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Autore: shippopersonaggi    25/02/2022    0 recensioni
La Grande Caccia è il sogno di tutti, tranne quello di Kaley.
Il rispetto del capo lo brama chiunque, tranne Adam.
L'amore di una madre lo sognano in molti, tranne Samuel.
Altri desiderano fuggire dai bulli, tranne Chloe.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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    Dopo scuola 

 

La bellezza divina della Landa Nascosta, ricorda la morte.  
I colori freddi e bagnati, i visi contorti e saggi, i mari azzurri e trasparenti, gli uccelli silenziosi come lapidi. La Landa Nascosta è conosciuta in tutta la Regione con il nome di: cimitero vivente.  
Perché lì, non ci sono zombie o fantasmi. No, ci sono umani.  
Ma mentre un pettirosso frigge su un cavo elettrico, si possono scorgere i visi pallidi dei bambini uscire dai portoni della scuola. La silenziosa calma della landa, invoglierebbe i ladri a rubare nelle sue case abbandonate. Mai nessuno penserebbe che ci sia vita, tra il verde secco di quei prati e i tronchi scoloriti.  
I muri sporgenti ma eleganti, i tetti sporchi ma lucidi, i camini rotti o bruciati dal loro stesso fuoco, però, hanno sempre fatto scappare i ladruncoli. Molte voci girano sulla landa, la più famosa è che essa sia abitata da demoni, pronti a mangiare i non invitati alla loro festa. 
Chiamare demoni gli abitanti delle LN, non è del tutto inverosimile. 

 

Il pettirosso muore, mentre un grido di furore si eleva tra i fili d’erba del cortile della scuola. 
<<Adam! Restituiscimi immediatamente il mio zaino!>>Kaley Broom, la quattordicenne più pidocchiosa e rompi palle che si possa conoscere. 
<<Perché ti agiti tanto figlia di papà? Il tuo caro paparino te ne può comprare altri cento!>>Dice Adam Scoop, nel suo braccio rivolto al cielo si vede chiaramente lo zaino di marca di Kaley.  
<<Almeno io ce l’ho un padre! Orf->>L’insopportabile non fa in tempo a finire la frase, il migliore amico di Adam le ha assestato un potente spintone, facendola cadere e macchiando il suo prezioso vestito con l’erba sudicia.  
<<Brutto rozzo! Guarda cosa hai fatto!>>Il dietro del vestito di Kaley è completamente verde, i suoi occhi neri lanciano saette di fuoco ai due ragazzi.  
<<La prossima volta impari! Numero uno: non osare mai più offenderlo! Numero due: la divisa scolastica esiste per noi come esiste per te, principessina.>>Lo difende, come ha sempre fatto da quando anno cinque anni. Il ragazzo porta il nome di Samuel Vacuum.  
<<Siete solo due sorci!>>Una volta che le sue due vallette la aizzano da terra, si controlla il retro del vestito, sbiancando alla vista. <<Ve. La. Farò. Pagare. Cara.>>Sibila, facendo cenno alle sue compagne di seguirla e sparendo nella limousine scura di suo padre.  

 

Adam e Samuel scoppiano a ridere. 
<<Ma l’hai vista? Sta volta finisce proprio male!>>Dice con tono sarcastico Adam. Lasciando lo zaino della ragazza sotto la corteccia di un albero, gli piace solo infastidirla, delle sue cose non se ne fa un bel niente.  
<<Siamo proprio spacciati, poveri noi.>>Lo canzona l’altro, portandosi una mano tra i ricci al caramello. 
Girando il vicolo, escono spalla a spalla dal territorio scolastico. 
<<Ehi, cosa ne dici di uscire oggi?>>Chiede d’un tratto il biondo, Adam. 
<<Ehm...oggi c’è mio padre...>>Si limita a dire, abbassando gli occhi verdi pistacchio. 
Adam, naturalmente, capisce subito e posa una mano scura, a confronto con la pelle diafana di Samuel, sulla spalla di quest’ultimo. 
<<Tranquillo, non c’è problema. Possiamo sempre studiare insieme, domani.>> 
Samuel alza lo sguardo, inarcando le labbra rosse in un sorriso finto. Adam ricambia, alzando gli spigoli delle sue labbra a forma di cuore, rosee.  
<<Credo di sì...In tutta onestà non so dirti quando sarò libero.>>Le guance del corvino si tingono di rosso, si vergogna. Gli sembra tanto di star inventando tutte scuse, ma la verità è che lui vuole uscire col suo migliore amico. Lo vuole davvero. 
<<Guarda che neanche io sono sempre libero eh!>>Lo consola, percependo i suoi pensieri. 
 

