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Autore: terrastoria    07/09/2009    6 recensioni
Rabbrividì nuovamente, lui. Si lasciò prendere le mani, e si lasciò annusare, accarezzare, stringere con una forza che quasi procurava dolore. Non il dolore solito, un dolore straziante, certo, ma piacevole..
D’altronde le mani e il soffio e le labbra che continuavano a toccarlo delicatamente non erano che di una donna, di quella donna lì, improvvisamente riaccesa al mondo. E si lasciò pure baciare, sì, baciare il collo, proprio laddove le leggende dicono mordano i vampiri. In fondo l’immobilità non era male, il tepore del corpo di lei e dei loro corpi vicini non era affatto da gettare via anzi, non aveva provato sensazione simile in tutta la sua vita; eppure non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sciocco né di mandare via quella fitta allo stomaco, non poteva allontanare i ricordi né quelli passati né quelli presenti. Non ci sarebbe mai riuscito.
[SasuSaku]
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava in sù e in giù da minuti per quell’asettica stanza d’ospedale da delle ore, ormai, voltandosi ogni tanto solo per lanciare delle preoccupate occhiate al letto e contrarre subito le labbra in una smorfia di fastidio

Questa è una piccola storia (molto probabilmente in due capitoli) a cui tengo in modo particolare, forse perché l’ho scritta in un nuovo raro moto d’ispirazione, forse perché l’ho scritta i giorni dopo il concerto del mio gruppo preferito (dai quali ho tratto il titolo), forse perché sono state proprio quelle canzoni a dare il via alla fan fic.

E’ una SasuSaku.

 

Buona Lettura – grazie a chi leggerà e commenterà –

 

 

 

Il dolce abbraccio dell’incoscienza

 

Prima parte - Amare chi non c’è più, imparare ad amare chi c’è –

 

                                                                                       

 

Sakura respirava forte fra le sue braccia, implorava ancora, gridava il suo nome.

“Sasuke”

La sentiva gemere, urlare e stringerlo e solo in quei momenti si rendeva conto di quanto Sakura fosse viva, che Sakura era viva.

La accontentava e le piombava addosso, andando ad appoggiare la testa tra l’incavo del collo e la spalla; annusava forte l’odore della donna e lei faceva lo stesso con lui. Ad ogni respiro lanciava un sospiro e implorava il suo nome.

“Sasuke”

Soltanto allora se ne rendeva conto: amava; amava quella ragazza che si concedeva ogni notte, che energicamente lo voleva, che non si risparmiava. Ch’era viva. Amava quegli occhi luminosi al buio, e non quelle iridi spente del giorno. Amava quel corpo scosso da fremiti e gemiti, e non quello quasi trasparente delle ore di sole.

“Sasuke!”

Se ne rendeva conto e la rabbia s’impossessava del suo corpo: aveva scoperto d’amare qualcosa che non esisteva più.

Certo, la notte tornava ad essere la vera Sakura,  ( o almeno così s’era convinto fosse ), ma di giorno…di giorno era un vuoto di parole colmato da silenzi e follia.

L’amava di notte, eppure non poteva fare a meno di tenerla a sé anche sotto il sole.

Si chiedeva per quanto tempo avrebbe potuto andare avanti così, ad amare  il non essere, si chiedeva quando la follia di Sakura sarebbe diventata totale; aspettava trepidante la propria di follia, che, dannazione, tardava ad arriva da tempo.

 Amava chi non esisteva più, un ricordo tra le proprie braccia.

E chissà che anche Sakura, nelle loro notti, non amasse un ricordo. Un semplice effimero ricordo.

E continuava a urlare il suo nome.

A conferma che Sasuke, in qualunque forma fosse, era vivo.

“Sakura”

Così poi faceva Sasuke.

E andavano avanti in questo modo tutta la notte, fino a che lo spuntare dell’alba metteva fantasmi negli occhi della donna.

 

 

 

Camminava in sù e in giù da minuti per quell’asettica stanza d’ospedale da delle ore, ormai, voltandosi ogni tanto solo per lanciare delle preoccupate occhiate al letto e contrarre subito le labbra in una smorfia di fastidio.

Sasuke le aveva consigliato un sacco di volte di sedersi – che era stanca, che doveva riprendere le forze – ma non gli aveva mai dato ascolto. Quando mai lo aveva fatto?

- Smettila, smettetela tutti!– tuonò la voce acuta di Sakura Haruno.

Sasuke fermò la sua camminata, ma stavolta non si girò.

