Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Tomoe_Akatsuki    13/05/2022    1 recensioni
血色の桜です: kesshoku no sakura desu, fiori di ciliegio color sangue
A vederlo così, a Jotaro venne in mente un ciliegio in fiore, di cui i petali avevano il colore del sangue. E lo trovò semplicemente stupendo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Jotaro salì a passo lento le scale del condominio, diretto al secondo piano. Era tarda notte, e anche se non lo dava a vedere, la stanchezza della giornata trascorsa pesava su di lui. Avrebbe voluto andare a dormire, ma prima c'erano cose di importanza maggiore da compiere.
  Suonò il campanello dell'appartamento a cui era diretto e dopo diversi secondi la porta si aprì, lasciando entrare uno spiraglio di luce.
L'ambiente si rivelò essere buio, una volta che entrò. Lasciò le scarpe all'entrata e, accompagnato dal fruscio dei calzini sul legno e da quello occasionale del soprabito, si diresse verso il soggiorno, dov'era sicuro di trovare l'inquilino.
  Kakyoin sedeva con le spalle alla finestra, la tela retta dal cavalletto che gli limitava la visuale, illuminata dalla luna.
Non diede segno di aver sentito entrare Jotaro - il moro sapeva che gli aveva aperto la porta usando Hierophant Green, ne aveva percepita la presenza -, ma pose i pennelli che aveva in mano insieme agli altri strumenti, e mise un lenzuolo sul cavalletto, in maniera da coprire il dipinto ma senza danneggiarlo.
Infine, si voltò.
  Jotaro si sentì nudo davanti a quegli occhi rossi, quando questi inchiodarono i suoi verde-azzurri.
Come ogni volta che li incontrava, ci leggeva un fondo di accusa, indifferente dal contesto in cui erano. Era presente sempre. E lui sapeva che era colpa sua se erano - se Kakyoin era - in quella situazione. Colpa di un mero desiderio, puramente egoista.
Testimoni ne erano quegli occhi rossi - prima di una particolare sfumatura ametista -, i lunghi capelli bianchi - cresciuti e mutati lentamente dal rosso durante i sette anni di coma - i canini leggermente più lunghi del normale, che si mostrarono quando Kakyoin schiuse le labbra per parlare.
  «Cosa ci fai qui?»
Dritto, conciso e tagliente. Come se quella conversazione fosse la prima di quel tipo - e non la-, ormai Jotaro aveva perso il conto.
«Sono venuto a trovarti.»
I gomiti poggiati alle cosce e le mani unite, Jotaro lasciò cadere lo sguardo mentre parlava, per poi rialzarlo subito dopo.
«Non dovevi aspettare che fosse per forza notte. Potevi passare anche nel pomeriggio.»
Il tono sembrava essersi ammorbidito, ma lo sguardo divenne più tagliente.
  Jotaro conosceva il motivo, una delle tante conseguenze della sua scelta.
«Non ne ho avuto il tempo, Kakyoin.»
Ed era la verità.
Tra gli Stand che gli segnalava la Fondazione Speedwagon e il cercare di essere un minimo presente nell'infanzia di Jolyne, non aveva un attimo per fermarsi e prendere un respiro.
Era già tanto se riusciva a trovare il tempo per dormire. E se la stanchezza non era abbastanza - il che, al contrario di quanto si possa pensare, era un evento  discretamente raro - ci pensavano vecchie conoscenze a tenerlo sveglio, facendogli decidere che era meglio sommergersi di lavoro piuttosto che riposarsi.
  Kakyoin non sembrò né sorpreso né addolcito dalla risposta. Si limitò a distogliere lo sguardo, rimanendo neutro.
«Non devi venirmi a trovare per forza.»
Ormai ci era abituato a quelle frasi. Se non gli avevano fatto più di tanto effetto all'inizio, figurarsi adesso, ma comunque le sue spalle si curvarono un poco.
«Io voglio venire a trovarti.»
La risposta era sempre quella, mezza morsa tra le labbra. Un po' dettata dal dovere, ma in buona parte perché era veramente quello che voleva. Un tentativo di mettere a posto il casino fatto, anche.
