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Autore: NightWatcher96    21/04/2022    5 recensioni
Può essere un continuo di "Un Raggio di Sole nell'Oscurità" ma in realtà sono i pensieri, alcune cose che mi succedono del mio momento di grande dolore e sconforto. Non mi dilungo; è una one-shot in cui riverso quello che penso.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'Autrice

Voglio ringraziare di cuore chi mi è accanto in questo momento che mi ha davvero e profondamente segnato. Per me i sogni sono davvero qualcosa di particolare. Potrei raccontarne il motivo ma dovrei cucirci una storia su. Detto ciò, Enjoy.




L'ombra di Raphael si allungò dal corridoio alla cucina, qualche istante dopo i passi pesanti e trascinati verso la zona notte.

"C'è la pizza, vuoi un pezzo?".

Alle parole di Donatello, gentili e più pacate del solito, Raphael si fermò. La luce calda della cucina lo investì fastidiosamente facendogli bruciare i suoi occhi dorati e privi di qualunque gioia o voglia di vivere. Li aveva abituati molto di più alle tenebre in quell'ultimo periodo, da quando il suo Otouto Michelangelo era stato brutalmente ucciso dinanzi ai suoi occhi.

Leonardo lo guardò quasi ad implorarlo e mise una mano sulla spalliera di una sedia scricchiolante accanto a sé. Sembrò quasi dirgli Coraggio, Don può offendersi e rimanere male se non la mangerai.

"Grazie, ma non ho fame. Voglio solo andare a letto".

Don abbassò gli occhi rattristati, Leonardo sbuffò un pochino e gli mise la mano sulla spalla. Istintivamente guardò la sedia accanto al viola che era vuota e gli venne in mente, senza poter fermare quel pensiero pungente, che nessuno più l'avrebbe utilizzata.

"Porto un po' di riso e un po' di the al Maestro Splinter. Finisci pure di mangiare, Don" sorrise gentilmente l'azzurro.

Il viola si alzò con la chiara intenzione di sparecchiare. Il suo viso si era rabbuiato ma non era stato modellato dalla rabbia per quella famiglia che ormai si era inesorabilmente sgretolata. Mise la pizza rimanente in un piatto che chiuse nel frigorifero e iniziò a togliere alcune briciole dal tavolo, senza proferire alcuna parola.

Leo aprì la bocca per dire qualcosa, una qualunque e invece si limitò a seguire Donatello lasciare la cucina senza dire una singola parola. Gli rimase solo la voglia di inspirare una profonda boccata d'ossigeno dal naso.

Aveva promesso a Mikey di tenere salda la famiglia e invece tutto gli era sfuggito di mano. Affondò, con un po' di rabbia e di colpevolezza, il cucchiaio nella pentola dove aveva bollito il riso senza farlo bruciare, servì il the in una tazza e con tutto su un vassoio si diresse nella stanza del maestro.

Prima di bussare volse gli occhi ramati alla zona notte; era certo che Don si fosse rintanato nel suo laboratorio e Raph? Sperava solo che nelle sue ronde serali non avesse studiato l'ennesimo piano di suicidio.

-No...- pensò mentre fissava la sua ombra proiettata sulle shoji della camera di Splinter. -Aveva promesso a Mikey, sulla tomba, che non si sarebbe più protratto in pensieri oscuri-.

Leonardo si curò allora di Splinter e lasciò, nella parte più remota della sua mente, una miriade di domande e pensieri senza alcuna risposta.

Nel mentre, Raphael si era semplicemente disteso sul letto con le braccia sotto la testa e lo sguardo fisso al soffitto. Muoveva lentamente le iridi, osservava con apatia l'ombra proiettata dal suo lume sul comodino, acceso.

La tana era così silenziosa. Quando rincasava sperava sempre di trovare Michelangelo seduto sul divano, a ridere per qualche cartone animato o a leggere i suoi fumetti o, meglio ancora, a giocare a un nuovo videogioco o uno retrò con la solita lingua fuori dalla bocca.

Raph contrasse leggermente le labbra in un sorriso poi si girò su di un fianco e chiuse gli occhi, dopo un profondo respiro. Il rombo del silenzio era persistente nelle sue orecchie ma non era capace di mettere a tacere un'infinità di pensieri.