- …vattene fuori– insistette con veemenza.

Lui fece per alzare le spalle doloranti e riprendere la sua estenuante osservazione del vuoto e di lei, che andava pazzamente avanti e indietro, ma non lo fece. Si alzò e si diresse verso la porta.

- Guai a te se si sveglia – bofonchiò appena udibile e se la svignò fuori, nel corridoio odoroso di disinfettante e in fretta e furia – quasi dovesse scappare, per l’ennesima volta – si ritrovò fuori, nell’aria pungente d’inverno.

Gli venne spontaneo prendere un forte respiro e rasettarsi i capelli con una mano diafana, mente fissava il vuoto davanti a sé, e non più mura d’ospedale e fantasmi del passato. Lì fuori stava meglio, Sakura aveva ragione.

Si morse il labbro inferiore e barcollando andò a sedersi sulla panchina immediatamente di fronte all’edificio, il capo tra le mani. Aveva scoperto solo in quel momento di avere un mal di testa cane.

- Dannazione – mormorò a denti stretti e gli venne quasi voglia di urlare, urlare e liberarsi di tutto quel peso che aveva dentro, di tutta quella schifo di vita che aveva vissuto, come se urlar fosse davvero servito a qualcosa. Invece stette zitto e rigido, cercando di cacciare via i pensieri brutti che sempre occupavano la sua mente, di rassettare certe immagini passate e recenti di distruzione. Guarda a caso, dove c’era distruzione c’era lui. E c’era pure Naruto, ma questi diventava vittima ed eroe.

 

- Posso sedermi qui con te? –

Sasuke alzò la testa e si ritrovò a dilatare le pupille per lo stupore.

- Anche tu – bisbigliò, ricomponendosi in fretta.

Sakura abbozzò un sorriso quasi di scusa – perché si scusava in continuazione? Perché non riusciva ad essere dura con lui e basta, senza farsi mille paranoie? – e prese posto affianco a lui, stringendosi in sé stessa, forse per il freddo, forse per la paura.

Aveva sempre paura di qualche cosa, Sakura. Paura di non rivederlo più, paura di perderlo, paura della morte, paura…paura per Naruto.

Naruto era entrato in coma sei giorni prima in seguito ad un attacco nemico al quale non era stato attento. Sasuke aveva visto tutto: lo aveva visto cadere a terra, inerme. Aveva creduto che fosse davvero morto, che anche Naruto – l’unico che doveva sopravvivere al mondo lui – se ne fosse andato, arreso per sempre. E dopo chi avrebbe inseguito? Chi avrebbe battuto? Sconfitto? Sakura non lo aveva visto. Aveva visto solo lo sguardo di Sasuke, secondi dopo, ed era caduta a terra anch’ella, tuffatasi sul corpo di Naruto. Gridando, però, il suo nome. Il nome dell’Uchiha.

Era una guerra che avevano messo in ballo contro di lui, e ci era finito in mezzo Naruto.

- A cosa stai pensando? – la domanda di Sakura tagliò l’atmosfera gelida così bruscamente che Sasuke si sentì scalfito dentro. Avrebbe tanto voluto che lei se ne fosse stata zitta, come in quella stanza d’ospedale; ma proprio non ci riusciva, lei.

- A quanto siete stati sciocchi – eppure rispose, lui. Non gli andava di vederla incupirsi ancora di più, di vederla strizzare gli occhi per non piangere ulteriori lacrime amare. Già si sentiva a pezzi così, non avrebbe tollerato altre dimostrazioni di dolore. Causato da lui.

Si strinse nelle spalle e attese una risposta che non arrivò.

Con la coda dell’occhio vide gli occhi di Sakura inumidirsi nuovamente, le labbra serrarsi con violenza, e a vederla comunque così – in preda a un dolore devastante - un senso di oppressivo disagio gli raggelò il sangue nelle vene. Aveva sbagliato un’altra volta. Sbagliava in continuazione, con lei.

- Ti prego, ora smettila tu – le ordinò, un remoto segno di implorazione che lei non colse.

Chissà dov’era con la testa, Sakura; doveva seguire un corso di pensieri fortissimo perché quasi non dava segni di vita. Come Naruto, immobile in un letto d’ospedale. La più ingiusta delle conclusioni.

Se prima, non appena gli si era avvicinata, gli era parsa in preda ad un nuovo bagliore di vita, ora era nuovamente piombata nella più profonda delle assenze. Non c’era. Non c’era.

