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Autore: Lartisteconfuse    17/05/2022    0 recensioni
Bakugou Katsuki si trasferisce in una cittadina e fa la conoscenza di Midoriya Izuku, Kirishima Eijirou e Todoroki Shouto. All'apparenza sembra tutto normale, ma più il tempo passa vicino ai tre ragazzi e soprattutto accanto a Izuku e più la sua realtà inizierà ad essere stravolta dai fantasmi di un lontano passato.
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Questa storia è una bakudeku e kiritodo
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: Eii mi dispiace aver fatto aspettare, questo mese è super stressante e la storia complicata, quindi non posso dedicarmici spessissimo :( 
Ma oggi finalmente ho trovato un po' di tempo e quindi ecco qui!
Mi farebbe piacere sapere che ne pensate o se avete interrogativi sono pronta a risolverli. Secondo me mi perdo i pezzi mentre cerco di adattarla ai bkdk e krtd lol
Comunque vi lascio alla lettura, alla prossima!



“Amore, guarda!” 
Shouto alzò la testa dal quaderno su cui stava scrivendo per guardare Eijirou che se ne stava davanti ai fornelli con una padella in mano. Appena il rosso ebbe l’attenzione del fidanzato ghignò e agitò la padella. Il pancake che si trovava all’interno saltò in aria, si rigirò e finì sul pavimento.
Shouto osservò il pancake, per nulla sorpreso. “Wow, non tocca i bordi della mattonella. Bravo” disse senza entusiasmo. 
Eijirou gemette. Spense il fornello e dopo aver posato la padella si inginocchiò a terra per rimediare al suo disastro. “Non doveva finire cosi!” 
“Che succede qui?” Fuyumi, la sorella maggiore di Shouto, si affacciò all’interno della cucina, richiamata dalle lamentele di Eijirou. 
“Ei sta cucinando” rispose Shouto, tornato di nuovo ai compiti che stava facendo. 
“Scusa Fuyumi, non volevo” disse il rosso, mentre puliva e buttava il povero pancake distrutto. 
La ragazza sorrise e fece un gesto di noncuranza. “Tranquillo Eijirou, questa cucina è abituata, Natsuo e Touya hanno rischiato di mandarla a fuoco più volte. Un pancake per terra è nulla.”
Eijirou rise. “Ok, non fatico a immaginarlo.”
In quel momento il campanello di casa suonò. “Oh, dovrebbe essere Izuku” disse Shouto, alzandosi. “Vado io.”
Dopo che Eijirou ebbe finito di pulire raggiunse gli altri due e indicó loro di andarsi a sedere al tavolo per mangiare i suoi pancakes. 
"Shouto mi stava raccontando del tuo ultimo numero culinario" disse Izuku mentre prendeva posto. 
Eijirou sbuffò e guardò male il suo fidanzato. "Perché glielo hai detto?" 
Shoto scrollò le spalle. "È Izuku, sa che sei scemo." 
"Sono oltraggiato!" Eijirou prese posto, mostrandosi arrabbiato. Dopo un po' però tutti e tre scoppiarono a ridere. 
"Però sono buoni, assaggiate."
"Ma quindi domani non ci siete?" domandò Izuku, mentre mangiavano. 
"No, è il compleanno di papà e ha invitato anche Eijirou" rispose Shouto con poco entusiasmo. 
Eijirou sorrise appena e allungò un braccio per posare la sua mano su quella di Shouto sul tavolo. 
"È solo un pranzo, andrà tutto bene" disse.
 "Lo so, ma Natsuo farà scoppiare di nuovo un ennesima litigata e Touya gli darà man forte appena si sarà creata la giusta atmosfera." 
"Mi dispiace Shouto" disse Izuku, un po' in imbarazzo, dato che davanti alle problematiche familiari dell'amico non sapeva mai come rispondere. 
"Non è niente, alla fine almeno ho una famiglia no?" rispose Shouto abbassando la voce. 
