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Autore: Danii2301    29/06/2022    1 recensioni
Caterina è una ragazza di Bologna, ha finito da poco l'ultimo anno di liceo e non sa ancora cosa vuole dalla vita. Università? Lavoro? Non sapendo bene chi è veramente e cosa la entusiasma per davvero, Caterina si lascia andare a mille pensieri e al caldo afoso che ingloba la sua amata città.
Ma all'improvviso, come una ventata d'aria fresca, arriva finalmente una risposta, o meglio, una persona. Elegante, rossa di capelli e con nessun ciuffo fuori posto, Elissa si presenta alla porta di Caterina come la governante di un posto molto particolare. La donna spiega che lei è una delle fortunate ad esser state scelte dal destino, una sorta di entità spirituale che pone alla vita della ragazza una definitiva soluzione. Caterina non è una semplice umana, è una Väalyana, una dominatrice di uno dei cinque elementi della natura e per far sì che in futuro riesca a controllarlo, dovrà seguire Elissa all'Accademia dei Väalyani, una prestigiosa scuola che si trova su una misteriosa isola a Nord dell'Europa, Lyscha. In un'avventura tra magia elementale, stregoneria e molto altro, Caterina riuscirà a scoprire chi è veramente?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19 luglio 2020,

 

Bologna

Caro Diario,

finora non è successo nulla di interessante…

Il giorno in cui la mia vita cambiò, non stavo facendo nulla di interessante. Ero lì, sdraiata sul letto di camera mia a scrivere sul mio diario e a parlare con la mia migliore amica, Giorgia. Eravamo da un paio d’ore al telefono.

-Ah, quindi non è successo nulla di che tra di voi? Insomma, nemmeno un piccolo bacio? -domandai, nel mentre che mi passavo la penna nera tra le dita. Non ero mai stata brava con le parole, la scrittura non era infatti una mia grande passione, eppure avevo questa sorta di disturbo che mi costringeva a segnare qualsiasi cosa d’interessante che accadeva nella mia vita. Avevo anche paura di dimenticare le cose, a volte tendevo ad essere una vera smemorata. Finora la pagina dedicata al mese di luglio era rimasta bianca.

-Niente purtroppo. Però mi ha accompagnata a casa sulla sua moto. È stato divertente, anche se avevo la costante paura che mi facesse cadere.

 Giorgia ha avuto paura di cadere da una moto. La solita esagerata…

-Tua madre sarà stata contenta-commentai con sarcasmo. Lei rise.

-Se lo scoprisse mi ammazzerebbe.

-Perché? Sei grande e vaccinata, non sei più una ragazzina. Hai il diritto di fare quello che vuoi-sorrisi tra me. Giorgia era una di quelle persone che reclamava la libertà, la spensieratezza, la gioventù, eppure faceva sembrare ogni minima cosa quasi come un gesto sovversivo nei confronti di sua madre. Era molto apprensiva e per qualsiasi faccenda si arrabbiava, dunque aumentava la voglia della figlia di fare completamente l’opposto, anche se non era qualcosa di così ribelle.

-Già… Mi sembra ieri che abbiamo finito il liceo-sospirò malinconica ed io ridacchiai.

-Cos’è? Sei triste per caso? Io sono contenta di aver concluso quegli interminabili cinque anni…

-In realtà mi mette tristezza il futuro che ci attende: tu andrai a Venezia, mentre io resterò qui, a lavorare nel negozio di mio padre. Che vita noiosa!

Al suono di quelle parole mi salì un groppo in gola.

-Lo sai che non mi sono ancora iscritta. Non so nemmeno se sono riuscita ad ottenere la borsa di studio-sbuffai, scacciando il pensiero dalla testa. Avevo fatto un test per entrare in un prestigioso collegio dell’università di Venezia, il quale mi avrebbe fatto vivere nella città a spese non dei miei genitori, sempre se ovviamente avessi mantenuto una media decente... Però ero sicura che fosse andato male. Ultimamente non riuscivo a concentrarmi bene, sembrava che le mie energie si fossero esaurite dopo aver svolto l’esame di maturità, anche se dovevo ammettere che una straziante sensazione era cominciata già all’inizio del quinto anno. Che sensazione?

Perdizione di sé, o per i meno intellettuali come me, non ho idea di cosa fare nella mia patetica vita.

Tutto era così poco stimolante ed estremamente grigio, se non anche più vuoto di una bolla di sapone. Avrei potuto trovare più interessante una scatola di cereali, che una brochure universitaria. Ma l’importante era che i miei non lo venissero a sapere.

-Ti è arrivata per caso qualche email? -domandò titubante Giorgia.

-No e non credo che arriveranno.

Nel medesimo istante il campanello suonò. Rimasi ferma sul letto sapendo che sarebbe andato ad aprire papà, solito a leggere in salotto al piano terra della casa.

-Che cosa vorresti fare, nel caso?

-Oh, non lo so-mi fermai, chiudendo definitivamente il diario. Guardai il telefono appoggiato sul letto e feci una smorfia. -È soltanto luglio, Gio. Io… non ci voglio pensare.

