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Autore: _etriet_    19/05/2022    0 recensioni
Noemi e Agata, il percorso della loro storia dalla prima all'ultima lettera dell'alfabeto.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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A

«Avanti, lascia che ti racconti questa storia».

Noemi aveva sentito le proprie guance colorarsi di rosso, un rosso intenso.

Il ragazzo di fronte a lei, colui che le aveva salvato la vita, e non diceva tanto per dire, solo pochi minuti prima e con cui si era messa fare conversazione l'aveva guardata come se fosse pazza. Aveva sorriso poi, un sorriso pacato e si era semplicemente seduto, facendole un gesto della mano con cui sottintendeva che potesse andare avanti. Noemi aveva parlato, parlato, parlato e parlato, fino a quando il sole non era tramontato e le luci esterne dei locali si erano accese, illuminando le vie della sua città, i cittadini che facevano una vasca in centro e i negozi chiusi dopo una certa ora.

Il ragazzo l'aveva sempre ascoltata, rispondendole, annuendo, tal volta sorridendole e Noemi si era zittita, placida, imbarazzata, quando aveva sentito i richiami della chiusura della palestra. Sapeva di essere parsa esasperante, logorroica, forse anche come una persona che non comprendeva quando qualcuno altro era a disagio. Lui, però, non lo era parso affatto, anzi.

Si chiamava Jacopo, ed era stato lui a presentarle Agata. Che, di contrasto, se lui era stato una salvezza, era stata la sua rovina.

B

«Bene, vedo con piacere che non sono mai stata abbastanza».

Agata aveva alzato la voce contro la propria ragazza, una bottiglia di vino in mano, mentre la guardava con gli occhi che bruciavano di odio. Occhi che un tempo erano bruciati di amore.

Noemi, lì da parte, dietro al muro del corridoio di casa loro, ascoltava tutto con Jacopo che le abbracciava la vita. Non era mai stata così arrabbiata come in quel momento. Era una persona calma, lei, di solito era Agata quella più irruenta, quella fisica, quella che prendeva le cose di petto, ci dava una testata e le schiacciava con tutta la rabbia che aveva. Noemi, tuttavia, era comunque pronta a graffiare la faccia della fidanzata della sua amica.

Agata, dal canto suo, non riusciva a smettere di vedere nero. Le tremava il corpo come se avesse appena fatto pesi, la sua mente era offuscata dalla rabbia e tutto quello che riusciva a focalizzare nella sua testa era la maledetta posizione in cui aveva trovato la sua ragazza: distesa a pancia in giù, con il culo alto, mentre uno stronzo qualsiasi usciva ed entrava da lei come se fosse l'unico dei suoi pensieri. Svuotarsi le palle. Si era passata una mano tra i capelli, mentre la persona con cui aveva condiviso tutto, tutto, si aggrappava alle coperte per coprirsi e il tizio dietro di lei se ne stava con una mezza erezione a sghignazzare come uno scemo. Lo avrebbe picchiato, a sangue, fino a fargli perdere i sensi, fino ad ammazzarlo: se solo avesse potuto.

Era la sera del loro anniversario, quella. Era la maledetta sera del loro anniversario e lei aveva fatto i salti mortali per avere il turno libero dal locale di merda in cui lavorava come barista. Aveva comprato una bottiglia di vino, uno di quelli buoni, e aveva comprato delle rose, perché erano i suoi fiori preferiti. Ma la sorpresa gliela aveva fatta lei, sotto il naso, davanti il naso. Probabilmente non era nemmeno la prima volta.

Probabilmente la sua ragazza aveva fatto sesso con lei dopo essersi scopata una mezza sega. Le era venuto la vomitare. La bile le era arrivata dallo stomaco alla bocca in pochissimo tempo, aveva dovuto mandarla indietro, inghiottirla.

Agata aveva reagito in modo molto più calmo rispetto a quello che si erano immaginati tutti. Persino il ragazzo nudo. Aveva preso la propria ex come un sacco di patate, aveva raccolto con una mano alcuni vestiti dall'armadio, non preoccupandosi minimamente di quali avesse preso, e l'aveva buttata alla porta. Prima i vestiti, poi lei sopra i vestiti. Aveva, in senso non figurato e letterale, cacciato a calci in culo il tizio, non restituendogli nemmeno le mutante ma buttando i suoi vestiti in mezzo alla strada, dal terzo piano del palazzo in cui abitava. Infine, mentre Noemi e Jacopo se ne stavano ancora dietro al muro del corridoio, si era scolata la bottiglia di vino il più velocemente possibile, e poi aveva bevuto tutti gli alcolici che aveva in casa, le bottiglie piene, quelle quasi finite e quelle a metà. Si era mantenuta distante dai suoi amici, sapendo di poter essere tremendamente crudele se arrabbiata e ubriaca, e se non era finita in coma etilico era stato un miracolo. O Noemi che l'aveva sforzata a vomitare, non se lo ricordava.