A metà percorso, quando si incomincia a distinguere il camino nero della casa di Samuel, una ragazza gli viene in contro. 
<<Samuel!>>La ragazza dalle trecce rosse svolazzanti, cinge i fianchi del cugino con le braccia.  
<<’Giorno Chloe.>>  
Lei si scoglie dall’abbraccio e lancia un’occhiata d’intesa ad Adam, per poi stringerlo a sé.  
<<Come state?>> 
<<Bene grazie. Tu? Come è andata a scuola?>> 
<<Oh bene! Sai che facciamo la gita di terza media a maggio?!>> 
<<Sarà tipo la quarantasettesima volta che ce lo dici…>>Ridacchia Adam, seguito dagli altri due.  
Pochi secondi prima che gli altri due si perdessero in una chiacchierata divertita, il telefono di Samuel comincia a vibrare nella tasca del suo giubbino rovinato. 
Fa un paio di passi indietro, entrando nell’erba del parco. Il biondo si gira e lui si affretta ad indicare il telefono, poi si rigira nascondendosi dietro un albero. 
Preparandosi psicologicamente. 
Sa benissimo chi è. 
 

‘Papà?’ 
‘Dove cazzo sei?! Dovevi uscire da scuola cinque minuti fa!’ 
‘Sono uscito, sto tornando.’ 
‘Perché ci metti tutto sto tempo?!’ 
‘Chloe mi ha fermato.’ 
‘Chi cazzo è Chloe adesso?!’ 
‘Chloe papà...mia cugina.’ 
‘Quella piccola?’ 
‘Sì. La figlia di zia Antonia.’ 

 

Secondi di silenzio seguono, secondi che sembrano anni.  
Cerca di riscaldare il suo stesso sangue, che si è gelato nell’udire le grida bagnate d'alcool, di suo padre. 
Riporta il suo cuore al petto, che gli è salito in gola udendo le sue risposte fredde, suo padre odia quando fa lo stronzo.  
Infatti... 

 

‘La pianti di rispondermi così di merda o no?’ 
‘Scusami.’ 
‘Stai camminando mentre parli con me...vero?’ 

 

Si affaccia per costatare la situazione: Chloe se ne è andata, e Adam lo aspetta. 
Beneficia i suoi polmoni di un buon respiro di aria fresca e raggiunge il biondo. 

 

‘Mi manca qualche metro.’ 
‘Bene. Ti avviso, se c’è uno dei tuoi amici di merda mandali a fare in culo! Non voglio vederti con nessuno!’ 

 

Si ferma, dietro Adam. 

 

‘Neanche Adam?’ 
‘Soprattutto!... Sei con lui?’ 
‘...’ 
‘Rispondimi cazzo!’ 

 

Il suo sussultare attira l’attenzione dell’amico, che lo guarda preoccupato. Samuel gli lancia uno sguardo dispiaciuto, il biondo sorride, mimando un ‘non preoccuparti’ con le labbra. Si aggiusta lo zaino in spalla e fa un cenno di saluto al corvino, precipitandosi dall’altro lato della strada.  

 

‘Sono solo.’ 
‘Ti conviene.’ 

 

Il resto del tragitto trascorre in religioso silenzio, con il telefono premuto sull’orecchio destro- l'orecchio buono-avverte ogni centimetro del suo corpo sudare freddo.  
Nervoso. 
Non sente più il suo cuore battere e il sangue è diventato acqua.  

 

‘Sono qui.’ 
 