«Hai una moglie e una figlia, Jotaro.»
  Avrebbe voluto rispondergli che quello era il risultato per aver pensato - aver sperato - di poter avere una vita "normale", per una volta. Preso dall'impeto, trascinato da una donna che provava interesse per lui - ma soprattutto non faceva domande sul suo passato e su cosa faceva quando spariva per lunghi periodi -, si era sposato ed era nata Jolyne.
  «Hai dei doveri verso di loro.»
Certo che lo sapeva di avere dei doveri nei loro confronti. E per questo cercava di tenerle il più possibile alla larga dai suoi problemi, anche a costo di fare la parte del padre assente, che magari si dimentica del compleanno o salta il Natale - colpa del complesso da eroe, secondo l'opinione di Polnareff.
  «Lo so, Kakyoin.»
«Allora cosa ci fai ancora qui, seduto sul mio divano? Dovresti essere con tua moglie, e magari Jolyne addormentata tra le tue braccia dopo avergli raccontato la favola della buona notte.»
Il tono era di nuovo tagliente, con qualcosa in più che Jotaro non riuscì a identificare - erano tante le sfumature dell'altro che aveva pensato di capire, ma poi si erano rivelate altro.
  Kakyoin si alzò, prese i pennelli e si diresse in cucina, decretando che la discussione era finita lì.
Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile? Perché - come voleva la sua indole più profonda, di cui Star Platinum ne manifestava una piccola parte - non si poteva risolvere tutto con un paio di pugni?
Si sentiva frustrato. Cercava di trovare una soluzione, agiva troppo d'impulso e si rivelava essere un disastro, generando altri, troppi problemi, ritrovandosi in una situazione del genere, dove era legato mani e piedi da doveri nei confronti di persone - a cui, in fondo, teneva.
  Si alzò dal divano e si diresse verso l'ingresso, non sentendosela di reggere un altro litigio - che ormai erano all'ordine del giorno, se non era in viaggio -, ma si fermò sulla soglia della cucina, sentendo quel senso di dover spiegare premere, nonostante non sapesse cosa era ancora rimasto da esporre e mettere sul tavolo.
  Lo sguardo gli cadde sulla figura di Kakyoin, intento a lavare i pennelli usati - la luce spenta, non avendone un reale bisogno -.
Poteva dire di conoscerla praticamente a memoria, dato che in quei sette anni non era cambiato di una virgola, fisicamente. Quando era al suo capezzale, mentre studiava o preparava la laurea, capitava che la sua attenzione si soffermasse sul corpo disteso al suo fianco. E un senso di rimorso lo coglieva.
Lo stesso successe in quel momento, quando pose lo sguardo su di lui.
  «Vai a casa, Jotaro.»
Era un avvertimento, quello. Chiaro e tondo.
Kakyoin stava cercando di essere gentile nel spingerlo via, quando avrebbe potuto semplicemente sbattergli la porta in faccia e non rivederlo mai più.
  «Perché?» chiese Jotaro, non riferendosi però alla frase precedente.
Kakyoin sembrò averlo intuito, perché chiuse l'acqua che scorreva dal rubinetto, si asciugò le mani in uno strofinaccio e si voltò, appoggiando i palmi al piano. Tutto in una maniera lenta che Jotaro trovò snervante.
«Mi chiedi perché?»
La voce era bassa, acida.  La testa incassata tra le spalle, e il ciuffo di capelli che gli incorniciava il volto scivolò a coprirlo. Sembrava prossimo alla risata, ma allo stesso tempo al pianto.
Jotaro fece un passo dentro la stanza, intenzionato ad avvicinarglisi, ma si fermò, sentendo di nuovo lo sguardo rosso su di lui.
«Perché mi hai salvato?»
Erano mesi, da quando si era svegliato in ospedale, che quella domanda sobbolliva in lui, tremendamente fastidiosa. E ora l'aveva sputata fuori in quel modo velenoso, carica di tutta l'incomprensione e rabbia che provava.
  Jotaro abbassò il capo e con esso lo sguardo. Alla fine, ci erano arrivati comunque, per quanto l'avesse evitato.
