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Autore: FrancyF    12/03/2022    0 recensioni
[DOC Nelle Tue Mani ]
Giulia e Lorenzo si sono lasciati tutto il dolore alle spalle, pronti per iniziare una nuova vita assieme a Genova. Raccolta di one shot sul loro futuro. La loro storia inedita.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you'll see me waiting for you on the corner of the street”

- “The man who can’t be moved” The Script
 
Dicembre 2020
E alla fine lei e Lorenzo erano tornati dove tutto era iniziato.
Davanti al Policlinico Ambrosiano. In quel luogo, ormai quasi dodici anni prima, si erano stretti per la prima volta la mano. Lui aveva fatto una delle sue famose battute e ci aveva fin da subito provato con lei; Giulia invece l’aveva detestato in quel momento, ne era stata certa. Lorenzo la irritava con quel suo modo di fare sempre alla mano e quel suo sorriso perenne in faccia. Sembrava incurante ai problemi degli altri. Lei, d’altronde, era sempre perfetta e estremamente precisa, sia nel lavoro sia nella sua vita privata. Per i primi tempi tra loro due era stata una gara continua per dimostrare al dottor Fanti e al dottor Sordoni di essere degni di meritarsi l’appellativo di “medico”. Solamente quando si erano conquistati il posto fisso, al termine della specializzazione, avevano deposto l’ascia di guerra e avevano iniziato a collaborare l’uno con l’altra.  Ci avevano impiegato anni per diventare amici e confidenti. Poche ore per diventare amanti e meno di quarant’otto ore per diventare una coppia.
Erano sempre loro, fianco a fianco. Solo che adesso stavano per dire addio a tutto quello che fino ad allora, era stata la loro quotidianità e il loro mondo.
Ed era surreale pensare che era tutto iniziato nelle mura di quell’ospedale.
La dottoressa Giulia Giordano rabbrividì e strizzò gli occhi per combattere contro il nevischio che scendeva dal cielo ceruleo.
Nevischio a Milano in pieno giorno.
L’inverno quell’anno era arrivato troppo presto. Aveva nevicato già due volte dall’inizio di novembre. L’ultima nevicata era stata più copiosa delle precedenti e cumuli di neve ghiacciata erano stati ammassati ai lati delle strade dagli spazzaneve.
Pochi a Milano ricordavano un inverno così freddo. La mattina, quando le strade si riempievano di auto, di bus e taxi, i vetri dei mezzi di trasporto erano già patinati da una brina leggera e il termometro segnava imperterrito da giorni meno tre gradi. Secondi gli esperti quello ero uno dei pochi effetti positivi della pandemia: il fatto che quell’inverno fosse più freddo dei precedenti, era dovuto semplicemente al più basso livello d’inquinamento dell’aria.
La città sembrava un paesaggio surreale, quasi fiabesco. Le mille luci di Natale scintillavano nell’aria fredda del tramonto, mentre gli ultimi fiocchi di neve vorticavano ancora nell’aria.
Il Policlinico Ambrosiano svettata sulle altre costruzioni e scintillava ancora di più nella luce rosata del tramonto.
Giulia guardava gelida le porte scorrevoli dell’ingresso. Il suo respiro affannato formava piccole nuvolette di calore che le incorniciavano brevemente il volto, prima di scomparire nell’aria fredda. Aveva il naso rosso, il volto infagottato in una lunga sciarpa di lana e le guancie rosee. Attorno a lei poteva udire il vociare allegro dei passanti che si affannano ad ultimare le ultime compere prima della sera. Sembrava una vita parallela, come che tutti avessero dimenticato l’Inferno della prima ondata, ma lei no.
Per lei dimenticare era impossibile.
Lorenzo la fissava con un’espressione seria in volto, come se si aspettasse di vederla crollare lì sul posto.
Il suo cuore prese ad accelerare. Poteva ancora sentire il suo respiro mozzato, poteva ancora vedere davanti a lei le lacrime di Lorenzo nel chiederle di perdonarlo.
Perdonami. Ti ho passato il covid. L’ho portato qui dentro.
Giulia chiuse gli occhi, come per annientare quei ricordi. Lei e Lorenzo si erano trovati nel buio e si erano aggrappati l’uno all’altra per non scivolare in quell’Inferno. Prima era toccato a lei… e poi a lui. La donna aveva condiviso solo con Andrea Fanti cosa avesse veramente provato in quelle settimane, perché il solo ricordo era talmente spettrale e terrificante per lei che, a distanza di mesi, la vista del suo vecchio ospedale era per lei paralizzante. Non si sentiva più a casa lì dentro, nemmeno dopo avere partorito nel reparto di ginecologia, circondata dall’affetto dei suoi amici.