 

 

Si aggiusta il vestito tirandolo fino alle ginocchia.  
Allaccia gli stivaletti di legno. 
Lega i corti capelli chiari. 
Spalma il mascara sulle ciglia lunghe. 
Sparge il rossetto rosso fuoco sulle labbra. 
Si alza le reti di calze scure.  
Infetta le sue unghie di smalto nero. 
Tira le maniche dei guanti fino ai gomiti. 

E...sorride. 
Stira le sue labbra in un sorriso carico del nulla, riprova, riprova ancora. Deve sembrare più reale possibile.  
Si osserva. 
Fa schifo. 
Sospira chiudendo le palpebre, cerca di pensare a qualcosa di positivo. Quante cose positive ci sono nella sua vita? Zero. Quante ce ne sono state in passato? Nessuna.  
Riapre gli occhi fissandosi le iridi, dentro di esse vede le ombre. Vede la sofferenza, vede la paura, vede la rabbia, vede l’odio...vede richieste d’aiuto.  
Richieste che nessuno ha ascoltato e che nessuno ascolta.  
Il suo sguardo vaga sulla sua immagine, ancora, è orribile. Continua a fissarsi nella speranza di consumarsi, nella speranza di scoprire un errore. Di scoprire che quel mostro non è lei.  
Le iridi fissano lo smalto nero, tutti in quella casa odiano lo smalto nero. Tranne lei. Non potrà mai uscire dalla sua ampia camera con quello sulle unghie.  
Lo smalto è da bambine. 
Peccato, però, che lei lo ami.  
Sono poche le cose che ama di quella stanza, come di quella casa o di quella città, del resto: il letto a due piazze dalle lenzuola stirate e grigie, le ha scelte sua madre. Le finestre alte, a doppio battente, talmente vecchie da essere inapribili. Sono un’idea di suo padre, per impedirle di scappare. 
Il pavimento trasparente ricoperto di solitudine l’ha scelto suo nonno. Lo specchio enorme, il soffitto troppo alto, la gigantesca cabina armadio, la porta bloccata dai catenacci...tutto, riusciva ad essere incredibilmente orribile. A farla sentire minuscola in confronto all’immensità della sua famiglia, a farla sentire sola, sbagliata, umiliata, usata.  
Ed ecco che la mente si sofferma su di lui, di nuovo.  
Adam non è un bullo, lo sa, si conoscono dalla materna. Ma non si sono mai amati. 
Come Samuel non l’ha mai amata...ma lei sì.  
Odia ammetterlo, odia pensarlo o sognarlo. Non può amarlo. Lei è una Broom e i Broom non conoscono l’amore, non sanno cosa significhi e non lo devono provare mai, per nessuno. 
Eppure, la ragazza spiegherebbe volentieri cosa sia l’amore, se glielo chiedessero. 

Di certo, non ha gradito il precedente scherzo del biondo, per quanto odiasse quello zaino. Lo trova troppo sfarzoso, urla troppo: 'Io sono ricca!’ per i suoi gusti. 

Attirando aria nei polmoni e ricacciandola lentamente, si avvicina alla porta bianca. Per modo di dire: la deve riverniciare. Si vedono le impronte di sangue e il legno originario. 
Con la mano coperta dai guanti, tranne per le dita, bussa tre volte sulla sottile ma robusta porta. E aspetta. La sua famiglia odia sentirla parlare-specie i maschi di casa-, odia sentirla urlare, quindi ha creato un sistema di comunicazione che ben presto la sua famiglia apprese: due colpi significano ‘Ho fame’, tre colpi ‘Ho bisogno di uno di voi’, quattro colpi ‘ Sto male. Ho bisogno di aiuto ’, e infine, cinque colpi-i preferiti della ragazza- significano ‘Ti odio!’ L’unica ha sapere il significato di questi ultimi colpi, è lei. 