-Hai ragione. C’è ancora tutta l’estate da goderci. Saranno gli ultimi mesi di libertà, poi potrò dire addio alle vacanze scolastiche…

-A quest’ora saremmo dovute essere a Mykonos! Dovevamo seguire tutte le altre, invece siamo qui, a Bologna, dove ogni anno fa sempre più caldo!

Alcune nostre amiche ci avevano abbandonato per andare nelle isole greche a divertirsi, mentre noi eravamo rimaste in Italia perché non avevamo genitori altrettanto ricchi. O meglio, a parole di mia mamma non aveva senso sprecare del denaro in divertimento, quando lo si poteva sfruttare per qualcosa di ben più istruttivo, un museo ad esempio. Comunque la sola soluzione era andare in vacanza o a Rimini o a Riccione, ma alle altre non parve una buona idea, perciò presero da sole la prima nave per la Grecia. E come biasimarle…

-Sono state delle emerite egoiste, non c’è altro da aggiungere. Il prossimo anno ci vendicheremo, vedrai! Che ne so, andremo… a Santa Monica! E le invieremo delle foto. Anzi, ancora meglio, pubblicheremo una storia su Instagram e saremo più sgargianti di tutte quelle modelle in bikini!

Scoppiai a ridere.

-Va bene, come vuoi! Eppure se ci ritroveremo in Romagna a mangiare una piadina con prosciutto e squacquerone, sarò pronta a prendermela con te, sappilo!

-D’accordo!

Ricambiò la mia risata.

La porta di camera mia si aprì e una donna alta, bionda, con gli occhi azzurri e l’aria costantemente severa entrò senza preavviso. Lei era Carola Olivetti, ovvero la mia cara madre… Mi indicò di spegnere il telefono, dato che c’era qualcuno che voleva vedermi. La guardai confusa, non sapendo a chi potesse riferirsi.

-Ehm, Gio… Io devo andare, ci sentiamo dopo, va bene?

Dopo che mi diede una risposta, riattaccai subito e scesi dal letto. Mi avvicinai alla mamma e le domandai chi volesse vedermi.

-Non ne ho la minima idea-mi rispose con tutta onestà. -Ha detto solo che vuole parlarti. Immagino che sia una di quelle che viene a fare i sondaggi tra i giovani.

-E da quando si fanno dal vivo e non online? -chiesi confusa, facendo per uscire. Fui fermata prima di avvicinarmi alla porta.

-Hai intenzione di scendere così?

Guardai velocemente che cosa stessi indossando: degli shorts arancioni e una larga maglietta bianca. Faceva caldo, era estate, cos’altro mi sarei dovuta mettere? Mia madre era incorreggibile in fatto di apparenze, ci dava fin troppo valore, anche se si trattava di sconosciuti che chiedevano il tuo nome per degli stupidi sondaggi sui giovani. Che cosa da boomer!

Alla fine mi cambiai ed indossai un vestito estivo un po’ più elegante.

Scesi le scale e arrivai al piano terra, dove trovai in salotto i miei assieme ad un’insolita ed elegante figura. Era una donna molto bella, in apparenza alta e dall’aria mansueta, cordiale. Aveva i capelli rossi come una ciliegia e una pelle molto chiara e in apparenza anche curata. Indossava un vestito lungo di un blu intenso, il quale si abbinava spaventosamente bene ai suoi grandi occhi azzurri. Era seduta al tavolo rotondo del salotto tra papà e mamma, che cercavano di intrattenerla parlando del caldo che faceva a Bologna. Non appena mi intravide dalla porta, mi lanciò un semplice sorriso e mi indicò con lo sguardo la sedia di fronte a lei.

-Prego, cara. Vieni. Abbiamo molto di cui parlare.

Mi sedetti un po’ titubante come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Non ricordavo niente che mi avesse potuto mettere nei guai! Pensandoci bene, però, lo scorso sabato avevo avuto dei problemi con una vecchia signora. Aveva giudicato il mio modo di vestire e le avevo risposto a tono. Fosse stata la nipote, la donna di fronte a me? Nah, molto più probabile che volesse solo farmi qualche sciocca domanda.

Diedi un’occhiata a papà: Lukas Himmel aveva gli occhi marroni che mostravano un’aria del tutto imbronciata. Probabilmente quella misteriosa signora lo aveva disturbato dai suoi momenti di lettura, o come li chiamava lui, ‘faccende culturali’. Era un insegnante di italiano e di tedesco, per lui non c’era nulla di più importante del tempo dedito alla letteratura. Aveva origini sud-tirolesi, conosceva perfettamente la lingua austriaca e più volte aveva cercato di inculcarmela in testa, ma sin da piccola mi ero rifiutata. Non mi veniva naturale, preferivo di gran lunga l’italiano, o magari l’inglese.

-Bene, è arrivato il momento delle presentazioni-riprese la donna con sicurezza, come se lo avesse già fatto altre volte. –Io sono Elissa Rosmeria Lyorin, la governante e custode di un posto molto prestigioso-sorrise fieramente. Tirò fuori da una cartellina dei fogli che mi parvero essere diversi documenti e foto, poi li posò sul tavolo. Riportò lo sguardo su di me.

-Tu sei Caterina Sofia Himmel. Nata il 31 dicembre del 2oo1 a Trieste, ma vissuto prevalentemente qui, a Bologna.

