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Autore: auburnd0ll    24/08/2022    0 recensioni
Se non avessimo niente da perdere, non avremmo niente per cui vivere ma è quando non si ha niente che si è davvero liberi di farlo. Proprio per questo Charlotte si ritrova in California, cercando di lasciare il passato alle spalle per poter finalmente essere sé stessa. Si prenderà il suo tempo nel conoscere le maniere di Los Angeles e soprattutto la sua nuova vita. Kirk è il chitarrista di una delle band più in voga nel panorama metal del momento e la scintilla tra i due è fulminea. La resa dei conti con sé stessi e l'autorealizzazione sono una conseguenza del rapido ardere della candela.
Pairing: Kirk Hammett x OFC
I fatti non rappresentano fedelmente gli avvenimenti reali, alcuni eventi o persone sono stati cambiati per scopo narrativo.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Era quasi tramontato il sole quando la porta venne chiusa allo scoccare del termine dell'orario di visita. Le pareti asettiche si impregnavano di colori dalle tonalità cremisi verso quest'ora. E lei ormai lo sapeva bene, come sapeva bene di tutti i gatti che passavano sotto la finestra della sua camera o di tutti i libri nella libreria nella sala comune. Il braccialetto al polso leggeva 'Charlotte Blais' ed ogni volta che le capitava sott'occhio si malediceva. Un' imponente senso di imbarazzo la catturava a pensare di ritrovarsi in riabilitazione a 26 anni, in quello che sarebbe dovuto essere il momento più bello della sua vita. Passò in mezzo agli infermieri nel corridoio, raggiungendo la sua piccola camera.

Niente in quel posto era agevole, dalle coperte alle docce, dai medici ai pazienti. L'unico sollievo era ciò che l'aveva tradita e nonostante agognasse ogni giorno il momento in cui l'infermiera le avrebbe porto le sue pasticche sapeva che era proprio quello da cui doveva stare lontana. Si era sempre ritenuta squallida ed in questo momento, mentre aveva gente a prendersi cura di lei ripudiava l'idea di sé stessa, che le pareva sempre più quella di un' infantile.

Il controllo, perdere il controllo è stato inesorabilmente il centro della sua esistenza. Controllata e controllare, gli altri e sé medesima, la tensione. Probabilmente era solo sua la colpa della sua sofferenza, pensava. Autosabotarsi era il suo unico metodo di sollievo conosciuto per non ricadere in incertezze.

Guardò sulla sua scrivania dove le buste che aveva lasciato prima creavano un leggero disordine che però complementava il numeroso vuoto nella camera. Kristen, Jim, Pete ma nessuno che le portasse notizie di lui. Nel cassetto riposava ancora la prima ed unica sua lettera che piuttosto apaticamente parlava di come questo ricovero fosse l'unico modo di farle aprire gli occhi e rimettersi in sesto una volta per tutte. La loro -sua ormai- casa era libera dalle cose e modi disfunzionali della ragazza che ogni giorno si chiedeva il perchè lui dovette essere così sincero e così terribilmente nella parte del giusto.

Bussarono alla porta. << Le medicine>> La voce stanca e monotona di chi ha già consegnato una quarantina di pasticche riempì il silenzio. << Abbiamo quasi finito di scalare la dose di Valium a zero, questo è l'antidepressivo che integriamo>>.La giovane si avvicinò al vassoio, deglutendo le due pasticche che in un quarto d'ora avrebbero iniziato a farla ragionare più serenamente o più probabilmente farla dormire.

Ormai era sola, i suoi amici avevano altre cose di cui occuparsi nelle loro vite. Aveva senso, ma i giorni nei quali osservava i pazienti riunirsi con i cari erano duri. Nonostante fosse difficile che qualcuno sarebbe riuscito a raggiungerla, non poteva non sperare. Si ripeteva di non farlo per la facile delusione che ne derivava ma sperare faceva passare il tempo in quel mondo parallelo dove gli orologi sembravano rotti. Era bello avere qualcosa a cui aspirare, specialmente in quell'ambiente. Qualche giorno, in qualche modo sarebbe uscita e sapeva a cosa ambire. Perchè non poteva lasciare tutto a metà, l'ultima parola non poteva essere quella di lui, aveva molto da dirgli.

Fece di nuovo un passo verso la scrivania e prendendo dal cassetto la lettera che portava con sé la scritta 'Kirk Hammett' in una calligrafia leggermente spigolosa, gli occhi le caddero sulla propria agenda. Vuota fino ad allora.

Fece un'altro passo e si mise a sedere, pensando a quanti altri ne avrebbe dovuti fare prima di raggiungerlo, l'unica cosa per cui valeva la pena sentire tutto quello di cui le medicine la privavano. Perciò prendendo la penna pensò di incamminarsi verso di lui.