 

Aspetta paziente, nessuno immaginerebbe mai di correre per andare da lei, per quanto siano in ritardo. La porta emette profondi e crudeli sfregamenti metallici, i lucchetti si stanno aprendo lentamente.  
È suo padre. 
Ama prendere le cose con comodo, specie quando si tratta di lei. Inspira altro ossigeno ma ben presto si accorge di non percepirlo nei polmoni, abbassando lo sguardo incrocia le unghie scure. Riesce ad amare quella piccola parte del suo corpo solo così, non lo toglie, non oggi. 
Ed ecco che la porta si apre, suo padre irrompe nella stanza osservandola dall’alto verso il basso, Kaley è un tappo in confronto a lui. Lo sguardo gelido e crudele, le iridi fredde e ombrate, i capelli ordinati e perfetti, la pelle priva di rughe, sarà per una strana sensazione dovuta alla combinazione di queste caratteristiche. O forse per pura vigliaccheria, ma Kaley quando lo vede non riesce a sostenerne lo sguardo, abbassa il volto portandosi a presso i capelli marroncini. Facendo qualche passo indietro.   
<<Cos’è quello?!>>Questa è l’unica cosa che, Divin Broom, dice.  
Kaley si costringe a guardarlo, punta lo sguardo più crudele che riesce ad adoperare e lo scaglia contro di lui. <<Smalto.>>La freddezza nel suo tono le fa perdere qualche battito, ma non lo dà a vedere. <<Vuoi uscire? Leva quella merda!>> La porta è ancora aperta, suo padre è immobile, di solito setaccia ogni minuscolo angolo della stanza prima di dirle qualcosa, stavolta no. <<Mi piace. Voglio tenerlo.>>Lo sguardo impassibile dell’uomo non si smuove per un secondo, davanti i sussurri coraggiosi e distaccati di Kaley. 
Almeno spera, di risultare distaccata e coraggiosa. 

Suo padre emette un lungo sospiro, duro quanto il suo tono. 
<<Non avrei nessun problema a lasciarti qui. Se solo non fosse che ho già detto ai Cremmel che ci sarai anche tu, hanno fatto la portata anche per te e tu verrai!>>Impone.  
Kaley continua a guardarlo.  
<<Io voglio venire. Per me possiamo benissimo andare.>>La disinvoltura nel suo tono le fa spuntare un sorriso beffardo sulle labbra, impossibile da reprimere.  
Nel vederlo, il volto dell’altro muta, e richiude la porta. Il tempo che quest’ultima schiocchi e Kaley si ritrova con la schiena premuta contro l’armadio scuro, i piedi sollevati da terra.

<<Ascoltami bene, ora ti dirò cosa succederà...>>Mentre le spinge le unghie nella pelle morbida del collo, si infila una mano in tasca e ne estrae un coltellino sporco di sangue secco, la lascia andare e premendoglielo sotto il mento riprende a parlare. 
<<...tu prenderai il cortisone dalla tua bella scrivania e ti leverai quel sudiciume da sopra le unghie. Capito?>> 
Kaley non proferisce parola, fissa l’arma con uno sguardo che più che impaurito sembra seriamente preoccupato. La mano di suo padre torna a stringerle la gola e il coltellino preme più affondo. 
<<Rispondimi!>>Cerca di trattenersi, per non ucciderla all’istante, suo padre.  
Lei non parla. Pochi secondi dopo si ritrova stesa sul pavimento con un dolore lancinante all’addome-dovuto alla ginocchiata che suo padre le ha appena sferrato-, e un taglio sotto al mento. 

La mano libera dell’uomo va tra i suoi capelli afferrandoli e tirandoli verso l’alto. Kaley vorrebbe rimanere sul pavimento, per sempre, ma è costretta a seguire la mano di suo padre. Quando ritorna in piedi la mano non le lascia le ciocche, <<Brutta puttana!>> 
Sbraita con gli occhi infuocati dall’ira.  
<<Ti sei forse dimenticata di come funziona qui, mh? Ti sei dimenticata chi cazzo siamo NOI?!>> 
Urla. Kaley nega con la testa sentendo le ombre cominciare a inumidirsi lentamente.  
<<A voce troia!>> 
<<N-no padre. So chi siamo.>>La voce è leggermente tremante, ma mai quando le sue mani quando suo padre-dopo quelle parole-le sferra una potente sberla sulla guancia.  
Lasciando il segno. 
<<RIPETI?!>> 
<<Sc-scusa padre i-io...non ho dimenticato chi siete, so chi siete.>>Balbetta bagnando le guance con lacrime salate. 
<<E chi siamo?>> 
<<La famiglia di assassini più potente di tutta la nazione.>>Ripete quella cantilena imparata a memoria, come si ripete una poesia letta cento volte. 
Suo padre ghigna soddisfatto, lasciandole i capelli. 
<<Togli. Immediatamente. Quello. Schifo. Dalle. Tue. Unghie!>> 
<<Si padre.>> 

