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Autore: Mia Renard    23/03/2022    2 recensioni
Castiel ha una malattia neuromuscolare e ha bisogno di fare fisioterapia domiciliare
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Furry | Contesto: Nessuna stagione
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DESTIEL

Finalmente ce l'avevo fatta. Avevo trovato un fisioterapista che fa servizio a domicilio. Aveva fatto presto il neurologo a parlare : - Serve assolutamente la fisioterapia.-
Dal momento che sono quasi due anni ormai, che non riesco a camminare, non senza tutore, come posso recarmi da solo presso un centro per una qualsiasi terapia.
La malattia neuromuscolare chiamata Distrofia Miotonica era comparsa a 16 anni, diagnosticara a 21. Ma fino a due anni fa lavoravo, andavo in palestra...Insomma: ero autonomo, padrone di me stesso e della mia vita. Poi lei ha deciso di manifestarsi, si è stancata di essere ignorata. Io ho cominciato ad avere difficoltà nel fare le scale ( adesso diventata impossibilità) poi a cadere sempre più di frequente, a passare diverse ore in pronto soccorso, a conoscere bene tutti i paramedici in servizio sull'autoambulanza, a dover fare troppe lastre e risonaze, a dover gestire troppe medicazioni. Poco dopo ho perso l'uso del braccio destro, della caviglia destra, della spalla destra. Ho perso insomma il completo controllo del mio corpo e di conseguenza ho perso anche il lavoro e la mia indipendenza. Ma, dal momento che non intendo perdere anche la mia dignità, ho deciso di combatterla e la mia unica arma, ormai, è la fisioterapia.
E' vero che non posso camminare. È vero che la mia malattia mi ha relegato su una sedia, e solo quando va bene mi permette di muovermi con il carrello, ma non intendo dargliela vinta
. Quindi, con tutte le mie limitazioni e tutte le mie difficoltà, mi sono attivato ed ho trovato un fisioterapista privato e domiciliare
. -Si chiama Dean- mi aveva informato il centro medico al quale mi ero rivolto. -Le lascio il suo contatto e può mettrsi d'accordo con lui, per quanto riguarda le sedute e la durata del trattamento.-
Così l'avevo contatto e ci eravamo accordati per martedì. Il giorno prima mi arriva un suo messaggio: –Mi scusi ma mi è saltato un appuntamento. Sarebbe un problema se anticipassimo ad oggi? Diciamo, tra mezz'ora.-
Certo che è un problema, non sono mica qui ad aspettare i suoi comodi. E ho diverse difficoltà nel dovermi alzare, cambiare, preparare tutta l'attrezzatura che ho in casa per eventuali esercizi e stavo anche cominciando a prepararmi da mangiare. Ma ho considerato che forse non era il modo migliore per cominciare il rapporto di fiducia che bisogna instaurare col proprio tecnico della salute. Quindi gli ho risposto
: -No, va benissimo. Non si preoccupi. Nessun problema.-
Quindi uso tutta la mia forza di volontà per riuscire ad essere pronto in mezz'ora, mentre tra me e me gli lanciavo tutte le maledizioni che mi venivano in mente. Se uno è normodotato può essere pronto in dieci minuti, ma se hai difficoltà a muoverti, ci vuole decisamente di più, e lui dovrebbe essere il primo che, queste cose, le capisce. Non può darmi così poco preavviso e piomabare qui quando vuole. Quando citofona, comunque, sono già in tuta, ed ho preparato l'elastico, la palla, le cavigliere, i manubri da 1 chilo ed anche il pallone ambo per la ginnastica del diaframma. E sono orgoglioso di me stesso per aver fatto tutto in così poco tempo
. -Sono Dean.- -E' la scala tutta a destra, al primo piano. Appartamento 8.-
Mi avviò con calma verso a porta, trascindomi dietro la mia sedia, non potendo camminare. Quando bussa ed io apro, succede quello che mai mi sarei immaaginato: rimango incantato nel fissare il ragazzo bellissimo che mi trovo davanti. Jeans e giacca di pelle, capelli castani. Occhi di un verde non umano e sorriso di un bianco accecante. E come età, mio coetaneo, o forse anche più giovane. Io ho i capelli per aria, una tuta sgualcita e lisa in alcuni punti e sono immobilizzato su una sedia di vimini, che mi trascino sotto il sedere grazie a dei feltrini.