«Sensi di colpa.» disse, la voce roca - riuscire a tramutare tutto quello che aveva dentro in parole si stava facendo troppo complicato.
«Sensi di colpa per avermi portato in Egitto?» chiese ancora Kakyoin, sempre con quel fondo di rabbia nel tono.
«Sì.»
Con un sospiro, abbassò il capo.
«Quante volte devo dirti che venire in Egitto è stata una mia» calcò sull'aggettivo possessivo puntandosi un dito al petto «scelta?»
Lo fissò un paio di secondi, prima di parlare nuovamente, aspettando una sua eventuale reazione.
«Tu in quella scelta non hai nessun ruolo.»
  Bugiardo
Jotaro si ricordava chiaramente quando gli aveva chiesto il perché voleva unirsi a loro in quel viaggio, e ricordava chiaramente la risposta ricevuta: "il vero motivo che mi spinge non lo so nemmeno io. Se sono vivo è solo grazie a te. Forse è solo per questo."
All'epoca aveva sorriso nel sentirlo, abbassando il capo, ma quando aveva visto il corpo morto disteso nel sacco nero aveva sentito quelle parole cadere come una mannaia su di lui. Anche se Kakyoin non l'aveva detto esplicitamente, Jotaro aveva avuto il suo peso in quella decisione.
  «Tu provi sensi di colpa per qualcosa in cui non c'entri. Dovresti provarli per qualcos'altro.» disse Kakyoin, tornando ad appoggiarsi al piano.
  Da quando lo conosceva - che a conti fatti era una cinquantina di giorni più un paio di settimane, contando le volte che era andato a fargli visita da quando si era svegliato - Jotaro non l'aveva mai trovato così letale e senza pietà, se non con il nemico - ricordava la soddisfazione sul suo volto mentre raccontava di come si era vendicato di Death 13.
Che le cose andassero in quella maniera, era stato decretato da quando Jotaro si era fermato sulla soglia della cucina, rifiutando di andarsene a casa. E ora gli sembrava di starsi scontrando con Silver Chariot, date le stoccate che riceveva con ogni frase.
«Li provo anche per quello, Kakyoin.»
«E allora perché continui a venire qui? Peggiori solo le cose!»
  Kakyoin era stufo di quel gioco a buon viso, di tutta quella falsità che aveva messo su per evitare ulteriori danni - a lui, agli altri.
C'era chi l'aveva capito - stranamente, il primo era stato Polnareff, nell'unica visita fatta in ospedale, prima di sparire a caccia di Stand - e chi non l'aveva capito - l'esempio era davanti a lui, chiuso nel suo soprabito bianco. Gli puntò un dito contro, aggressivamente.
«Sai cosa vuol dire svegliarsi da un coma pensando di essere morto, scoprire di essere effettivamente morto ma tornato in vita grazie al sangue di colui che ti ha rovinato? Mi hai fatto diventare come lui, Jotaro! Tu mi hai reso un vampiro!»
Urlò l'ultima frase, e Jotaro la sentì come un schiaffo, bruciante sulla guancia.
  Basta.
Anche lui era stufo di tutto quello. L'avrebbe risolta alla sua maniera, anche a costo di passare ai pugni.
  Jotaro avanzò a passo deciso verso Kakyoin, totalmente irato. Quest'ultimo spalancò gli occhi, colto di sorpresa.
«Stai indietro!» intimò, con una certa urgenza nella voce, allungando un braccio con l'intenzione di tenerlo lontano.
Ma Jotaro lo ignorò bellamente, e anzi lo afferrò per il collo della maglia, ritrovandosi con il suo volto a pochi centimetri.
«Stammi bene a sentire-»
«Ti ho detto di starmi lontano!»
«No, non me ne sto lontano! Non è -»
Venne interrotto da una fitta di dolore al braccio. Sbatté diverse volte le palpebre, realizzando cosa era successo nell'arco di un millisecondo.
I canini di Kakyoin si erano conficcati nel suo braccio, mancando di poco il tendine, e il sangue che fuoriusciva dalla ferita si stava allargando a vista d'occhio, assorbito dal soprabito.