C

«Canterò una canzone che sarà solo nostra»

Aveva detto così la canzone che passava dalla playlist della sua amica. Niente di più noioso e incredibilmente delibitante.

Noemi, però, aveva continuato a cantare quelle canzoni tristi, che parlavano di amori finiti, cuori spezzati, impossibilità di altri amori di egual misura, intensità, emozione. Parlavano tutte di un amore eccezionale ma finito, un amore che aveva rubato loro le forze, la ragione, il cuore.

Agata non ce la faceva più, per questo aveva dato una manata al display della macchina, fermando la riproduzione casuale di quelle canzoni che non le facevano altro che male.

Noemi non ci aveva nemmeno pensato, lo aveva capito dopo, quando, ad un semaforo rosso, aveva guardato l'amica e aveva visto il suo volto corrucciato, in un ombra di disperata solitudine, di un dolore così profondo da farle male falla testa alle dita dei piedi. Si era sentita una stronza per non averlo capito, ma era ovvio, ovvio, che lo fosse anche un po'.

Agata non ne aveva mai dubitato, nonostante fosse lei quella "dura" nel loro rapporto, credeva che, sotto sotto, anche Noemi non fosse proprio così gentile come si dimostrava. Probabilmente era ancora troppo presto, decisamente, incomparabilmente, troppo presto.

D

«Davvero mi vuoi far credere che non ti importa?»

Lo aveva detto con la voce spezzata la sua ex, concludendo il discorso che lacrime, e la ragazza poi le si era buttata al collo, glielo aveva bacio, aveva avvicinato le labbra alle sue e Agata era finita col lo spingerla al muro, stringerle i fianchi in modo possessivo, soffocarla di baci, ma nella sua mente, istante dopo istante, l'immagine di lei che si scopava quel tizio si faceva sempre più presente, e una sensazione di sporco, sporco reale, come se avesse passato le mani prima sull'olio e poi su un pavimento che non veniva spazzato da dieci anni, si era instaurata nelle sue viscere, facendola tremare. Si era staccata da Giulia il più velocemente possibile: gli occhi da cerbiatto di lei la guardavano curiosi, le labbra più rosse del normale, il leggero fiatone, il seno, tondo e piccolo, che si alzava e abbassava ritmicamente.

«Non posso». Aveva detto lei semplicemente. Giulia le aveva preso una mano, intrecciando le dita con le sue, non accettando una risposta del genere, e l'aveva implorata, vezzeggiandola di parole contenenti amore, promesse.

Noemi, nel frattempo, aveva visto tutto. Non l'aveva fatto a posta, dopo tutto era rimasta a dormire da Agata dopo una serata, quindi era stato inevitabile. Era stato anche inevitabile provare una portentosa rabbia verso la ragazza dagli occhi da cerbiatto. Noemi considerava molte cose sacre: la famiglia, gli animali, l'amore e l'amicizia. Quella maledetta, perché solo maledetta poteva essere se era in grado di fare tanto male ad una persona, era stata in grado di sfracellare un amore e rendere sofferente una persona a cui Noemi teneva. E questa era la peggiore mossa che avesse mai potuto fare.

Aveva tossito per finta, facendo girare entrambe le ragazze verso di lei. Noemi indossava solo una maglietta, e gli slip, quindi le era stato facile mettere in pratica quello che aveva in mente. Aveva camminato leggiadra fino ad Agata, le aveva preso una mano, quella stessa che fino a poco prima "occhi da cerbiatto" stava stringendo, e aveva intrecciato le dita con quelle della sua amica e le aveva lasciato un casto bacio sulle labbra. Un bacio che, ad una persona esterna al loro rapporto, che non era di certo di quel tipo, quale era la stronza, e non si fermava dal definirla tale, che si trovava davanti, poteva suone solo in un modo: famigliare, ripetitivo.

«Ho fame, amore -Aveva calcato la parola- Andiamo a fare colazione?» Agata aveva le aveva lanciato un'occhiata strana, che era durata il tempo di capire cosa volesse fare.

«Oh, certo, amore -Lei aveva messo un certo tono allusivo nella parola- Giulia, se ti dispiace» Agata le aveva indicato la porta d'ingresso, d'uscita per lei, con lo sguardo, mentre accarezzata i fianchi di Noemi da sopra la maglietta e le mordeva il collo con delicatezza. Aveva sentito lo sguardo della sua ex rovente fino a quando non era uscita, poi aveva fatto volta Noemi.