Addirittura riusciva a percepire il battito del suo cuore nel petto. Ci mise la mano su e prese un altro respiro: le lacrime gli pizzicarono nel naso ma lui non oppose resistenza. Spense la luce e si rannicchiò con la coperta addosso.

Le gocce salate si fecero strada oltre le sue palpebre strette; tracciarono alcune linee calde sulla sua pelle fredda e colarono a picco sugli zigomi per annidarsi nella stoffa blu del suo cuscino. Deglutì per riflesso e nel tentativo di allontanare l'immagine di Mikey che gli si poneva dinanzi e veniva trafitto.

"Non di nuovo, ti prego..." si lasciò sfuggire, a bassa voce.

I muscoli gli facevano davvero male, era un po' a corto di fiato e aveva semplicemente perso interesse verso ogni cosa. Tutte le mattine, appena sveglio e ogni sera prima di andare a letto passava nella stanza di Mikey e guardava quello che era divenuto un santuario.

Era stata sua l'idea di chiudere quella porta un po' logora per via delle numerose sbattute per rabbia o per sfuggire a qualche pestaggio: l'odore di Mikey, così, sarebbe rimasto molto più a lungo.

"Mikey... voglio vederti nei sogni anche stanotte...".

Raph, da quando Mikey era venuto a mancare, lo aveva sognato sempre e aveva segretamente iniziato ad annotare ogni cosa rimasta impressa, come un ricordo, al risveglio. Lo stesso per ogni parola o per qualche particolare messaggio in codice.

Si era interessato al mondo onirico e ai suoi numerosi significati dopo che una notte, in un sogno di pochi minuti, Mikey lo aveva confortato e gli aveva teso la mano dicendogli: "Quello che devi fare ora è stringere la mia mano e venire con me".

Raph aveva provato ad obbedire ma si era svegliato di colpo e con le lacrime agli occhi aveva proteso inutilmente la mano al vuoto nella speranza di avere quel sollievo tanto sperato.

Purtroppo non aveva trovato alcuna risposta al suo sogno e non ne aveva parlato con nessuno...
 


"Raph".

Il rosso sorrise gentilmente al suo fratellino. Erano nella camera del primo, c'era un silenzio e una pace incredibili.

"Vuoi venire con me?".

"Certo, Mikey. Lo sai che non riesco a vivere senza di te" rispose sicuro Raphael.

Era seduto sul letto di Michelangelo insieme all'altro che ora lo guardava con occhi un po' tristi. Il rosso si alzò e gli tese la mano.

"Andiamo".

Mikey gli sorrise un po' più convinto ma scosse leggermente il capo. "So che stai cercando di venire con me ma devi pensare a te stesso".

"Non mi interessa più. Lo sai fin troppo bene come sto vivendo; il dolore di te non si attenua, niente riempie il vuoto che sento dentro! E poi non puoi rimangiarti le cose" rispose deciso il rosso. Gli tese ancor di più la mano. "Andiamo".

"Vuoi venire davvero con me?".

"Non c'è neanche bisogno di chiederlo. Dove vai tu verrò anche io!".


 
"MIKEY!".

La porta della camera di Raph si aprì di scatto e la luce fu accesa. Don gli si tuffò al collo e prese a singhiozzare in silenzio, Leonardo era trafelato e perfino Splinter aveva uno sguardo inquieto.

"Don... ma... che succede?" domandò il rosso.

"Ho sognato Mikey... è la prima volta..! E sembrava così chiaro!" gemette il viola. Raph lo accarezzò sul guscio con gentilezza, l'altro si fece più possessivo in quell'abbraccio. "La sensazione che però ho provato è stata sgradevole.... ed era come riferita a te!".

"Anche io ho sognato Mikey. Non ricordo molto bene ma mi chiedeva di fare attenzione a voi" ammise Leonardo, sospirando gravemente.

"Michelangelo ha dato un messaggio anche a me; mi sono risvegliato con la percezione di dover fare qualcosa di importante ma non sono riuscito a capire cosa" rivelò sconfitto Splinter.

"E quando abbiamo sentito che parlavi nel sonno e poi hai gridato siamo entrati" concluse Don mentre gli prendeva il viso tra le mani e lo studiava tra le lacrime. "Non hai una bella cera".

"Sto bene" ammise Raph. "Tornate tutti a letto. Ma che ore sono?".

"Le tre e trentatré" rispose Leonardo, inquieto.