Non mi stupì nemmeno che sapesse alcune cose sul mio conto, ormai vivevamo in un’epoca dove chiunque sapeva tutto di tutti, tuttavia aveva un modo vago di esporsi, specie su di sé, come se non fosse appartenuta al mio mondo. Il suo nome era in effetti un po’ strano… Mi incuriosì in fretta ed aspettai una spiegazione più chiara da parte sua.

-Sapete, quello che sto per annunciare a vostra figlia è qualcosa di molto speciale. Voi, signori, siete Lukas Himmel e Carola Olivetti. È corretto?

D’un tratto capì: e se avesse lavorato per il collegio di Venezia? Forse ero riuscita ad entrare, forse la governante del posto era venuta addirittura di persona per congratularsi. Sarebbe stato un gesto molto carino da parte loro, se soltanto mi avessero avvertita un po’ prima… Che poi, esistevano ancora le governanti nel 2020?

-Perfetto! -esclamò Elissa, non appena i miei genitori annuirono. Con una fastidiosa naturalezza, se ne uscì con questa frase:

-Allora, cara Caterina, è vero che non sai cosa fare nella vita?

Ebbi un sussulto: chi diavolo era quella donna? Come faceva a sapere che non avevo idea di che strada intraprendere? Insomma, non lo avevo detto a nessuno, eccetto per Giorgia, che un pochettino se lo immaginava.

Le mie mani cominciarono a tremare, così decisi di nasconderle sotto il tavolo. Evitai di guardare i miei genitori, sapendo già la loro opinione a riguardo: in casa mia era inammissibile non aver ancora deciso cosa fare della propria esistenza, specie dopo tutto quel tempo speso in brochures di università d’Italia. Anche perché, sottolineiamolo, non esisteva l’idea di andare a lavorare. Papà mi avrebbe diseredata.

-Come, prego? -domandò mamma confusa. -La nostra Caterina ha le idee chiare, no?

Provò a guardarmi, ma io la ignorai.

-Sì-insistette papà. -Vuole studiare lingue all’università di Venezia.

-Ah sì? Perché non me lo fate confermare dalla giovane chiamata in causa, allora. Dimmi, cara, è quello che vuoi fare veramente?

Elissa mi scrutò negli occhi cercando quasi di leggermi nel pensiero. Arrossì e mi sentì molto a disagio, tant’è che cominciai a sudare. Dio mio, non pensavo che le governanti si impegnassero anche in questo tipo di faccende.

Decisi di non dire nulla e così facendo preoccupai tantissimo lo sguardo dei miei. Fu Elissa a rispondere per conto mio.

-Non trovi una cosa adatta a te, vero? Sei stata brava durante gli anni di scuola, eppure niente ti ha veramente stimolato. O meglio, appassionato.

Di nuovo silenzio imbarazzante.

-Oh, suvvia, fatti coraggio! Ci sono qui io, i tuoi genitori non ti diranno nulla in mia presenza.

Sembrava fin dolce col suo tono gentile e spronante, eppure non potevo esserla altrettanto. Stava incasinando tutto ed io non ero ancora pronta ad affrontare la verità. Non poi senza alcun preavviso!

Sospirai e pensando di non avere scelta, parlai per la prima volta di fronte ai presenti. Mamma e papà erano così straniti da osservarmi come se fossi stata un alieno.

-Mi scusi, lei come… come fa a sapere tutto questo? Nel tema che ho inviato al collegio di Venezia, non ho parlato di dubbi e ansie per il futuro. Io…

Fui fermata subito da Elissa, che sembrava aver preso nuovamente la situazione tra le mani.

-No, no. Io non sono venuta per conto di quell’istituto. Io vengo a fare le veci di un altro posto. Credimi, anche migliore di quello in cui saresti disposta ad andare pur di compiacere i tuoi genitori.

I miei mi guardarono ed io non seppi che aggiungere. Quella donna misteriosa aveva parlato al posto mio, spiegando perfettamente la mia critica situazione.

-Signora Lyorin, io sono confusa-mi feci di nuovo avanti. -In che modo un’estranea come lei può sapere queste cose? Non ha senso…

La donna mi porse un’elegante smorfia. Ma come era possibile?

-Dammi pure del tu, il lei mi fa sentire vecchia! Ad ogni modo, cara Caterina, no, non sono un’estranea. Era destino che venissi qui, oggi. Precisamente alle cinque in punto-indicò l’orologio del salotto ed io per un secondo mi voltai. Fui ancora più confusa. –Era tutto scritto, sin dalla tua nascita. Io c’ero quando sei nata, ti ho vista nascere. Ero la sua ostetrica, signora Olivetti-disse rivolgendosi a mamma, che rimase senza parole.

-Come, prego? Io non mi ricordo… e poi dovrebbe essere… è tutto uno scherzo, vero? Lukas dille qualcosa!

Papà sembrò allibito quanto lei, ma decise di prenderla ugualmente sul ridere.

-Cara, rilassati. Di sicuro è una qualunque svitata che alla fine ci chiederà dei soldi.

Elissa sembrò offendersi.

-Non sono una svitata, signor Himmel. E no, non voglio un misero soldo da parte vostra. Per convincervi della mia onestà, vi dirò questo: la notte in cui Caterina è nata, non solo era la notte dell’ultimo dell’anno, ma anche la notte in cui voi due, signori, sareste dovuti andare alla festa dello zio Giovanni. Fu lei stessa, signora Olivetti, a dirmelo. La piccola sarebbe dovuta nascere ben trenta giorni dopo.