«Tu sei pazza»

«Ma intelligente»

«Potrebbe essere».

E

«E ti penso sempre».

Agata aveva alzato gli occhi al cielo, mente ascoltava per la seconda volta il messaggio che Giulia le aveva mandato. Noemi l'aveva guardata, aveva recuperato dell'alcol e ci si erano affogate dentro. Era diventata una costante Noemi in quei tempi, una costante di cui non poteva fare a meno, sapeva di non poterne fare a meno. Era diventata una costante anche l'alcol. Avevano ventidue anni, erano in salute, e una bottiglia ogni tanto non faceva male. A volte, in realtà, credeva di aver avuto una brutta influenza sulla propria amica: le rubava quindi la bottiglia dalle mani il più velocemente possibile quando poteva e faceva in modo di tenerla lei, ma non berla. Noemi sbuffava, faceva delle faccette da bambina piccola, a volte, se sbronza, si distendeva e aspettava.

Avevano sentito in messaggio una terza volta quella notte, e allora avevano riso, avevano riso fino a quando i polmoni e la pancia non aveva fatto loro male, avevano persino singhiozzato. Poi Agata aveva pianto, aveva pianto come non faceva da molto tempo e Noemi l'aveva abbracciata, piangendo anche lei per il dolore della sua amica. Ne aveva raccolto un po' alla volta, aveva asciugato le sue lacrime, portandole via con dolci carezze. Si era addormentate, i segni delebili delle lacrime che pian piano si asciugavano.

F

«Farei meglio ad andare via».

Agata aveva utilizzato un tono di voce duro, esigente. Erano  a casa di Giulia e stavano discutendo da mezz'ora.

«Se ti dessi un altra possibilità finiresti con il rendermi infelice»

«Non è giusto... Io bisogno di te!» Le aveva urlato la sua ex con gli occhi colmi di lacrime. Qualcosa in Agata era scattato: la rottura di coglioni probabilmente. Si era avvicinata di un passo, lo sguardo scuro, la rabbia che pian piano stava diventato troppo. Voleva chiuderla lì, fare in modo che non avessero mai più una conversazione. era determinata a sbatterla fuori dalla sua vita, visto che per una buona parte della sua si era accopuata di rendere più felice lei che di sé stessa.

«Non dirmi che non è giusto, non dirmelo. Se vuoi davvero saperlo quando sono lontano da te sono più felice che mai, al settimo cielo!»

«Certo, insieme a quella stronza dell'altro giorno, vero!?»

Agata aveva sentito i nervi saltarle, e tra un poì sarebbe saltata anche Giulia.

«Parla di Noemi un'altra volta e giuro che ti stacco quella cazzo di bocca che ti ritrovi»

«Ti piaceva la mia bocca, una volta»

«Si, hai ragione: mi piaceva molto prima di scoprire che fosse una cazzo di fogna».

Agata se ne era andata sbattendo la porta, i nervi tesi al massimo. Aveva indossato il casco, era salita sulla propria moto ed era fuggita via, più lontano possibile da chi le aveva rovinato un periodo della sua vita che doveva essere decente, se non buono.

G

«Giù le mani».

Era quello che avrebbe voluto dire.

Agata cominciava a sentirsi meglio solo dopo un mese dalla rottura definitiva. In quel momento si trovava sul divano logoro dell'appartamento di Noemi, insieme a Jacopo. Si erano messi insieme, quei due. Lui era un bravo ragazzo, era certa che non le avrebbe fatto del male, eppure c'era comunque qualcosa che rendeva Agata agitata ogni volta che lui si avvicinava a Noemi per un bacio, ogni volta che la accarezzava, ogni volta che appoggiava una mano sopra il suo ginocchio. Aveva scrollato ogni pensiero dalla proprie testa: non erano affari suoi, e non le sarebbe dovuto importare fino al momento in cui non avrebbe dovuto dargli un pugno per avere fatto del male alla propria migliore amica. Non aveva quando fosse passata da amica a migliore amica, eppure era certa del fatto che non si potesse rimanere solo amici dopo aver visto un dolore tanto forte e aver comunque deciso di restare.

Per quanto riguardava Noemi: si, Jacopo le piaceva, ma non ne era innamorata. Noemi non era mai stata innamorata ma sapeva che quello, quel sentimento fievole che sentiva nei confronti di Jacopo, non era amore. Era così fievole che un qualsiasi passo falso dei due avrebbe potuto spegnerlo, e così era stato. Non erano nemmeno andati a letto insieme quando si erano lasciati, per quanto quella relazione fosse considerabile relazione.