Lorenzo in quegli ultimi mesi era stato meraviglioso. Era stato il suo cane blu. L’aveva sorretta senza obbligarla a scendere a patti con il loro dolore, aveva condiviso con lei intere notti insonni e l’aveva appoggiata fin da subito. Non aveva esitato un secondo quando lei gli aveva rivelato della gravidanza e dell’imminente trasferimento a Genova.
 
-Bagnati appena le labbra- gli sussurrò lui all’orecchio, in modo che solo lei potesse sentirlo. Lorenzo le fece l’occhiolino e poi bevve un sorso di birra dal bicchiere di plastica che gli aveva appena passato Andrea. Le mani dell’uomo si andarono subito a posare sul ventre ancora piatto della donna. Non era affatto dispiaciuto del fatto che mezzo ospedale sapeva già della gravidanza di Giulia, che sapeva dell’esistenza di loro figlio. Anche se, onestamente, una parte di lui avrebbe voluto custodire quel segreto ancora per un po’.
Giulia si morse le labbra e i suoi occhi blu brillarono. La sua vecchia vita si era capovolta nel giro di ventiquattro ore. Non solo aveva finalmente detto a Lorenzo della gravidanza, ma lui aveva anche accettato di venire con lei a Genova.
E l’aveva fatto senza pensarci neppure mezzo secondo.
-Te l’avevo detto. Qualsiasi cosa tu decida, io ci sono. Genova ha il mare e il sole e qui… e qui lasciamo la nebbia e il traffico-.
Sapeva che non era vero. Sapeva che Lorenzo era nato a Milano, ci era cresciuto, aveva delle amicizie e, soprattutto, aveva sua sorella. Ma in quel momento la donna era talmente sopraffatta dalle emozioni che non era stato in grado di fare altro sennonché farsi stringere da lui. Dal suo migliore amico, che adesso era anche il padre di suo figlio.
-Ho chiamato la direzione del “S. Martino” e mi hanno detto che il tuo posto non era l’unico posto vacante nel reparto di medicina interna. Perciò partiamo assieme-.
Le sfiorò delicatamente i capelli e il suo cuore ebbe quasi un sussulto. La luce del tramonto si riversava su di loro, mentre lui e Giulia erano felici nel loro mondo, solo loro due. O meglio loro tre. Avrebbero avuto un figlio straordinario e sarebbe stato bello e intelligente come lo era lei.
-Come l’ha presa tua sorella?- Giulia sentì le mani di Lorenzo tra i suoi capelli e sorrise ancora di più.
-Bene-.
-Bene?- non poteva non fingersi preoccupata. Quello che stava chiedendo a Lorenzo era troppo forse anche per lui.
-Giulia, Susy si è messa a piangere dalla gioia va bene? Ha sempre desiderato diventare zia e… beh… lei e Ale sicuramente vorranno venire a Genova prima o poi. Non è che li sto abbandonando Giulia. Stai tranquilla. Troveremo un modo-.
La donna aggrottò le sopracciglia, dubbiosa. Sapeva che Lorenzo le diceva quelle parole per proteggerla e sapeva anche il perché, ma in quel preciso momento si sentiva troppo felice per fare l’orgogliosa e rivendicare la sua indipendenza. A volte era bello sentirsi accudita e protetta da qualcuno. Soprattutto se quel qualcuno era l’uomo che l’aveva aspettata per dieci anni.
-Ancora non l’hai capito Giulia?- Lorenzo la baciò sulla fronte e lei non potè fare a meno di sorridere.
-Cosa?-
-Che io farei di tutto per voi. Per te e per Gaia-.
-Gaia?-
-Nostra figlia. Mi è sempre piaciuto quel nome, significa gioiosa-
-Lorenzo-
-Sì?-
Giulia abbassò la voce –Sono solo di otto settimane. Mi sembra decisamente presto per pensare a dei nomi-
-Mi sembra una questione troppo importante per non pensarci-
-Smettila…- Giulia scostò lo sguardo, se Lorenzo la guardava negli occhi poteva leggerle l’anima. Non voleva mostrarsi fragile e insicura, non in un momento del genere almeno, quando erano circondanti dall’intero reparto. Il discorso di Andrea e gli ormoni della gravidanza avevano già messo a dura prova i suoi bulbi oculari; e sentire Lorenzo pronunciarsi con così tanta sicurezza sul loro futuro, sentirlo parlare di loro figlio come se lui fosse già lì, vivo e presente in mezzo a loro due, le donava un senso di appagamento che era difficile da eguagliare.  