Entrambi impallidirono e si guardarono in cerca di conforto. Anch’io mi sorpresi, conoscendo bene la storia. Eppure trovai assurdo che quella potesse esser stata la mia ostetrica: era giovane, non era vecchia, e se avesse veramente aiutato mia madre a farmi nascere, avrebbe dovuto avere almeno una quarantina d’anni e a me appariva su per giù una trentenne. La sua giovinezza non mi sembrava tirata a lucido da trucco o da lifting facciale.

-Questo una svitata qualunque non potrebbe saperlo–constatò un po’ sfacciatamente a papà, facendolo arrossire. –Oh! E mi ricordo anche che la bambina, poco dopo la sua nascita, ha avuto un po’ di singhiozzo! È corretto?

Mamma annuì e con aria titubante chiese che cosa volesse.

-Sono venuta per aiutare vostra figlia-riprese più gentilmente. –Però dovete permettermi di parlare in privato con Caterina.

Per un momento mi allarmai: non volevo restare da sola con quella donna, nonostante fossi al sicuro in casa mia. Non mi metteva paura, avevo solo timore di fare qualche brutta figura. Dovevo ammettere però che la curiosità superava di gran lungo l’ansia. Forse mi avrebbe aiutato a capire cosa avrei potuto fare nel futuro. Forse qualche agenzia scolastica l’aveva mandata per aiutarmi! Non mi sarei stupita se la signora Rossi, la mia vecchia insegnante di inglese, avesse cercato qualche d’una per rinfrescarmi le idee. Durante gli ultimi mesi di scuola aveva intuito i miei grandissimi dubbi in tutto ciò che provavo a fare, malgrado avessi sempre negato l’evidenza. Avrei apprezzato molto il suo aiuto, era una brava donna. Eppure, perché cercare una giovane ostetrica/governante?

-Perché non possiamo sentire? –domandò un po’ burbero papà. -È nostra figlia, abbiamo il diritto di sapere.

-Vostra figlia non è più una ragazzina. Sta per compiere diciannove anni e per lo stato italiano è già maggiorenne, perciò credo che possa farcela benissimo da sola. Vero, cara? –concluse Elissa, facendomi un veloce e furtivo occhiolino.

Annuì, vogliosa di sapere.

-Per me non c’è problema. Andate pure-mi rivolsi ai miei genitori. Mamma si alzò un po’ insicura sul da farsi, però io le feci un sorriso relativamente sereno.

-Va bene, Caterina. Noi siamo in cucina-e fu seguita da papà. Chiusero la porta e ci lasciarono sole in salotto. Elissa sfogliò qualche foglio tra i documenti sul tavolo. Afferrò due foto: una era in bianco e nero e l’altra non la vidi bene.

-Bene, Caterina. Quello che ti sto per dire è strettamente importante e soprattutto riservato. Non ne puoi parlare con i tuoi genitori e con nessun altro. Non potrebbero comprendere.

-Come? Non capisco…

Mi sorrise.

-Lascia che ti spieghi. Ti dispiace se continuiamo in inglese? L’italiano non è la mia lingua madre, credo che tu lo abbia immaginato dall’accento…

-No, in realtà no. Parli piuttosto bene-commentai stupita. Mi sembrava italiana, anche se il cognome non era molto noto nel mio paese. Anzi, non lo era affatto.

-So essere una donna modesta, lo so. Comunque, ti dispiace?

Scossi la testa: ero brava in inglese, dopo anni di scuola e qualche mese passato a lavorare in Galles, avrei avuto anche il coraggio di definirmi madrelingua. Continuammo dunque la conversazione in quella lingua e notai Elissa essere più fluente e spigliata.

-Tu, mia cara, non sei una ragazza come le altre. Le domande che ti ho fatto all’inizio avrebbero dovuto fartelo intuire.

-Sono speciale solo perché non cosa fare nella vita? Sai, non sono l’unica ad avere problemi simili.

-Ogni persona ha una passione, Caterina. Alcuni non riescono a renderla il proprio mestiere oppure lo scopo della propria esistenza, ciò nonostante non vuol dire che non ci sia. Tutti, eccetto te, sanno di avere qualcosa che fa per loro.

Ci rimasi un po’ male e mi appoggiai allo schienale della sedia, incrociando le braccia con fare imbronciato.

-Questo non mi fa sentire meglio...

-E sai perché? –continuò Elissa, come se non mi avesse sentito parlare. –Perché non sai ancora quale possa essere.

-Dici che c’è qualcosa, là fuori… che non conosco, ma è proprio fatto per me? –domandai speranzosa. La donna annuì.

-Lascia che ti racconti una storia.

Le persiane delle finestre si chiusero d’un tratto, sbattendo sui vetri. Mi allarmai, trovandomi nel buio del salotto, dato che era illuminato solo da luce naturale.

-Vado un secondo ad accendere la luce-fermai Elissa, alzandomi dalla sedia. Lei mi bloccò a sua volta.

-Resta lì, non ce ne sarà bisogno.