"Ce l'avevi anche prima" ribatté Izuku. 
Shouto sbuffò una risata. "Direi che nemmeno loro erano dei bei esempi." 
"Ma avevi Kacchan!" 
Shouto rimase in silenzio, perso nei pensieri. Annuì dopo un po' e prese un altro pezzo di pancake. 
"Ehm, Izuku, tu domani vai da Katsuki?" domandò Eijirou per spostare l'argomento. 
Izuku annuì. "Kaminari lo ha convinto a passare un pomeriggio da lui durante queste vacanze di Natale. Muore dalla voglia di visitare quella casa. Ci saranno anche Jirou e Uraraka."
"Bene! Poi raccontaci come va." 
Izuku si morse il labbro sovrappensiero, l'espressione ansiosa. Eijirou la notò e sospirò. "Che succede?" 
"Cosa devo fare?" domandò Izuku. 
"Niente Izuku, devi solo lasciare che il tempo passi. L'importante è la tua presenza." 
"E se succede qualcosa?" 
"Cosa deve succedere?" 
"Non lo so, ma potrebbe accadere di tutto!" 
Eijirou gemette disperato. "Shou, digli qualcosa." 
"Che posso dirgli? Starei anche io così al posto suo." 
"Grazie, amore, davvero." Shouto sorrise appena, divertito per il broncio che era apparso sulle labbra del fidanzato, poi sospirò. “L’unica cosa che posso dirti Izuku è di non scoppiare e dirgli la verità. Rovineresti tutto e potrebbe allontanarsi da noi.”
Izuku annuì abbattuto. “Cercherò di stare zitto.”
Eijirou gli pose una mano sulla spalla e avvicinò il suo volto a quello dell’amico. “Non cercherai, lo dovrai fare.”

***

“Katsuki allora noi usciamo, tra quanto arrivano i tuoi amici?” domandò Mituski mentre si infilava il cappotto all’ingresso e guardava il figlio in piedi sulle scale. 
“Credo tra mezz’ora” rispose Katsuki senza entusiasmo. 
Mitsuki lo osservò in silenzio, poi sorrise. “Sono felice che ti sei fatto degli amici tesoro, però sei sicuro di stare bene?” 
Katsuki alzò gli occhi al cielo. “La puoi smettere di chiedermelo ogni santo giorno?”
“Non posso fare altrimenti.”
Sua madre aveva ragione e Katsuki non aveva nemmeno la forza di fingere che non fosse così. 
Se da un certo punto di vista Katsuki sembrava cambiato in positivo: aveva degli amici, trascorreva il tempo con loro e non stava più sempre da solo per conto suo, dall’altra parte c’era qualcosa che lo tormentava e lui non sapeva cosa.
C’erano momenti in cui era più scostante con le altre persone, ma non come suo solito, ma come se ci fosse qualcosa che lo spaventava e turbava. Spesso la sua mente vagava e si immergeva nei suoi pensieri e doveva allontanarsi da tutti perché improvvisamente si sentiva come oppresso e gli mancava il respiro. E sapeva che tutto ciò non era normale, perché precedentemente non si era mai sentito così. Prima amava solo la solitudine, adesso la odiava e allo stesso tempo ne aveva il bisogno per non rischiare di crollare davanti agli altri. 
Solo quando era con Izuku sembrava avere una parvenza di tranquillità. 
La notte non dormiva bene, faceva sempre dei sogni che lo portavano a svegliarsi di colpo con una brutta sensazione addosso, ma non si ricordava mai cosa avesse sognato. Oltre agli incubi si sommavano le voci e le immagini che gli venivano alla mente anche quando era sveglio. Erano sempre immagini  confuse, come i sogni che faceva durante la notte, ma gli trasmettevano un senso di familiarità come se fossero stati dei ricordi. 
Katsuki non aveva detto niente a nessuno, ma i suoi genitori avevano notato che qualcosa lo tormentava e lo stesso Izuku, che cercava sempre di farsi sentire e di stargli vicino anche se stavano ognuno a casa propria.  