-A me dispiace lasciare tutto questo- ammise lei, osservando con una velata punta di nostalgia le persone che li circondavano: Andrea e Angrese parlavano fitti fitti con Carolina, Gabriel e Elisa si facevano foto a vicenda, Teresa scherzava con Riccardo e Alba. In un certo senso erano stati loro la sua famiglia. –Davvero, non voglio che loro  pensino che non mi dispiace perché non è vero-
-Giulia nessuno dice questo. Insomma hai mai pensato a nostra figlia correre per i corridoi di questo reparto?-.
Giulia si voltò verso di lui e sorrise. Non poteva mentire. Lei quel bambino se lo immaginava già correre per casa, si immaginava già Lorenzo rientrare dal lavoro e sdraiarsi per terra insieme a loro due e giocare per ore. Si immaginava già una grande casa, immersa nel verde, e loro tre. Cosa le prendeva? Lei non era mai stata il tipo di donna che sognava una casa in un giardino di rose. Ma lei a quel bambino non era disposta a rinunciarci. Per una volta voleva aprirsi alla vita.
 
Il tetto del Policlinico stava quasi scomparendo nell’oscurità della sera che avanzava. Giulia rabbrividì, persa nei ricordi.
La mano calda e accogliente di Lorenzo si strinse alla sua. Il ragazzo le sorrise, rassicurante.
-Freddo oggi, eh?-.
Giulia sollevò le sopracciglia. La stava di nuovo proteggendo e la cosa la infastidiva parecchio.
-Lorenzo…-
-Sì, lo so che volevi venire da sola, ma avevo promesso ad Andrea che gli avrei detto due parole sui pazienti ancora ricoverati -.
-Hai lavorato qui fino a la settimana scorsa-
-Ho avuto da fare-
-Tu e Andrea lavorate nello stesso reparto-
-Giulia, ti prego. Avevo bisogno di salutare tutti. Va bene adesso?-.
Lorenzo le lasciò la mano e guardò imbarazzato il pavimento.
-Pensavo… pensavo che sarebbe stato più facile dirgli addio-.
Per Giulia forse era più difficile, dato che erano settimane che non entrava più in quell’edificio, ma per l’uomo il Policlinico non significava solo brutti ricordi. Lì dentro aveva conosciuto Giulia, aveva stretto amicizie preziose, aveva visto nascere suo figlio. Lì dentro non c’era solo sofferenza.
La donna lo fissò negli occhi. Il blu zaffiro si fuse con il marrone color cioccolato. Si capirono all’istante.
-Anche io lo pensavo… e adesso… adesso non riusciamo neppure ad entrare. Guardaci-.
Già, guardarci.
Lorenzo le tese la mano e lei gliela strinse. Era sua finalmente. Avrebbe voluto urlarlo al mondo intero. Lui e Giulia avevano trascorso appena pochi giorni come coppia all’interno dell’ospedale. Non amava sbandierare ai quattro venti la sua vita privata. Lorenzo tendeva sempre a proteggere la sua famiglia, piuttosto che a esporla, ma con Giulia era diverso.  Voleva quasi ostentarla, come se fosse stata una specie di dea greca; perché lei era al centro del suo universo. Aveva preso la sua vita e ne aveva fatto molto di più, gli aveva dato un figlio, una famiglia, certezza per il futuro. Il minimo che poteva fare era sostenerla in ogni suo singolo passo.
-Se non ti senti pronta possiamo non farlo. Abbiamo già avuto la nostra festa di addio l’altra sera. Non saranno così pazzi da organizzarcene un’altra-.
Giulia finalmente accennò un sorriso. Erano mesi che Andrea Fanti li tormentava con l’idea della “festa d’addio” per loro e per Gabriel. Anche Gabriel era riluttante all’idea, Lorenzo non poteva reggere alla vista dei suoi amici senza mettersi a piangere e Giulia non voleva nemmeno pensare all’idea di lasciare Milano. Ma alla fine Andrea e l’intero reparto avevano organizzato una piccola festicciola nel bar vicino all’ospedale.