Il lampadario del salotto si illuminò da solo, facendomi confondere ancora di più.

-Okay, che cosa diavolo sta succedendo? Ti sei accordata con i miei genitori? Volevate farmi uno scherzo?

Elissa non mi rispose, ma concentrò il suo sguardo sulla luce del lampadario che stava al di sopra del tavolo. Il piccolo fascio elettrico sembrò staccarsi dalla sua fonte, oscurando nuovamente la stanza. Vidi una palla di luce staccarsi dalle lampadine e presto mutare in quella che mi sembrò una cartina.

-Oh mio Dio-guardai stupita Elissa, credendo però che fosse ancora uno scherzo. -Com’è possibile? Cosa…

-Tu guarda e ascoltami. Tutti i tuoi dubbi avranno una risposta, te lo assicuro. Posso continuare?

Annuì titubante.

-Io vengo da Lyscha, un’isola a nord dell’Europa che si trova tra le isole Faroe e l’Islanda. Ciò che hai di fronte è la sua mappa, o almeno la parte che sono riuscita a ricostruire. Suppongo che tu non ne abbia mai sentito parlare. È un posto isolato, tanti non lo inseriscono nemmeno nelle carte e su internet non troverai nulla. I satelliti non lo segnalano nemmeno.

La luminosa mappa mostrava in un aspetto bidimensionale delle montagne rocciose e per sembrare che fosse un’isola delle onde la circondavano. Erano fatte così bene da farmi sentire quasi il rumore del mare e dei suoi gabbiani. Osservai meglio un punto in particolare, una sorta di abitazione o di istituto, che però svanì di colpo. Guardai a bocca aperta Elissa, che con aria compiaciuta si mise a realizzare altri disegni di luce. Immaginavo che fosse lei, per lo meno questa volta aveva mosso le mani. Rappresentò la figura di un uomo muscoloso, completamente illuminato, e un cavallo. La sua aria era piuttosto misteriosa. Decisi di non farci molto caso e di lasciarla continuare.

-Questa leggenda di cui ti voglio parlare è molto conosciuta a Lyscha e quasi ogni abitante la sa a memoria. Essa narra che ogni individuo, umano o animale, ha il destino scritto in tutto ciò che lo circonda.

Cominciò a rappresentare cose e persone senza un apparente collegamento: apparve un pastore, un cane, un vaso, una molla, un cacciavite, una donna...

-Ogni oggetto e persona che incrociamo nella nostra vita influenza il nostro futuro, il nostro destino. La storia di Lyscha spiega che tra queste persone ci siano delle figure speciali, i cosiddetti Bäsonders. Non si parla di geni assoluti come possono esser stati Leonardo da Vinci o Isaac Newton. Si parla di uomini e donne con doti legati al destino. Il destino ha più potere di quanto immagini-replicò seria ed io non riuscì a fare a meno di ricambiare il suo sguardo.

-Se il destino è legato ad ognuno di noi, è legato anche agli elementi che mantengono ordine e equilibrio nel mondo: fuoco, aria, terra, acqua e lo spazio.

-Lo spazio veniva considerato un elemento della natura? –domandai curiosa, guardando al contempo lo spettacolo di luci che era cambiato. C’erano delle fiamme, dei movimenti di luci che pensai rappresentassero il vento, delle onde, degli alberi e poi nient’altro.

-Il più importante di tutti! È quello che tiene uniti gli elementi e che li compone. La storia narra che millenni orsono ci fu un uomo, un uomo di nome Reyonar Lockord. Egli non era una persona qualunque, non voleva sottostare a leggi naturali stabilite dal destino, così si ribellò. Decise di prendere in mano il suo futuro e di creare le sue regole, di sfuggire a ciò che riteneva essere una trappola, una gabbia. Per raggiungere il suo scopo aveva bisogno degli elementi della natura, che uniti avrebbero potuto fargli controllare ogni cosa, anche la più piccola ed insignificante.

–Come poteva diventare così potente riuscendo ad impadronirsi del… libero arbitrio? –nel pronunciare l’ultima parola mi salì un po’ d’ansia.

-Non era solo questione di prendere in mano le proprie scelte. Sarebbe stato come bloccare un futuro già stabilito, qualcosa di molto sbagliato che col tempo avrebbe aggravato il corso naturale degli eventi. Un vero e proprio caos. Si dice che Reyonar riuscì a contattare una creatura molto antica, una praticante di stregoneria, o come la chiamo io, Arte Oscura. Trovò così il modo di controllare i cinque elementi e alla fine anche il suo destino. La sua brama di potere aumentò sempre di più e non gli ci volle molto per impadronirsi dei destini altrui.

-E poi venne fermato? -domandai preoccupata, osservando lo scenario di luci cambiare. Elissa aveva rappresentato il suo racconto raffigurando un uomo con la barba e con in mano diversi fili di luce, che supposi rappresentare i destini altrui. Fece lo stesso per il resto del racconto.