"Questa sarebbe l'ora del paranormale. Se dovessero verificarsi rumori, suoni, cose inspiegabili non mi spaventerei né meraviglierei. Darei per scontato che Mikey vorrebbe interagire con tutti noi". Donatello pronunciò quelle parole con un lieve risolino ma fu chiara la sua speranza, la sua voglia di vedere, anche solo per un momento, il suo fratellino.

Raph era stordito, gli batteva forte il cuore e aveva male dappertutto. Sospirò e si rimise coricato con un grande sbadiglio. Era decisamente a pezzi. Forse, rifletté in silenzio, c'entrava anche il fatto che sì o no mangiava qualcosa una volta ogni due giorni.

"Buonanotte, allora" augurò Leonardo.

Salutarono. E il buio regnò ancora sovrano...
 


Qualche mattino più tardi, Raphael fu l'ultimo a entrare in cucina. Trovò Don a bere il caffè con delle occhiaie vistose sulla pelle verde oliva un po' pallida, Leonardo ad armeggiare con la teiera, Splinter che attendeva in silenzio il the seduto accanto al genio.

"Buongiorno".

"Oh, Raph. Come va? Dormito bene?" domandò gentile Leonardo e gli altri anche risposero.

Fece le spallucce e si sedette a tavola con una mano contro la fronte. Si sentiva davvero schifosamente, stordito, con la fronte un po' calda, lo stomaco nauseato e dolori nelle ossa e nei muscoli.

"Vuoi un po' di caffè?" suggerì Donatello. "Magari ti sveglia".

"No, grazie. Non so come tu faccia a bere quella roba" negò il rosso, con una mano alzata. "Che ore sono?".

"Le nove e trenta. Oggi abbiamo tutti riposato un po' di più".

Raph annuì alle parole di Leo e rimase in silenzio, a fissare la sedia vuota di Mikey con uno sguardo perso e lontano. Aveva costantemente la sensazione che sarebbe entrato dalla porta con il suo allegro fischiettio o qualche risatina di prima mattina.

In realtà, iniziava a confondere la realtà con i sogni. Quello che infestava la mente durante la notte era così reale da sembrare un momento appena vissuto. Chissà, magari era un trauma e non lo sapeva.

"Che ti preparo, Raph?".

"Niente, Leo. La tua cucina fa schifo, perché non chiedi a Mikey di-". Raph si drizzò sulla sedia e tacque colpevolmente. Si era lasciato sfuggire quell'innocente quanto abitudinaria frase e aveva gettato il gelo e la disperazione in cucina. Leonardo chinò lo sguardo, Don altrettanto e Splinter gli mise una mano sulla spalla. "Scusami. Non ho fame. Puoi anche sederti, Leo".

Il maggiore offrì un sorriso e prese posto accanto a lui per consumare il suo the, i biscotti e una mela rossa come al solito.
 

Raphie!
 

Il focoso si alzò rumorosamente dalla sedia per guardare alle sue spalle, oltre la porta della cucina che rischiarava appena il buio del salotto. I suoi occhi erano ampi, velati di lacrime e c'era una grande trepidazione.

"Mikey!" rispose felice.

Superò perfino e davvero la porta per guardare, o meglio, sperare di vedere Michelangelo sbucare dalla zona notte o dal salotto e sorridergli. Una parte di sé sapeva che era solo frutto della sua immaginazione, dell'ansia che si era creata inconsapevolmente subito dopo la grave e improvvisa perdita, dall'altra invece ci credeva e non voleva darsi alcuna razionale spiegazione.

Don gli si avvicinò gentilmente, gli prese la mano e la strinse piano. "Raph, torniamo a tavola. Avrai solo-".

"No. L'ho davvero sentito. Possibile che nessuno di voi se ne sia accorto?" tagliò corto l'altro.

Gli occhi dorati ardevano di follia, determinazione, pianto, disperazione. Erano contrastanti ma trasudavano una gioia quasi del tutto incontenibile. Era come se Raph attendesse effettivamente la venuta di Michelangelo.

"Raph, ne abbiamo già parlato. E' la tua ansia. Sei suscettibile e sensibile alle cose che la tua mente crea" provò a ragionare il viola.