Giulia e Lorenzo erano praticamente stati costretti a partecipare. Avevano lasciato il piccolo Andrea nelle mani sicure di Elide, la vicina di Lorenzo e poi si erano rilassati per qualche ora con i loro amici. Avevano brindato con dei drink analcolici e si erano distratti per qualche ora. Per un momento Giulia si era sentita di nuovo leggere e spensierata. Ma adesso, davanti a quel luogo che per lei era sacro, non riusciva a fare il primo passo.
Dire addio al Policlinico Ambrosiano significava lasciare alle spalle la vecchia Giulia, fredda e spigolosa. Dire addio a tutti  i suoi amici significava aprirsi all’ignoto e a una nuova vita con la sua nuova famiglia. Un parte di lei non vedeva l’ora, l’altra era ancora restia.
-No, dobbiamo farlo. Tu devi ancora svuotare il tuo armadietto- gli ricordò, con una punta di rimprovero nella voce.  –E poi Teresa non ci perdonerà mai se andiamo via senza salutarla un’ultima volta-.
Il giovane uomo rabbrividì al solo pensiero: Teresa lo intimoriva quasi quanto la paura del trasloco.
-Rapido e indolore. Intesi?-
Lui annuì. Strinse forte la mano di Giulia e la guidò tra le porte automatiche, all’interno dell’ospedale.  
 
-Fa uno strano effetto essere nella stessa stanza dopo tutto quello che è successo, vero?-.
Agnese incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere sulla sedia girevole dietro alla sua scrivania di vetro, dove incombevano due faldoni di pratiche arretrate.
Giulia socchiuse gli occhi, in uno sforzo per non commuoversi e si guardò intorno. L’ufficio della direzione sanitaria era tornato indietro agli anni nei quali Agnese era la direttrice sanitaria: i muri erano di un azzurro tenue, i mobili tirati a lucido e le foto di Mattia e Carolina capeggiavano sulla scrivania.
Sembrava tutto uguale, ma tutti i presenti sapevano che era tutto diverso.
Nessuno rispose. Così Agnese finse di schiarirsi la voce per guadagnare tempo.
-Grazie per avere compilato tutte le pratiche arretrate. Non era necessario, davvero-.
-Ho già catalogo tutto in archivio. Non devi più fare niente- Lorenzo accennò un sorriso. –Non ce ne saremmo mai andati senza finire di compilare tutto-.
-No, lo so bene. Soprattutto tu Giulia, dovresti essere ancora in maternità -.
La mente di Giulia vagava ancora nel vuoto e il complimento che le aveva appena rivolto Agnese era come un eco lontano nella sua testa. Era strano essere di nuovo lì? Era strano stare seduta nell’ufficio della direzione sanitaria vestendo di nuovo i panni del medico? Era strano rivedere Agnese in quella posizione di comando? L’ultima volta che Agnese aveva vestito i panni della direttrice, e non del medico, era stato prima della pandemia. Un secolo fa.
Prima della pandemia Andrea era un estraneo, Agnese non era una sua confidente e, soprattutto, lei e Lorenzo erano due entità separate.
Era surreale pensare a dove erano adesso.
Lei e Lorenzo avevano lavorato fianco a fianco solamente per due settimane e in via totalmente ufficiosa per terminare le cartelle che avevano lasciato aperte durante la loro quarantena.
-Giulia, tesoro…- Lorenzo le sfiorò un braccio e la donna mise nuovamente a fuoco la realtà.
-Dovere- rispose. -Agnese, davvero…. è che… sono cambiate troppe in poco tempo. Io…-.
Giulia rabbrividì e sentì la presa di Lorenzo farsi più forte.
-Io pensavo che tornare qui fosse la soluzione. Dopo la pandemia pensavo di farcela a lavorare di nuovo qui.  Ma poi ho sentito la direzione del “S. Martino” a Genova, e hanno riconfermato la mia domanda di trasferimento. E Lori…-
-Ragazzi non dovete giustificarvi - la donna unì le mani e guardò i suoi amici fissi negli occhi.
-E’ giusto così. Voi due andrete a Genova, Gabriel andrà in Etiopia e Carolina finirà qui la sua specializzazione. Adesso che sono di nuovo direttrice sanitaria il reparto è salvo. Quindi possiamo salutarci. Davvero ragazzi. Ho già avuto i curricula dei due medici che dovrebbero sostituirvi tutti. Mi serve solo la firma di dimissioni… oh e Lorenzo devi finire di svuotare il tuo armadietto-.