Agata, quando lo aveva saputo, ne era stata molto felice. Quel senso che qualcosa non andasse se ne era andato, e con lui Jacopo.

H

«Hey!»

Noemi l'aveva fermata, prima che se ne andasse via infuriata. Niente di tutto quello che era successo era stato voluto da lei, ovviamente, ma era stato inevitabile. Spaccare il naso a Jacopo era stato del tutto voluto, però.

Perché Agata poteva essere tutto quello che volevano, ma se la sua migliore amica si trovava in difficoltà sarebbe sempre intervenuta, anche quando nessuno lo voleva. Jacopo si era spinto troppo oltre, e aveva cercato di convincere Noemi a fare qualcosa che non voleva fare, e lei si era arrabbiata.

«Non puoi picchiare il mio ragazzo e andare via così!»

«Ti senti, quando parli?» Agata era calma, apparentemente, ma in realtà stava per far accedere una rabbia che teneva sempre controllata. «Lui è uno stronzo, tu un imbecille e non mi sorprende che vi siate trovati!»

I

«Ironico, veramente ironico».

Agata e Noemi non si sentivano da qualche settimana, e Agata stava annegando in sé stessa. Poi Noemi le era comparsa davanti alla porta e allora tutto era cambiato.

J

«Jeans»

Noemi si era voltata verso di lei «Cosa?»

«I jeans, andranno bene, quelli a zampa di elefante. È solo una serata con i tuoi parenti, non una sfilata».

«Quella svitata di mia cugina però-» Agata l'aveva fulminata

«Non ci importa nulla di tua cugina, tu sii solo tu che vai benissimo così».

k

«K.o., mi hai stesa» Agata non aveva potuto fare a meno di guardala Noemi, di guardare come il petto le si alzasse e le si abbassasse, come se labbra fossero rosee, come le dita fini stringevano la maglia, i fianchi e la vita, tutta la porzione di pelle scoperta che era messa in mostra.

Noemi non se ne accorgeva che Agata la voleva, non lo vedeva, come non vedeva sé stessa.

L

«Lo sai che ti voglio bene, vero?»

Ad Agata quella frase aveva fatto più male che bene, sia nella mente sia nel fisico, ovunque. Il dolore che aveva provato era stato intenso, per nulla piacevole, sconsideratamente. Non aveva fatto più male di vedere Giulia scopata da un altro, ma era stato un dolore di natura simile, anche se non era della stessa intensità.

M

«Ma perché stai sempre a leggere?» Le aveva chiesto Agata, una volta, mentre erano in autobus.

«Quando una persona legge entra automaticamente in un altra vita, in milioni di altre vite. -Aveva detto Noemi, il cuore in gola mentre gli occhi della sua amica la scrutavano fin dentro l'anima- Leggere è scappare senza muoversi, è viaggiare senza comprare i biglietti per il viaggio, è imparare senza insegnate. Leggere dilata il tempo, lo ferma, affinché la persona sia solo sulle parole del libro. Affinché, quando si legge, non ci si accorga che il mondo va avanti, nonostante a te sembri sempre lo stesso momento, magari con quattro cinque ore in più a quello che ti ricordavi. Ricordo il primo memento in cui ho letto, ricordo, che quella volta, non ho staccato gli occhi dal libro neanche per un minimo rumore, potevano anche sfondare la porta, non me ne poteva fregare di meno. Ricordo che quando ho tolto gli occhi dal libro, sei ore dopo, i miei occhi facevano ancora fatica a mettere a fuoco quello che mi stava attorno, persino i numeri del orologio di camera mia apparivano sfuocati. Ricordo che ci misi davvero un po' ad abituarmi, di certo, avere delle parole scritte a pochi centimetri di distanza dagli occhi non mi aveva fatto di certo bene alla vista. Ricordo che da quel momento in poi non ne ho più potuto fare a meno. -Noemi aveva scosso la testa- Leggo perché ne ho bisogno, perché il mondo fa schifo e quelli inventati almeno sono meglio»

Agata aveva annuito, mentre guardava il libro che la sua amica teneva tra le mani, e Noemi avrebbe voluto solo che lei la guardasse ancora, ancora, ancora e ancora.

N

«Non fare finta di non aver fatto niente!» Noemi stava litigando con Jacopo, ancora una volta. Ad Agata era stato chiesto di rimanerne fuori, e così ne era rimasta fuori, anche se di certo non aveva lasciato la propria migliore amica con quell'energumeno.