-Come Reyonar riuscì ad impadronirsi degli elementi, i pochi a cui non aveva rubato il destino decisero di affrontarlo e di imparare l’Arte dei Cinque, la magia elementale. Fu un modo di conoscere e di apprendere diverso da quello che utilizzò Reyonar, infatti lui sfruttò la stregoneria, mentre i Figli dei Destino, così vennero chiamati, iniziarono e conclusero da puro talento. Vedi, ci fu un motivo perché rimasero i soli a non essere controllati da Reyonar. I Figli furono i primi dominatori degli elementi, il loro potere sorse in un momento di bisogno. Reyonar non sapeva della loro esistenza e li dava semplicemente per invisibili, perché la stregoneria non gli permetteva di rintracciarli. I Figli si riunirono, si allenarono e alla fine sconfissero in un terribile e lungo duello Reyonar. Nello scontro, che secondo la leggenda durò ben 50 anni...

Spalancai gli occhi.

-Così tanto?

-Si sa, i miti e leggende tendono sempre ad esagerare sulle date-si fermò un secondo, facendo un’espressione un po’ buffa. Poi riprese con la storia. –I Figli del Destino lo sconfissero e morirono assieme a Reyonar. Liberarono tanta di quella energia che essa si sprigionò intorno al globo. Alcuni uomini e donne furono inglobati dal controllo degli elementi dei Figli e diventarono proprio come loro. Nacquero così i veri dominatori del fuoco, dell’acqua, della terra, dell’aria e dello spazio. In lysch, la lingua della mia isola, vengono chiamati Väalyani.

Come in tedesco, da quel poco che sapevo, la ä si pronunciava come una e.

Quando concluse, sorse in fretta uno strano silenzio. Sembrava che lei si aspettasse qualcosa da me, magari una reazione più entusiasta, invece ero solo molto perplessa. Fece svanire lo spettacolo di luci che ritornarono dritte al lampadario, riportando luminosità nella stanza.

-Va bene, come hai fatto? Lo devo ammettere, è un trucco parecchio ingegnoso, certo, ma pur sempre un trucco. Poi questa storia non mi ha spiegato proprio niente. Come potrebbe aiutarmi?

-Sei più cocciuta di quanto mi aspettassi, sai? -mi sorrise un po’ divertita ed io non riuscì a starle dietro. -Possibile che non hai ancora capito? Tu non fai parte del mondo dei tuoi genitori, del mondo dei semplici umani. Sei nata con un dono che presto sboccerà in te e ti farà sentire così bene da farti trovare finalmente il tuo posto nel mondo. Tu, Caterina, sei una Bäsonder, una Väalyana.

Non ne seppi il motivo, ma quella sua frase conclusiva mi fece stringere il petto. Avevo quasi diciannove anni, ero troppo grande per queste stupidaggini da ragazzini. Feci per parlare, ma sull’attimo ebbi qualche difficoltà, anche la mia voce si era ringrinzita.

-Tranquilla, posso comprendere che per te sia un po’ dura da assimilare…

-Un po’ dura? -domandai scioccata e alzando un tantino la voce. -È folle! Io non sono quella che affermi tu, io a malapena so tenere in mano un pallone senza farlo cadere, figuriamoci controllare il fuoco o l’acqua!

-Lo so, è difficile accettare tutto quanto per i Väalyani come te, però poi col tempo ci si abitua a questa nuova visione del mondo, te lo posso assicurare.

Mi morsi il labbro.

-Come posso credere che tu stia dicendo la verità? Al mio posto tu mi crederesti?

-Pensavo che la luce che ho smosso dal lampadario ti avesse convinta, ma… posso fare di meglio.

La vidi guardarsi intorno in cerca di qualcosa. Quando notò un vaso di fiori trasparente con dell’acqua dentro, si fermò e lo fissò attentamente sul posto. Muovendo le mani delicatamente, l’acqua fu rimossa dal vaso, la vidi galleggiare in aria. Per qualche secondo rimase sospesa ed io allungai un dito per rendermi conto di quanto potesse essere reale. L’indice si bagnò subito. Era tutto vero…

Evitai di rimanere a bocca aperta, malgrado fossi ancora sorpresa. Una parte di me avrebbe voluto che quello fosse un trucco, ma come poteva esserlo? Mi sembrava di essere finita in un film e di vedere di fronte a me soltanto degli effetti prodotti dal computer. Degli effetti anche parecchio buoni.

-Io controllo lo spazio e ciò mi permette di muovere gli oggetti intorno a me e di modificarli a mio piacimento-disse Elissa, dopo aver rimesso a posto l’acqua ed aver trasformato uno dei fogli sul tavolo in un fiore rosso.

-Ma è folle!

Lei sorrise. –Ci farai l’abitudine, non ti preoccupare.

Fece per mostrarmi le foto lasciate sul tavolo, ma io la fermai.

-Scusa, io continuo a non capire. Come posso esser parte di questo tuo mondo? Insomma, sono praticamente una ragazza scelta per caso.

-Questi doni si ottengono tramite genetica o destino. Soltanto che nei casi come il tuo ci vuole più tempo prima che compaiono. Verso i diciannove anni scoprirai il tuo elemento.

-E se ti sbagliassi? E se non fossi io?

-Sei tu, te lo posso assicurare-disse convinta. –Quando sei nata ero presente e non perché nel 2001 fossi diventata improvvisamente un’ostetrica. Ero venuta per assicurarmi della tua nascita e soprattutto della tua salute. Quelli scelti dal destino sono sempre scritti nelle stelle e nei testi sacri dei Väalyani. Sapevo che saresti nata il 31 dicembre del 2001. Ci ho messo ben 40 anni per capire dove, però alla fine ci sono riuscita. Sai, non sono in molti ad essere scelti. Sono rari tanto quanto i dominatori dello spazio.