"Pensi che non lo sappia? Ma tu sei un genio; sei stato tu a parlarmi del paranormale e di quelle cose strane a cui la scienza non ha saputo ancora dare una spiegazione". Raph lo travolse con quelle parole e uno sguardo quasi raggelante. "So che Mikey non c'è più ma io lo sento. So che è qui anche se non lo vediamo... ma davvero... io lo percepisco continuamente qui!".

Don guardò Leonardo e Splinter poi scosse il capo per trovare un po' più fermezza. "Raph... so che, tra noi tutti, sei tu quello che ha preso la perdita di Michelangelo con maggior impatto ma... devi andare avanti. Lo hai promesso, non dimenticarlo".

Raph deglutì mentre la luce della cucina evidenziava i suoi occhi farsi più luminosi, lustri di lacrime.

"Ho tenuto le telecamere e i microfoni accesi giorno e notte e non è mai successo nulla".

Il focoso rilassò i muscoli che aveva contratto nella realizzazione, l'ennesima, che Donatello aveva perfettamente ragione. Stava impazzendo a furia di sognare Michelangelo e di non capirne il motivo.

Tornò seduto a tavola con lo sguardo triste e puntato ancora sulla sedia quando improvvisamente si alzò di nuovo; la sua famiglia si tese e lo fissò con aria interrogativa quanto preoccupata.

"Devo solo... andare in bagno" disse con un fil di voce.

Riuscì a fare tre passi. Poi il suo corpo divenne improvvisamente pesante, così tanto che si impalò al centro della cucina, a pochi metri dalla porta e la sua vista prese a farsi a chiazze nere. Quando dalla sua gola nacque un solletico lui iniziò a tossire ma quello che fu catapultato sulla sua mano non fu saliva.

"RAPH!" esclamò Donatello. Gli prese la mano imbrattata di sangue con orrore poi cercò i suoi occhi. "Raph, va tutto bene. Vieni, ti porto in bagno".

Il rosso era confuso ma improvvisamente vomitò, spinto da una feroce nausea. La bile che si schiantò sul pavimento fu di una tonalità rossa e odorosa di ferro.
 

"Mikey".

La tartaruga lo guardava con occhi luminosi e sorrideva gentilmente. Raph era seduto sulla sua amaca e si dondolava con le gambe. Entrambi parevano essere tornati dei bambini.

"Come ci si sta la dove sei?" chiese il rosso, genuino.

"Bene. Un po' stretti" commentò Mikey con nonchalance. Non lo guardava, teneva lo sguardo un po' mesto sulle sue mani. "Sai... c'è anche il nonno".

"Intendi Yoshi Sensei?".

Mikey annuì. "Ora quello che devi fare è-".

Raph vide improvvisamente il suo Otouto nel letto, con la coperta addosso e un braccio proteso all'infuori come chiaro invito di condividere quel giaciglio come ai vecchi tempi.

"...venire qui vicino a me e non pensare a nulla".

"Fammi posto" ma nel mentre che lo raggiungeva, come un interruttore, i suoi occhi si aprirono di scatto a una luce che gli proiettava nelle iridi.
 

"Oh, grazie ai Kami, sei sveglio!". Don sospirò sollevato nel vederlo finalmente cosciente. "Ero davvero preoccupato! La tua salute non è delle migliori!".

Raph constatò di essere nel laboratorio, su un letto, con alcuni fili pendenti nel corpo e una mascherina per l'ossigeno sul viso. Onestamente si sentiva una schifezza, come con i postumi della febbre ed era piuttosto assetato.

Ad un'occhiata più attenta vide Don con occhi gonfi di lacrime che deglutiva mentre armeggiava sul suo pc dandogli il guscio a tre quarti. Lo vide girarsi completamente qualche momento dopo con la disperazione vivida.

"Perché sono qui?" chiese Raph, semplicemente.

"Perché sei svenuto dopo che hai vomitato sangue".

Il focoso non emise alcuna parola sorpresa, si limitò solo a studiare il viso di suoi fratello che combatteva nervosamente nel tentativo di metterlo al corrente di qualcosa.

"Ti ricordi la cisti al fegato scoperta due anni fa in un controllo di routine?".

Raph, improvvisamente, trovò un senso a quei sogni dove Mikey lo invitava ad andare con lui. Fu pervaso da un senso di gioia e un'improvvisa speranza di raggiungerlo.

"Mikey avrebbe potuto dirmelo chiaramente che sarei andato con lui".

"Cosa?". Don alzò lo sguardo con perplessità. "Che intendi dire?".