"A Kirk

Non eri lì nel momento del mio primo grande passo ma non posso dire che non ne sei stato parte, quando scesi dalla scalinata angusta di uno squallido aereo low cost: quando misi per la prima volta piede negli Stati Uniti.
All'età di 22 anni ero riuscita a trovare un lavoro in un paese diverso.
Sbarcai nell' indipendente Los Angeles, bagnata da un oceano mai visto, un' acqua che non avevo nemmeno mai toccato con un dito. Inseguivo l'accecante sogno americano che molti miei connazionali avevano già afferrato, con un certificato di studi in musica.
L'etichetta Elektra Records, già dignitosamente nota da anni prima, assumeva tecnici del suono, di strumenti, assistenti musicali da piazzare nelle sue ampie e costose sale. Quando attraverso un annuncio affisso al muro in conservatorio venni a sapere delle sue nuove politiche di assunzione afferrai stretto il mio diploma musicale e feci proposta.
Ricordo ancora come fu complicato riuscire ad inviare un fax dal mio piccolo paese. Costretta a girare con la Ford di mio nonno fino in città per trovare una cartoleria attrezzata.

L'idea di abbandonare tutto per partire verso un'altro paese cercando fortuna con la musica non era una delle più serie e adeguate secondo i miei compaesani ma lasciare quello che non avevo per me era solamente avere un peso in meno. Tuttavia, in fin dei conti condannarmi ad avere la possibilità di vedere i miei genitori solo una volta ogni anno fu una delle cose che rimpiansi di più, specialmente qualche anno dopo.

Alla fine non fummo in molti ad ottenere il lavoro nella casa discografica. Furono gentili da firmarmi un contratto a tempo determinato della durata di 10 mesi come assistente musicale per la cantante Nico ma non da pagarmi il volo che di conseguenza dovetti acquistare, e preferii farlo a basso costo.
Tutte le mie risorse servivano a pagare l'affitto di un bilocale a Pasadena che, nonostante non fosse molto, riuscivo a mantenere da sola con il mio lavoro. Il quartiere era tranquillo, la qualità di vita era buona, aveva molti parchi e la notte era silenzioso.

In quel momento il tuo gruppo era impegnato con i preparativi in prospettiva delle registrazioni del quarto album, ed il primo giorno che misi piede nello One on One studio molti erano gli uomini nei corridoi a scambiarsi opinioni sull' avvento di quest'ultimo. Anche se, a marzo del 1988, non avevate ancora messo piede nella struttura.
Ogni mattina per 2 mesi mi sono alzata dal letto pieno di molle (che serviva anche da divano nelle ore diurne) per poi infilarmi un jeans ed una maglietta, il cappotto di pelle ed in spalla, solitamente a intercambio casuale, una chitarra o un basso da usare per parti minori in studio.

Il lavoro procedeva bene, le sale erano un ambiente pieno di emozioni, anche se spesso erano satolle di tensione e frustrazione. Per tanto tempo ho pensato che fosse proprio questo a renderne l'aria così calda.

Oltre a Nico non avevo ancora mai visto un'altra donna nello studio.
Qualche volta faceva la sua apparizione una ragazza mora, all'apparenza estroversa e vivace con in mano una Canon. Ogni tanto scattava foto di svariate persone a lavoro. Io cercavo sempre di scappare dall'obbiettivo ma venne inevitabilmente appesa sui muri di legno dell'ingresso una foto di Nico con me nello sfondo, purtroppo non troppo in secondo piano, con in mano il mio basso.

18 aprile 1988
Dalle prime settimane di Aprile iniziaste a frequentare nuovamente lo studio con frequenza e così, di tanto in tanto, mi capitò di intravedervi nei corridoi mentre entravate nella sala in fondo al corridoio. Ricordo che spesso saltavate la pausa pranzo e quando la mia sala si svuotava ed io rimanevo sola nella sala mixing riuscivo a sentire la distorsione delle chitarre e la batteria.
Verso l'una di pomeriggio i miei colleghi uscivano per pranzo, io spesso rifiutavo perché i soldi che avrei speso al ristorante mi sarebbero serviti per un nuovo divano letto, che urgeva sempre più. La mia schiena era a pezzi.

Dopo qualche tempo riuscii pure a segnarmi come insegnante privata di canto in una piccola scuola di musica a gestione familiare, il che riusciva a portarmi in tasca qualche soldo in più.
A questo punto la mia vita mi appagava, dormivo la notte senza dover prendere i miei farmaci, la mattina mi svegliavo con fuori dalla finestra un clima mite. A pochi chilometri verso ovest avevo il mare mentre verso nord le colline. Facevo quello che desideravo da sempre ed ero pure economicamente indipendente, tanto da potermi pure permettere qualche sfizio. L'ultimo di questi: il vinile dei Sisters of Mercy.

