda e dei flaconi sotto braccio. In spalla ha quello che sembra l’ennesimo telo pulito e Erwin non può fare a meno di sorridere al pensiero che ci voleva proprio il capitano per consumarne così tanti in così poco tempo: la sua ossessione per la pulizia era ormai risaputa, e lo fa sorridere ogni volta che fa capolino.

“Siediti, forza” gli dice Levi monocorde, poggiando il recipiente sulla sua scrivania e facendo spazio intorno con una mano per non correre il rischio di bagnare qualcosa. Sembra scocciato, osserva il comandante, ma non riesce a capirne la motivazione, né l’entità reale.

Decide comunque di assecondarlo, sedendosi di buon grado.

“Non sei obbligato”

“Lo so. Anche perché mi aspetterei che il comandante del Corpo di Ricerca possa permettersi un fottuto barbiere” risponde lui, mentre con gesto stizzito versa nel recipiente di acqua calda gli oli da rasatura ed il sapone, mettendogliela poi davanti. “Forza” lo sprona, guardandolo finalmente in faccia.

Erwin gli sorride colpevole.

“Sei arrabbiato” constata, in fondo soddisfatto di se stesso per essere arrivato a quella conclusione.

Il mugugno del più basso è solo l’ennesima conferma, mentre si allontana di nuovo di qualche passo, solo il tempo necessario ad Erwin per inumidirsi il viso. Capisce subito di aver usato fin troppa acqua quando sente le gocce colargli sul collo lasciato scoperto dal colletto slacciato della camicia.

Non avere più il braccio destro è più invalidante di quanto si aspettasse e se ne rende conto ogni secondo di più.

Levi sbuffa guardandolo, poi dà un colpetto col piede ad una delle gambe della sua sedia, in una tacita ma ben chiara richiesta a spostarla di lato per lasciargli spazio.

Con un gesto agile apre il rasoio che ha in mano, poi si china appena davanti a lui, per arrivare all’altezza del suo viso mentre posa alcune dita sulla guancia destra per distendere la pelle.

Erwin sente il freddo della lama sulla pelle, poi improvvisamente la sente fermarsi.

Uno sbuffo contrariato gli arriva distintamente alle orecchie.

Guardandolo di sbieco, quasi senza volersi far vedere, nota che l’altro ha le sopracciglia corrucciate e che si sta guardando intorno in cerca di qualcosa.

“Hai un’altra sedia?” chiede infatti il ragazzo dopo alcuni secondi.

“Temo di no”

“Non riesco così” dice semplicemente, cercando una soluzione.

“Vuoi che mi sieda sulla poltrona?” prova a chiedere, essendo l’unica altra cosa adatta in tutto il suo alloggio, ma l’altro lo secca con un “No, anche peggio”.

“Il letto?”

“Troppo basso”

Sospira, Levi, poi cammina fino alla porta e fa girare la chiave nella serratura, chiudendo fuori il resto del mondo.

“Devo preoccuparmi?” chiede Erwin con un sopracciglio alzato, l’angolo della bocca che si stira in un sorrisetto beffardo, incuriosito. Perché si fida del ragazzo che ha davanti, lo ha sempre fatto.

“Dovrei impegnarmi per fare peggio di te” è la risposta tagliente, con quell’ironia velata che spesso lo contraddistingue, mentre si sfila la giacca della divisa poggiandola sullo schienale della poltrona. “Adesso stai fermo e non emozionarti.”

Perchè mai dovrebbe emozionarsi?

Il Comandante se lo chiede solo per qualche secondo perché poi Levi si siede a cavalcioni sulle sue gambe, il rasoio ancora in mano e l’espressione impassibile, la schiena dritta.

Ecco perché ha chiuso la porta: voleva evitare che qualcuno li vedesse in quella posizione fraintendibile, che però gli permette sicuramente una maggiore comodità nell’arrivare al suo viso.

“Meglio?” chiede infatti Erwin, lasciandolo fare quando gli prende il mento tra le dita sottili e delicatamente gli sposta il viso di lato per avere maggiore spazio per lavorare.

La risposta è l’ennesimo mugugno svogliato mentre distende la pelle della sua guancia.

Ha le mani fredde, Levi, ma il suo tocco è talmente leggero che il comandante per un attimo pensa di esserselo immaginato. Poi sente distintamente la lama sulla propria pelle, la sente muoversi con precisione sulla guancia in un gesto sicuro ma delicato al tempo stesso.

Una seconda volta, e una terza.

Il moro si sporge verso la scrivania per immergere la punta del rasoio nell’acqua, poi torna di fronte a lui, continuando il suo lavoro.