Alla fine erano arrivate le vacanze di Natale e durante quel pomeriggio nuvoloso e freddo, i suoi nuovi amici erano venuti a casa sua per bearsi del caldo del caminetto. Mancavano solo Todoroki e Kirishima. 
“Che giorni infernali sono stati questi prima delle vacanze” esclamò Uraraka distesa sul tappeto vicino al fuoco. “Non ci hanno lasciato respirare neanche per un momento.” 
“Bè, adesso abbiamo due settimane di totale relax” disse Jirou, “Kami, mi passi la tazza?” chiese all’amico, indicando la tazza di cioccolata calda poggiata sul tavolino. 
“Che facciamo?” domandò il biondo, “hai qualche gioco da tavolo?” 
Katsuki scosse la testa.
“Peccato” rispose l’altro.  
In quel momento Katsuki fu colto da un’idea. “è da un po’ che ci penso, ma non ne ho mai avuto il tempo. Vi va di esplorare la casa?” 
“Sì!” urlò Kaminari scattando in piedi. “Io ci sto! Ho sempre sognato di poter  esplorare una casa come questa!” 
“Da dove vuoi cominciare?” domandò Izuku, provando a mascherare l’agitazione che sentiva invaderlo piano piano.   
“In soffitta” rispose Katsuki. “L’altro giorno ho trovato il posto in cui sono tenute le chiavi di tutte le porte di casa.” 
“Wow, sì, approvo. Una soffitta di una casa così antica nasconderà sicuramente tantissimi segreti” esclamò Uraraka unendosi all’entusiasmo di Kaminari. 
“Allora io vado a prendere la chiave, voi aspettatemi qui.” 
Quando Katsuki tornò, trovò gli amici già tutti in piedi.  
Lasciarono il salottino, che si trovava al secondo piano e seguendo il ragazzo arrivarono davanti alla porta della soffitta.  
Katsuki la guardò un momento, la mano con la chiave sospesa in aria. In quel momento si rese conto che lui non aveva la più pallida idea di quale fosse la porta per la soffitta, allora perché era così certo che fosse proprio quella? Era come se l'avesse sempre dato per scontato. 
Con il cuore che batteva inspiegabilmente a un ritmo più veloce, Katsuki infilò la chiave nella toppa. La chiave entrò facilmente e, quando fu girata, scattò. Katsuki aprì la porta e  davanti ai cinque ragazzi si palesò una scalinata che portava fino a una porta.
 “è inquietante” bisbigliò Uraraka. “Sembra la soffitta di un film horror.” 
“Ringrazia che sia la soffitta e non la cantina, allora” rispose Kaminari. 
“Non farmici pensare!” 
“Forza!” li richiamò Katsuki e si avviò per le scale seguito dal resto del gruppo. La stessa chiave apriva anche la porta successiva e quando entrarono si ritrovarono al buio.  “Dov’è l’interruttore?” domandò Izuku.  
“Qualcuno ha la torcia?” 
“Uh ho dimenticato il telefono di sotto.” 
Con un po’ di confusione si riuscì ad ottenere una torcia e poi si cercò l’interruttore lungo la parete, vicino la porta. Una volta trovato, una singola  lampadina al centro della soffitta si accese, ma la luce che provenne illuminava solo un cerchio ristretto. Il resto del luogo continuava a restare nella più completa oscurità. 
“Chi ha il telefono con sé lo accenda” disse Jirou guardando quel piccolo lumicino. Tutti, tranne Uraraka, accesero il proprio cellulare e quattro fasci di luce illuminarono vari angoli della soffitta. Kaminari fischiò. “Cavolo, qui c’è un botto di roba.” 
Ed era vero. La soffitta era colma di oggetti, alcuni nascosti da lenzuoli o coperte, altri gettati alla rinfusa uno sull’altro.  
Senza seguire uno schema o un piano, ognuno andò a guardare quello che voleva.  