«Che cazzo vuoi che ti dica Noemi? Ho sbagliato.»

Agata aveva percepito, anche dalla distanza a cui si trovava dalla coppia, quanto Noemi fosse arrabbiata.

«Ti avevo detto di no...»

«Quella pazza della tua migliore amica mi ha picchiato però!»

«Non è la stessa cosa!» Noemi l'aveva detto urlando, la faccia rossa, i pugni stretti. «Non mi hai ascoltato quando ti ho detto di no, non mi hai ascoltato quando ti ho ripetuto di no, se lei non ci avesse trovati in quel bagno e non ti avesse tirato un pugno lo avrei fatto io»

Jacopo aveva riso «Ma fammi il piacere, avrei potuto fare quello che volevo perché sei così debole che manco ti si sente quando parli. Quei no che dici di aver detto manco li avevo sentiti»

Agata, in quel momento, provava una profonda voglia di dargli un pugno e spaccargli di nuovo il naso. Noemi aveva stretto i pugni.

«Tanto anche se non te l'ho data, anche se non ho aperto le gambe per te, qualcun altro lo ha fatto vero?» Agata aveva guardato con sconcerto la scena, come se fosse una delle più ripugnanti che avesse mai visto in vita sua.

«Mi sono preso da qualcun'altra quello che tu non mi davi, un uomo ha le sue esigenze infondo»

«Avevo già intenzione di lasciarti» Noemi aveva parlato piano, anche se il tono era stato fermo «Dopo sta cose mi sono convinta anche di più»

«Bene, perché sei una figa di legno» Agata aveva sentito in sangue gelarsi e una rabbia cieca sconvolgerla, quasi non aveva capito quello che stava facendo fino a quando non si era trovata Jacopo per terra con un labbro spaccato e sanguinante. Il ragazzo aveva riso «Si vede proprio che sei un maschio mancato, pensa, ti bastava il cazzo e poi saresti pure stata una persona normale» Noemi aveva cercato di trattenerli, ma erano finito con il prendersi a pugni. Almeno fino a quando Agata non lo aveva buttato fuori casa.

Si era seduta contro la porta chiusa, le mani sulle orecchie. Noemi le si era avvicinata piano, e quando aveva cercato di toccarla Agata si era ritratta come un riccio.

«Non... Non sei tu il problema» Aveva detto l'amica. Agata si era voltata verso di lei di scatto

«Il problema è essere nata in un pianeta con una mentalità di merda che, per quanto ci si provi, cambia con difficoltà»

O

«O forse sono io il problema?»

«Non ho detto questo» Noemi aveva sospirato

«Solo che?»

«A volte sei troppo impulsiva»

Agata le aveva sorriso, beffarda.

«Ad altre persone la mia impulsività piace»

P

«Piangerò tutte le mie lacrime, lo sai?» Agata se ne stava al areoporto, le valige strette a sé e una Noemi piangente davanti. 

«Trattienile per un altra persona Noemi, che questa cosa non ne vale la pena»

Q

«Quando sei tornata?» Noemi era arrabbiata. Non avrebbe dovuto esserlo, anzi, ma era una settimana che Agata non le rispondeva a messaggi e chiamate. Poche ore prima credeva che fosse ancora in Canada e in quel momento se la trovava davanti alla porta, con i capelli più corti, un braccio coperto dal gesso e lo sguardo che aveva qualcosa di diverso. Non si erano viste di persona per nove mesi, nove mesi lunghi, complicati e disastrosi per certi versi.

Noemi era stata sopraffatta dalla sua mancanza, il cuore le esplodeva nel petto quando vedeva delle sue foto sulle storie e quando le arrivava un suo messaggio, pure se il messaggio diceva "non posso parlare ora", però le era sembrato che in quei mesi, come in molte altre occasioni, Agata avesse cercato di tenerla fuori dalla sua vita.

Agata, in quei nove mesi, aveva avuto una relazione che si era conclusa con un incidente stradale e un funerale. Stava ancora male, il petto le bruciava sempre quando i ricordi di quella notte le tornavano in mente, a volte pensava anche di vedere il fantasma della ragazza che aveva amato. Era stato un amore acceso, contorno, spericolato: Agata all'inizio non voleva legarsi a nessuno lì, poi un'altra ragazza italiana, l'unica altra ragazza italiana, le si era avvicinata. Era stata delicata nell'avvicinarsi, lo aveva fatto in punta di piedi e così piano che Agata non si era accorta dei propri sentimenti fino a quando non erano trascorsi cinque mesi, e gli altri quattro erano stati di puro amore, un amore travolgente, insostituibile, implacabile. Fino alla notte in cui avevano discusso in macchina, una settimana prima, ed erano andate fuori dal guard rail. La sua compagna era morta, lei se ne era uscita con un braccio ingessato. Si odiava Agata, si odiava molto, più di quanto non si fosse odiata quando aveva visto Giulia con un altro, più di quanto si fosse odiata nove mesi prima ad aver lasciato Noemi lì. Noemi. Noemi. Era stata una costante dei suoi pensieri nei primi tre mesi, aveva creduto di esserne innamorata fino al quarto, al quinto era tornata solo a vederla come una cara amica. Non le aveva detto niente, né che si fosse fidanzata né quello che era successo. 