Mi fermai, non sapendo più che dire. Era tutto così strano, nuovo, eppure anche dannatamente eccitante. Avevo bisogno di tempo per assorbire tutte quelle nuove informazioni.

-Ma quanti anni hai? –domandai di getto.

-Ho circa 133 anni-rispose tranquilla Elissa. –Non invecchio perché sono immortale. Ciò però non vuol dire che tutti noi lo siamo. È una cosa a cui si è predestinati ed è un po’ complessa da spiegare. Al momento non ne ho il tempo e malgrado io sia una dei pochi immortali al mondo, non sono la persona adatta per farlo.

La guardai confusa.

-Chi sarebbe adatto?

-Gli insegnanti dell’Accademia dei Väalyani, ovviamente. Si trova sull’isola di Lyscha ed è una scuola di magia elementale che ti aiuterà con l’arrivo del tuo elemento. Ti ci porterò verso la fine di agosto, quando riprenderanno le lezioni. È un istituto dove potrai stare per tutti e due i semestri e conoscerai ragazzi di tutto il mondo proprio come te. Nati da famiglie Väalyane e non.

-Come? Ma io non… -non trovai le parole giuste, anche se poi andai dritta al sodo. Arrossì. -Non credo di potermi permettere tutto quanto.

-Tranquilla, non dovrai alcun soldo all’accademia. Ogni anno ci sono sempre meno studenti, sempre meno Väalyani in tutto il mondo ed è un male, però anche un bene in fatto di spese. Siamo un mondo piccolo, purtroppo-sospirò amareggiata.

-Come mai? -chiesi un po’ angustiata, anche se poi mi venne da ridere. -Siamo… è come una specie in estinzione, per caso?

Evitai di utilizzare il noi, inserirmi propriamente in quel contesto mi faceva molto strano.

Elissa rimase piuttosto seria:

-Una cosa del genere, ma capirai meglio quando mi seguirai all’accademia. Al tuo arrivo troverai già tutto: alloggio, quaderni, libri… qualsiasi cosa che ti sarà utile, in pratica.

-E se mi rifiutassi di venire? Chi può dire che mi potrei trovare bene o che finalmente riuscirei a capire chi sono e cosa fare nella vita?

Malgrado tutto si stesse facendo assai interessante, avevo ancora molta paura. D’altronde non si poteva cambiare la propria vita da un momento all’altro, anche se nel mio caso ne avevo disperatamente bisogno.

-Cara, per tutta la vita ti sei sentita in gamba. Brava a fare i conti, ottima per le lingue e intuitiva abbastanza per comprendere le metafore, eppure mai veramente coinvolta. Questo è ciò che l’accademia vuol fare, appassionare l’animo e lo spirito dei ragazzi come te, giovani troppo speciali da poter perdersi nel mondo di oggi. Non appena scoprirai il tuo elemento percepirai sensazioni nuove, conoscerai un nuovo lato di te e ti si aprirà un mondo di nuove opportunità. Opportunità uniche, credimi.

Sospirai, non sapendo bene che pensare. Tentare non nuoceva di solito, che cosa avrei avuto da perdere? Una vita assai deprimente, su questo ero certa.

Puntai il mio sguardo verso le due foto sul tavolo.

-È questa l’accademia?

Si vedeva un grande edificio, eppure non molto bene. Oltre ad essere un po’ sfocata, l’immagine era anche molto vecchia. Mi sembrò un castello, però non ero sicura.

-Lo so-continuò Elissa. –La foto non è una delle migliori, ma… è la prima che è stata scattata all’istituto. Ed è anche l’unica. Per questioni di sicurezza evitiamo di spargere foto in giro. Nessuno, che non sia come noi, deve venire a sapere di questo luogo. Troppo tempo siamo stati ricercati dagli uomini normali. Per farti capire, nel Medioevo molti Väalyani sono morti sul rogo, specie le donne... Oggi potrebbero deviarci di qualche libertà e sfruttarci per scopi politici o peggio. Ecco perché non lo puoi dire a nessuno.

Annuì un po' spaventata, anche se cercai comunque di mostrarmi sicura: sapevo mantenere un segreto, nonostante facessi schifo a mentire. Ero certa, però, che non sarebbe stato difficile questa volta, visto che nessuno sano di mente mi avrebbe creduto. Magari solo Giorgia.

Spostai lo sguardo sull’altra foto, molto più chiara e nitida: raffigurava un uomo anziano con dei baffi bianchi e due tondi occhiali sugli occhi verdi. Domandai chi fosse.

-Lui è Thomas Ferguson. Ha fondato nel 1950 l’accademia. È ancora vivo, ma è non molto in forma.

-Che elemento controlla? –domandai curiosa, riguardando la foto.

-Nessuno. Il signor Ferguson è uno dei pochi esseri umani che sa della nostra esistenza. Ha fondato la scuola per il figlio, Axel, un dominatore del fuoco. L’ha ereditato dalla madre, la signora Ferguson, nonché la preside dell’accademia.