 

 

<<Mamma sono tornato!>> 
Appena il chiavistello si apre, il ragazzo si accorge di non essere solo con sua madre. 
Non ci sono rumori. 
Non c’è luce. 
Tutte le tende sono tirate, la televisione è spenta, il cibo non sfrigola nelle pentole e il pulito non lucida i mobili. Salendo le scale, sente presenze scenderle, dall’altro lato dell'abitazione. Attraversa il corridoio aprendo la porta della sua camera, ritrovandosi davanti tre uomini:  
due di loro robusti come tronchi e seri come mafiosi. Vestiti interamente di nero, l’orologio digitale di uno di loro, scintilla su una chiamata.  
L’altro vaga per la stanza con aria persa e annoiata, pieno di tatuaggi sul viso e con un sigaro alle labbra. 
<<Frocetto! Era pur ora.>>Attraversando a grandi falcate la stanza rossa, l’uomo si ritrova a tre centimetri di distanza dalla testa di Adam. Per quanto il ragazzo gli arrivi a mala pena alla vita. 
Il biondo lo guarda con uno sguardo senza emozioni, l’altro ghigna. 
<<È ora di andare a lavorare.>>Dice con tono sadico, inspirando una potente dose di fumo.  
Il ragazzo getta lo zaino per terra continuando a guardarlo negli occhi, incrocia le braccia al petto. 
<<Dov’è mia madre?>> 
L’uomo ride di scherno. 
<<Non ne ho idea...siamo venuti e lei non c’era più.>> 
<<Non è vero!>> 
Sentendolo urlare, gli uomini in nero fanno qualche passo avanti, venendo bloccati da un gesto del loro capo che si accovaccia per poter parlare al ragazzo faccia a faccia.  
Ghigna di nuovo attirando fumo nei polmoni. 

<<Senti biondino, non ho tempo da perdere...Non lo so dov’è quella vacca di tua madre, probabilmente si sta facendo inculare.>> 
Giusto il tempo di riattrarre un’altra boccata di fumo, che il sangue ribolle nelle vene di Adam, vuole saltargli addosso ma prima che ci riesca, conoscendolo, l’uomo lo fa bloccare dai suoi bodyguard.  
Una risata di puro odio riecheggia per la piccola stanza, <<Smetterai mai di essere così prevedibile frocio?!>> 
<<Dimmi dov’è!>> 
<<Non lo so! Te l’ho già detto mi pare...>>Una rapida occhiata ai due tronchi e un cenno del capo mentre dice<<Portatelo in macchina.>>Fanno sospirare di rassegnazione Adam. 

 

La macchina scura traballa sui ciottoli delle strade secondarie, l’autista osserva i vetri oscurati riuscendo a scorgere il panorama.  
Anche lui ci prova, ma non ci riesce.  
L’uomo seduto distante da lui, inspira altro fumo girandosi a guardarlo. Qualche rapido e lungo movimento lo fanno arrivare alla sinistra di Adam, che si sforza nel fingere di non essersene accorto. L’uomo sfrega il sigaro sul tessuto dei pantaloni del biondo, buttandolo nel cestino, il ragazzo reprime una smorfia irritata continuando a fissare distrattamente le figure annerite.  
Scioccando le labbra, le avvicina all’orecchio del più giovane portando una mano sui pantaloni di quest’ultimo, mentre si irrigidisce più dei tronchi-uomini cresce in lui la voglia di urlare una volta udite le parole dell’adulto. 
<<Ho voglia di un pompino.>> 
Sussurra sensualmente.  
Adam, con il terrore di sfiorargli le labbra, gira il volto per guardare gli occhi marroni del suo incubo.  
Mentre il ragazzo incrocia subito lo sguardo malizioso dell’adulto, quest’ultimo scruta quello spaventato ma orgoglioso del biondo, riversato in un mare di cielo.  