"Tu rispondi prima alla mia domanda: quanto mi resta da vivere?".

"Quattro o cinque mesi... la cisti è diventata un tumore maligno e sta progredendo a un ritmo allarmante. Però, se riuscissimo a contattare Leatheread e Honeycutt o se potessimo parlare con il Daimyo sono sicuro che avresti maggiori possibi-".

"No" tagliò corto e deciso Raph mentre si metteva seduto. Si tolse la mascherina dal viso e accettò con molto piacere il bicchiere d'acqua che gli offrì Don. "Grazie, ci voleva. Quello che voglio dirti è che Mikey mi aveva invitato ad andare con lui in diversi sogni ma non avevo ben afferrato il concetto".

Don sgranò gli occhi con orrore.

"Perché quella faccia?".

"Perché... probabilmente penserai che è stupido perfino per uno che la scienza la mangia a colazione". Don rise nervosamente mentre si passava una mano sulla testa. Raph gli fece un cenno. "Avevo recentemente letto a proposito dell'interpretazione dei sogni. Mi dici che Mikey ti ha proposto di andare con lui... se me lo avessi raccontato forse me ne sarei accorto prima!".

"Ma che stai dicendo? I sogni sono personali!" sbuffò il focoso, acido.

"Con il cazzo che lo sono quando c'entra la salute della mia famiglia!" ribatté feroce Donatello. "Se me lo avessi detto avrei potuto fare qualcosa di più! E invece alla fine ci sei riuscito a mettere in atto la tua malsana idea di farla finita e darci un secondo lutto!".

"Don, guarda che-."

"Stai zitto per un momento e fammi spiegare". Raph tacque. "Spesso, una persona cara venuta a mancare si materializza in sogno per lasciare messaggi o per dare conforto a chi è rimasto in vita. Ma sai, è anche vero che ci sono persone molto ricettive a fenomeni inspiegabili proprio come te e quando ho letto il tuo diario-".

"Cazzo, Don! La fottuta privacy!".

"Sì, lo so..! E ti chiedo scusa! Ma non ho resistito e ho letto tutti i tuoi sogni su Mikey. Ho indagato, perchè lo sai che ho sempre avuto una sete mostruosa di conoscenza e di scoprire cose nuove e ho intuito che Mikey in realtà ti stava avvertendo della tua salute! Andare con lui era un campanello d'allarme!". Don alzò di nuovo la voce dopo quel blando tentativo di scuse per la sua scivolata sulla privacy.

Raph abbassò lo sguardo.

"Io non mi arrenderò, quindi preparati! Perché Mikey ha sempre tenuto in particolar modo a te e farebbe di tutto per salvarti, Raph" sussurrò il viola, prendendogli affettuosamente il viso. "Dopo che sei svenuto, Leo ti ha dato un po' di sangue perché ne eri scarso. Sono andato nella tua camera per prendere una coperta e ho visto il diario". Il rosso si lasciò cancellare due lacrime dai pollici fraterni. "Poi ti ho fatto delle analisi e ho scoperto questa cosa terribile".

"Voglio davvero raggiungere Mikey. Non sono riuscito a superare il dolore, non penso che lo farò mai".

"I tuoi sogni avevano un filo logico, Raph e tu non sei riuscito ad afferrarne il concetto. Mikey ti aveva messo in guardia sulla tua salute e ti aveva cercato di dissuadere a raggiungere il baratro della depressione. Non a caso tu non sei da solo, fratello. Hai me, Leo, il maestro Splinter e tutti i nostri amici".

"Voi siete riusciti ad andare avanti".

"Ti sbagli" negò Don. "Ognuno di noi vive il dolore diversamente. Ma è il nostro istinto di sopravvivenza a guidarci per andare avanti, anche se fa male e anche se sembra impossibile". Raphael chiuse le palpebre per far cadere altre silenziose lacrime. "Ti stupirai di quanto forte noi siamo. Il tempo è e resterà sempre la più forte delle medicine".

Raphael gli si buttò al collo e lo abbracciò fortemente per singhiozzargli nella spalla.

"Ti cureremo, vedrai".

"Ma se non dovessi farcela... per favore, fammi andare da Mikey".

Don non rispose: il suo pianto lo avrebbe tradito...


 
"Non c'è verso. Più provo a raggiungerti ovunque tu sia, tu ancora mi rispedisci qui".