Gli occhi avevano assunta una nuova sfumatura di rosso, più accessa, più animalesca della precedente. Era come se la parte vampiresca fosse stata fino a quel momento sotto il controllo di quella umana fosse uscita finalmente allo scoperto, rivelandosi in tutte le caratteristiche appena c'era stata la possibilità di liberarsi.
  I secondi che seguirono sembrarono ore, fino a quando il vampiro non si staccò lentamente dal braccio e alzò lo sguardo rubicondo in quello marino, ancora confuso.
Il sangue fresco colava lungo la sua mascella, ma Kakyoin non se ne curò, poiché afferrò Jotaro per il bavero del soprabito e lo riportò a pochi centimetri dal suo volto.
«Tu mi hai trasformato in questo, e queste sono le conseguenze!» ringhiò a denti stretti.
Ma Jotaro non prestò più attenzione, catturato da quel lato che aveva appena visto, somigliante a quello che in certe occasioni sfoggiava in battaglia, dandogli un'aurea di sicurezza totale, di completo dominio dello scontro. Solo che adesso era amplificato, si sentiva praticamente schiacciato da esso.
  A vederlo così - quello sguardo praticamente animale, il ciuffo disordinato, il mento sporco di sangue -, a Jotaro venne in mente un ciliegio in fiore, di cui i petali avevano il colore del sangue. E lo trovò semplicemente stupendo.
  Lo baciò, assaporando il gusto ferroso del sue sangue che stava iniziando a raffeddarsi, assaggiando la morbidezza di quelle labbra ormai eternamente giovani. Nonostante sentiva il desiderio premere, non si spinse oltre al mordicchiare delicatamente il labbro inferiore. Era tutto così piacevole che si dimenticò delle circostanze, delle condizioni. Ma quando si staccò - rimpiangendo immediatamente quel dolce contatto - la consapevolezza di quello che aveva fatto gli piombò addosso.
  Aveva agito di nuovamente d'impulso, senza fermarsi a pensare per mezzo secondo, non calcolando che ci sarebbero state anche di quello delle conseguenze - ulteriore complesso dell'eroe, canticchiò una vocina nella sua testa che assomigliava tremendamente a quella di Polnareff.
Jotaro schiuse le palpebre, rimanendo fermo per evitare di rompere quell'equilibrio che si era momentaneamente creato - una mano sul braccio di Kakyoin, l'altra sul suo fianco -, osservando la possibile reazione dell'amico, che però aveva il capo chino e il volto coperto dai capelli.
«Scusa.» fu la prima parola che gli venne in mente, mentre cercava di evitare che gli eventi precipitassero ulteriormente e ordinava pezzo per pezzo ciò che stava provando - principalmente caos, ma in quel caos c'era anche dell'altro.
Oh, il nostro eroe ha deciso di abbandonare l'armatura? - avrebbe dovuto fare una chiacchierata con Polnareff la prossima volta che l'avrebbe visto.
«È.... Successo.»
Un pezzo alla volta, eroe.
«È stato un un caso, non..... Scusa.» ripeté, iniziando ad impiastricciarsi con le parole.
Con calma.
  Lasciò la presa su Kakyoin e si passò la mano sul volto, esausto e in difficoltà.
«Potresti dimenticarlo?» più che una richiesta sembrò una supplica, detta mentre alzava lo sguardo verde-azzurro.
  Kakyoin non rispose subito.
«Dimenticarlo?» ripeté, con un tono perplesso.
Alzò lo sguardo, mostrandone una terza sfumatura nell'arco di un paio di minuti. Erano sì affamati, ma la fame che ne traspariva era per qualcosa di diverso. La bocca di Jotaro si asciugò appena incontrò quegli occhi e sentì le guance scaldarsi, ma non si nascose sotto la testa del cappello.
Kakyoin afferrò di nuovo i lembi del suo soprabito, invitandolo ad abbassarsi alla sua altezza.
«Mi hai preso in contropiede, è vero.... Ma vorrei seriamente baciarti un'altra volta.» sussurrò a un soffio dalle sue labbra.
  Fu un contatto leggero quello che seguì, quasi come a volersi accettare che ambo le parti fossero d'accordo.