Uno strano silenzio alleggiava nella stanza.
Giulia si sentiva come sospesa in un’altra dimensione. Avrebbe voluto dire ad Agnese una miriade di pensieri, confidarle segreti, ringraziarla ancora una volta per tutto quello che l’intero reparto aveva fatto per lei. Eppure non era in grado di fare altro che starsene in silenzio, con gli occhi blu chiaro spalancati a fissare il vuoto. Bastava veramente una firma e poi avrebbe detto addio a tutto quello che conosceva?
-Certo che sarà strano passare per i corridoi e non vedervi- sospirò Agnese -Carolina si era molto affezionata a voi e dopo tutto quello che è successo a Andrea…. –
-Genova non è così lontano- la interruppe Giulia. Stava cercando di controllare il tremore alle mani mentre firmava la copia di cessazione del contratto.
Voleva uscire da quell’ufficio il più in fetta possibile o avrebbe avuto un crollo nervoso.
 
-Ehi, hai finito di evitarmi?-.
-Non ti sto evitando-
-Stai fissando da mezz’ora l’interno vuoto del tuo armadietto. Io questo lo chiamo evitare, poi fai te Lazzarini-.
-Ho appena finito. Sarei venuto a cercarti io tra un minuto-.
O forse mai. Lorenzo detestava gli addii. Giulia ci era abituata fin da bambina, lui no. Odiava separarsi dalle persone che amava. E Andrea era stato il suo mentore da dieci anni. Dieci anni erano un terzo della sua vita, erano tanti. Non solo, ma Andrea Fanti aveva messo l’ego in secondo piano e l’aveva supportato in tutto e per tutto: dal prendere l’aspettativa l’anno prima, al tornare in pista durante l’epidemia di Covid19, era stato accanto a Giulia nelle prime settimane di gravidanza e gli e le aveva salvato la vita. Aveva salvato la sua famiglia. Come poteva dire addio ad un amico così straordinario?
-Cosa c’è? Hai paura di dirmi addio?-.
Lorenzo scoppiò a ridere per esorcizzare la paura, e Andrea sorrise.
-Finiscila, sei proprio un prefrontale Doc. No, se vuoi proprio saperlo avevo anche pensato di scriverti una lettera di raccomandazione prima di andarmene-.
Andrea alzò le sopracciglia, stupito.
-Una lettera di raccomandazione per cosa scusa?-
-Per la tua corsa al primariato. Tutti sappiamo che la Tedeschi ti avrà sempre come rivale-
-Sai, Cecilia si è rivelata essere un ottimo primario-
-Mai quanto te Doc- Lorenzo gli mise una mano sulla spalla e la strinse forte. –Io e Giulia ti sosterremo anche da Genova. E se avrai bisogno di una vera lettera di raccomandazione, beh allora la scriverà lei. Io non sono riuscito a finire la mia senza mettermi a piangere come un bambino-.
Nel sentire quelle parole Andrea non resistette e lo abbracciò forte. Lui e Lorenzo erano diventati amici e complici in quei due anni: non immaginava che salutare lui e Giulia potesse essere così doloroso.
-Tu e Giulia starete bene con il piccolo. E non preoccupatevi per me, starò bene. Avrò il mio posto da primario e… e Agnese… prima o poi…-.
-Già…- Lorenzo gettò un’ultima occhiata al suo armadietto vuoto. –prima o poi… me lo ripetevo anche io con Giulia e adesso nostro figlio porta il tuo nome. Ed è tutto iniziato in questa stanza-.
Io te non siamo la una notte. E vorrei che lui da grande fosse come te, un uomo capace di esserci sempre.
Andrea sorrise commosso. In un certo senso era come se una parte di lui vivesse con Giulia, Lorenzo, con il piccolo Andrea e la loro felicità. Lui e Agnese avevano perso tutto dopo la morte di Mattia, sogni e speranze ed era bello vedere che gli stessi sogni e le stesse speranze potevano vivere nei suoi amici più cari.
L’uomo fu svelto nell’asciugarsi una lacrima fugace, si sistemò la mascherina e tirò su con il naso.
-Allora, quale è la prima cosa che farai? Genova è diversa da Milano… è più calda, c’è il sole, il mare, i turisti ogni mese dell’anno-.
Lorenzo sapeva che ricordare faceva male non solo a lui, ma anche a Andrea, perciò fu immensamente sollevato quando il suo superiore iniziò a deviare il discorso verso tematiche più futili, ma decisamente più piacevoli.