«Sta mattina, ho le borse qui fuori se mi fai entrare»

R

«Resterò fino a quando non avrò una casa mia» Agata aveva detto così, circa due settimane dopo «Sistemo due cose e poi mi levo dal cazzo»

«Non sei un peso» Noemi non voleva che lei se ne andasse, Agata non le aveva detto ancora nulla ma sapeva che non poteva lasciare la propria migliore amica sola «In più hai ancora il gesso, e paghi la tua parte di alloggio, non ho nessun problema se resti qui»

Agata le aveva lanciato un occhiata, non sapeva ancora come comportarsi con lei.

Noemi invece sentiva solo quello che sentiva, qualcosa che non sapeva identificare perché era troppo.

Agata aveva annuito «Allora fino a quando non mi toglieranno il gesso»

Noemi, una settimana dopo, aveva capito di essersi innamorata. 

S

«Sono sul punto di baciarti».

«Fallo!» Agata a quel punto aveva reagito d'istinto, prendendo il viso di Noemi tra le mani e arrivando alle sue labbra in un attimo.

Noemi non si era mai immaginata bacio diverso. Agata l'aveva afferrata e baciata l'impulso, le labbra di entrambe aperte e le lingue che si erano trovate subito. Si era aggrappata alle spalle dell'altra, arricciando il tessuto della maglia nelle dita delle mani. Agata l'aveva stretta sé, le mani sul suo fondo-schiena mentre lo palpava e lo stringeva. Poi l'aveva sollevata, sbattuta contro a un muro ed era passata a baciarle il collo, ne aveva morso la pelle, inciso baci indelebili su di essa e marchiata; e più i gemiti di Noemi si facevano acuti più la stringeva a sé. Le aveva tolto la maglietta e aveva preso in bocca un capezzolo parzialmente turgido, mentre con l'altra mano palpava l'altro seno. Noemi aveva infilato le mani sotto alla sua maglietta, le unghie curate avevano inciso strisce rosse sulla pelle pallida e parzialmente coperta di lentiggini di Agata. Noemi, ad un certo punto, le aveva alzato il viso, baciandola di nuovo. L'altra allora l'aveva fatta di nuovo mettere i piedi per terra e si era tolta la maglietta, tornando però a baciarla subito dopo.

Nella testa di Agata stava accadendo il finimondo, e si era fermata. Sensi di colpa, ansia, disgusto verso sé stessa erano le principali cose che Agata provava. Aveva lasciato andare Noemi, si era allontanata di qualche passo, aveva recuperato la propria maglia da terra ed era scappata via, veloce. Il fantasma della sua ragazza defunta che sembrava seguirla ovunque, qualsiasi cosa facesse, regalandole solo sensi di colpa.

T

«Tu puoi usarmi, se vuoi»

Era quello che le aveva detto Noemi, giorni dopo quel momento, quando Agata le aveva raccontato tutto. Quest'ultima aveva guardato l'amica come se fosse pazza. Noemi era arrossita.

«Non sono quel tipo di persona...»

«Lo so!» Agata l'aveva guardata torva «Io... Lo so, ti sono stata vicina per Giulia, ti starò vicina anche per questo... e se ti servirà, potrai usarmi come sostegno, come vaso in cui riversare i tuoi dolori, non lo aprirò»

«Sarebbe usarti, non credo che sia la cosa giusta»

«Sono disposta a sopportare tutto per vederti felice...»

U

«Urano sembra più vicino di quanto mentalmente tu non lo sia» Noemi lo aveva detto, ma Agata non lo aveva sentito. Era persa nei ricordi

L'aveva svegliata con la colazione a letto, con un bacio sulla testa: era bella come sempre, e la faceva sentire innamorata ogni istante di più in qualche modo.

«Voglio vivere con te» Le aveva detto un giorno «Perché tu eri sempre lì per me, quando ne avevo più bisogno»

V

«Voglio portarti da qualche parte per dimostrati che mi importa».