Le gote di entrambi arrossirono, facendoli sentire dei ragazzini alle prese con il primo amore - il che per Kakyoin era vero.
Jotaro pose nuovamente le sue labbra su quelle dell'amico - quale ironia era ormai quel nome -, posando le mani su quei fianchi stretti e praticamente femminili, ma che erano uno dei particolari di Kakyoin che trovava bellissimi, e tirandolo a sé.
Kakyoin lo assecondò molto volentieri, lasciandoli libero accesso alla sua bocca e andando infilare le dita di una mano tra i capelli neri, mentre l'altra stringeva il tessuto della maglia nera.
  Era così piacevole sentire il corpo dell'altro, sentire il suo calore, come inconsciamente avevano sognato. Era come se le cose finalmente fossero andate per il verso giusto, incastrandosi dove dovevano stare.
E per il momento le spiegazioni potevano aspettare - c'era qualcos'altro che necessitava di attenzione al momento, sopito a lungo ma ormai risvegliato dal suo letargo, in cui non sarebbe tornato tanto facilmente.

È la storia della bella addormentata e dell'eroe, questa avrebbe detto quella voce che ricordava Polnareff.



















 

N.d.A.

Penso che qualche spiegazione ora deve essere necessaria, dato che non ho esplicitato tutto ma ho lasciato molti sottointesi, per cui ora spiegherò tutto.
- Dato che Joseph torna in vita grazie al sangue di Dio perché ha del sangue Joestar, ho pensato che avrebbe potuto funzionare anche su Kakyoin, ma sfruttando il lato da vampiro del sangue, ossia principalmente la sua autoregenazione. Praticamente è successo questo: Star Platinum pompava "artificialmente" il sangue contraendo il cuore, il sangue diffondendosi per per il corpo attiva l'autoregenazione, riportando in vita il corpo morto e chiudendo la ferita
- Dato il brusco cambiamento che subisce il corpo - perché in fin dei conti viene sostituito praticamente tutto il sangue - Kakyoin cade in un coma che dura sette anni
- Gli effetti che subisce della vampirizzazione sono i capelli che si schiariscono e diventano bianchi, gli occhi che diventano rossi, i canini che si allungano e anche le unghie si allungano, ma quelle Kakyoin le tiene sotto controllo tagliandole frequentemente.
- Kakyoin tratta in quella maniera brusca Jotaro per un paio di motivi.
Tenendo conto che i fatti si svolgono nel 1995 (mentre Stardust Crusaders è nel 1988), Jotaro è già sposato e Jolyne ha tre anni, dato che è nata nel '92. Diciamo che Kakyoin ci rimane male quando scopre che Jotaro si è sposato - ma non è che poteva aspettarti per sempre no? E poi come facciamo senza quella creatura adorabile che è Jolyne bambina? -. Ma questo non è il problema principale. Essendo che è un vampiro e i vampiri sono immortali, Kakyoin vuole recidere ogni legame perché non vuole vedere invecchiare le persone che considera importanti. Ma Jotaro non lo capisce, ha solo il suo complesso da eroe e i sensi di colpa perché ha agito senza pensare - penso che questo concetto ormai sia molto chiaro, probabilmente.
- Polnareff come coscienza di Jotaro: quest'idea arriva da una Jotapol che ho letto (è una delle uniche due in italiano che si trovano su ao3), in cui Polnareff descrive quest'abitudine di Jotaro di addossarsi la colpa per tutto come "complesso dell'eroe" e secondo me calza a pennello con Jotaro. Dato che comunque i due sono amici, in una di quelle serate da una-sigaretta-tira-l'altra e tante chiacchiere, potrebbero essere arrivati a parlare di questo complesso da eroe. E poi mi piaceva l'idea che Polnareff fosse una vocina che si fa viva nei momenti peggiori, con commenti altrettanto sarcastici - si sa, Polnareff e i momenti adatti non vanno mai d'accordo.

Bien, penso di aver spiegato tutto.
Spero che vi sia piaciuta (e di non essere sforato nell'OOC, il mio grande incubo insieme alle descrizioni)!

Tomoe

   
 
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