-Credo che sistemare casa e svuotare tutto in meno di sei mesi sarà già un traguardo per me- scherzò il giovane –ma sicuramente tu  e Caro dovete venire a trovarci-
Gli porse una foto. Ritraeva Andrea, Agnese, Giulia e Lorenzo in cima al tetto dell’ospedale, con i bicchieri in mano per il brindi d’addio che Doc aveva organizzato prima dell’inizio della pandemia.
-In caso ti scordassi di noi-.
Andrea gli diede un’ultima pacca sulla spalla e prese lo stetoscopio dal suo armadietto.
-Il dovere chiama, caro Lorenzo- si allontanò fischiettando e giocando con lo stetoscopio e Lorenzo scosse la testa, affacciandosi lungo il corridoio.
Forse dire addio non era poi così difficile come credeva.  
 
-Il tuo cuore batte velocissimo-.
Giulia chiuse gli occhi e si fermò incantata ad ascoltare il battito del cuore del compagno, appoggiando il peso di tutto il suo corpo al petto di Lorenzo.
Uno. Due. Tre. Quattro.
Battiti forti e regolari pensò la sua mente da medico. Un cuore sano.
Lorenzo le fece alzare lo sguardo.
-E’ una buona cosa suppongo, no dottoressa Giordano?-.
La voce di Lorenzo era quasi un sussurro, ma ormai la loro camera da letto era senza mobili e entrambi potevano sentire chiaramente il rimbombo dei loro respiri.
Giulia lo baciò con passione e gli portò le mani sui suoi seni. Sentì che Lorenzo stringeva il suo corpo al suo, sollevandosi dal materasso. Le accarezzò dolcemente i capelli sciolti e sorrise.
-Ho sempre voluto farlo sul pavimento durante un trasloco- sussurrò lui, facendola ridere.
Gli occhi blu della donna brillarono nel buio e il cuore dell’uomo fece una capriola all’indietro.
Sei mia finalmente pensò mentre sfiorava con una mano la guancia della donna. Si era sempre pentito di essersene andato via di fretta, dopo la prima notte d’amore che lui e Giulia avevano passato assieme. Così, adesso, ogni volta che lui e Giulia finivano di fare l’amore lui si prendeva qualche secondo solo per osservarla. Poteva stare fermo a fissarla per ore senza stancarsi. La baciò un’ultima volta sulle labbra e lasciò che lei si sdraiasse accanto a lui. La testa di Giulia era appoggiata al petto di Lorenzo, dove lei poteva sentire il suono dei suoi respiri e i battiti del suo cuore.
-Non ti sembra strano tutto questo silenzio?- disse Lorenzo, sorridendo.
Giulia si lasciò scappare una risata e lo baciò nuovamente.
-Elide si merita il mazzo di fiori e il bigliettino d’addio che le abbiamo comprato. Ha tenuto Andre troppe volte per permetterci di stare un po’ da soli-
-Sai potremmo portala con noi a Genova. Tra il nuovo lavoro e il trasloco avremo meno tempo per questo…- Lorenzo osservò il corpo nudo di Giulia. Talvolta si svegliava nel cuore della notte di soprassalto, scosso dagli incubi. In quei momenti gli ci volevano pochi secondi per realizzare che, accanto a lui, dormiva lei, la donna che aveva sempre aspettato. Lei dissipava tutto i suoi dubbi e le sue paure. Era il suo porto sicuro, il suo faro nella notte. L’aveva attesa per così tanto tempo che spesso si stupiva di vederla accanto a se, tra le sue braccia.
Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Giulia: aveva gli occhi stanchi, ma dentro il blu oltre mare, Lorenzo scrutò subito una note di preoccupazione.
-Andrà tutto bene- sussurrò contro la sua fronte –andremo a Genova, lavoreremo al “S. Martino e Andrea crescerà lì e sarà bellissimo. Sarà bello come lo sei tu-
-Questo non puoi saperlo Lazzarini-
-Lo so e basta. Va bene? Ce la fanno tutti, ce la faremo anche noi allora-  l’uomo prese a lasciarle una scia di baci che andava dal collo, lungo i seni e i fianchi della donna –saremo felici, mangeremo focaccia e cappuccino e ogni giorno libero andremo al mare. Avremo altri bambini…-.
Lei si girò supina e Lorenzo si fermò. La guardò confuso. Il suo piano era distrarla, non farla preoccupare eccessivamente.