- Che schifo – fu un commento privo d’accento alcuno, quello di Sasuke. Continuò a guardare il vuoto, lei.  Era come ci fosse una barriera fra loro due, una muraglia che li separava più di quanto lo fossero mai stati anni addietro, quando Sasuke era semplicemente un traditore. Invece adesso era un penitente, un cazzo di penitente privo del senno. Se no perché mai continuava a stare da giorni chiuso in quell’ospedale da un uomo al quale aveva succhiato ogni piccola energia vitale? Perché si ostinava a restare affianco ad una donna che lo riconosceva soltanto a tratti?

Era un fottuto masochista, nient’altro.

- …aria – gracchiò Sakura. Aveva gli occhi spenti socchiusi, come le labbra screpolate.

- Ma siamo all’aria aperta, Sakura – la informò con mantenuta calma Sasuke, quasi fosse suo fratello quand’era piccolo e gli spiegava qualcosa di molto difficile. Itachi…possibile che tornasse sempre fuori? D’altronde era nel suo paese. Proprio un masochista.

- Oh – lei parve delusa, si corrucciò proprio come una bambina, storcendo le labbra all’ingiù e chiudendosi ancor più in sé stessa.

Sasuke sentì una fitta al petto, tanto forte che si dovette piegare. E dovette distogliere lo sguardo dalla ragazza.

Gli sembrò d’aver perso davvero il senno, ne fu quasi felice.

Non più coscienza di niente. Via il dolore.

Chissà come doveva stare Naruto – pensò – nell’incoscienza più totale. Ma pensare questo gli fece male, e allontanò automaticamente il pensiero, quante fosse masochistico. Anche un’Uchiha non poteva sopportare tutto.

Naruto era in una stanza d’ospedale, nessuno poteva sapere cosa cavolo gli passasse per la testa – anche nel coma. Chi lo diceva che la mente non fosse in qualche modo separata dal corpo? Follemente era convinto che Naruto ci fosse ancora. Realizzasse la sua condizione, in qualche modo. Lo sentisse.

E questo quasi lo spaventava, quasi lo infastidiva: riusciva sempre a sentirlo, l’Uzumaki, riusciva sempre a trovarlo, in qualche modo. Fosse fisicamente anziché mentalmente.

- Senti – cominciò Sasuke, con la voglia di dire qualcosa d’importante che, però, nemmeno lui stesso sapeva.

- Cosa c’è? –

Sakura si girò, finalmente.

Aveva gli occhi gonfi, più inondati che mai.

Li puntò in quelli di Sasuke, profondi senza fine.

E quando furono occhi negli occhi le iridi le si dilatarono.

 - Uchiha…- mormorò. Un nuovo bagliore di consapevolezza. Meglio approfittarne.

- Dobbiamo andare via, allontanarci – asserì a voce assurdamente ferma lui.

Sakura reclinò un poco il capo.

- Ma Sas’ke! Naruto, Naruto…e se…? – eccola. Era tornata. Parlava a raffica, meccanicamente, come sempre in quei giorni. Vecchie preoccupazioni tornavano fuori con frasi di conforto meccanico, passato.

“Smettetela di camminare così”

Voi? Chi mai vedeva sempre? Umani?

“Esci, un po’”

“Lasciatemi sola con lui”

“Non lasciarmi sola”

Voi, tu. Voi, tu. Lucidità e surrealismo. Dolore e incoscienza.“Sta con noi”

Tutta una serie di contraddizioni.

Si sentiva folle, Sasuke. Follia era l’unica cosa di forte che in quel momento riusciva a provare; eppure nella sua follia credeva di essere più lucido che mai.

La prese per una mano (fredda e sudata) e l’aiutò ad alzarsi.

- E dove…? –

Sasuke scosse il capo corvino e spettinato e la condusse lungo una via che entrambi non riuscivano a distinguere.

Era follia. Pura follia.

- Non importa. Andiamo e basta –

E sparirono.

 

***

 

- Aaaah

Sakura alzò le braccia e fece come per abbracciare il cielo.

Non aveva sguardo che per il cielo e lui, ch’era per forza nella sua visuale, essendole in piedi dinnanzi.

Sasuke la stette a guardare per un bel po’, a braccia conserte e sguardo penetrante, cercando di rintracciare nel femmineo volto di lei qualche traccia di ciò che aveva conosciuto bene in passato, come ad esempio il rossore. Quel rossore che le scoppiava sulle guance quand’egli la sgridava o la imbarazzava – magari con una qualche occhiata troppo intensa. Ma niente, il rossore non arrivava. Ovvio, Sakura nemmeno lo stava osservando.