Mi grattai nervosamente il braccio. Elissa mi raccontava e mi informava, ed io pensavo soltanto che sarebbe stato difficile adattarmi e prenderci l’abitudine. Ero sconvolta, sorpresa, estenuata da tutte quelle scoperte su me stessa e sul mondo, ma almeno non mi sentivo più vuota. Percepivo una nuova realtà e un nuovo destino a cui aggrapparmi. Forse ero nuovamente parte di qualcosa.

-Senza il controllo di un elemento, la gente come noi fa fatica ad adattarsi nel mondo dei semplici uomini. Il controllo arduamente si impara da soli. Potrebbe diventare pericoloso per te e per coloro che ti stanno accanto. Credimi, lo so bene. Ai miei tempi non c’era una scuola per quelli come noi, perciò ho dovuto fare tutto da sola. Se avessi avuto l’opportunità di frequentare l’accademia, l’avrei colta senza nemmeno pensarci.

-Quindi la soluzione migliore è accettare? -domandai insicura. In realtà volevo già farlo, volevo dire che ci stavo, tuttavia c’era sempre un lato di me che faceva retro front a qualsiasi spaventosa novità.

-Non te ne pentirai-rispose Elissa con uno splendido sorriso. Di certo con quello avrebbe incantato anche l’uomo o la donna che più di tutti disprezzava l’amore.

-Se questo è tutto vero e non è frutto della mia immaginazione, credo che potrei…

Il cuore mi batteva molto forte, era come se quelle parole che stavo per pronunciare avrebbero definitivamente dato una svolta alla mia vita, una vera e propria decisione era giunta ed io dovevo solo afferrarla. Dentro di me sentivo una sensazione calda, come se qualcosa dentro di me si fosse risvegliato. Era proprio quella strada destinata a me? Era quello il mio destino?

-Credo che potrei frequentare l’Accademia dei Väalyani.

E avevo anche detto il nome correttamente.

Elissa non parve affatto sorpresa, anzi, era come se avesse già saputo la mia risposta.

-Perfetto, Caterina! I primi di agosto riceverai da parte mia una lettera nella quale segnalerò il luogo e l’ora del nostro incontro all’aeroporto di Copenaghen, Danimarca. Poi ti farò una lista di cose che devi portare, più che altro vestiti pesanti. Immaginerai anche tu che non potrai certamente indossare qualcosa come il costume da bagno. Fa fresco anche adesso che siamo in estate, perciò potrai capire…

-Meglio il freddo che il caldo-affermai sorridendo. Ero felice?

 

Elissa se ne andò, ma non prima di stringere la mano ai miei genitori e di dire di congratularsi con la loro figlia: ero stata appena ammessa ad un prestigioso collegio in Nord Europa! A loro dicemmo che quando se ne erano andati dal salotto, Elissa mi aveva sottoposto ad un colloquio per entrare in un lussuoso istituto danese. Il destino volle che la vecchia ostetrica della mamma fosse anche la governante di un prestigioso collegio. Fui fortunata che se la bevvero, solitamente erano sempre sospettosi. La mamma fu un po’ più difficile da convincere, dato che avrei dovuto partire da sola verso la Danimarca, ma dopo finte brochures e alcuni siti online, mi lasciò stare.

-Oh, tesoro, siamo così fieri di te-mi sorrise papà. -Avrei preferito però che ce ne avessi parlato prima. D’altronde, hai fatto una scelta parecchio coraggiosa.

-Perché non ce l’hai detto? -domandò mamma confusa e offesa. -Lo sai che avremmo approvato!

Mi strinsi goffamente le labbra, cercando di pensare a qualcosa da dire. Li guardai un po’ imbarazzata.

-Beh, io… volevo farvi una sorpresa.

Mi abbracciarono colpiti, non era da loro. Mi staccai pochi secondi dopo, dicendo che volevo subito ritornare in camera mia. Volevo appuntarmi tutto sul diario e poi raccontare ogni cosa a Giorgia. Ne avevo di cose da scrivere! Finalmente il bianco di quelle giornate avrebbe potuto tingersi d’inchiostro.  

-Oh, certo! -esultò mia madre. -Io vado subito a fare una videochiamata con la Rosa! Fa sempre la superiore con sua figlia che è stata presa alla Bocconi, voglio vedere la sua faccia quando le dico di Caterina!

-Mamma! -la richiamai, avvicinandomi alle scale. -Non credo che sia necessario farlo sapere a tutti...

-Ma dai, lo dico soltanto alla Rosa! -ribatté, spostandosi in salotto col telefono in mano. Sospirai, sapendo bene come sarebbe andata a finire. La famosa Rosa era una signora poco più grande di mia madre ed era nota nel mio quartiere per spifferare qualsiasi cosa a tutti e se c’era una cosa che odiavo era finire proprio sulla bocca di chiunque.

-Tranquilla, ci penso io-mi sorrise papà, che come me sapeva essere parecchio timido. Abbozzai uno sguardo riconoscente e poi corsi al piano di sopra.

Afferrai la custodia rossa del diario.
 

19 luglio 2020,

Bologna

Caro Diario,

credo di esser stata appena ammessa all’ Accademia dei Väalyani. Una donna dai capelli rossi e dall’abito blu è entrata in casa mia e ha…

 

   
 
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