Uraraka trovò un baule con dentro alcuni vestiti da donna. “Ma sono magnifici!  Perfetti per una festa in maschera! Oh, guarda qua ci sono quelli da uomo” disse, con la testa infilata in un altro baule. “Izuku tu hai qualcosa di simile?” domandò la ragazza riemergendo dal baule. Izuku la guardò. “Penso di sì, ma non ne sono certo.” 
“Un giorno di questi veniamo anche da te. Ora che ci penso non sono mai stata a casa tua” rifletté la ragazza Izuku sorrise a disagio e annuì.
“Guardate, una lettera!” esclamò Kaminari agitando una busta. Tutti gli si avvicinarono, tranne Izuku che rimase in silenzio, più in disparte. Katsuki gli lanciò un’occhiata, ma il castano non incrociò il suo sguardo.
“C’è scritto Shouto” disse Kaminari dopo aver letto il retro con il nome. 
Si guardarono per un po’ in silenzio, non sapendo che fare. Alla fine Katsuki afferrò la busta dalle mani del ragazzo e sotto gli sguardi curiosi di tutti aprì il biglietto e lesse:  

Caro Shouto, 
mi dispiace per la mia fuga improvvisa, ma sapevamo entrambi che questo momento sarebbe arrivato. Non ce la faccio più a vivere così, con il fiato di mio padre sul collo, che preme perché io mi sposi con qualcuno che non amo. 
Spero che riuscirai anche tu a trovare la tua felicità come io ho trovato la mia.  
Non fare qualcosa di cui poi sai che ti pentirai, scegli seguendo il tuo cuore e non pensare di vivere in funzione di ripagare la mia famiglia.
Perdonami per la sofferenza che ti sto causando, ma se fossi rimasto un po’ più a lungo avrei sofferto io. Chiamami egoista, non me ne importa, ho sopportato abbastanza.  
Perdonami e non sentirti tradito, avrai mie notizie appena possibile e se riusciremo a trovare un posto in cui stare stabilmente te lo farò sapere e potrai raggiungerci e iniziare una nuova vita. 
Tuo fratello, 
Katsuki. 


Katsuki rilesse quelle parole più volte, incredulo. Intorno a lui gli altri erano meravigliati ed eccitati, fremevano sul posto. Alla fine Kaminari gli sfilò il foglio di mano, gli occhi che brillavano per l’eccitazione. “Questa è la prima testimonianza scritta che abbiamo su quello che è successo! Finora sapevamo solo la storia tramandata oralmente dalle famiglie storiche della città. Le vostre famiglie sono sempre state molto riservate” borbottò alla fine.
Katsuki guardò l’amico, ancora scosso. “Cosa è successo?”
“Non lo sai?” domandò Kaminari stupito e Katsuki notò che anche le due ragazze erano rimaste sorprese. Scosse la testa. 
“Oh, bè" disse Kaminari, poi incrociò lo sguardo di Izuku, rimasto in disparte e lo indicò. “Ei Midoriya, perchè non gliela racconti tu?”
“Eh? Perchè?”
“Sei un Midoriya no? Mi sembra scontato.”
Izuku lanciò un’occhiata in direzione di Katsuki, poi guardò la lettera tra le mani di Kaminari. Si avvicinò e prese in mano il foglio, osservando quelle parole scritte con foga, l'inchiostro sbavato in alcuni punti o cancellato per il tempo passato.
“Bakugou Katsuki era l’erede della famiglia dei Conti Bakugou. Todoroki Shouto era il suo fratellastro, adottato dai Bakugou dopo che i suoi genitori morirono in un naufragio. Lui e Kac- voglio dire, lui e Katsuki erano come fratelli di sangue ed erano molto uniti. 
“Midoriya Izuku era l’erede dei Conti Midoriya, amici stretti dei Bakugou. Le due famiglie insieme amministravano la città e i territori circostanti.