-Buongiorno- esordisce lui. -Tu devi essere Castiel. Posso darti del tu, vero? Dal momento che siamo coetanei.- -Trentadue- rispondo io, stupidamente. -Trenta, ma siamo lì. Posso entrare?-
Io riprendo a respirare, anche se mi sento molto in imbarazzo, invalido su questa sedia, davanti a questo ragazzo, baciato da madre natura. Si, sono invidioso. Lui cammina ed inoltre è bello da fare schifo.
-Certo che puoi darmi del tu- rispondo io, con un sorriso scemo. Poi, per levarmi da un silenzio pesante, aggiundo con enfasi : -Ho preparato tutto. Non so che eserecizi faremo ma ho messo a portata di mano tutto il necessario.-
Lui si guarda attorno e poi ride. A quel suono mi si svuotano i polmoni, e guardo il mio pallone ambo con gratitudine. -No, oggi facciamo solo un colloquio conoscitivo, dal momento che il fisiatra non ha scritto nulla di utile, sul tuo referto...-
-Non mi ha neanche visitato- lo interrompo io con un sospiro
. -Lo supponevo, ma sono qui per questo. La vera terapia la cominceremo durante la prossima seduta. Prima devo conoscerti, per sapere da dove cominciare. Dove possiamo sederci?-
Ci accomodiamo in cucina. Ha tirato fuori dal suo zaino un portatile ed ha registrato i miei dati personali. Ma dopo sono cominciate le domande imbarazzanti: sei in grado di usare il bagno da solo? Di provvedere all'igiene personale? Soffri di enuresi notturna?...- Però ho notato piacevolmente che lui era molto educato con me. Quando esitavo mi diceva:
-Mi dipiace, devo chiedertelo.-
Come se si scusasse di fare domande così personali. Capisco che doveva compilare un questionario e sapere di me il più possibile. Anche se, nonostante tutto, non mi ero mai vergognato tanto in vita mia. Avevo dovuto confidare tutte le mie limitazioni a questo stupendo fisioterapista. Mi consolavo al pensiero che, probabilmente, era vincolato al segreto professionale. E poi doveva essere sicuramante abituato ad avere a che fare con persone con problemi. E doveva aver fatto a tutti le stesse domande inbarazzanti.
Una volta capito che si sarebbe dovuto occupare della parte destra del mio corpo, erano cominciate le proprie e vere sedute. Prima di tutto mi illustrò, in maniera semplice ed esaustiva, tutto quello che sperava di ottenere dai trattamenti, gli obbiettivi che intendeva raggiungere. Certo non mi avrebbe messo in grado di partecipare alla maratona di New York ma voleva rendermi autosufficiente, in grado di camminare prima di tutto, di alzarmi da terra da solo e anche di fare un minimo di scale. Mi spiegò anche il perchè della mia impossibilità di fare determinati movimenti. Cosa che nessun medico aveva mai fatto. Anche a prova del fatto che il fisiotapista conosceva a fondo la distrofia miotonica e sapeva come trattarla. Oltretutto affrontando tutto con tatto ed educazione. Dean era uno dei pochi e non farmi sentire un handicappato. E poi adoravo il fatto che lui mi incoraggiasse di continuo, lodando i miei piccoli progressi.
Le prime volte mi aveva fatto sdraiare del divano. Lui si era seduto sul bracciolo. Aveva preso il mio piede destro, appoggiadoselo poi al petto, lavorando sulla gamba e l'articolazione della caviglia. Poi, tenendomi per i fianchi mi aveva fatto mettere in piedi, provando con calma a fami fare qualche passo. Bastava un piccolo movimento per fargi esclamare
:-Bravo, così'! Sei nato per camminare, ottimo. Hai visto che ce la fai anche da solo!-
Ed io sorridevo trionfante. Dean mi faceva sentire sicuro di me e della mie capacità
. Dopo avevamo cominciato la rieducazione del passo, insegnadomi come appoggiare il piede, come figurare ,con calma, il movimento corretto nella mente, per controllare l'appoggio e trovare sostegno ed equilibrio su quello. Mi aveva insegnato esercizi per rafforzare la muscolatura della gamba e migliorare l'equilibrio. Sostenendomi ed aiutandomi ad affrontare le mie paure. Dean veniva da me due volte la settimana e si fermava qui poco più di un'ora.