“Dove hai imparato?” chiede improvvisamente il comandante, quasi rapito dai suoi gesti. Vorrebbe poterlo guardare ma è costretto a tenere il viso voltato, dovendosi quindi accontentare del sentire quelle dita piccole e precise sul volto, notando di sottecchi la sua espressione concentrata.

“Nella città sotterranea” spiega l’altro, continuando poi con un evasivo “Un rasoio non è poi così diverso da un coltello a scatto”. Erwin annuisce di riflesso ma immediatamente Levi si blocca, inarcando il polso verso l’esterno. “Non ti muovere” lo ammonisce, riportandolo nella stessa posizione di prima mentre continua il suo lavoro con cura.

È la prima volta che sono così vicini, realizza il comandante.

“Avresti potuto cercare di uccidermi così, la prima volta” ironizza.

“Dubito mi avresti lasciato avvicinare così tanto”

“Ti stupiresti”

Sente Levi irrigidirsi su di lui per un istante, le gambe a contatto con le proprie, il bordo dei suoi stivali contro il tessuto dei pantaloni della coscia. Inconsciamente lascia che la propria mano si posi sul ginocchio dell’altro, proprio sulla pelle degli stivali, dove le cinghie dell’imbracatura fanno capolino sopra i pantaloni chiari. Le stesse cinghie che si chiudono perfettamente e con fermezza sui fianchi e sul petto, in una tenuta perfetta.

Conosce a memoria ogni centimetro dell’imbracatura per il movimento tridimensionale, lui stesso ne porta perennemente i segni sul corpo, eppure è la prima volta che la guarda con occhi diversi.

A Levi sta bene l’imbracatura, realizza.

Il pensiero che sia seduto sulle sue ginocchia gli provoca un brivido inopportuno, e si ritrova a deglutire a vuoto, cosa che ovviamente non sfugge al più giovane.

“Che c’è?” chiede, voltandosi col corpo ancora una volta verso sinistra per arrivare alla bacinella, in una torsione scomoda e sgradevole.

“Aspetta” gli dice però Erwin, prendendo il contenitore con l’unica mano e portandoselo davanti, proprio tra il proprio corpo e quello dell’altro, facilitandogli l’accesso all’acqua. Adesso il suo braccio tocca la coscia di Levi, che non sembra per niente turbato, a differenza sua.

“Grazie” dice infatti il moro senza guardarlo, impegnato a togliere i residui di sapone e rasatura dal rasoio, bagnandolo per iniziare l’altro lato del viso.

“Grazie a te”





Erwin non sa dire con certezza quanto tempo sia passato, ma vedere l’espressione soddisfatta di Levi a lavoro finito lo ripaga di tutta la pazienza nel rimanere immobile.

Non riesce ad accettare di dover essere aiutato, ma il fatto che sia stato proprio lui a farlo ha reso tutto più sopportabile.

Forse per la sua abilità con le lame, a quanto pare di qualsiasi tipo esse siano.

Forse per il suo aiutare in silenzio, senza esprimere giudizi inopportuni.

Forse semplicemente per la vicinanza del suo corpo, così segretamente agognata da tempo.

Levi richiude il rasoio su se stesso con un abile gesto della mano, poi lo lascia scivolare nell’acqua ormai tiepida mentre gli porge l’asciugamano per permettergli di tamponarsi il viso personalmente.

“Sei soddisfatto del risultato?” gli chiede Erwin con tranquillità mentre ha ancora il panno davanti agli occhi, sentendo il peso sulle sue gambe spostarsi appena e quello della bacinella venire meno con uno sciabordio leggero.

“Controlla tu stesso” è la sua risposta, l’espressione impassibile mentre gli prende l’asciugamano di mano, buttandoselo sulla spalla prima di passargli il piccolo specchio rimasto fino ad adesso sulla scrivania.

Smith ammira il lavoro sul vetro: è perfetto. Nessun rossore, nessuna ferita, nessuna dimenticanza in alcun punto.

“Sono stupito” ammette, incontrando per la prima volta il suo sguardo da quando sono così vicini.

“Adesso sai che uccidere giganti non è l’unica cosa che so fare” è la risposta del moro, che lo fa sorridere.

“Lungi da me pensarlo, Levi”

“Non mi era mai capitato di radere qualcuno” confessa, stirando appena l’angolo della bocca mentre si alza per raccogliere tutto quello che ha usato, voltandosi appena per rivolgergli uno sguardo.

La mancanza di quel peso e di quel calore sembra tirare ad Erwin uno schiaffo in pieno viso.