“Un giorno però Katsuki scappò insieme a Izuku, furono cercati a lungo per vari mesi e alla fine, quando furono ritrovati solo uno dei due tornò vivo. 
“In seguito, qualche anno dopo si sa solo che anche Shouto morì, lasciando sola sua moglie incinta e poco tempo dopo Katsuki ebbe lo stesso destino.”
Izuku guardò Katsuki in volto per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare. “Le nostre famiglie non sono discendenti dirette di quel ramo originale, solo Shouto è diretto.”
In seguito alle parole di Izuku per un po’ nessuno osò parlare. Katsuki non riusciva a distogliere gli occhi da Izuku, mentre continuava a pensare a quella storia e a quanto gli sembrasse strano sentire il suo nome usato per riferirsi a un’altra persona così lontana nel tempo. 
“Adoro questa storia!” esclamò Uraraka con un sospiro. “è così tragica!” 
“Se solo sapessimo altro. Come sono morti, cosa successe…” continuò Jirou. 
A quelle parole Katsuki ebbe un pensiero. “Aspetta un attimo.” Prese dalle mani di Izuku la lettera e la rilesse. Il cuore iniziò a martellargli nel petto e dovette mettercela tutta per controllare le emozioni che stava provando. 
“Questa è stata una fuga d’amore” disse e voltò il foglio per permettere agli altri di rileggere. 
“è vero” commento Uraraka. 
“Ma con chi?” domandò Kaminari confuso. 
Jirou gli rifilò un’occhiata basita. “Ma sei stupido? Midoriya ha appena detto che scappò con Izuku.”
“Eh, appunto, quindi co-oh.”
“Già, oh.”
“Non ci posso credere, si amavano e non potevano” disse Uraraka commossa. “è ancora più triste di prima.”
Kaminari si era allontanato dal gruppo, aveva abbandonato la lettera per andare a cercare qualcos’altro di simile che avrebbe potuto essere interessante. Stava rovistando tra gli scaffali di una libreria, piena di oggetti inutili, libri consumati e polvere. Alla fine trovò un piccolo portagioie, lo aprì e spalancò gli occhi. 
“R-ragazzi, questo è inquietante” disse. Si girò e mostrò agli altri la prima fotografia che aveva incontrato quando aveva aperto il portagioie. 
La fotografia era in bianco e nero e ritraeva tre ragazzi seduti sul prato sopra una tovaglia con accanto dei cestini. 
Quei volti che guardavano dritti l'obiettivo erano familiari a tutti e due di loro erano proprio lì in soffitta.
Katsuki vide il suo stesso volto sorridere, come lui non aveva mai fatto, mentre accanto a lui stava la copia esatta di Izuku, che guardava fisso davanti a sé con un sorriso timido. 
Dalla parte opposta c’era invece la copia esatta di Shouto, che sembrava essere stato colto di sorpresa.  
Alla vista di quella foto si levarono altre esclamazioni stupite e tutti si voltarono verso Katsuki e Izuku.
Katsuki afferrò con gesto veloce la foto e si girò verso Izuku, arrabbiato. “Tu lo sapevi?” domandò con tono duro. Izuku non ebbe il coraggio di alzare la testa.
“Tu lo sapevi” ripeté Katsuki, questa volta come constatazione. “Sapevi che non solo avevamo gli stessi nomi dei nostri antenati, ma anche lo stesso aspetto e non hai detto nulla? Lo sanno anche Todoroki e Kirishima? Sicuro lo sanno, ci scommetto tutto.” 
“Che avrei dovuto dire?” mormorò il ragazzo. “Mi avresti creduto?” 
“Certo e poi, non hai delle foto anche tu a casa? Potevi portarcele.” 
“Non lo reputo importante.” 
“Scherzi?” 
“Insomma, che ti importa? Adesso cosa è cambiato nella tua vita? Avrai più domande che risposte e credimi, le risposte non arriveranno se fissi delle foto.”  Detto questo se ne andò, ridiscese le scale e si sbatté la porta della soffitta dietro. 