Io, durante la settimana, aspettavo i giorni della terapia, con trepidazione. Mi alzavo, la mattina, quasi euforico. Avevo comiciato a considerare Dean come un amico, non piu un semplice operatore sanitario. Anche perchè, durante gli esercizi, chiacchieravamo di tutto: le proprie famiglie, i propri progetti, le nostre passioni...ed eravamo arrivati a confidarci, persino. Avevo comiciato a definire, tra me e me, l'altro come il mio angelo. Non solo mi aveva aiutato a riacquistare alcune capacità ma mi ascoltava e mi capiva come nessun altro sapeva fare. Solo con lui, mi sentivo libero di essere me stesso, senza paura di essere giudicato e magari respinto. La mia condizione di disabile, aveva portato alcune persone ad allontanarsi o ad avere a che fare con me con atteggiamenti di compassione. Lo comprendo, so che non deve essere facile avere a che fare con un disabile, ma è una cosa che ancora non riesco a sopportare. Con lui era tutto diverso. Infatti, tentavo di escogitare ogni scusa per passare più tempo possibile con il mio nuovo amico. Avevo provato a proporre un giorno in più di terapia, nella settimana, ma Dean era parecchio impegnato e, anche volendo, non sarebbe riuscito a rendersi disponibile. Allora avevo cominciato ad invitarlo a rimanre, una volta finito il trattamento giornaliero. Inizialmente per un semplice caffè, se poteva attardarsi 10 minuti ed ero arrivato a chiedergli di rimanere anche per il pranzo, con la scusa di essere un ottimo cuoco. E Dean accettava, quando il lavoro glielo permetteva. Adoravo stare con lui, avevo il piacere della sua compagnia. Mi sentivo fortunato, da un lato.
Una volta gli avevo rivelato apertamente: -Mi piace parlare con te perché io lo so che tu mi capisci, nessuno sa farlo come te.-
Dean aveva sfoggiato quel sorriso che amavo rispondendomi: -Io credo che nessuno possa capirti fino in fondo. Tutti tendono ad affermare ti capisco me è falso. Bisogna trovarsi davvero nelle situazioni. Però mi considero bravo ad ascoltare e tu sei particolrmente...-
Aveva lasciato in sospeso la frase. Aggiungendo poi: -Non lo so. Hai qualcosa che non so decifrare ma che ci pone sulla stessa lunghezza d'onda. Forse è per questo che riesco a capire, nel vero senso della parola.-
Anche io ero consapevole del fatto che il nostro rapporto non era più solo professionale. Aveva imparato a conoscermi ed in lui c'era qualcosa di diverso, di travolgente e forte che gli urlava dentro. Era una persona dolce e sensibile ma anche forte e determinata. Sapevo che teneva a me ed alla mia situazione. Magari con i dovuti limiti ma ero sicuro che fosse così. Voleva aiutarmi a combattere, voleva mettermi in condizione di superare le mie limitazioni, per quanto possibile
. A prova di questo fu anche il fatto che quando io gli comunicai: -Sai, tra due settimaane fanno la Fiera del Fumetto. Io andavo tutti gli anni, a tutti gli eventi, non me ne perdevo uno. Ma ultimamente ero costretto a rinunciare, se non trovavo nessuno che potesse accompagnarmi, disposto ad accollarsi una palla al piede per tutta la giornata. Fino a due anni fa andavo anche da solo ma adesso non sono più in grado di camminare.-
-Ma abbiamo fatto tanto, ultimamente. Secondo me, ce la puoi fare.- Aveva detto che non mi avrebbe permesso di perderla di nuovo. Per 15 giorni aveva lavorato solo sulla mia gamba destra, lasciando perdere momentaneamente il braccio e l'articolazione scapolare. Io sentivo subito miglioramento ma l'effetto durava ancora troppo poco.
Infatti, Dean ci era rimasto molto male, quando gli avevo confessato che, nonostante tutto, avevo deciso di rinunciare.
-Pensavo che tu fossi una persona combattiva e adesso ti arrendi alla tua disabilità- aveva provato ad obiettare.