Allora Sasuke scrollò le spalle e le sedette affianco, l’ombra di una malinconia impuntata nel cuore.

E ora che era tornato lei non c’era più – continuava a ripetersi incoscientemente e silenziosamente, mentre puntava gli occhi al cielo prima e su di lei dopo.

Sakura ora sorrideva.

Già, aveva curvato le labbra in una specie di sorriso.

Fu un’altra scossa al cuore, per Sasuke.

- Cosa c’è? – chiese, gelido.

Lei sorrideva ad un ricordo, ammiccava ad una figura che solo lei poteva vedere.

S’era persa di nuovo, e via bagliore di lucidità in quegli occhi assenti. Ma stava meglio e si vedeva: stava meglio di prima perché ora, la follia, s’era fatta positiva.

Avrebbe voluto essere come lei invece che troppo a metà strada tra la realtà e la follia, avrebbe voluto non dover pensare a niente men che meno che a lei, ragazzina ostinata che, in fin dei conti, aveva fatto uscire di senno. Non c’entrava solo il coma di Naruto, dietro c’era tutto il passato. 

- Lo vedi? Mi sta guardando…guarda me, finalmente – asserì ripetutamente Sakura verso la volta celeste, come fosse stata quest’ultima ad averle rivolto parola.

Sasuke quasi si pentì, d’averla portata in quel posto.

Il luogo dove l’aveva lasciata, una notte di quattro anni prima.

Chissà se lei se ne era accorta.

Molto probabilmente il suo inconscio sì, ecco perché blaterava quelle frasi.

- Chi ti guarda, Sakura? – la invitò a proseguire, non potendo fare a meno di notare quanto folle stesse – fortunatamente? – diventando anch’egli.

- Lui, e chi altri se no? Naruto_kun mi guarda fin troppo! – esclamò Sakura e poi tutto a un tratto s’incupì, portando le mani giunte al petto. Sbarrò gli occhi e lanciò un urlo, girandosi bruscamente su un fianco. Verso di lui.

Chiamato in causa, in ogni senso, Sasuke sentì il proprio peso della follia farsi fin troppo debole, in confronto a quello di Sakura. Per quanto ci stesse provando con tutte le sue forze rimaneva sempre troppo auto controllato per lasciare andare la mente, definitivamente. Sakura, di contro e contro la propria femminea volontà, c’era riuscita già quasi riuscita del tutto. Bastava vedere questi momentanei balzi di umore e di lucidità, bastava vedere quante cose del passato tornasse a tirar fuori nel pieno del presente.

Era forte la rabbia, in lui.

Credeva che portarla lì le avesse fatto bene, aveva messo in piedi una sorta di terapia d’urto e invece, condurla nel luogo in cui l’aveva perso (aveva perso Sasuke) si stava rivelando anch’essa la una scelta sbagliata. Anche l’ultimo tentativo era fallito. Non ci riusciva, non c’era mai riuscito a far qualcosa per qualcuno. Se la vendetta era il suo campo non lo era certo la salvezza del prossimo.

Voleva salvare Sakura?

Rabbrividì.

Non voleva semplicemente averla ancora in quello stato.

Credeva che se fossero impazziti entrambi non ci sarebbe stato più alcun problema e ugualmente se lei fosse tornata in sé. Di certo lui lo sarebbe ritornato con lei. Ma pazzo non lo era, Sasuke, non più di tanto né più di sempre; mentre Sakura…Sakura stava percorrendo una strada ben lontana dall’essere quella della ragione. L’aveva lasciata scegliere una strada del genere, non era stato capace di stringerla sufficientemente a sé quando ella aveva visto il corpo inerme di Naruto, né di far sì che lo riportasse a casa, le numerose volte che con Naruto lo era venuto a cercare.

Era un fallito.

Un fratello stupido e assassino.

Non meritava nemmeno d’impazzire.

 

- E’ qui che è successo tutto, non è vero? E’ qui che mi hai abbandonata, ne Sasuke? – la voce di Sakura era rauca e rotta da un pianto in arrivo; lei tese un braccio tremante: che cercasse di afferrare il suo?

Sasuke rimase inizialmente immobile, pensandolo un altro segno di pazzia, pensando che lei stesse sicuramente tendendo un braccio verso un altro Sasuke, quello della sua mente.

- …sì – anche la voce di lui era assurdamente roca.