Raph posò un mazzo di rose bianche sulla tomba di Mikey. Faceva più freddo, indossava una giacca marrone dove le tasche ospitavano le sue mani gelide e screpolate. Erano cinque mesi che combatteva contro quel male invisibile e stava vincendo.

"Mikey, vieni sempre nei miei sogni, ti prego. E' l'ultimo barlume di speranza che mi collega a te" ammise Raph.

Una folata di vento scosse le code della sua maschera, lui sorrise un po' ma tornò poi serio. La sua famiglia era nella casa di campagna dei Casey e lì, in quel luogo che tanto lo straziava anche a distanza di un anno e due mesi ci era andato da solo.

"Continuo a pensare, anzi a sperare, di poter perdere questa volta e di venire da te ma niente. Purtroppo o per fortuna tu mi stai dando una forza incredibile ed io sto combattendo". Fece una pausa per sospirare e alzarsi il bavero contro il collo. "Mikey, non ho superato la tua perdita. Ho letto che questa è depressione ma... allora perché inizio a pensare che se la facessi finita il resto della famiglia cadrebbe definitivamente a pezzi?".

Non ebbe risposta, non l'avrebbe mai avuta in realtà.

"Comunque io torno in casa. Ci vediamo stanotte, d'accordo?".

Raph gli sembrò di vedere un sorriso di Mikey accanto alla tomba.
 

"Questa volta non me la tendi la mano?".

Mikey era accanto a una porta con la mano sulla maniglia bianca. Gli sorrideva dolcemente e lo guardava con immenso amore e gioia. Raph ignorava il buio alle sue spalle, il freddo e una sensazione quasi di amarezza. Voleva imprimere bene il suo Otouto nella mente.

"Raph, io devo andare ora. Ma prometto che verrò a trovarti".

"Puoi farlo?" domandò speranzoso il focoso.

Mikey gli fece l'occhiolino. "Chissà... forse non mi puniranno se verrò a vedere che combini".

Risero appena tutti e due ma poi fu l'arancione a prendere ancora parola. "Raphie, guarda che io ti sento, ti vedo e so quello che fai. Arriverà un giorno che diventerai la tartaruga più forte. Quindi, non provare a morire, hai capito?".

"Non mi vuoi proprio con te lì?" sfidò il rosso, ironico.

"Credimi, è stretto. Più avanti". Mikey aprì appena la porta.

"Ma quando?".

L'immagine del suo Otouto che gli sorrideva mentre un fascio di luce investiva entrambi lo fece destare.
 


Era sempre a casa. No... era nel mondo del Nexus, al Padiglione Medico. Era vivo.

"Allora... quando mi verrai a prendere?" sussurrò mentre richiudeva gli occhi e sentiva il suo cuore pulsare sotto alla mano magra.
 

"Ti vedrò invecchiare, Raphie".
 

Fuori la porta di quell'ospedale avanzato e sconosciuto alla Terra, Don, Leo e Splinter udirono una risata cristallina. Quando controllarono videro Raph seduto sul letto con un'espressione molto radiosa.

Qualunque cosa avesse sognato quel senso di dolore sul suo viso era completamente scomparso. Michelangelo, aprendo quella porta, aveva finalmente portato via l'ombra di un dolore senza fine il più lontano possibile. Ora toccava al resto degli Hamato di colmare, almeno in parte, quel vuoto nel cuore.

"Ehi, ragazzi!" salutò il focoso.

"Ciao, Raph. Come ti senti?".

Alla domanda di Don il focoso, con un ghigno, fece le spallucce.

"Onestamente?". I tre lo guardarono in trepidante attesa. "Mai stato meglio!".

L'abbraccio che ricevette fu il miglior dono possibile.

L'amore della sua famiglia riscaldò il suo animo gelido.

Morire per distruggere la sua famiglia non sarebbe stata l'opzione migliore per annullare il dolore nel cuore ma Mikey lo aveva aiutato. E che sarebbe stato creduto o meno Raph sapeva che i sogni non erano affatto creazioni del cervello.

I sogni erano, sono e saranno sempre un sottile cancello per il mondo terreno e quello onirico. E vedere o parlare con Mikey gli sarebbe potuto andare bene. Almeno fino a quando davvero la sua ora sarebbe giunta.

Per ora, Raph si godeva la sua importantissima famiglia.

 
The End
 
  
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