Seguono secondi di silenzio nel quale il moro continua a sorridere.  
<<Cosa stai aspettando?>>Sposta la mano più verso l’alto, sfiorandogli l’inguine.  
<<Non mi toccare.>>Farfuglia con insicurezza.  
<<Altrimenti?>>Si avvicina pericolosamente sfiorandogli le labbra. Adam, spaventato, si schiaccia contro la porta. 
Il moro sposta un’altra volta la mano, portandola attorno all’intimità del ragazzo, che si immobilizza all’istante gemendo dal terrore. Vorrebbe sigillare le gambe e rompergli la mano, ma non riesce ad opporsi quando l’uomo gli spalanca le gambe per poterlo toccare più comodamente. 
<<T-ti preg-go.>>Prima che possa accorgersene, scoppia a piangere.  
<<Vuoi perdere la tua amata verginità?>>Il tono è crudele, e incita le lacrime ad essere di più. 

Scuote energicamente la testa, il cuore che vuole esplodere, le viscere che si contorcono, la gola secca e il male alla testa gli impediscono di parlare.  
Il moro sorride fintamente. 
<<Sarebbe un peccato...sai quello che devi fare, allora.>>Constata, ma il ragazzo non si vuole muovere, non mentre la mano dell’uomo si continua a trovare. 
<<P-p-puoi s-spostarla?>> 
Cerca di controllarsi il più possibile, ignorando il suo orgoglio che impreca coloratamente.  
<<Farai quello che voglio?>>Il pollice si sposta avanti e in dietro, accarezzando beatamente.  
I condotti lacrimali esplodono di nuovo, sempre in assoluto silenzio. 
<<Mi riporterai a casa?... dopo il lavoro intendo.>> 
<<Così presto?>>Si lamenta facendo scorrere anche le altre dita. 
<<Per favore.>>Sussurra. 
<<Solo se ti comporterai bene...a partire da ora!>> 
Finalmente, toglie la mano, facendo sospirare dal terrore e dalla gioia il più piccolo. 
Sente la zip abbassarsi e la cintura sfregare fuori dai cardini, la striscia di cuoio cade mollemente a terra osservando Adam mentre si mette in ginocchio. 
<<Non provare a fare brutti scherzi...>> 
<<Ho quattordici anni, è troppo poco per essere sverginati.>>Dice freddamente, mentre fissa la cerniera spalancata del capo.  

 

 

La lama divarica la carne morbida. 
Bile fresca sgorga riscaldandole la pelle.  
Tagli cicatrizzati urlano nella speranza di essere aperti, stringe la lama avvertendo la pelle morbida delle dita, ferirsi.  
Affonda il coltello in un altro taglio aprendolo leggermente, ripete il procedimento fino a distinguere le vene rotte.  
Ripensa alla scuola, ripensa agli insulti, agli spintoni e alle botte... 
La lama riaffonda, di nuovo.  
La testa le gira pregando di più, altri tagli le macchiano la pelle. 
La lama le apre la carne. 
Le squarta le vene. 
Le rompe il cuore.  
Le annebbia il cervello. 
Avverte solo le perle dei suoi occhi inumidirsi, le sue grida di dolore, le ossa rompersi e i suoi compagni ridere.  
Mentre la lama si muove sul suo braccio, il corpo costata che ne ha abbastanza.  
Si lascia andare cadendo morbidamente al suolo. 
La pozza di sangue le arriva alle ginocchia. 
La lama è caduta. 
Gli occhi sono chiusi. 
Un sospiro di speranza le lascia le labbra. 
Magari, questa volta non dovrà più andare a scuola, non dovrà più soffrire... 
Magari questa volta morirà. 
Sua madre grida spalancando la porta del bagno, è successo di nuovo. 
L’ospedale l’attende.  
Ma prima, bisogna distinguere il sangue dai suoi capelli rosso fuoco.  

                                           

 

                                                            

 

   
 
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