Tirai fuori dallo zaino una vaschetta con il mio pranzo, un'insalata, e mi accomodai nella sedia girevole della sala di regia. Quando tutti se ne andavano ed io rimanevo da sola davanti ai mixer, con la sporadica eccezione di qualche persona nella sala d'incisione, avevo occasione di ricaricare le energie necessarie per continuare nel pomeriggio e talvolta riuscivo pure a portarmi qualcosa da ascoltare nel mentre.
Stavo ascoltando Marian, dell'ultimo vinile acquistato.
Presi l'ultima forchettata di verdure e riposi tutto nella borsa rigorosamente nera. L'orologio al muro diceva 13.15 quindi avevo ancora grossolanamente 15 minuti rimasti per restare da sola.
Sistemai velocemente la mia frangia, ormai quasi eccessivamente lunga, e con un agile movimento scansai i miei capelli voluminosi alle spalle.

Presi sulle ginocchia il mio basso, accordandolo e strimpellando qualcosa seguendo di tanto in tanto il giro della canzone. << cavolo si è rotta la tracolla>> imprecai tra me e me alzandomi per interrompere il giradischi ed osservare meglio il lembo di cuoio rotto. Sospirai e mi sedetti di nuovo.

Nel corridoio come di consueto si sentivano i rumori sordi di stivali sulla moquette e voci di uomini. Spesso queste si ovattavano una volta entrati nelle varie sale, questa volta i passi non terminarono con una porta che si chiudeva ma bensì con quella del mio studio spalancata.
Con un movimento repentino la porta metallica della sala mixing venne aperta e due sagome magre e capellute mi guardavano con sorpresa dalla soglia della porta.
Tu e Lars.

<< Oh non pensavo ci fosse qualcuno>> Dicesti tu, anche se il tuo sorriso non comunicava un serio dispiacere come quello di chi è appena irrotto nell'ambiente di lavoro di qualcun'altro.
Io però ricambiai, lasciando cadere la tracolla rotta e posando il basso sul piedistallo vicino.
Lars fece come per entrare.

<< Attenti allo scalino>> Vi avvertii indicando ai vostri piedi. << Piacere, Charlotte>> Porsi la mano a entrambi.

<< Lavori qui da tanto?>> Chiese il bruno iniziando con i convenevoli.

<< No a dir la verità, sono qui da poco più di un mese>> Risposi riponendo le mani nelle tasche posteriori dei miei jeans neri. << Sono assistente musicale per la cantante Nico>>

<< Oh giusto, ricordo di aver sentito che sarebbe stata qui anche lei>> Continuò il batterista accompagnato da un eco di " oh, forte" da parte tua.

<< Come procedono le registrazioni? ogni tanto vi sento suonare>> Chiesi a nessuno in particolare appoggiandomi al piano di mixaggio dietro di me.

<< Bene, è la prima volta che registriamo in uno studio così grande quindi direi...molto bene, sì>>

<< Oh, Sisters of Mercy, amo quell'album>> Cambiasti repentinamente l'argomento intromettendoti nella discussione dopo aver notato la copertina del vinile sul divanetto accanto al giradischi. << è tuo?>> Ti voltasti verso di me, fu la prima volta che attraverso i riccioli che ti avvolgevano il viso, guardai nei tuoi occhi leggermente a mandorla e con ancora una punta di leggerezza.

Annuii sorridendo << sì ogni tanto quando escono per pranzo mi metto ad ascoltare qualcosa, ormai porto vinili apposta>>

<< Amo quel genere, anche se loro mi prendono sempre in giro>> Disse indicando l'amico che in risposta alzò le mani in segno d'innocenza.

<< Non io, James>> Corresse.

<< Non dirlo a me che porto molto fieramente la maglia dei Bauhaus con Bela Lugosi>> Sorrisi e mi rispondesti con tale enfasi, mostrando i tuoi denti che ho da subito trovato adorabili.

<< ah fermati, potrebbe innamorarsi. È un fanatico degli horror>> Incalzò Lars seguito dalla tua armoniosa risata, camuffata dalla mano che passasti sul volto.

Lars fu il primo a voltarsi e far un passo e quando ormai avevate varcato la soglia nel corridoio, girasti sui tuoi piedi. << hai bisogno di una tracolla?>> Supponesti indicando il mio basso esausto.
<< Ah no, non ti preoccupare>> Lasciai una risata, imbarazzata davanti alla tua improvvisa generosità.

<< Va bene, buon lavoro allora>> Sorridesti alzando la mano in segno di saluto.
<< Anche a voi>>, e la porta si chiuse nuovamente.

   
 
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