“Perché lo hai attaccato?” domandò Uraraka, stizzita .  
Katsuki non rispose, si era già pentito di quello che aveva detto. “Bakugou non ha tutti i torti, poteva anche dirlo” disse Kaminari.  
Il biondo, senza dire nulla, si avviò verso la porta per poter andare dietro a Izuku. 
Trovò il ragazzo seduto sulla scalinata esterna a parlare al telefono. 
“Io non ce la faccio” sentì dire Katsuki e dalla voce rotta capì che Izuku stesse piangendo. 
“Perché non posso…per favore, ho paura che poi mi odi. Non puoi esserne sicuro. Odierà anche voi”  Il ragazzo rimase in silenzio a lungo, segno che dall’altra parte c’era qualcuno che stava facendo un lungo discorso.  
“Ho sofferto troppo per tutti questi anni, non ce la faccio più!” gridò, “Vabbè, sì, ciao!” Attaccò con rabbia e si asciugò le guance. Katsuki decise che era quello il momento di uscire. 
“Ei” disse e si sedette accanto a Izuku. Il ragazzo gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio ma non si mosse. Si era portato le gambe al petto e aveva la testa poggiata sulle ginocchia. Gli occhi fissavano il piazzale. 
“Mi dispiace per averti attaccato, è solo che ci sono rimasto un po’ male.” Sospirò quando non ottenne risposta. “Non riesco a capire perché lo hai tenuto nascosto, ecco tutto.” 
Izuku voltò la testa verso di lui. “Era per lasciare questa storia fuori dalla mia vita per una volta.” Katsuki lo guardò interrogativo.  
“Hai visto come reagiscono quando sanno chi sei e da quando sono nato qui tutti già mi conoscevano. Mamma e papà mi hanno dato il nome Izuku senza nemmeno ricordarsi di quella storia, poi tutti lo hanno notato e mi guardavano come se fossi stato un fantasma del passato…” Si fermò un attimo e Katsuki aspettò in silenzio che continuasse. 
“Per una volta volevo lasciare le nostre famiglie fuori, ecco tutto e poi avevo paura…” Le parole gli morirono in gola e questa volta Katsuki notò che Izuku non  sembrava intenzionato a voler continuare a parlare.  
“Paura di cosa?” provò a spronarlo. 
“Paura…paura che…paura che tu ti concentrassi troppo su questa faccenda e io,  davvero, ne ho fin sopra i capelli dei nostri antenati.” Non sembrava nemmeno  convinto lui stesso, figuriamoci se Katsuki avesse accettato una spiegazione del genere. 
“Senti” cominciò il biondo, “capisco che tu abbia paura, ma ti fai troppi problemi, Deku” concluse. 
Izuku lo guardò con gli occhi spalancati. “Che c’è?” domandò Katsuki.  
“È la prima volta che mi chiami Deku.” 
“Davvero? Non ti ci chiamo sempre?” 
Izuku scoppiò a ridere e si alzò. “Credimi, non mi ci hai mai chiamato.” 
Katsuki lo guardò dal basso. Aveva ragione Izuku, quel nomignolo, Deku, non lo aveva mai usato. Anche perché, per quale motivo avrebbe dovuto usare un nomignolo del genere su un amico che conosceva da poco? 
Izuku, però, non sembrava offeso, anzi, sembrava sereno e stava aspettando pazientemente che anche Katsuki si alzasse. 
Dentro di sé, Katsuki sentiva una profonda confusione. Tutta quella storia era assurda e non gli piaceva. Izuku si sbagliava. Ora che aveva scoperto quanta somiglianza aveva con un suo predecessore, desiderava solo allontanarsene. 
Vedendo quella prima foto, gli era sembrato di immaginare benissimo la giornata  primaverile, assolata; la brillantezza del prato e il divertimento che avevano avuto i tre ragazzi.  
Gli era parso come se fosse stato lui stesso a viverla.  
 
 
   
 
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