Sakura puntò i propri acquosi occhi direttamente in quelli di Sasuke. Sembrava cercasse un’ulteriore conferma, una qualsiasi.

- Proprio qui? E tu…oh tu… - si bloccò, lei. Poggiandosi su di un gomito alzò un poco il busto verso di lui, l’altra mano ancora tesa.

- Sì, sono io. Io sono Sasuke Uchiha – rispose Sasuke e quella risposta la indirizzò non solo a lei ma pure e in particolar modo a sé stesso, per avere una conferma che il corpo avesse un nome, che Sasuke Uchiha esistesse. E s i s t e s s e.

- Sasuke Uchiha, Sasuke Uchiha, Sasuke Uchiha…oh!- Sakura scattò su seduta sul prato umido di rugiada, tese entrambe le mani per afferrare quelle di Sasuke mostrando un’energia che mai, ultimamente, sembrava possedere.

Rabbrividì nuovamente, lui. Si lasciò prendere le mani, e si lasciò annusare, accarezzare, stringere con una forza che quasi procurava dolore. Non il dolore solito, un dolore straziante, certo, ma piacevole.

D’altronde le mani e il soffio e le labbra che continuavano a toccarlo delicatamente non erano che di una donna, di quella donna lì, improvvisamente riaccesa al mondo. E si lasciò pure baciare, sì, baciare il collo, proprio laddove le leggende dicono mordano i vampiri.

In fondo l’immobilità non era male, il tepore del corpo di lei e dei loro corpi vicini non era affatto da gettare via anzi, non aveva provato sensazione simile in tutta la sua vita; eppure non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sciocco né di mandare via quella fitta allo stomaco, non poteva allontanare i ricordi né quelli passati né quelli presenti.

La sensazione di trasporto e pace che sentiva, seppur forte, non equivaleva alla pazzia: non scacciava mica la ragione, non faceva mica sì che cadesse nell’incoscienza.

E sentiva tutto, ogni singola cosa, il respiro affannato di lei, le gocce amare e dolci già ricadevano sui suoi vestiti e sulla sua pelle, e la bocca…quella bocca fredda e umida che continuava a baciargli il collo, imperterrita, ostinata come la sua posseditrice lo era stata in passato.

Si mosse, infine, Sasuke. Il corpo non riusciva proprio a restarsene fermo; come sarebbe stato possibile restare immobile al richiamo della carne? Si mise carponi sulla donna e prima di abbandonarsi a qualcosa di grande stette un bel pezzo a studiarla, immobile non fosse stato per l’alzarsi e abbassarsi ritmico del torace. Respiravano ancora, entrambi.

- Hai paura? – le domandò.

Sakura scosse il capo, null’altro, poi sorrise mentre le guance le si imporporavano di quel rossore che lui conosceva bene.

Era un sorriso timido ma anche melanconico, quello di lei. Lei che ora era tornata la ragazzina che aveva conosciuto, che era la donna (la sua donna, dannazione) lei che, nonostante quello fosse indubbiamente un momento in cui era tornata sé stessa, non poteva fare a meno della sua nuova parte folle. Non se ne sarebbe liberata più – pensò tristemente Sasuke –non se ne sarebbero liberati più. Ma scacciò subito il pensiero, Sasuke, e tracciò più volte con le dita disegni immaginari sul volto, sulle spalle, sul seno appena accennato, sull’intero corpo di Sakura che lo lasciava fare e rispondeva con sospiri e già cominciava a chiamarlo.

“Sasuke”

Stavano facendo la cosa giusta?

E Naruto? In un letto d’ospedale…

E Sakura? Lì, esistente dinnanzi a lui.

E Sasuke? Con lei, su di lei, in lei. Almeno un istante al confine tra follia e realtà.

 

 

 

 

Sakura guardava fuori dalla finestra con sguardo assente, una mano sotto il mento.

 Non lo aveva sentito avvicinarsi, né molto probabilmente, sedersi affianco a lei.

“Naruto è lì, sì, è lì” continuava a ripetere da ore.

Sasuke ascoltava.

Avrebbe ascoltato sempre.

Quantunque la vicinanza di Sakura gli facesse male - perché non era lei se non in qualche attimo notturno, perché di quella sua pazzia se ne sentiva il primo artefice - non poteva fare a meno di starle accanto, era più forte di lui, più forte di entrambi.

“Non abbandonarmi, Sasuke_kun”

 

 

 

 

 

Fine prima parte

 

 

 

   
 
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