-No, non è che io mi voglia arrendere. Tu mi hai aiutato molto ma non mi sento del tutto sicuro sulle gambe e spesso, quando faccio qualche passo più del solito, anche con il deambulatore, queste cedono. Se cadessi lì, davanti a tutti, perchè le gambe non mi reggono più, non riuscirei a rialzarmi e tornare a casa. Non voglio correre questo rischio. Insomma, io so cosa posso e non posso fare. A volte è necessario farsene una ragione.-
Dean era andato su tutte le furie: -Non voglio mai più sentirti dire una cosa del genere. Non accetterei di sentirlo dire da una persona di ottant' anni e tantomeno da te. Se ti consideri sconfitto già in partenza, tutto questo lavoro che stiamo facendo, non servirà a nulla. Perdo solo tempo a venire qui. Se preferisci rinunciare a migliorare, basta che tu lo dica e chiudiamo qui la terapia.-
In quel momento mi ero reso conto che non sopportavo l'idea di perderlo e con orrore avevo pensato che, prima o poi, le sedute sarebbero finite. Il vaucher di fisioterapia che mi avevano concesso durava quattro mesi, e questi stavano passando. Eravamo addiruttura a più di metà. Non riuscivo a sopportere l'idea che l'avrei perso, ed avrei perso tutto l'aiuto ed il sostegno che mi dava. Facevo tesoro del tempo passato con lui. Di ogni attimo
. Quando arrivò il giorno della fiera, ancora mi domandavo cosa fare. Una parte di me moriva dalla voglia di partecipare, l'altra parte di me era terrorizzata dall'idea di affrontare tutti gli ostacoli che la giornata e la situazione di essere là da solo, mi avrebbero portato. Ma poi successe quello che, neanche nei miei sogni avevo osato sperare
. Dean mi aveva chiamato ed io, colpito e quasi commosso, pensavo che si sarebbe offerto di venire a sistemarmi la caviglia la mattina, in modo da mettermi in piedi per il pomeriggio. Dopo il suo magico trattamento, ero sicuro che sarebbe stato meno rischioso, provare ad andare all'evento. Sentivo subito più stabilità e sicurezza sulle gambe. Ma Dean aveva altri progetti:
-Vestiti. Ti vengo a prendere. Ti accompagno in fiera.-
Io non riuscivo a crederci. Lui si sarebbe fatto carico di me. Il mio fisioterapista aveva preso questa iniziativa, una iniziativa da amico. Mi aveva fatto sentire non solo un suo paziente, uno dei tanti. Aveva preso a cuore la mia situazione e ci teneva al fatto che io fossi in grado di fare una cosa che amavo fare.
In mezzora mi ero fatto trovare pronto. Dean si era presentato puntuale. Mi aveva trattato la gamba e la caviglia destra, dieci minuti. Poi, eravamo usciti per recarci in fiera. Non mi aveva lasciato prendere, ne il deambulatore, ne il bastone .-Non ti servono- aveva detto. -Sono solo un impedimento.-
Nonostante fossi perplesso, mi ero fidato di lui
. Arrivati là, il mio umore era crollato: cammminare sullo sterrato per 300 metri per aggingere l'ingresso fu drammatico, anche se lui mi teneva per un braccio. Ero incespicato una decina di volte, lamentandomi sul perchè costruire parcheggi così lontani. Inoltre, dopo questa faticata, davanti alle porte, troneggiava una bella discesa per entrare. Sembrava tutto strutturato in modo da mettermi in difficoltà. Già non riuscivo a camminare sulla pavimentazione liscia, figuriamoci tra dossi, gobbette e discesine varie. Mi ero bloccato davanti alla discesa, divosato dalla voglia di entrare ma terrorizzato a proseguire. Sarebbe bastato un passo falso e sarei finito per terra, senza contare il fatto che già le gambe erano affaticate dall'aver percorso un impervio sentiero, verso l'ingresso.
Dean era passato davanti a me, forse si aspettava che lo seguissi. Poi, notanto la mia resistenza si era fermato e si era girato verso di me: -Su, cosa aspetti?-
-Io...- avevo farfuglito imbarazzato. Doveva capire che quella discesa mi faceva paura. Lo sapeva ma voleva che affrontassi quell'ostacolo da solo. Non mi aveva lasciato prendere nemmeno il bastone
. Infatti, dopo qualche attimo, aveva ggiunto: -D'accordo. Non mi sono offerto di portarti per metterti in difficoltà. Potresti farcela. E' la sicurezza che ti manca. Ma sono qui per te.- Era tornato accanto a me e mi aveva messo un braccio attorno ai fianchi, tenendomi a sè: -Su, vieni avanti, ti aiuto io. E non ti preoccupare. Non ti lascio cadere.-
Nel suo abbraccio mi sentivo così sicuro che dimenticai ogni preoccupazione. Alla fine eravamo stati dentro tre ore, facendo foto e visitando tutti gli stand. Ero al settimo cielo perchè ero lì, ce l'avevo fatta. E mi rendevo conto che anche Dean, pur tenendomi a sè tutto il tempo, si era diverto. Non mi aveva lasciato un istante, considerando anch'esso che, anche dentro, la pavimentazione non era delle migliori. Interi settori incastrati un con l'altro, provocavano dislivelli e piccoli gradini. Da solo non ce l'avrei fatta di sicuro ma lui mi aveva tenuto stretto a sè tutto il tempo. All'ora di pranzo mi aveva fatto sedere ed era andato lui a farsi la fila al padiglione Food per prendere qualcosa da mangiare. Era stata una giornata fantastica. Era ormai tanto tempo che non mi ero sentito così bene.