Giulia rabbrividì e si coprì con il lenzuolo, mentre Lorenzo la scrutava nel buio.
-Scusa…- disse lei. Non voleva rovinare la loro ultima notte nella vecchia casa, la prima casa che avevano condiviso. In realtà era casa di Lorenzo, ma dopo che lei era rimasta incinta era diventata automaticamente anche casa sua. Lui aveva pianificato ogni loro passo assieme e lei gli era grata per il suo innato ottimismo, ma i desideri di Lorenzo non potevano fare scomparire le sue paure e i suoi timori.
-Amore, a che pensi?- lui le sfiorò deliacamente i capelli.
-Mi dispiace lasciare tutti, soprattutto Andrea-.
Ecco, l’aveva detto.
Da sempre lei e Lorenzo e il loro legame d’amicizia prima, d’amore poi, si erano basati sul rispetto e sulla fiducia reciproca. Lorenzo aveva sopportato più di una volta gli sfoghi di Giulia rivolti a Andrea Fanti, quando lui non ricordava della relazione che aveva avuto con la giovane dottoressa.
Adesso, anche se Giulia e Andrea erano solamente ottimi amici, il fantasma della relazione passata tornava a tormentarli.
-Non è come pensi tu Lori, non essere geloso. E’ che… Andrea ha fatto tanto per noi…- la donna stava cercando di calibrare ogni parola. Non voleva che Lorenzo diventasse geloso, perché non aveva motivo di esserlo. Ma una parte di lei non voleva dimenticare quello che Andrea aveva significato per lei. Anche se il dottor Fanti era diventato il più grande sostenitore della sua storia con Lorenzo.
-Dispiace anche a me lasciare tutto. Cosa credi?- Lorenzo non voleva fare a vedere il suo nervosismo, ma nel sentire pronunciare il nome “Andrea” e associarlo alla relazione che il suo mentore aveva avuto con quella che ora era la sua compagna, lo infastidiva ancora. Era dannatamente geloso di lei.
Lui e Giulia avevano affrontato quel discorso più volte nelle settimane precedenti e Lorenzo non era mai riuscito a tranquillizzarla del tutto.
Stettero in silenzio per parecchi minuti, ognuno perso nelle proprie insicurezze.
-Ho parlato con lui oggi, con Andrea intendo e lui mi ha detto le stesse cose-
Giulia lo fissava in silenzio, con il fiato sospeso. Sapeva che Lorenzo e Andrea erano amici e si stimavano a vicenda, ma sapeva anche che una parte di Lorenzo era sempre in guerra con Andrea e quello che per lei aveva significato. –E mi ha detto le stesse cose. Dio, Giulia lui si è quasi commosso nel salutarmi. Sono geloso dell’Andrea Fanti del quale ti eri innamorata, ma per fortuna quell’Andrea Fanti non esiste più-.
L’uomo le rivolse uno sguardo soddisfatto.
-E comunque a letto sono più bravo io- concluse, con una punta d’orgoglio nella voce.
-Sei tremendo Lazzarini…-
Scoppiarono a ridere entrambi, guardandosi negli occhi.
-Ti amo Giulia- la guardò con gli occhi adoranti, soffermandosi sulle sue curve addolcite dall’avere partorito da poco. Voleva che andasse a letto serena.
-Se tutto dovesse andare a rotoli abbiamo sempre noi due, vero?- Giulia si chinò e lo baciò sulle labbra, dissipando in fretta il suo malumore. –E smettila di essere geloso. La mia è nostalgia per quello che ci lasciamo indietro, ma sai che ormai amo solo te-.
-Io non torno indietro- la rassicurò Lorenzo –certo che staremo bene e ci saremo sempre l’uno per l’altra. E no- l’anticipò tirandola nuovamente contro di lui –non lo dico tanto per dire-.
Giulia lo baciò sulla fronte e inspirò il suo profumo, misto al sudore.
Quella era la loro ultima notte d’amore in quella casa. Era incredibile come quell’appartamento senza mobili significasse ancora casa per loro due.  All’interno di quelle mura si erano scoperti e amati, erano diventati una famiglia.
-Dovremmo davvero cercare di dormire un paio d’ore. Domani dobbiamo guidare fino a Genova e il camion dei traslochi sarà qui alle otto-.