“Felice di essere stato la tua prima volta”

Capisce di aver fatto una pessima scelta di parole nel momento esatto in cui lo vede irrigidirsi di colpo, le mani serrate sul bordo del recipiente dell’acqua e la schiena dritta.

Si schiarisce appena la voce, Levi, ma non dice niente. Si limita a portare tutto nel bagno senza proferire parola, mentre il biondo chiude gli occhi e si da mentalmente dell’idiota.

Con lui tutta la sua rinomata capacità dialettica sembra andare a farsi benedire, e spesso si è ritrovato ad apprezzare i silenzi tra loro, come se le parole fossero un ausilio non necessario per comprendersi.

Decide finalmente di alzarsi per raggiungerlo, fermandosi allo stipite della porta quando lo trova intento a lavare tutto ciò che ha usato.

“Ti prego, hai già fatto troppo” fa un passo verso di lui, alzando l’unico braccio per fermarlo. “Lascia che ripaghi il favore” continua poi, mentre l’altro gli rivolge uno sguardo infastidito per essere stato interrotto, ma al tempo stesso incuriosito.

“Non occorre”

Probabilmente ai suoi occhi ormai non ha modo di rendersi utile, se non dando ordini.

“Insisto, Levi”

“Non mi raderai, cazzo” è il suo commento tagliente mentre lascia che Erwin lo trascini di nuovo nella camera, mentre lo vede scoppiare a ridere.

C’è troppa confidenza tra loro, ne è consapevole.

Ne sono consapevoli entrambi.

Levi lo pensa anche mentre si srotola le maniche della camicia per poter indossare la giacca della divisa.

“Pensavo a qualcosa più di tuo interesse” dice Erwin alla sue spalle, gli occhi fissi sulla sua schiena, su quelle ali che lui stesso gli ha donato, fidandosi prima di tutti gli altri.

Vedendo qualcosa che neanche lui stesso riusciva a vedere.

“Mh?”

“Uno dei lati positivi dell’essere Comandante è l’avere accesso ad una scorta personale di tè pregiato” butta lì Smith con disinvoltura, attirando però il suo sguardo come una calamita.

“Pregiato di che tipo?”

Sa bene quanto il tè sia un punto debole per Levi, forse più simile ad una ossessione.

Si sente quasi in errore a sfruttarla per passare del tempo con lui, ma ai suoi occhi il risultato vale il macchiarsi della colpa.

“Prodotto nella capitale”

Il volto di Levi rimane impassibile, ma ad Erwin non sfugge il guizzo nei suoi occhi.

Nella capitale viene prodotto il migliore tè in circolazione: estremamente pregiato, raro e costoso. Lo sanno entrambi.

Levi sospira mentre lo guarda, mentre lo fissa per un tempo che sembra interminabile e vacilla.

Ed Erwin lo studia a sua volta, non volendosi perdere nessuna sua minima espressione.

Spera che accetti.

Una risposta negativa brucerebbe più del fuoco, ne è certo.

La verità è che l’essere andato così vicino alla morte sul campo di battaglia ha reso il desiderio di passare più tempo in compagnia di Levi ancora più presente, in un modo che non aveva mai desiderato, se non da ragazzo. Credeva che l’aver intrapreso la carriera militare con impegno e dedizione alla causa e l’aver visto la crudeltà del mondo lo avesse cambiato per sempre, poi però si era imbattuto in quegli occhi grigi.

Prima di potersene accorgere tutto aveva riacquistato colore.

Era andato perfino a strapparli all’oscurità, quegli occhi.

“Verrò nei tuoi alloggi alle dieci” dice semplicemente il capitano, la schiena rigida, prima di dirigersi verso la porta e far girare la chiave nella serratura, permettendo nuovamente al resto del mondo di poter essere loro spettatore.

“Attenderò con impazienza, Levi”








[Note della Autrice]: eccomi con un’altra piccola one-shot di quello che mi sono immaginata essere una sorta di missing moment. Che dire, mi piace immaginare i nostri eroi che si innamorano con la lentezza degna di due tartarughe! Ahahah

Scherzi a parte, l’idea di Levi che lo aiuta a radersi/tagliarsi i capelli mi è venuta in mente da un po’ ed è decisamente diventata un headcanon nella mia testolina bacata. Spero di aver messo il tarlo anche a voi…

Grazie mille a chi è arrivato fin qui, a chi si è preso qualche minutino per leggere questa storia leggera e senza pretese. Spero sia stata di vostro gradimento.

Un saluto grande,

ladyElric

   
 
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