Però, ormai, avevo capito che il sentimento che provavo nei confronti di Dean andava oltre la fiducia che si instaura tra fisioterapista e paziete. Certo, io lo vedevo come un amico, considerando anche il grande favore che mi aveva fatto ma, non potevo più negare con me stesso, che c'era anche una forte attrazione. Ultimamente, in effetti, aveva pensato a lui fin troppo spesso, ma avevo giudicato questo, un fatto normale . Io, avendo serie difficoltà motorie, non avevo avuto una grande vita sociale, negli ultimi anni. Era lui che vedevo più spesso, era con lui che parlavo, era con lui che avevo instaurato un rapporto di empatia
. La relazione tra fisioterapista e paziente non può escludere il contatto fisico e psicologico che è implicito nel trattamento riabilitativo. Ma ai fisiorapisti penso non sia permesso avere relazioni intime con i pazienti. Questo non vuol dire che lui non possa essere amichevole ma vuol dire che non deve sviluppare con me una relazione intima, dentro o fuori dal luogo in cui si lavora. Quindi eravamo usciti dal seminato? Ero ancora solo un lavoro, per lui? Sarebbe stato sensato affrontare l'argomento?
Erano stati questi pensieri a portarmi a fare quell'errore. Forse perchè ero su di giri, forse perchè l'avevo visto particolarmente sorridente, forse per gratitudine, forse perchè pensavo che, anche da parte sua ci fosse qualcosa.
Quando mi aveva riportato in casa, non gli avevo dato neanche il tempo di arrivare alla porta. Mi ero buttato letteralmente tra le sua braccia, tentando di baciarlo. E questo era stato l'inizio della fine. Non appena le mie labbra avevano sfiorato le sue, Dean si era ritratto di scatto, guardandomi poi, come se lo avessi pugnalato alle spalle.
-Ma che diavolo stai facendo?-
A me era gelato il sangue nelle vene: -Io...scusa. Io non...perdonami...-avevo farfugliato.
-Sei per caso impazzito? Non potremmo avere nessun tipo di rapporto, neanche se volessi. Sei un mio paziente, Cas. Solo questo.-
A quel punto il mio cuore era letteralmente andato in frantumi. Solo questo? Quindi, mi ero immaginato tutto. Lui cercava solo di essere gentile e di fare il suo lavoro. Non ero niente per lui. Anche se, nell'ultimo mese, Dean era diventato tutto per me
. -Certo. Hai ragione. Scusami, io non so cosa mi sia preso. Non ci ho neanche pensato. Fai finta che non sia successo nulla.-
L'altro aveva girato i tacchi e se ne era andato, senza neanche salutarmi.
Il lunedì seguente tornò a fare la terapia, occupandosi della mia spalla destra. Si mise accanto a me, senza proferire parola. Sentivo una sensazione di gelo, in quel silenzio
. -Dean- avevo provato io. -Ti ho già detto che non è stato nulla. Insomma, io ero eccitato per la fiera, ero felice e...ho avuto un momento di debolezza ma so che è stato un errore. Non succederà più.-
Lui aveva sospirato: -E' colpa mia. Ci ho pensato e credo di essere stato io a darti false speranze. Dovevo mantenere un atteggiamento solo professionale. Solo che tengo particolarmente alla tua situazione: sei giovane, bello, pieno di vita. Non posso fare miracoli ma ci tenevo ad aiutarti.- Dopo un altro lungo silenzio, aveva continuato: -Ormai non mancano molte sedute. E ho dei colleghi ugualmente capaci. Potrei aggiornarli sulla tua condizione e, se preferisci che venga qualcun altro...-
-No, Dean- lo avevo interritto allarmato. -Non mi abbandonare, ti prego. Io mi fido solo di te, abbiamo fatto progressi. Lo so che questo sentimento è solo da parte mia e ti prometto che non mi permetterò mai più...-
-Non hai capito, Cas. Era solo per dire che, in quel caso non saresti più un mio paziente...E quindi...
 
  
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