Le aveva detto così Agata quella notte: erano appena uscite da una festa, avevano litigato due giorni prima per una sciocchezza non del tutto insignificante e la sua migliore amica, dopo non averle parlato per tutta la sera, l'aveva tirata per un braccio all'uscita, il viso nascosto dalle ombre della notte, gli occhi scuri e magnetici aperti solo in parte per la stanchezza di tenerli sempre spalancati, la mano calda che stringeva il suo avambraccio. Agata era più alta di lei, aveva le spalle più larghe ed era più grande di due anni, aveva i capelli più corti, le mani curate, dal palmo grande e dalle dita lunghe, le unghie corte dipinte di nero. Prima, su quelle dita, c'era sempre qualche anello, ma da quando era tornata non tendeva a mettersene più. Noemi l'aveva guardata come avrebbe guardato un uomo che entrava nudo in un negozio, poi, per qualche ragione incomprensibile, aveva solo annuito. Agata l'aveva trascinata, le aveva infilato un casco frasi in fretta e furia, assicurandosi però che fosse allacciato bene e in modo stretto, troppo forse visto che Noemi sentiva la pelle della mandibola che strusciava troppo spesso con il tessuto semi-rigido dei lacci del casco. Un'ora dopo si trovavano al mare, le giacche a fare loro la telo per sedersi. Noemi indossava un vestito che, da seduta, la copriva a mala pena da metà coscia in su, Agata, che non si sentiva a proprio agio con i vestitini, indossava dei semplici jeans, non troppo stretti, non troppo larghi. La ragazza di fianco a lei guardava solo il mare che era davanti a loro. Non sapeva perché aveva accettato, aveva smesso di pensarci dopo la prima mezz'ora di viaggio, e aveva cominciato, invece, a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quello che stava succedendo. Agata non era mai stata il ritratto della gentilezza e questo era vero, ma non era mai stata nemmeno così. Non aveva mai lasciato perdere dopo una litigata, non l'aveva mai ignorata ad una festa, non aveva mai lasciato che qualcuno le si avvicinasse se non prima di averlo giudicato insieme a lei. Invece, quella sera, tutte quelle cose non erano avvenute.

«Ti sei stancata di me?»

«Che cazzo dici?» Il tono di Agata era duro, freddo. Noemi non aveva avuto la forza di guardarla negli occhi. Aveva giocato con la sabbia mentre sentiva il peso dello sguardo scandalizzato dell'altra sulla propria pelle. «Noemi, cosa blateri?» Agata le aveva afferrato un polso, fermando il suo muovere la sabbia nervoso. Le era venuto la piangere, ma aveva mandato indietro ogni lacrima che aveva provato ad uscire.

«Ti sto chiedendo se ti sei rotta di me». Agata l'aveva strattonata, cercando di portarla più vicino a sé, ma Noemi si era ribellata, consapevole che il contatto con la sua pelle era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento. Si sarebbe sentita troppo al sicuro e avrebbe pianto, come una fontana. «Lasciami...» La sua migliore amica l'aveva strattonata un altra volta, lei si era ribellata ancira ed erano fine a rotolare nella sabbia.

Noemi aveva sentito i granelli accarezzarle le gambe e infilarsi tra i vestiti. Erano finite a due metri di distanza dai loro giubotti. Agata le stava bloccato i polsi a terra e stretto le gambe con le proprie, in modo che non si muovesse.

«Hai la febbre? Hai bevuto troppo? O sei solo cogliona dalla nascita ma hai deciso di farlo vedere solo adesso?» Agata aveva fatti più pressione sui suoi polsi, come a sollecitarla a una risposta.

«Sto solo dicendo che non sei più la stessa» La sua migliore amica si era abbassata, i loro nasi si erano sfiorati e i polmoni di Noemi si erano riempiti di profumo di limone oltre che si salsedine; aveva sentito brividi prolungati diffondersi per tutto il proprio corpo, dai fianchi al seno, dalle spalle alle cosce.

Noemi sapeva quello che provava, le era diventato palese quando si era accorta che tutto quello che faceva era per attirare l'attenzione di Agata, ma nonostante questo, nonostante la pacata consapevolezza di ciò che vibrava nel proprio cuore, non si era mai dichiarata (Agata era pan, quindi una possibilità l'aveva, ma non si era nemmeno mai sognata di rivelarsi, la paura di rovinare tutto che la dominava). Eppure, a volte, le sembrava che Agata lo sapesse e che non facesse altro che stuzzicarla per alimentare quei sentimenti. Come in quel momento, perché starle così vicino? Perché non allontanarsi o stare ferma nella posizione primaria in cui si erano trovate? Ogni volta che le si avvicinava, però, si allontanava sempre di più, il fantasma di un amata che non avrebbe mai più visto che le opprimeva le scelte.