Giulia cercò di scostarsi, ma al prese del compagno era forte e dolce. Lorenzo voleva davvero approfittare di quelle poche ore di solitudine per stare vicino a lei, fisicamente e mentalmente, per rassicurarla e per prendersi cura di lei al meglio. Lui e Giulia avevano un tempo limitato da passare insieme, tra lavoro e un bambino piccolo; perciò voleva davvero dimostrarle tutto il suo amore quella notte.
-Mmmm… adesso ho altri progetti in mente…-.
Giulia rise piano, soffocando la sua risata in un gemito di piacere quando le mani di Lorenzo arrivarono a destinazione.
-Sei subdolo, te l’hanno mai detto?-
-E tu sei bellissima. Sarei uno stupido se sprecassi tutta questa bellezza…-.
 
-Tornerete a trovarmi, vero?- Elide strinse a sé un’ultima volta il piccolo Andrea e lo sistemò nel seggiolino dell’auto.
Il neonato ricambiò le attenzioni della donna sorridendole e aprendo i suoi occhi verde scuro. A quattro mesi Andrea era il perfetto mix di Lorenzo e Giulia: aveva gli stessi lineamenti del padre, le guance e il naso di Giulia, i capelli castano chiari stavano iniziando a scurirsi e i suoi occhi verde scuro erano un misto delle sfumature di quelle dei genitori.  
Lorenzo sorrise dolcemente. Sembrava che tutti quelli con la quale parlava pensassero che lui e Giulia si sarebbero trasferiti in America, invece che a tre ore da lì.
-Elide puoi venirci a trovare ogni weekend. Scendi alla stazione di Genova Brignole e fammi uno squillo. Sarò lì ad aspettarti-
Lui e Giulia abbracciarono stretta la donna, cercando di metterci dentro un sacco di cose mai dette.
-Ti chiamiamo quando arriviamo in città , ok?- Giulia la strinse un’ultima volta e sorrise.
Il camion dei traslochi era partito mezz’ora prima. La coppia aveva giusto avuto il tempo di ringraziare Elide per averli tenuto Andrea e per prendere con lei un ultimo caffè.
I due giovani salirono in auto in silenzio.
Lorenzo fece per mettere in moto, ma la mano di Giulia si unì alla sua.
-Sei sicuro di non volere salutare Susy e Ale? Casa loro è a dieci minuti da qui-
-No- l’uomo scosse la testa. Non aggiunse altro, ma Giulia sapeva bene anche Susanna era l’unica donna, oltre a lei, per la quale Lorenzo avrebbe fatto pazzie. Sapeva che per lui era dura lasciarla andare e sapeva anche che se solo si fossero fermati a salutare lei e Alessandro, allora avrebbe rinunciato a partire. Susanna e Alessandro significava tanto anche per Giulia. Lei non aveva mai avuto una famiglia stabile, due genitori affettuosi. Lorenzo aveva avuto solo sua mamma per pochi anni, e poi Susy. Da un lato era distrutto di privare suo figlio della compagnia di due zii così amorevoli, ma dall’altra doveva anche provvedere alla sua di famiglia. Lanciò un’occhiata ad Andrea, che dormiva beato nel suo seggiolino. Quel piccolo esserino di quattro mesi non sapeva minimamente quanto fosse stata fondamentale per i suoi genitori la sua presenza, soprattutto per Lorenzo: Andrea gli aveva, letteralmente capovolto la vita. Era stato grazie al bambino e non per il bambino che Giulia aveva finalmente realizzato chi e cosa significava per lei Lorenzo. Era stato grazie a lui e la donna non si era mai guardata indietro, nemmeno per una volta.
-Prendiamo direttamente l’autostrada e andiamo diretti a Genova- aggiunse Lorenzo, spostando automaticamente la mano dalla leva delle marce alla coscia di Giulia.
Lei gli sorrise e uni la mano alla sua, baciandola.
-Ehi- Giulia lo fece voltare per un secondo –grazie per avere accettato questa follia. Grazie per avere detto subito sì-.
Lorenzo mise gli occhiali da sole e fissò l’autostrada davanti a sé. Inaspettatamente non provava un briciolo di tristezza nel lasciarsi tutto indietro. Anzi, tutta la nostalgia e l’affetto che provava per Milano, per il Policlinico Ambrosiano erano come svaniti di colpo. Aveva Giulia e aveva il loro prezioso bambino. Cosa poteva volere di più? Il tempo era dalla loro parte questa volta: lui e Giulia si amavano e si stavano scoprendo ogni giorno. Sarebbero stati bene a Genova. Avevano loro due. Il resto non contava.
   
 
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