Noemi aveva davvero preso il suo dolore quando Agata aveva scelto di condividerlo con lei, ma a volte le sembrava tutto inutile.

«Nemmeno tu, se è per questo, eppure io non mi vado a fare paranoie su qualcosa di insignificante»

«Credi davvero sia insignificante?»

«Sto solo dicendo che cambiare è nella natura dell'uomo in quanto evoluzione, tutto qua» Agata le aveva lasciato un polso, stringendo invece con quella mano il suo volto dalle guance «Il mio affetto per te, Noemi, non cambia. Posso cambiare io, ma non quello. A meno che tu non mi faccia un torto».

Altri brividi l'avevano percossa e scossa, ma sta volta erano partiti dal proprio basso ventre per arrivare fino alle caviglie. Avrebbe voluto sporgersi, baciarla, sentire se anche le sue labbra sapevano di limone. Agata tuttavia si era allontanata, alzandosi in piedi e tirando con sé anche lei, l'aveva abbracciata, cullata e poi erano tornate al posto originale, sedute ognuna sulla propria giacca.

W

«Wow» Era l'unica cosa che Agata era riuscita a dire quando Giulia le si era presentata a casa. Le aveva sbattuto la porta in faccia senza nemmeno ascoltare la frase che le stava per dire.

Si era girata verso Noemi, che dormiva sul divano di casa sua. Aveva sorriso a quella vista, il cuore che batteva più veloce e il fantasma che finalmente non le impediva di avvicinarsi a lei.

X

«Xenofobia»

«Cosa?» Agata l'aveva guardata incuriosita.

«La paura di ciò che è estraneo, si chiama Xenofobia. Credo tu ce l'abbia, almeno, da quando sei tornata...»

«Allora fortuna che ti conosco da prima»

Y

«Yogurt, ti piace lo yogurt. Le noci, l'uva, le pesche e le pere. Vai matta per le ciliege. Al pasta al pesto la mangeresti in ogni momento della giornata. I dolci al pistacchio sono i tuoi preferiti. Ti piace la musica punk e metal, anche se quando studi ascolti solo musica triste perché le altre non ti fanno concentrare. Ti piacciono il nero e il viola come colori da indossare, il verde non lo disdegni e non hai un solo capo bianco nel tua armadio. Sei impulsiva e a volte non pensi a quello che stai facendo, o a quello che stai per fare, segui gli istinti senza bastarti sulla ragione. Odi quando le persone ti stanno troppo addosso ma ami il contatto fisico. Dimostri effetto con quello e con i gesti. Non sai non amare, e lo fai sempre profondamente anche se non spesso lo dici. Sei più morbida di quando non vuoi far sembrare. Odi un sacco di cose, le gente che fa rumore quando mangia, i pedoni che non ringraziano quando li lasci passare, la musica troppo alta, odi essere arrabbiata e quando ti arrabbi rimani così per ore, odi che il mondo non sia silenzioso, odi quando le cose sono in disordine e odi la polvere... Potrei continuare, Agata, ma sarebbe inutile. Ti amo, sei la prima donna che amo e probabilmente anche l'ultima. Ti amo forse da sempre, dalla prima volta che ci siamo viste, me ne sono accorta dopo che sei tornata. Non ho mai voluto dirtelo, almeno fino a questo momento.»

«Io ora come ora non saprei amarti come vorresti...»

«Lo so. Infatti non ti sto chiedendo di farlo. Starò le vacanze infernali dai miei, in Valle d'Aosta. Voglio passare del tempo da sola, per cercare di dimenticarti.»

Agata non ne era stata felice, non le era stato nemmeno facile, ma l'aveva lasciata andare.

Z

«Zitta... non dire nulla, per favore»

Circa un mese dopo Agata si era trovata Noemi alla porta e l'aveva baciata. D'impulso, di getto. Non sapeva per quanto tempo avessero continuato a baciarsi, ma Agata sapeva che, schiacciata contro ad un muro, Noemi sembrava ancora più piccola di quanto non fosse. Era più bassa di lei di almeno quindici centimetri.

Quando si erano allontanate per riprendere fiato Noemi era rossa come un pomodoro, e non ci aveva messo molto a spingere Agata dentro il suo appartamento, insieme ai propri bagagli, per poi gettarsi su di lei.

«Posso darti solo l'amore che rimane»

«Io posso dirti che sarà l'amore giusto»

   
 
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